3.
Potrai lo sguardo in alto.
Avevo due rampe di scale da percorrere e con i tacchi non ce l'avrei mai fatta ad arrivare in tempo.
«Puoi farcela!» dissi a me stessa.
In quel momento presi in mano la situazione: sfilai le decoltè e iniziai a percorrere la salita due scale alla volta. Fortunatamente nessuno passò in quel momento.
Quel giorno, indossavo in tubino nero, lungo fino al ginocchio, decoltè dello stesso colore del vestito e a stringere i fianchi c'era una cinta molto fina color oro. Quell'outfit mi ricordò la signora che si trovava accanto a me due giorni prima, nel bar dove Fred lavorava. Sembrava triste, amareggiata... forse aveva solo bisogno di qualcuno con cui sfogarsi.
«Emily!» sentì urlare.
Alzai lo sguardo e vidi Loretta con le braccia alzate che cercava di attirare la mia attenzione.
Corsi il più velocemente possibile verso di lei e la raggiunsi. «Devi farmi un favore!» rinfilai le decoltè ai piedi e mi sistemai i capelli. «Hai una gomma da masticare? Questa mattina per l'ansia ho vomitato... ho lavato i denti tre volte, ma sento il sapore dell'acido ancora in bocca e non è una sensazione piacevole.»
«Sì, ehm...» frugò nella tasca dei jeans e subito dopo tirò fuori una gomma, circondata da un piccolo pezzo di carta verde. Me la porse, la scartai e iniziai a masticarla. Mentre la masticavo, il sapore della menta alleviò subito quello dell'acido e iniziai a calmarmi.
«Cavolo, sei uno schianto!» esclamò la mia amica. «Un giorno dovrai prestarmi questo vestito, te lo ordino.»
«Te lo regalerei subito se non dovessi attraversare quella porta.» dissi, indicando la stanza delle conferenze. La cosa che metteva più paura, era che davanti ai vetri erano state messe delle tapparelle, che in quel momento erano chiuse, che rendevano il tutto molto più terrificante.
«Ascolta, devo dirti una cosa...»
Mi voltai. «Non ho tempo Lory, devo andare.»
«Emily è importante!» alzò la voce e qualcuni colleghi si voltarono a guardarci, compreso Timothy.
«Me la dirai dopo, ti prego, fammi entrare...» la implorai. «dopo essere uscita da lì mi strapperò questo vestito di dosso e te lo regalerò, ma ora devo andare.»
Mi diressi verso la porta e posai la mano sulla maniglia, ma prima di entrare sentì Loretta sussurrare: «Ti pentirai di non avermi ascoltata.»
Non capii cosa quella frase potesse significare, ma presi coraggio e aprii definitivamente la porta. Tutti i brusii scomparvero appena misi piede nella stanza. Deglutii. «Salve a tutti.» ansimai, tenendo lo sguardo basso.
«Oh, Emily in perfetto orario!» mi accolse il Signor. Adams con aria gioiosa. Ma come faceva a restare così calmo?
«Signori, lei è Emily Morel, la stilista che si occuperà del...»
Prima che potesse pronunciare il nome del cliente, alzai lo sguardo.
E lo vidi. Era lì. Ancora una volta davanti a me: seduto, con le braccia posate sul tavolo, a testa alta. I suoi occhi verdi puntavano su di me e dalle sue labbra spuntava un sorrisetto compiaciuto. Questa volta mi guardò negli occhi, e per un attimo ne rimasi ammaliata.
Il suo sguardo non era sorpreso, anzi, più che sorpreso, lo vedevo soddisfatto.
Forse era questo che cercava di dirmi Loretta, che sarebbe stato Harry Styles il "cliente esigente".
«Signor. Styles.» conclusi la frase al mio capo.
Quest'ultimo mi guardo sorpreso. «Sì. Lo conosci?»
Ricambiai lo sguardo, poi guardai nuovamente Harry. «In TV hanno parlato molto del Signor. Styles negli ultimi tempi.» mentii.
Sapevo che a quella scusa avrebbero creduto tutti i presenti: il mio capo mi avrebbe creduta, avendo moglie e figli, non aveva tempo per guardare la TV... lo stesso Harry, non aveva moglie e figli, ma sicuramente era stato impegnato con il tour e la TV poteva anche scordarsela. Riguardo gli altri: troppo impegnati a stare dietro ad Harry come dei babysitter per permettersi una TV.
