capitolo quattordici
Che. Vita. Di. Merda.
Come ho anche solo pensato di poter definire la mia vita monotona?
Trovo il coraggio di alzare lo sguardo che avevo fissato per bene al pavimento di parquet, e incrocio come prima cosa gli occhi del mio professore. Lo scorgo immediatamente quel piccolo quesito che gli brilla al di sotto di essi. "Accetti?" Sembra dire.
Lui lo domanda a me in silenzio, e lo stesso faccio con me stessa. Sono disposta a stare in una stanza con il mio professore, a dormire nel suo stesso letto, per scappare dalla presenza asfissiante della polizia?
E soprattutto, ha senso domandarmi certe cose? Evidentemente il mio corpo è scollegato dal mio cervello, perché ci metto un solo secondo ad annuire. "Nessun problema."
Il portinaio annuisce e in un attimo sparisce dietro al bancone, il fruscio metallico mentre fruga tra le varie chiavi è l'unico rumore che aleggia nella stanza ora carica di tensione. Da una parte ne sono grata, dato che nasconde il rumore dei miei respiri affannosi.
Beh, Megan, troppo tardi, cazzo. Potevi pensarci prima di dare il consenso, stupida.
Dall'altra invece non ne sono poi così felice: il tintinnio non riesce a farmi distogliere i pensieri da quello che dovrò sopportare, e peggio, all'ustione di terzo grado che Ewan mi sta procurando con il suo sguardo. Se continua così potrei quasi temere di trovare un buco sulla giacca, e poi come dovrei spiegarglielo?
"Eccole!" Esclama con fare vittorioso l'uomo al di la di quel banchetto in marmo, e mi sforzo a fare un sorriso che mi fa pena anche senza vederlo.
È incredibile cosa sia successo in così poco. Prima Val e Pier, poi Ewan con le sue litigate e i suoi sbalzi di umore, e ora ci si mette pure il portinaio e la sua camera matrimoniale di merda. E ancora più incredibile è come io abbia fatto a non crollare, almeno non ancora, anche se ci sono arrivata vicina.
Il professore al mio fianco allunga una mano e come unico segno di gratitudine fa un cenno con il mento, io non mi sento così severa come lui, ma mi limito a mormorare un "grazie" a testa bassa. Se il portinaio ha notato la tensione nascosta in ogni singolo muscolo dei nostri corpi, allora non lo da a vedere. Anzi, sembra rilassato dopo che ho accettato la camera senza fare storie e torna dietro al bancone lasciandoci spazio.
Ora di certo a salvarmi dal silenzio asfissiante non ci sarà né il tintinnio delle chiavi, che Ewan si premura di tenere per strette tra le mani e di conseguenza ferme, né il ritorno dell'uomo. Ora devo interfacciarmi con le conseguenze delle mie azioni e non ho via di scampo.
"Seguimi." Sibila tra i denti mister lenti colorate, che è infastidito quanto me e non ha problemi a mostrarlo. La voce gli esce talmente ghiacciata e priva di ogni calore, frutto della mascella che stringe in modo quasi doloroso e mi chiedo come facciano i suoi denti a non produrre quello stridulo suono da quanto li sta digrignando tra loro.
Non aspetta una mia risposta, ma semplicemente si gira e percorre il resto dell'ingresso come se fosse padrone della stanza e lo avesse già fatto altre mille volte, e non ne sarei sorpresa se fosse davvero così: il portinaio stesso gli ha chiesto se desiderasse il solito, e non oso immaginare cosa venisse a fare in un posto del genere, o peggio ancora, con chi venisse.
Arriviamo ad una porta nascosta dietro l'angolo e lui la apre senza indugio, rivelando un corridoio molto simile all'ingresso. Conto almeno dodici porte e immagino sia il primo piano di camere, ma Ewan non si ferma davanti a nessuna di loro. Prosegue fino alla fine del corridoio, che è segnata ancora una volta da un portone che da su delle scale.
