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capitolo quindici

EWAN'S POV🥝

Avanti e indietro.
Avanti e indietro.
Avanti e indietro.

Continuo a ripercorrere la breve lunghezza del corridoio mentre ragiono sul fatto di entrare o meno in questa benedetta stanza di fronte a me. Megan non è uscita da ore e nella camera regna un silenzio tombale, l'ipotesi più probabile è che stia dormendo, ma in questo momento non mi interessa nulla di quello che fa.

L'unico balcone disponibile in questa stanza è quella della camera da letto, e io ho bisogno della mia dose di nicotina giornaliera.

"'Fanculo." Mormoro sotto i denti mentre mi blocco davanti alla porta. Non so per quale motivo io sia così nervoso, ma immagino sia ancora quell'elettricità che aleggia nell'aria tra me e la ragazza dall'altro lato della porta; ancora non mi sono calmato da quella piccola discussione e sento i nervi a fior di pelle, pronti a scattare per la minima cosa.

Non è un buon segno, ma quella ragazzina viziata tira fuori il peggio di me. Per qualche strano motivo è in grado di infilarsi sotto la mia pelle come un piccolo fungo e succhiarmi via la pazienza.

Abbasso la maniglia e il suono dello scricchiolio della porta di legno che si apre accompagna un mio sospiro di sollievo. Dorme.

Megan è buttata in mezzo al letto in posizione supina, i capelli le ricadono sparpagliati su tutto il viso, nascondendolo in gran parte. Il suo petto, ancora in parte coperto dalla felpa che le ho prestato qualche ora fa, si alza e si abbassa in movimenti ritmici e ripetuti. Sì, è decisamente addormentata.

A guardarla così sembra quasi un angioletto, con quella chioma bionda scompigliata e la curva delle labbra color lampone socchiuse per lasciar uscire dolci sbuffi di aria di tanto in tanto. Se fosse così ogni volta non ci sarebbe alcun problema, ma purtroppo quelle labbra non stanno mai serrate e la sua piccola testolina non fa altro che pensare a nuovi modi di torturarmi.

Percorro la piccola lunghezza della camera in punta di piedi. Il pacchetto di Marlboro rosse è aperto e una sigaretta è già stretta tra le mie dita prima ancora di raggiungere la porta di vetro che separa la stanza dal piccolo balconcino.

Allungo la mano libera e abbasso la maniglia in un movimento sicuro, ma non si smuove e al posto di aprirla, causo un rumore metallico che infastidisce Megan.

"Cazzo." Borbotto tra me e me a denti stretti.

Volto il viso, osservandola da sopra la spalla qualche secondo in più. Arriccia il naso e sbuffa, spostando una ciocca di capelli precedentemente finita sulle labbra, ma non si sveglia. Menomale, aggiungerei, l'ultima cosa che voglio al momento è ricominciare a litigarci inutilmente perché non sa accettare una semplice verità.

Armeggio ancora un po' con la maniglia, ma c'è poco da fare, è evidente che la porta sia chiusa a chiave.

Mi giro nuovamente in cerca di questo benedetto pezzo di ferro, ma è difficile. L'unica luce disponibile è quella della Luna mischiata a quella che entra dalla porta lasciata socchiusa che da sul corridoio, ma è abbastanza per constatare che non si ritrova su nessun ripiano.

Che mi rimane da controllare? Mi guardo attorno, ma oltre alla cassettiera di fronte al letto e ai due piccoli comodini non ci sono altri posti in cui nascondere una chiave. Prego silenziosamente non si trovi in questi ultimi, altrimenti il rischio di svegliare Megan sarà sicuramente più elevato e con questo anche la probabilità che io debba dire addio alla mia dose di nicotina, e dopo gli eventi delle ultime ore ne ho estremamente bisogno.

Fortunatamente la chiave si trova all'interno del primo cassettone, che riesco ad aprire senza troppi problemi e in completo silenzio. I minuti successivi passano lisci come l'olio: la chiave fa scattare la serratura, ma il piccolo schiocco si perde nell'aria. La porta in vetro scorre in un leggero sibilo che fa smuovere Megan, ma ancora una volta non la svegliano.