Alle mie parole, Harry alzò il sopracciglio e guardò l'uomo seduto alla sua destra: robusto, possente, sicuramente uno delle sue tante guardie del corpo.
Il mio capo riprese il controllo delle situazione: «La signorina Morel è alle prime armi, ma sono sicuro che svolgerà un lavoro impeccabile.» con un gesto della mano, mi invitò a sedermi, e così feci.
Presi posto proprio davanti ad Harry e posai davanti a me una cartella con un foglio di carta sopra e una matita.
Respirai profondamente e impugnai quest'ultima con la mano destra.
«La vedo agitata.» notò la guarda del corpo, divertito.
Alzai lo sguardo, fulminandolo. «È la prima volta che intraprendo questo tipo di esperienza, credo sia normale concedersi un po' di agitazione.» risposi a tono. Poi guardai Harry e dissi: «Possiamo iniziare.»
Lui annuì.
Deglutii. «Allora... potrebbe iniziare col dirmi che idea si è fatto di questo completo, come lo verrebbe, insomma. E in che occasione deve indossarlo.»
Lo vidi sbattere le palpebre più di una volta, poi iniziò a parlare: «Il completo dovrà essere indossato per una festa di beneficenza che si terrà tra due settimane...» iniziò col dire cose che già sapevo, ma annuii lo stesso. Volevo smorzare la tensione. Mi stupii nell'ascoltare la sua voce, l'avevo già sentita due giorni prima al bar, ma in quella circostanza stava sussurrando. Lì, invece, la voce era più alta, più marcata e più roca.
Continuò: «E in verità non mi ero fatto nessuna idea sul completo.»
Perfetto. Non sapeva neanche cosa voleva e questo poteva essere definito un "cliente esigente"?
«Neanche un po'?» gli chiesi, sperando che stesse scherzando.
«No.»
Sospirai. «Allora ci pensi adesso, come se lo immagina questo completo? Tenga conto anche del luogo in cui dovrà indossarlo.»
«Be',» ci pensò. «lo vorrei di colore chiaro, sull'azzurro chiaro o qualcosa del genere... »
Iniziai a disegnare un piccolo modello sul foglio, scrivendo sul lato tutti gli appunti che mi venivano in mente. «Riguardo la camicia?»
«Nera.»
Annuii. «Vuole che aggiunga anche una cravatta, un papillon o qualcosa di simile?»
Scosse la testa.
«Bene. Mi permette di darle un consiglio?» lui annuì. «Per la giacca e i pantaloni, avevo pensato ad un celeste molto chiaro. Per il colore della camicia... avevo pensato al bianco. Restando su colori chiari, il tutto sarà molto più elegante e pulito.»
«Mi piace l'idea.» sorrise, facendo spuntare sul lati delle guance due fossette. Restai a fissarlo per qualche secondo, quando la sua voce mi riportò alla realtà. «Si potrebbe aggiungere un bottone?» indicò il centro della sua giacca. «Proprio qui. Se possibile, di colore nero.»
«Certo.» presi di nuovo appunti.
Mi alzai dalla sedia. «Bene, signori, dovrei prendere qualche misura e avremo finito.»
La metà dei presenti si alzò, raggiungendo la porta. Anche Harry si alzò e mi raggiunse. Mentre la sua guardia del corpo continuava a guardarmi in modo strano, come se da un momento all'altro avessi cacciato un coltellino dalla scarpa per colpire Harry dritto al cuore.
Non lo avrei mai fatto, ovviamente, ma lo sguardo di quell'uomo non mi piaceva affatto.
Guardai per un attimo il Signor. Adams per cercare sostegno. Lui mi fece l'occhiolino e mi incoraggiò a continuare. Presi un metro da sarta ed iniziai a misurare gambe, braccia e schiena. Per tutti e tre i passaggi Harry mi aveva dato le spalle e averlo sentito rabbrividire ogni volta che posavo il metro sulla sua giacca, mi aveva dato una sensazione strana.
«Potrebbe girarsi verso di me?» gli chiesi e lui subito ubbidì. Si voltò completamente e mi guardò nuovamente negli occhi, proprio come aveva fatto poco prima.
