Capitolo 9
Molto raramente usavo il fondotinta, non ero brava a truccarmi quindi evitavo di fare danni. Le uniche cose che ero solita usare erano: il mascara e ogni tanto, se ci riuscivo, una riga di eyeliner.
Cercai di coprire il livido al meglio che potevo, ma non stavo facendo esattamente un buon lavoro. Dopo un po' sbuffai irritata e corsi nella cabina armadio frugando nella zona degli accessori dove presi un paio di occhiali da sole neri. Tornando nella stanza, andai davanti allo specchio e dopo essermi sistemata i capelli, indossai gli occhiali riuscendo così a coprire il livido. Ero pronta, così afferrai lo zainetto e una rivista a caso per poi scendere al piano di sotto.
«Signorina Isabel, si è svegliata di nuovo presto. Le prepariamo la colazione?» Domandò Marisol guardandomi da in fondo il corridoio che portava alla cucina.
«No, tranquilla! Prendo qualcosa fuori.» Controllai l'ora sul cellulare e alzai di nuovo lo sguardo. «Sai se è già arrivato l'autista?»
«Sì signorina, è in garage a prendere l'auto.»
«Perfetto, grazie!» Andai verso il retro ma sentendo qualcuno fare il mio nome, mi bloccai ancora una volta.
«Isabel.» Mi girai verso mia madre, vestita elegante come al solito per andare al lavoro. La sua espressione non trapelava emozioni. «Stasera, io e tuo padre andremo a cena dai Larson. Viste le tue condizioni, starai a casa e guai se inviti qualcuno.» Mi guardò sollevando un sopracciglio e afferrò la sua borsa. «Sono stata chiara?»
«Sì.» Strinsi la spallina del mio zainetto rispondendo con la più assoluta calma. Non volevo litigare di prima mattina e soprattutto non volevo problemi.
«Bene. Buona giornata.» Mise anche lei un paio di occhiali simili a quelli che avevo io e girando sui tacchi, uscì dalla porta d'ingresso.
Io invece uscii dal retro e andai verso il grande garage aperto. Vidi la Rolls Royce nera accesa e mi avvicinai confusa. Abbassai leggermente gli occhiali per vedere se c'era qualcuno dentro, ma il posto dal lato del guidatore era vuoto.
«Questa è una bella macchina.» Sussultai sentendo una voce alle mie spalle e mi risistemai gli occhiali girandomi. «Nulla da togliere alla Range Rover, ma questa ha il suo fascino.» Disse Jason.
«Già.» Accennai un sorriso e mi voltai di nuovo tenendo la rivista arrotolata in mano davanti alla bocca, cercando di essere il più naturale possibile.
«Come stai?»
«Bene.» Mi voltai qualche secondo guardandolo di sfuggita. «Tu?»
«Bene. Dove ti porto? A scuola o a fare colazione?»
«Forse è meglio a scuola, devo ripassare prima del test.»
«Gli occhiali ti stanno bene ma puoi toglierli, non c'è molto sole qui in garage.» Rise e intanto aprii la portiera dell'auto.
«Lo so, ma ho stile così!» Risposi ridendo.
«Ah certo, quello è sicuro.» Mi fece cenno di salire e andò al posto di guida. Io mi misi seduta e aprendo la rivista, la sfogliai tenendo lo sguardo basso fingendo di leggere. Il mio pensiero improvvisamente andò a Andrew, che presto avrei visto a scuola e che avrei voluto strangolare. Ma non prima di avermi spiegato alcune cose, ad esempio: perché aveva detto a mio padre che avevo invitato qualcuno a casa? E se voleva mettermi nei guai, perché non aveva fatto il nome di Jason? Se avesse voluto levarlo di torno, sarebbe bastato dire a mio padre che era proprio l'autista il ragazzo che avevo invitato a casa. Invece non ha detto nulla, questo significava che aveva qualcosa in mente. «Oggi non hai voglia di conversare?»
Alzai lo sguardo e pressai le labbra. «Certo che mi va, perché?»
«Ti sei portata dietro una rivista e hai iniziato a leggere, pensavo non volessi parlare.»
«Oh... no, no. Scusami, è che dovevo leggere un articolo.»
«Scherzo, se vuoi leggere continua pure.» Mi guardò qualche secondo dallo specchietto e rise.
«No, ho finito.» Gettai la rivista sul sedile accanto mentre Jason parcheggiava al solito posto.
«Vuoi scendere dall'auto o ti siedi qui davanti con me?» Domandò e stavolta il suo sguardo sembrò diverso.
«Ora in realtà devo entrare a scuola...» risposi indicando verso l'ingresso. Era meglio non fermarmi troppo con Jason.
«Non è vero, dato che non siamo andati a fare colazione, siamo in anticipo di un'ora.»
Abbassai lo sguardo sul mio cellulare per vedere l'ora constatando che aveva ragione. «Ok, stiamo in auto.»
«Vieni avanti?»
«Penso starò qui dietro a ripassare.» Presi lo zainetto e tirai fuori il quaderno di fisica.
«Va bene.» Scese dall'auto e lo guardai spiazzata domandandomi dove stesse andando. Fece il giro ed entrò dall'altra parte sedendosi accanto a me. Lo guardai letteralmente a bocca aperta e lui mi fissò intensamente.