Il balcone è piccolo, ma funzionale. Prendo posto su una delle due sedie in plastica e poggio il pacchetto di sigarette sul tavolino che si trova in mezzo a esse. Il fischio dell'accendino rompe l'aria notturna, ma stranamente quieta, di New York.

Inalo il fumo e il tabacco mi brucia la gola, un dolore che ho ben accettato e a cui ormai sono abituato, ma che non cesserà mai. Sbuffo fuori l'aria intossicata e lascio che aleggi intorno a me come una nube che mi circonda e mi isola dal mondo esterno. Cazzo, ne avevo proprio bisogno.

"Fumi?" È Megan.

Quando si è svegliata dal sonno? Non l'ho minimamente sentita, ma è probabile che i miei pensieri fossero più rumorosi dei suoi passi.

La sua voce è impastata, come se al posto della saliva avesse del collante, e il viso presenta i chiari segni della coperta su cui si è addormentata. "Sì." Mi limito a rispondere. Nessuno dei due sembra essere interessato a conversare, figurarsi a sprecare energie per una discussione che sappiamo entrambi non porterà da nessuna parte.

Megan, mi duole dirlo, è proprio come me, cazzo. Testarda e orgogliosa sopra i limiti. Potrei espellerla per il trattamento che ha riservato nei miei confronti, anche se dubito che mio padre me lo lascerebbe fare, eppure non ha paura di andarmi contro.

Non mentivo quando dicevo che in questa scuola è una delle poche persone vere, ma quale dei suoi volti è quello davvero vero? Quale faccia della medaglia è Megan, e quale è semplicemente quella che mostra?

"Mi vuoi far credere che ti sei legata da sola al centro di quella stanza?" Queste sono le esatte parole che le ho detto poco prima, quando ancora cercavo di trascinarla lontana da quel posto. E se...

Se davvero l'avesse fatto?

Se avessi ragione, una volta per tutte?

Se lei fosse davvero una viziata che venderebbe la sua anima al diavolo pur di ricevere un po' di attenzione?

"Posso?" Si lascia cadere sulle sedia di fianco a me e posa lo sguardo sulla mia figura, guardandomi proprio come se le fosse dovuta. Alzo un sopracciglio quasi senza rendermene conto, le labbra si contraggono, ormai abituate a far fuoriuscire quella parola che sembra tornare spesso tra gli aggettivi che le dedico. "Ah, non iniziare nemmeno, Ewan." Mi rimprovera. 

Il suo commento mi lascia con la bocca socchiusa, e seppur incertamente, le sfilo una sigaretta dal pacchetto e le faccio scivolare l'accendino sul tavolo. In un attimo afferra il tutto e se la accende, inspirando il fumo e sbuffandolo fuori con un espressione appagata.

"E così, alla fine ottieni sempre tutto quello che vuoi, no?" Non riesco a trattenermi dal commentare. Sposta lo sguardo che aveva perso tra le stelle, per quanto possano essere visibili nel cielo di questa metropoli, e lo posa su di me. È così semplice da leggere: il naso arricciato in una smorfia e le labbra tese in una linea sottile, è infastidita. Non dovrebbe soddisfarmi così tanto, eppure lo fa.

"Non sono in vena, dico sul serio." Risponde secca. Giro la testa nel lato opposto per nascondere una risata silenziosa, ma è chiaro che l'abbia notata.

"Dico solo, per te deve essere l'ordine del giorno fingere cose del genere solo per attirare l'attenzione, mi sbaglio?" Inalo di nuovo e mi pregusto già il suo sguardo fulminante che mi scorrerà addosso tra tre, due, uno...

Eccolo.

"È questo ciò che credi?" Ribatte con amarezza. "Per tutto questo tempo mi hai trattata così perché eri convinto che io... Cristo. Non riesco nemmeno a dirlo." Ride, ma la risata è priva di calore. Scuote la testa con incredulità, ma non ci casco.

