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Capitolo XI

La Signora portò Maria Isabella nello sfarzoso bagno. Tutte le ragazze erano state riunite in quella stanza per gli ultimi ritocchi ai loro curati corpi. Anaya si avvicinò a Bel e le porse una confezione di crema idratante <Tiene metti questa, è alla mandorla>. Isabella non fece domande, imitò la sua compagna di sventure e si cosparse la pelle di quel liquido viscoso. Appena ebbero terminato la ragazza dalla carnagione scura come il carbone le spruzzò del profumo, aveva la medesima fragranza della lozione idratante. <Ora ti sistemo  i capelli, poi indossiamo quelli> Anaya indicò un cumulo di capi ripiegati, erano appoggiati sopra una cassapanca nascosta in un angolo. Alcune donne si stavano truccando e pettinando a vicenda, ma Isabella protestò quando Anaya tentò di cospargerle gli occhi di ombretto. Dopo qualche minuto di battibecchi le due arrivarono a un accordo: niente trucco in cambio di una pettinatura più curata. I capelli corvini vennero raccolti in due lunghe trecce alla francese, abbellite da dei garofani rossi fuoco. 

Isabella si avvicinò al basso mobiletto con l'abbigliamento, valutò a lungo quale scegliere. Non doveva farsi notare, ma non c'era niente che la potesse coprire a sufficienza. Alla fine scelse una vestaglia di pizzo bianco con un particolare motivo che lasciava intravedere le culotte dello stesso tono e materiale della veste da camera. Bel si guardò a lungo allo specchio, si sentiva fuori luogo così esposta. Nel riflesso del vetro osservò le altre donne. Avevano indossato tutte i loro capi, ma nessuna sembrava provare evidente imbarazzo ed erano molto più scoperte di Maria Isabella. Alcune portavano delle provocanti lingerie sulle sfumature del rosso corallo, del borgogna o del nero e si muovevano sicure di loro stesse. 

<Svelte!> la Signora richiamò la loro attenzione e indicò la porta con un cenno del capo. Le ragazze si avviarono seguendo la donna arcigna. Isabella, invece, non era del tutto convinta, dove sarebbero andate?

Anaya afferrò il delicato polso di Maria Isabella e la invitò a seguire le altre. <Non preoccuparti> le fece l'occhiolino per rassicurarla. Insieme, mano nella mano, raggiunsero il seminterrato. Isabella rimase impressionata, quella stanza la inquietava più della sua cella. Era un immenso salone open sapace, delle colonne portanti in pietra si alternavano a delle gabbie. Ogni prigione dorata svettava su un imponente piedistallo di marmo, come se dovessero sorreggere della preziose statue. La Signora, aiutata da un paio di minacciosi mercenari, si assicurò che ogni donna venisse rinchiusa tra quelle sbarre auree. Isabella rimase al centro del basamento marmoreo. Si guardava intorno in cerca di Lars, ma del norvegese non c'era traccia. Ad un tratto calò l'oscurità  nella stanza, solamente dei led al soffitto emettevano dei fasci di luce rossastra. Del fumo iniziò ad avvolgere le gabbie rendendo l'atmosfera ancora più conturbante. Dopo qualche interminabile minuto iniziarono ad entrare degli ignoti uomini in smoking. 

Lars era all'ingresso del seminterrato stretto nel suo completo nero, con una mano impugnava la Glock satinata, con l'altra la ricetrasmittente. Essendo uno dei mercenari di fiducia del Padrone doveva occuparsi in prima persona della sicurezza della sala. Lì dentro stavano iniziando ad entrare persone da miliardi di euro. I primi ad arrivare furono degli esponenti politici francesi, poi alcuni illustri uomini appena atterrati dal Giappone. Lars sorrise tra sé e sé, il seminterrato di una villa dispersa nel nulla stava diventando uno dei luoghi più multiculturali del globo. A divertire il norvegese era la ragione per la quale si erano riuniti. Per uno degli istinti primordiali di conservazione della specie: il sesso. Nonostante quei personaggi si reputassero superiori alle altre persone, per i loro potere o per i quattrini, agli occhi del mercenario restarono degli omuncoli. 

<Ragazzo, chiudi la porta. Che le danze abbiano inizio!> la voce del Signor Marcelo interruppe le riflessioni di Lars. Il Padrone stava oltrepassando l'ingresso. Era seguito da un uomo imponente quasi quanto lui per altezza, ma con un prominente pancione. Il norvegese lo riconobbe immediatamente, era Ghiyaath Rasheed, che avanzava nelle sua lunga tunica bianca, in netto contrasto con la carnagione bronzea. Era intento ad osservare con sguardo desideroso ogni donna nella stanza, pregustando di possederle nel peggiore dei modi. 

Appena il portone del seminterrato venne sigillato una piccola orchestra all'angolo della stanza iniziò a suonare lussuriosi sonetti. "Hai ragione Marcelo, i giochi stanno per iniziare" pensò Lars mentre l'adrenalina iniziava a scorrergli in tutto il corpo. 

Le ore sembrarono volare. Tra quelle sbarre Isabella non poteva sedersi o appoggiarsi. Dal dolore ai piedi poteva intuire che fosse trasco già molto tempo da quando era stata chiusa nella gabbia d'oro. Le altre ragazze avevano iniziato a danzare, seguendo sensualmente le note musicali, ma lei era rimasta praticamente immobile per tutta la serata. Nonostante lo sguardo omicida che la Signora le lanciava di tanto in tanto, Maria Isabella non aveva accennato nessun tipo di ballo. Non voleva mettersi in mostra, così nessuno l'avrebbe degnata di uno sguardo.

Forse non aveva attirato l'attenzione degli uomini seduti ai tavoli, intenti a giocare d'azzardo. Oppure di quelli ormai ubriachi, vicini al bancone del bar, ma due paia d'occhi erano puntati su di lei costantemente. Lars non la perdeva di vista, neanche per un solo istante e non smetteva nemmeno di osservare Ghiyaath Rasheed. L'emiratino era rimasto rapito dagli occhi verdi e dal corpo snello di Isabella. Esile e con il viso angelico, Bel era proprio il genere di donna che faceva al caso suo. 

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Come promesso eccoci qui con il Capitolo XI. 

Spero che l'evoluzione della storia vi stia piacendo. Ora sono curiosa di sapere come pensate che finirà questa vendita!

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