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capitolo undici🥝

EWAN'S POV 🥝

Qualcuno bussa alla porta del mio studio e riesce in qualche modo a bloccare il flusso di pensieri che mi riempiva la mente.

Ho pensato a lungo se partecipare o no alla ronda di stasera.

Da un lato non credo che spetti a me. Ma dall'altro...

Megan Beaufort potrà essere pure una figlia di papà viziata e piena di soldi fino al collo, ma non si merita una fine del genere.

Nessuno merita una fine del genere.

E se c'è anche una sola possibilità che sia ancora viva, ancora da qualche parte lì fuori, allora quella va colta. E una persona in più che cerca non fa mai male, questo è certo.

Questo dibattito tra me e me stesso va avanti da ore. Da quando ho messo piede dentro al mio studio con una serie di tesi sotto il braccio pronte ad essere revisionate, ad adesso.

E sono passate... quanto tempo?

Volgo lo sguardo verso la finestra. Una nebbia leggera ricopre il campus e il sole sta iniziando a calare, senza dubbio fra meno di un'ora sarà buio pesto e fuori non si potrà vedere nulla se non quel soffice e umidiccio bianco latte.

Le tesi sono ancora sopra la scrivania, chiuse e impacchettate proprio come quando sono state posate lì per la prima volta. Mi osservano come se mi stessero accusando di aver bighellonato tutto il pomeriggio, e non potrei dare torto a nessuna di loro.

Se non fosse per il mal di testa che mi sono causato completamente da solo avrei già allungato la mano e afferrato il primo manoscritto.
Se non fosse per il mal di testa, e chiunque stia bussando alla porta una seconda volta, e con più insistenza della prima.

"Avanti." Mormoro contrariato, parte di me sa cosa sta per accadere.

E l'altra parte non ci vuole pensare. Però, purtroppo, bisogna affacciarsi alle difficoltà della vita anche quando non si vuole.

Allo stipite della porta appare la figura che mi è più familiare in questo posto: mio padre. Mentirei se dicessi che vorrei che fosse qui. So benissimo cosa vuole e cosa lo manda.

A confermare le mie affermazioni sono proprio le sue parole, delicate come i fiori di un ciliegio in fiore, eppure riescono comunque a recarmi un fastidio che ammetto non essere dettato interamente dalla sua presenza in se, ma da cosa comporta.

"La ronda comincia fra dieci minuti. Hai deciso?"

Dietro ai suoi occhi dolci, carichi di rammarico e affetto, si nasconde una specie di avvertimento.

Se non vieni, cosa penseranno di te? Tu sei il portatore della mia voce. La tua presenza ha un valore molto più grande di una semplice ricerca...

"Non ho ancora deciso." Ammetto. Butto la schiena addosso allo schienale della sedia con tonfo che si sovrappone al mio sospiro esasperato.

Se solo questo maledetto mal di testa cessasse, potrei anche pensare di ragionare razionalmente e prendere una decisione.

Il suo sguardo continua a trafiggermi la pelle, e purtroppo sono obbligato a rispondergli. "D'accordo." Sbuffo.

Allungo una mano senza staccare la schiena dallo schienale e afferro le tesi, chiudendole in un cassetto sotto gli occhi scrutatori di mio padre.

"Pronto?" Mi chiede non appena mi alzo dal mio posto.

Le ore di sonno che mi sono state private questa notte purtroppo iniziano a sentirsi, ma ormai ho acconsentito. Non posso più tirarmi indietro adesso.

Annuisco senza spiaccicare parola e d'altro canto, lui non sembra voler ricevere una risposta verbale. Si gira, non curandosi che lo segua o no, e si dirige verso i corridoi vuoti e silenziosi.

Il rumore dei miei passi è l'unica cosa che gli fa intuire che io lo stia effettivamente seguendo, è l'unico rumore che rompe il silenzio quasi inquietante del college.

Che ore sono? Le sei, le sette di sera? Sono già tutti in mensa?

Allungo il passo e con due lunghe falcate raggiungo mio padre, affiancandolo. Di nuovo, non sembra darmi peso o nemmeno accorgersi di me, troppo preso da qualsiasi cosa lui stia pensando.

"Perchè con il buio?" La mia voce squarcia l'aria, ma la curiosità ha avuto la meglio sulla ragione e non ho potuto non chiedere.

Dopotutto stiamo cercando di salvare una persona, non di farne rapire altre ancora.

"Non è buio." Ribatte stizzito, come se questa piccola domanda l'avesse infastidito.

"Calerà il sole fra quanto... un'ora? Mezz'ora?" Stringe la mascella e evità il mio sguardo, i suoi occhi sono fissi sul pavimento come se lì ci potesse trovare scritta una ragione sensata. "Anzi, sta già calando."