Se devo arrivare alle minacce pur di farla confessare, ben venga. Dopotutto le vittorie migliori derivano dalle battaglie più dure.

"Non lo è stato?" Domando con convinzione, ma il mio tono vacilla. Che mi sia... davvero sbagliato? Per qualche motivo sento il bisogno di argomentare la mia affermazione, giustificando la natura di tale pensiero. "Pensaci, Megan. Ti è comodo essere rapita, no? Sostegni da ogni parte, borse di studio, supporti di ogni tipo... Per non parlare dell'attenzione che poterebbe su di te. Ed è proprio ciò che brami, non è forse vero?"

Ride nuovamente con amarezza e fa un tiro distogliendo lo sguardo dal mio. Si porta un gamba al petto e allaccia le braccia attorno al ginocchio, facendo una breve pausa. "Tu sei pazzo."

La sua risposta mi fa storcere il naso. Pazzo? È lei la pazza, nessuna persona normale riuscirebbe mai ad architettare una cosa del genere.

"Ewan." Chiama il mio nome, ma non le voglio dare la soddisfazione di pensare di averla fatta franca. "Guardami, Ewan."

La sua voce si fa più dura, minacciosa.
Non la guardo.

Una sedia, la sua, scricchiola e stride contro il pavimento del balcone mentre si alza.
Non la guardo.

Sento dei passi, i suoi, avvicinarsi sempre di più.
Non la guardo.

La sua figura mi si para davanti al viso, i miei occhi incontrano il maglioncino malmesso che le fascia i fianchi stretti e ricade morbido sullo stomaco, ma non la guardo.

"Cazzo, Ewan. Ti odio. Ti odio, cazzo." Borbotta, e in tutta risposta giro la testa per evitarla del tutto. Bofonchia qualcosa di offensivo tra se e se, butta la sigaretta ormai finita sul piccolo posacenere sopra il tavolino e si muove di un passo in avanti, provando ad andarsene.

Oh, no. Ora mi deve, e deve a tutti, una spiegazione. Poi può pure svignarsela dove e quando le pare, non sarà un mio problema. Ora, però, pretendo una cazzo di spiegazione.

Faccio scivolare la mano verso il suo polso, che afferro con una presa stretta, senza via di scampo. "So cosa stai cercando di fare." Sibilo. Mi alzo di scatto dalla sedia, lasciando che strida contro il pavimento, arrivando a torreggiarla nella speranza di incuterle timore.

"Non sto facendo proprio un bel niente, Ewan. Smettila." Mi guarda dritto negli occhi con aria di sfida, per niente intimorita né della mia stretta, né dalla mia presenza. Devo ammetterlo, conosce il modo in cui muovere le pedine di una scacchiera. Non è stupida come immaginavo.

"Tu e i tuoi amichetti..." Stringo la presa senza rendermene conto. Lo realizzo troppo tardi: il suo volto si contorce in una smorfia, le sue labbra si arricciano dal dolore. Solo ora ricordo che deve ancora avere le bruciature per colpa delle corde.

Cazzo, è talmente malata da essersi auto inflitta del male per tutto questo teatrino?

"Cazzo, mollami." Allento la presa immediatamente. "Cosa c'entrano i miei amici?" Domanda mentre continua a contorcere il braccio nel vano tentativo di liberarsi della mia mano stretta attorno al suo polso una volta per tutte.

"Pensi che sia così ingenuo? Pensi di poter manipolare a tuo piacimento tutto il mondo, dimenticando che non tutti cadiamo ai tuoi piedi come stupidi bambolotti?" Prova a indietreggiare di un passo, ma va a sbattere contro il tavolino traballante.

"Ewan, per l'ultima volta, io non capisco dove tu voglia arrivare." La sua voce è stabile, carica di una grinta che potrebbe lasciare spiazzato chiunque, ma non me.

"È un piano ben architettato, ecco dove voglio arrivare. La storia del mezzo milione, la borsa di studio, i tuoi amici che si fanno trovare in condizioni pietose nei pressi della scuola, proprio per essere beccati da chiunque sia di passaggio, e poi il rapimento. Cade tutto a pennello, no?" Lascio che ogni parola attraversi le mie labbra lentamente, dando un peso significativo a ognuna.