Saliamo tre rampe prima di fermarci al piano dove c'è la nostra camera. Mentre lui non sembra minimamente scosso, come sempre, io ho il respiro pesante e i muscoli delle cosce mi bruciano dallo sforzo. Merda, da quanto è che non mi alleno? Domanda stupida, io non mi sono mai allenata in tutta la mia vita.
Il silenzio regna intorno a noi mentre infila le chiavi nella serratura e le gira, lo scatto dell'apertura della porta echeggia nell'aria tesa. Ho come l'impressione che la discussione iniziata poco fa non sia finita, ma si sia solo messa in pausa, e qualcosa mi dice che non appena metteremo entrambi i piedi nella stanza regnerà il caos più assoluto.
Ewan si sposta per farmi entrare per prima, una piccola premura o per meglio dire, la quiete prima della tempesta. Chiude la porta dietro di me con uno schiocco che risuona per la piccola camera.
"Dormirò sul divano." Almeno ha la decenza di farlo, penso. E se si aspetta che abbia qualcosa da ridire al riguardo, si sbaglia.
"Ottimo." Esclamo senza preoccuparmi di nascondere il sarcasmo dietro al mio tono di voce.
"Ti serve qualcosa?" Chiede, e per quanto io abbia davvero bisogno di un sacco di cose al momento, a partire da una Tachipirina e dieci ore di sonno, faccio un cenno di no con la testa.
Ovviamente non sono contenta, anzi, sono nervosa e tesa come una corda di violino e ormai è risaputo che in questo tipo di situazioni inizio a blaterare cose puramente irrazionali, ossia enormi cazzate.
"In realtà, sì. Ma non vorrei mai sembrarti troppo figlia di papà nel chiederti dell'acqua e un bagno." Alzo le spalle e lascio che mi sfiori la spalla mentre mi sorpassa per raggiungere il piccolo soggiorno.
"Smettila." Ribatte infastidito senza nemmeno guardarmi, continua a darmi le spalle mentre si versa del caffè dalla caffetteria posizionata su un mobiletto al centro della stanza.
"Sennò?" Mi avvicino di un passo, seppur mantenendo le distanze.
Il bagno e la mia Tachipirina dovranno aspettare, perché è appena iniziata una nuova partita e non ho intenzione né di sospenderla né di perdere.
"Sai che non intendevo ciò che ho detto." Beve un sorso dalla tazza fumante che emana un amaro aroma e finalmente si volta verso di me.
"Però l'hai detto." Mi mordo il labbro in un vano tentativo di trattenermi dall'aggiungere un altro piccolo commento, ma è inutile: la parola scivola sulla mia lingua fino a uscire dalle mie labbra in un sussurro. "Stronzo."
È la goccia che fa traboccare il vaso. In appena due falcate mi si para davanti e la sua figura mi sovrasta, facendomi sentire piccola per l'ennesima volta questa serata; ma non mi posso permettere di perdere ancora questa partita per colpa di ricordi di una vita fa. Né tantomeno per colpa di Ewan.
"Hai intenzione di ripeterlo?" Sibila tra denti stretti, il suo respiro accarezza il mio volto scaldandomi le guance ancora fredde.
"Hai sentito bene, Ewan. Hai sentito benissimo sia ora, sia prima. Smettila di fare il finto tonto." Ripeto le stesse identiche parole che mi ha detto poco fa, e si potrebbe quasi dire che io abbia proprio fatto scacco matto. I suoi occhi bruciano di rabbia, fa un altro passo in avanti e sono costretta a indietreggiare per non far toccare i nostri corpi, ma nel farlo sbatto contro la porta. Cazzo, sono in trappola.
"Facendo così, Megan," Pronuncia il mio nome come se fosse peccato puro, come se ardesse sulla sua lingua e dovesse liberarsene al più presto. "non fai altro che confermare quanto detto poco fa."