Non risponde. Proseguiamo in un silenzio teso fino al centro dei giardini del campus, dove un piccolo gruppo di studenti e professori è riunito assieme ad un paio di poliziotti dotati di cani a guinzaglio.

Mio padre non mi guida fino a loro, ma semplicemente, silenzioso e con un atteggiamento fin troppo strano, si gira e se ne va ripercorrendo i suoi passi, senza dirmi nulla.

Lascio che le mie scarpe nere, e decisamente troppo eleganti per una ronda, vengano affondate nella ghiaia che lascia una patina bianca sul tessuto.

Cristo, erano nuove. Mi chiedo se è il caso di prendere questo piccolo avvenimento come un segnale di avvertimento. Ma alla fine, cosa potrà mai succedere?

Soprattutto se mio padre si comporta così. Lui sa già che non la troveremo. Lui sa già che la Beaufort non farà ritorno al college, o a casa, tra le braccia dei suoi genitori.

Se c'è una cosa certa che so di Robert Hawkins, il fondatore del famoso Hawkins College, la scuola più prestigiosa di New York, è che è un uomo ambizioso, ma con l'anima che straripa di bontà.

Non c'è un singolo ricordo di me e lui di quando ero ancora un bambino che non sia colmo di risa o felicità. È stato il padre perfetto, quel tipo di persona che ammiri, a cui aspiri di diventare un giorno.

Ciò significa che è davvero, davvero giù di morale. Non si comporterebbe così altrimenti.

"Professor Hawkins! È venuto, alla fine." La voce squillante dello stesso professore di stanotte mi giunge alle orecchie e mi trattengo a stento dal fare una smorfia infastidita.

"Già." Mi limito a commentare.

Quelli come lui proprio non li sopporto. Sono sicuro che si comporti così solo per il mio cognome, niente di più, niente di meno.

Illuso, penso. Illuso se pensa davvero che farmi le moine gli garantirà un posto in questo college non appena mio padre lascerà a me le redini. Funzionerà pure con lui, ma non con me.

"Speriamo stia bene, no?" Continua a parlare. Dio, ma non riesce a stare zitto?

Se proprio deve dare aria alla bocca perchè il suono della sua voce gli piace così tanto, almeno lo faccia con un tono normale.

"Sì, speriamo bene."

Un uomo in divisa mi salva. Fischia attirando l'attenzione di tutti. Un suo collega gli passa un megafono, e inizia a dividere le persone in vari gruppetti e ad assegnare una zona ciascuno, fornendo loro le informazioni man mano.

Giunge il mio turno. Indica me, il professore che ho accanto di cui ancora non ricordo il nome, e qualcun'altro che non ho la minima intenzione di calcolare per tutta la durata della ronda.

"Siete in quattro, e vorrei che tornaste in quattro." Commenta con una tale serietà da farmi ridacchiare. Insomma, stiamo forse andando in guerra?

A noi viene assegnata la zona più malfamata di New York, dove la Beaufort è stata vista l'ultima, o qualcosa del genere.

Cosa ci faceva una del suo rango in un posto del genere?

"Proseguiamo?" Chiede una voce a me sconosciuta.

Le mie orecchie apprezzano parecchio che non sia infernale come quella del professore che non mi si stacca di dosso.

Dopo un breve consenso collettivo, il quarto membro offre la sua auto come mezzo per portarci fino alla zona assegnata a noi, e così facendo, ci avviamo verso quello che avrei poi chiamato inferno.

Ora che rifletto davvero, inferno può in realtà sembrare una parole troppo... delicata per quello che ho dovuto subire durante il breve viaggio.

Breve viaggio che a me è sembrato infinito.

Il professore dalla voce insopportabile ho poi scoperto essere il professore Smith. Il proprietario della macchina è un certo Noah, uno della sicurezza che ha sentito della notizia e ha deciso di applicare le sue doti fisiche nella ricerca della Beaufort. La quarta persona, invece, è il professore Riley.

In realtà, Noah è una persona normale. Forse le mie parole sono dettate dall'enorme differenza di età che c'è tra me e gli altri due professori, che sembrano in fase di decomposizione rispetto a me e al guidatore che siede al mio fianco.

"Ho sempre ammirato tuo padre e tutto ciò che ha fatto. Sono sicuro che anche tu verrai ricordato come lui." Cristo Santissimo, non si tappa mai quella fogna che ha il coraggio di chiamare bocca? Mi sorprenderei se al suo interno ci fosse rimasto anche un solo dente sinceramente.

"Grazie." Rispondo secco. Noah mi lancia uno sguardo carico di divertimento dallo specchietto che ricambio alzando gli occhi al cielo.

Il professore Smith, però, non molla la corda per tutto il tragitto.