Con il metro circondai i fianchi di Harry. Lui restò impassibile. Con una mano afferrai entrambe le estremità del metro e con l'altra scrissi la misura.
Stavo per lasciare andare la presa quando lui bisbigliò: «Ci eravamo già visti, prima di quel giorno al bar?»
Scossi la testa. «Credo che lei mi abbia confusa con qualcun'altra.» lasciai andare la presa su una parte del metro e dopo averlo sistemato sul tavolo continuai a parlare. «Io non l'avevo mai vista prima, a parte, due giorni fa in quel bar.»
Mentre io indietreggiavo di qualche passo, vidi il suo sguardo, sembrava deluso. Amareggiato per le parole che avevo detto.
«Bene, noi abbiamo finito. Il Signor. Styles potrà tornare tra cinque giorni per provare nuovamente l'abito e per vedere se ci saranno da approvare delle modifiche.»
«L'abito sarà pronto in tempo?» chiese lui, guardandomi.
«Faremo tutto il possibile per far sì che l'abito venga consegnato due giorni prima dell'evento.»
***
Quando tutti furono usciti dalla stanza, il Signor. Adams si avvicinò a me. «Sei stata formidabile, davvero. Ora porto questo,» disse rivolgendosi al foglio su cui avevo disegnato. «a Kat e le dirò di iniziare oggi stesso.» gli sorrisi e anche lui uscì dalla stanza.
Fu allora che accadde una cosa strana: un dolore lancinante si presentò dietro la nuca. Portai la mano sul punto dolorante. Iniziai ad ansimare. Mi mancava l'aria e non sapevo cosa fare. Posai entrambe la mani sul tavolo e cercai di mantenere una posizione stabile; sentivo le gambe pensanti, non riuscivo a muoverle, a controllarle. Dietro la nuca il dolore si intensificava sempre di più.
Poteva essere un attacco di panico? Non avevo mai avuto attacchi di panico prima d'ora, ma tutto poteva essere possibile.
«Emily!» esclamò una voce familiare accanto a me.
Girai lo sguardo e vidi Loretta. Il suo sguardo era strano, sembrava avesse visto un fantasma.
Improvvisamente il dolore dietro la nuca sparì, il respiro tornò regolare e le gambe non erano più pensati.
Cosa mi stava succedendo?
«Tesoro ti senti bene? Sei pallida. Ti sentivo ansimare da fuori, sicura che vada tutto bene?» Loretta continuò a parlare.
«Io...» non sapevo cosa dire. «io devo prendere una boccata d'aria, scusa.» e uscii dall'ufficio senza aggiungere altro.
Scesi le scale e arrivai fuori dal palazzo. Accesi una sigaretta e iniziai a fumare. Sapevo che conseguenze avrebbe riportato su tutto il mio corpo, ma sapevo anche che era l'unica cosa che riuscisse a calmarmi.
Avevo la strana sensazione che quello che era successo pochi minuti prima non fosse affatto un attacco di panico. O forse mi ero solo presa un bello spavento e quello era un vero attacco di panico.
Scacciai i pensieri maligni dalla testa, buttai la cicca della sigaretta a terra e la pestai.
Rimasi lì ancora un po' per godermi il panorama: persone che correvano sul marciapiede, fermavano taxi, urlavano, clacson che suonavano all'impazzata e la pioggia che continuava a cadere.
Incrociai le braccia e la mia attenzione venne attirata da un suv nero: era enorme e con i vetri scuri. Uno di questi si abbassò e vidi spuntare una testa riccioluta.
Harry si sporse dal finestrino e mi sorrise.
Io alzai la mano e la mossi per far sì che riuscisse a vedermi, anche se era a circa cinque metri da me. Dopo aver visto il suv correre via, sorrisi. Non sapevo perché lo avessi fatto e non sapevo neanche perché Harry mi avesse sorriso... ma quel suo gesto mi aveva fatto provare delle strane emozioni. Mi aveva sorriso, perché? Ci eravamo incontrati soltanto due volte, e sapevo, che se lui fosse stato un'altra persona, mi avrebbe soltanto salutato con un gesto della mano.
Ma dopotutto ero felice.
Felice di averlo finalmente incontrato.
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