Una singola lacrima le riga una guancia, le labbra le tremano leggermente mentre tiene gli occhi verdi fissi sui miei, lo sguardo carico di rabbia e preoccupazione, realizzo. Rabbia di non essere stata abbastanza scaltra, preoccupazione di essere stata scoperta.

"Stanno bene?" Domanda dopo qualche secondo, le labbra strette in una linea sottile e le sopracciglia alzate per pura disperazione. È una scena patetica, proprio come quando becchi il ladro con le mani nel sacco e continua ad arrampicarsi sugli specchi pur di giustificare le sue azioni.

Sbuffo una risata. "È questo che ti preoccupa adesso?" Le mie parole sono taglienti, ma non abbastanza da spezzare quell'aria tesa che aleggia intorno a noi. Mi avvicino ancora, lasciando che le fiamme nei nostri occhi si incontrino e si avvolgano in una danza letale in cui solo uno può vincere, ed entrambi siamo determinati a schierarci dalla parte dei carnefici.

"Che ti prende?" Emette un lamento dal profondo della gola. "Perchè tutto d'un tratto mi tratti così?"

Sospiro ma non rispondo, non se lo merita. Lascio piuttosto che il mio sguardo vaghi feroce su ogni centimetro del suo volto sconvolto. Un coniglietto, ecco a cosa assomiglia. Un coniglietto fermo sul bordo della strada, abbandonato dalla madre e tremante di freddo e paura. Eppure nei suoi occhi c'è molto di più. Ci sono vampate di fuoco che sarebbero in grado di bruciare foreste intere, ma Megan è proprio questa.

Dall'apparenza tanto innocente, ma dall'animo tanto corrotto.

"Smettila, cazzo. Vattene." Sussurra dopo qualche secondo, spezzando quel silenzio straziante. Solo adesso sembriamo renderci conto della vicinanza creatasi dalle minacce a fior di labbra. La sua frase carezza il mio volto prima ancora di giungere alle mie orecchie, un serpente che striscia contro la mia pelle e si stringe attorno al mio collo, rubandomi il respiro dalla gola avidamente.

"No."

"Ti prego, basta." Continua, nonostante il mio dissenso. Ora ha pure il coraggio di fare la vittima, dopo tutto ciò che ha fatto?

Mi avvicino ancora di più, per quanto mi sia possibile. Ora più di prima le nostre labbra sono a un passo dallo sfiorarsi, i nostri nasi quasi si toccano l'un l'altro e per qualche strano motivo questa vicinanza sembra accendere in me una rabbia ancora più ardente. La vista dei suoi lineamenti delicati, di quel viso angelico sprecato per una persona dall'anima così... vuota. Attaccata al materiale.

"È per questo che non volevi mettere in mezzo la polizia, non è vero?" Prova a ritrarsi, ma non le do la possibilità di farlo.

Rimarrà qui, anche a costo di appiccicarla a me, e non se ne andrà finchè non ammetterà di essere la persona di merda che si nasconde dietro parole velenose e sorrisi falsi.

"Ewan, stai fraintendendo tutto. Tutto." Piagnucola come una bimba a cui è stato tolto il suo gioco preferito, un'affermazione di gran lunga poco credibile.

"Ah, sì? E quale sarebbe la versione corretta, allora?" Sibilo a denti stretti, la fiamma che mi alimenta al centro del petto continua a divamparsi sempre di più. È come se Megan non facesse altro che aggiungerci benzina, e benzina, e benzina. Vorrei tanto poterla buttare dentro quel rogo eterno con me, lasciare che bruci tanto quanto lo faccio io, per farle capire cosa si prova.

Resta in silenzio qualche secondo, poi, con labbra che tremano come foglie d'autunno, parla con voce flebile. "Ewan, mi stai spaventando."