Afferro tra i denti il labbro inferiore talmente forte da sentire un gusto metallico impadronirsi della mia bocca. Spero con tutta me stessa che possa leggere ogni piccola traccia di astio dedicato a lui nei miei occhi. Lo spero davvero.
"Non sai niente di me." Mormoro e volto il viso come se in qualche modo potesse aiutarmi a sfuggire dal suo sguardo accusatorio. Poi, come se avesse improvvisamente capito che non porterà nulla termine con me perché non ho intenzione di dargliela vinta, indietreggia di un passo e mi libera dalla trappola in cui ero finita. Finalmente torno a respirare normalmente.
"Prima porta a destra." Si limita a dire con il solito fare menefreghista, infila le mani sulle tasche e ignora il mio sguardo confuso. È così che vuole concludere?
Si siede sul piccolo divanetto e raccoglie una rivista sportiva dal piccolo tavolino dinanzi esso, continuando a non calcolarmi. Lo prendo come un segno per andarmene e porre più spazio possibile tra di noi, ma a disposizione non ce n'è così tanto come vorrei davvero.
Il corridoio che si collega alla stanza principale è stretto, ma luminoso. Ci sono tre porte, e nonostante il portinaio abbia detto che è una camera matrimoniale, le mie speranze non cessano.
Apro la prima porta a sinistra, ma è solo un bagno. La seconda, ossia quella di destra, è la camera matrimoniale.
Mi ritrovo quasi a trattenere il respiro mentre abbasso la maniglia della terza porta, quella in fondo al corridoio, le aspettative mi fanno tremare le dita e quando finalmente la apro...
"Che cazzo!" Mi lamento a voce fin troppo alta. È una sala dedicata all'esercizio fisico. Ma chi diavolo mette una cosa del genere in una stanza d'hotel? Guardo attorno a me e sbatto gli occhi più volte, assicurandomi di strizzarli per bene, ma quando li riapro la situazione non cambia. C'è un po' di tutto, ma io riconosco solo il tapis roulant e una cyclette.
"Tutto okay?" La voce di Ewan mi fa sobbalzare. Quando è arrivato dietro di me? Scaccio la domanda dalla mia testa e mi giro per guardarlo e assicurargli che va tutto bene, ritrovandomelo davanti come poco prima, ma grazie a dio la porta è aperta e non mi sento più in gabbia.
"Tutto apposto." Mormoro, allungo il piede pronta a superarlo e fiondarmi nella stanza e buttarmi finalmente nel letto, ma mi blocca con il suo corpo prima ancora che possa avanzare di un singolo passo.
"Mh, se hai bisogno di qualcosa fammelo sapere, senza fare storie." Stringe le labbra in una linea sottile, come se si stesse forzando. Alzo gli occhi al cielo e lo sorpasso con una spallata. Mi chiudo in stanza il più velocemente possibile e senza guardarmi indietro e non appena la porta si richiude dietro di me lascio che un sospiro di sollievo attraversi le mie labbra.
Mi butto sul letto gigante coperto da un piumone morbidissimo in seta nera che emana un profumo di ciliegie delizioso. L'odore stesso è in grado di procurarmi dei brontolii allo stomaco.
Merda, da quant'è che non mangio? O mi faccio una doccia, o bevo un bicchiere di acqua, o fumo una sigaretta?
Purtroppo, o per fortuna, sono pensieri passeggeri. Il profumo mi avvolge le narici e mi trasporta con sé in un mondo totalmente perfetto e privo di ogni problema. Le ciliegie mi sollevano sempre l'umore, sono la mia salvezza. Forse sono le coperte morbide come piume, o il materasso estremamente comodo, o forse ancora il riscaldamento a palla che scalda le stanze emettendo un ronzio rilassante, ma non è importante il fattore scatenante, ma il risultato. Crollo sul letto senza preoccuparmi di nulla, o di nessuno.
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