Solo quando l'uomo di fianco a me inizia a rallentare in vista di una strada sterrata e scala le marce della sua Porsche Cayenne con regolarità mi permetto di tirare un sospiro di sollievo che non gli passa inosservato.

A volte degllo sguardi valgono più di mille parole, ed è proprio questo il caso.

Mi guarda con un sopracciglio alzato e gli occhi gli brillano di una luce derisoria. Questo per me vale più di mille parole, decisamente.

"Arrivati." Dice proprio quest'ultimo aprendo la portiera e fiondandosi verso il retro dell'auto, dove apre il bagagliaio e fruga per svariati minuti causando un grande baccano.

Qualsiasi cosa stia maneggiando, deve essere parecchia, perché i rumori che provoca finiscono addirittura per far scappare delle corvi occupati a mangiare briciole non poco distanti da noi.

Li osservo andarsene mentre gracchiano e non posso non pensare che quelli erano probabilmente l'unica cosa vivente presente in questo luogo deserto.

"La strada procede, però. Qualcuno è passato di qui, e non poco tempo fa." Osserva Riley.

Noah emerge dal bagagliaio con le braccia colme di oggetti degni di una spia. "Serve una mano?" Domando e senza aspettare una risposta prendo qualche torcia e qualche occhiale da vista notturna dalle sue mani.

"Grazie, prendete pure." Offre a ciascuno degli oggetti, oltre a torce e occhiali ha con se pure dei walkie talkie e guanti mimetici.

"Serve davvero tutto questo?" Domando annoiato. Perchè tutti si comportano come se dovessimo affrontare chissà quale male? Anche Noah, adesso.

Lui alza le spalle e sta per rispondere, ma Smith gli ruba la parola. "Certo che sì!" Preme dei pulsati a caso sul walkie talkie, producendo suoni non molto convincenti. "Ah, quanto mi divertivo da giovane con questi aggeggi!"

Io e Noah ci scambiamo un'altra occhiata, ma è Riley a salvarci. "Muoviamoci." Si sente uno scatto, poi una luce bianca illumina la strada di fronte a noi, nonostante non sia ancora del tutto buio.

Proseguiamo lungo la via in uno strano silenzio. Perfino Smith, quell'emerito coglione, se ne sta zitto e per i fatti suoi. Dopotutto, sono costretto ad ammettere che ci tiene davvero a essere qui per la Beaufort.

Approfitto del momento di pace per isolarmi dal resto del mondo e farmi i fatti miei, prendendo proprio il suo esempio. Me ne sto con le mani in tasca e lascio che siano gli altri ad illuminare la via e a fare strada.

L'aria silenziosa viene, a malincuore, spezzata da un cellulare che vibra. Il mio, realizzo qualche secondo dopo.

Lo sfilo dalla tasca posteriore dei miei soliti pantaloni di un completo nero. È Dorothea.

"Un secondo." Comunico agli altri, che nel frattempo si sono fermati per darmi tempo di rispondere. "Non aspettatemi. Andate pure."

Aspetto qualche secondo, pregando silenziosamente che la chiamata non venga interrotta mentre gli altri si allontano un po'.

"Hey, Ewan, da quanto!" La voce della giovane donna giunge squillante nonostante sia dall'altra parte dello schermo.

Eppure, non è fastidiosa come quella del professore Smith. Non ti entra nelle orecchie facendole sanguinare.

"Thea." Ricambio il saluto. "Qualcosa non va?" Le chiedo subito, senza perdere nemmeno tempo.

Dorothea è una mia grandissima amica, ma non è quel tipo di amicizia in cui ci si chiama o scrive tutti i giorni. No, ci sentiamo solo quando c'è davvero bisogno di farlo, e nel frattempo ci siamo l'uno per l'altro.

"In realtà... sei da solo?" Mi guardo attorno, rendendomi conto che senza le torce degli altri, ora è davvero buio. Non vedo nulla.

"Sì, sì." Stringo gli occhi, provando a intravedere qualcosa tra la nebbia che si sta piano piano infittendo sempre di più e la notte.

Fortunatamente, tra gli alberi che mi circondano si apre uno squarcio poco lontano da me, che mi permette di vedere qualcosa.

Più di qualcosa, in realtà, un cartello. Sembra l'indicazione di un sentiero, e la cosa coglie subito la mia attenzione.

Uncanny Street.

Questo è quello che c'è scritto. Mi ricorda vagamente qualcosa, ma non riesco a capire cosa di preciso. Eppure...

"Ottimo..." Sento che sospira dall'altra parte dello schermo e mi chiedo cosa sia successo per renderla così... pensierosa. Immagino sia un periodo particolare un po' per tutti. "Hai tempo di parlare?"

"Sì, non ti preoccupare, Thea." Ma la mia testa è altrove.