Mi blocco. Odio ammetterlo, ma le sue parole mi scuotono e per una volta riesce a non alimentare quella fiamma, ma a soffocarla. Mi allontano di un passo e le lascio il polso come se all'improvviso scottasse. "Megan." La rimprovero in modo freddo e distaccato. "Adesso andiamo a parlare con la polizia, e con mio padre. Dimenticati delle spiegazioni che mi devi."

È così che sono abituato. Se una cosa comincia a colpirmi troppo nel profondo, la strappo immediatamente prima che possa intaccarmi irreversibilmente. Strappo tutto, radici incluse.

"No, Ewan, ti prego, niente polizia." Piagnucola, e altre piccole gocce che brillano sotto la luce della luna le bagnano le guance arrossate. "Ti... ti racconterò tutto. Tutto. Ma non voglio tornare, non ora."

Mi guarda con occhi lucidi, con un espressione che è pura preghiera e che sarebbe in grado di portare ogni uomo sulle proprie ginocchia, e, purtroppo, ci riesce anche con me. È tornata di nuovo a essere un coniglietto sul ciglio della strada, quel bagliore disperato nel suo sguardo è abbastanza per accecare ogni pensiero razionale e portarmi a eseguire la sua supplica. La sedia stride mentre la sposto per prendere posto nuovamente, e indico a Megan di fare lo stesso.

I suoi movimenti sono meccanici ed è ovvio come lei non voglia essere qui con me in questo momento, né desideri condividere questa verità con me, ma è un suo problema. O mi spiega che diavolo ha combinato, o ci metto tre secondi contati a premere quei tre tastini sulla tastiera del cellulare.

Mi indica il pacchetto di sigarette e gliene porgo una nascondendo nel mio gesto una certa urgenza. Si allunga per prendere l'accendino e fa un tiro immediatamente dopo averla accesa, come se necessitasse di quella carica di dopamina più di ogni altra cosa al mondo, più del respiro stesso.

"Quando ero piccola, dopo la perdita di mia madre, mio padre cadde in una grave depressione e smise di andare a lavoro." La voce le tremola proprio come la mano che porta alle labbra per prendere un altro tiro. Sbuffa fuori il fumo come se stesse facendo uno sforzo fisico, e continua. "Arrivammo a non avere più nulla. Un giorno..."

Una lacrima torna a bagnarle la guancia e inspiegabilmente sento il bisogno di starle vicino. Non è la stessa di prima. L'ho vista piangere dal panico, dal nervoso, dalla paura, realizzo. Non l'ho mai vista versare lacrime per il dolore di un passato crudo, e ora che mi si para davanti vorrei solo che smettesse.

La sua voce si spezza, proprio come le corde di un violino, e stride in un modo scorretto. Chiunque sarebbe in grado di capire che non è destinato a un suono così aspro, ma bensì a uno armonioso e quasi impavido.

"Dei poliziotti mi strapparono via tutto. Non voglio vederli, non voglio parlaci, Ewan. Non voglio il loro cazzo di aiuto." Mormora con labbra tremolanti. "Non ho progettato un bel niente. E non sono una viziata del cazzo." Aggiunge infine, una nota mordace nel suo tono di voce mi alleggerisce un peso al petto che nemmeno sapevo di portare.

E realizzo che cazzo, mi sono sbagliato davvero, perché per quanto una persona possa essere manipolatrice e cattiva dentro, non si spingerebbe mai a questo punto.

"Mi dispiace." Ammetto, ma alla fine di tutto, basterebbero davvero due parole a esprimere il senso di colpa che provo per averla ridotta così?

"Risparmiatelo." Borbotta prima di prendere l'ennesimo tiro. Chiude gli occhi, da cui escono due lacrime che le percorrono il viso e finiscono sul tessuto del maglioncino sporco e rovinato. "Senti... non ho più intenzione di mettermi a litigare con te."

Maschero la sorpresa voltando il capo verso l'orizzonte, osservando le luci di New York come se fossero un faro in mezzo all'oceano di emozioni confuse che provo al momento.

Il senso di colpa, misto alla rabbia che provo per essere stato così imbecille da pensare una cosa simile, buttati a loro volta in mezzo al dispiacere che provo per Megan, mi colpiscono dritto al petto ancora una volta. Mi ricordano momenti passati della mia vita che avevo deciso di debellare dalla mia mente una volta per tutte, e invece eccoli di nuovo qua.

"Mio padre..." Comincio a parlare, con la coda dell'occhio noto come ne rimane sorpresa, nonostante ciò continuo a fissare le luci di New York, aggrappandomi a esse. "I miei genitori, in realtà. Hanno sempre voluto la perfezione da me. In ogni cosa, fin da bambino. Non erano cattivi, erano solo..." Scuoto la testa, incapace di trovare le parole.

Megan annuisce, guardandomi in un modo diverso. Come se non mi stesse solo fissando, come se i nostri occhi non si stiano solo incontrando, ma come se mi capisse. Come se comprendesse e prendesse con lei questo piccolo momento, lo accudisse e lo mandasse via, pronta a lasciarsi tutto alle spalle.

Meno di dieci minuti fa le sbraitavo addosso e ora ce ne stiamo a sussurrarci vaghi ricordi come se fossero segreti indicibili, come quando ci si svela verità all'orecchio tra bambini.

"Continua." Mi sollecita con un piccolo segno del capo e un timido sorriso dipinto sulle labbra. Prende un altro tiro, l'ultimo, e spegne nuovamente la sigaretta sul tavolo.

"Ho sempre odiato le persone che avevano più di me. E tu mi sei sempre sembrata così... libera, così sbarazzina e in costante pace con te stessa e con chi ti circonda." Ammetto. Non mi piace particolarmente la vena vulnerabile che sta prendendo il mio discorso.

Però... questa sera, questa notte, voglio immergermi ancora un po' di più nell'illusione che si è creata su questo piccolo balcone, voglio lasciare andare via tutto: ogni maschera, ogni apparenza, ogni influenza dal mondo esterno.

Per Megan, per dimostrarle che sono davvero dispiaciuto di averle causato il ritorno di un ricordo così delicato, ma soprattutto per me, per ritornare a essere semplicemente Ewan, non più il professore, non più il figlio del fondatore, non più qualcosa, ma qualcuno.

"Libera?" Ridacchia con leggerezza. "È dalla prima volta che ci siamo visti che non fai altro che sbraitarmi contro cattiverie!" Si lamenta, ma con un tono frivolo, tanto da farmi sollevare l'angolo della bocca pure a me.

"Lo facevo proprio per questo, odiavo che tu fossi così." Ripeto. Lei scuote la testa, ancora incredula e con gli occhi che le brillano di appagamento.

"È strano sentirlo dire da te. Pochi minuti fa mi hai urlato addosso quanto fossi viziata, manipolatrice e-" La interrompo prima ancora che finisca la frase.

"Megan." La avverto, causandole un'alzata di occhi alquanto teatrale. Per quanto ammetta che mi sia sbagliato su di lei, non significa che ora può comportarsi come le pare. Soprattutto se mi reca fastidio, come ora.

"Permaloso." Borbotta tra sé e sé ridacchiando e scuotendo il capo. Stringo le labbra, ma mi trattengo dal ribattere. Abbiamo appena finito di litigare e abbiamo appena parlato come due persone normali senza ricadere in insulti e offese, non posso rovinare tutto.

Rimango in silenzio, e nemmeno lei sembra più in vena di parlare. Le parole che ci siamo scambiati, le frasi che celano in realtà dolori molto più grandi di quelli che mostriamo, ci hanno circondati di un'aria pesante. Una consapevolezza in più che nessuno dei due si aspettava ed era pronto ad accogliere ci avvolge come una coperta.

"Da domani torniamo normali, okay?" È lei a spezzare quest'aria per prima, e con quella, anche il silenzio che stava diventando soffocante.

Annuisco e provo a sembrare serio, ma risulta davvero complicato. Un sorrisetto mi scappa dalle labbra e la contagia, facendole emettere un risolino che le fa brillare ancora di più gli occhi velati dalla luce della luna. "Penseremo a domani, domani."

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