Continuo a guardare quel piccolo segnale stradale come se potesse scomparire da un momento all'altro. C'è qualcosa che mi dice di andare a vedere. Ti proseguire quel sentiero e di scoprire cosa si nasconde all'arrivo.

La luna illumina proprio lì, come se lei stessa mi stesse dando un'indicazione.

Alla fine, che ho da perdere?

Mi avvio verso quella strada, guidato da niente se non quella vana fonte di luce, che è abbastanza solo per controllare dove metto i piedi, e niente di più.

"Riguarda Oliver." Per un momento mi ero dimenticato di Thea.

"Oliver?" Le chiedo mentre proseguo, tengo lo sguardo fisso ai miei piedi nel tentativo di non inciampare, e soprattutto, non rovinarmi il completo che costa un patrimonio.

"Dio, Ewan! Oliver, il mio ragazzo. O meglio, il mio ex." Oh, ecco chi era.

"Ex? Che è successo?" Le trema il respiro e rimane silenziosa per qualche secondo prima di rispondermi. Dio, deve essere davvero successo qualcosa, allora.

Quando mi parla di nuovo, la sua voce non è più squillante come quella di un usignolo, ma piuttosto fragile come un bicchiere di cristallo pronto a spezzarsi. "Lui..."

"Oh, cazzo..." La interrompo. Non era mia intenzione, ma non sono riuscito a trattemermi alla vista dinanzi a me.

"Esattamente, oh cazzo!" Ribatte lei, tutte le intenzioni di sembrare arrabbiata c'erano, ma non fa altro che aggiungere pena alla sua situazione.

Tuttavia, non era riferito a lei il mio stupore. Bensì alla casa che si trova in fondo al sentiero. È così infondo che fatico a vederla, ma c'è qualcosa all'interno che emana un fascio di luce impossibile da non notare.

Non direttamente qualcosa, realizzo. Sembra più... un riflesso. Allungo il passo, la curiosità mi riempe le vene e ha la meglio sulla mia volontà di tenere i miei abiti perfetti.

"Ewan, ci sei?" Ripete Dorothea, la sua voce va a scatti ed è sempre più interrotta. Probabilmente qui non c'è campo.

"Dorothea?" La richiamo.

Istintivamente alzo la voce, ma c'è qualcosa in questo posto che mi comunica che forse è meglio rimanere silenziosi. Una sensazione a fior di pelle.

La linea si interrompe del tutto, buttando giù la chiamata. Rimango completamente da solo nel silenzio di questo posto, e la cosa non mi piace.

Ho come l'impressione che da un momento all'altro qualcosa, o peggio, qualcuno possa sbucare da uno dei cespugli di fianco a me e accoltellarmi.

Cristo, ma da quando sono così drammatico?

Do la colpa a Noah, mio padre e tutta la situazione creatasi al college. Prima le sue torce e tutte le sue attrezzature tecniche da uomo addetto alla sicurezza, poi Dorothea che mi chiama e improvvisamente la linea cade.

Dio, smettila, Ewan. È stupido tutto questo, e lo sai. Sei solo influenzato da chi ti sta attorno.

Nonostante le mie preoccupazioni, allungo il passo e accorcio pian piano la distanza tra me e quella specie di casa, dimenticanomi dei tre uomini con cui sono arrivato originariamente.

Attivo la torcia del telefono soltanto quando sono vicino abbastanza da intravedere un vecchio portico che sembra crollare a pezzi, e anzi, non mi sorprenderei se cadesse da un momento all'altro.

Qualcosa riflette all'interno dalla casa la cui porta è rimasta aperta, e ne ho la conferma non appena mi avvicino. Però non posso entrare, non così. È ancora troppo buio e non so cosa aspettarmi, chi aspettarmi.

È tutto così strano. È chiaramente abbandonata, eppure... qualcosa mi attira a questo posto come miele per le api.

Faccio il giro dell'edificio, studiandone le possibili vie di fuga. C'è una grande finestra sul fianco, ma nom riesco a vedere nulla all'interno, la luna riflette sul vetro e me lo rende impossibile.

Sul retro non c'è nulla. Vecchie corde che sembrano sgretolarsi solo a guardarle, qualche secchio arrugginito... cianfrusaglie su cui non mi soffermo nemmeno.

Una cosa in particolare, però, attira la mia attenzione. Attorno a noi non c'è nulla, ma sul retro ci sono dei segni di alcune sgommate. Qualcuno, quindi, è stato qui, e non poco tempo fa.

Ha piovuto incessantemente per giorni. Sarebbero dovute andare via a quest'ora.

Scrollo la brutta sensazione che continua a stringermi lo stomaco in un nodo e continuo il giro. Non c'è nessuna finestra dall'altra parte, non c'è niente, difatti.

Sospiro rumorosamente, non curandomi di tenere un basso profilo.

Credo proprio che sia giunto il momento di entrare.

🍒

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