«Ma cosa...? Stai bene Jason?»
«Io sto bene, tu?» Non sembrava una vera e propria domanda la sua, infatti restai in silenzio non sapendo come rispondere. Sembrava una domanda trabocchetto come quelle nelle verifiche. «Allora?»
«Sono un po' agitata per il test...» aprii il quaderno ma Jason si avvicinò di più e me lo prese dalle mani lanciandolo nei posti davanti.
«Jason!» Non capivo quali problemi lo affliggessero quella mattina, ma sapevo che il mio quaderno non aveva nessuna colpa.
«Ho un sensore per le bugie, non mi piacciono. Togliti gli occhiali e dimmi cosa succede.»
«Non succede proprio niente.»
«Che hai fatto al labbro?» Domandò.
«Ma di che parli?»
«Ok, ora basta.» Mi sfilò gli occhiali e sgranai gli occhi girandomi di scatto perché non mi vedesse.
«Jason restituiscimeli!» Aprii la mano verso di lui aspettando i miei occhiali, ma non volle ridarmeli.
Mi tirò piano a se e le sue dita passarono sotto il mio mento facendomi voltare il viso nella sua direzione. Il suo sguardo si posò sul mio occhio e lo sfiorò piano con le dita passando successivamente al labbro. Sentii una stretta allo stomaco e guardai altrove sentendomi a disagio.
«Puoi dirmi chi ti ha fatto questo?» Mi accarezzò la guancia cercando un contatto visivo che io non riuscivo a dargli. Scossi la testa e lo sentii sospirare. «Dimmelo Isabel, per favore.»
Mi staccai prendendo lo zaino e gli occhiali per poi scendere velocemente dall'auto. Sentii gli occhi pizzicare e prima che potessi mettere gli occhiali, Jason mi prese per il polso. «Isabel...»
«Basta Jason! Lasciami in pace!» Lo guardai e le lacrime iniziarono a scendere lungo il mio viso. Volevo fermarle ma ormai sembrava impossibile. «Perché devi voler sapere sempre tutto?! Non sono affari tuoi! Questa è la mia vita e tu devi starne fuori!» Mi tirai indietro ed indossai gli occhiali correndo a scuola, anche se era presto. Questa era la cosa peggiore che mi potesse capitare, farmi vedere da lui in quello stato. Non capivo per quale motivo dovesse sempre intromettersi nella mia vita, perché non faceva semplicemente il suo lavoro da autista? Sospirai e corsi in bagno appoggiandomi al lavandino. Tolsi gli occhiali e mi guardai allo specchio per poi rendermi conto, in meno di un secondo, di quanto fossi stupida. Jason voleva solo aiutarmi, perché gli amici fanno questo quando ti vedono in difficoltà e io invece gli ho urlato addosso. Ero così triste e arrabbiata che non avevo pensato prima di parlare, non avrei dovuto... e in qualche modo mi sarei fatta perdonare.
•••
Evitai tutti quella mattina a scuola, ad ogni lezione correvo per prendere l'ultimo posto in fondo all'angolo e fortunatamente nessuno mi considerava. Megan a scuola non c'era nemmeno, mentre Andrew ogni tanto mi guardava senza dire nulla. Al suono della campanella, misi velocemente gli occhiali e uscii dall'aula felice che quelle ore fossero finalmente passate.
«Come va Evans?» Feci finta di non sentire quella voce irritante e proseguii verso l'uscita che dava al parcheggio. Con che coraggio mi faceva quella domanda? Sentii la sua presa sul mio braccio e mi fermai appena fuori da scuola voltandomi. «Ti ho fatto una domanda.»
«Infatti, hai una bella faccia tosta Andrew.»
«Te l'ho detto che me l'avresti pagata. Era un avvertimento... e ringrazia che non abbia fatto il nome di quello li.» Disse facendo un cenno con la testa verso Jason.
«E perché non lo hai fatto?»
«Perché la cosa potrebbe tornarmi utile.» Sorrise accarezzandomi la guancia ma mi sottrassi subito al suo tocco.
«Devi lasciarmi in pace.» Mi voltai e corsi verso l'auto mettendomi subito ai posti dietro, senza aspettare che Jason scendesse per aprirmi. Posai lo zainetto accanto a me e guardai lui dallo specchietto retrovisore. «Jason...» non sapevo come iniziare per scusarmi, mi tolsi gli occhiali e lui spostò lo sguardo sulla strada mettendo in moto.
«Ti porto a casa, sì.»
«No, non volevo dire questo.» Sospirai e lui continuò a guardare altrove, sembrava non volesse parlare con me. Uscii dalla macchina e passai ai posti avanti, dove finalmente catturai il suo sguardo sorpreso. «Non volevo trattarti così stamattina. Ero arrabbiata, ma non con te... solo che in quel momento eri li e io ho parlato a sproposito.»
«Ok. Ora ti porto a casa?» Domandò spento riportando lo sguardo avanti.
Avevo appena rovinato una nuova amicizia con una sfuriata? Sembrava di sì. Mi dispiaceva? Terribilmente. «Sì... grazie.» Scesi e tornai ai posti dietro. Non sapevo per quale motivo, ma sentii gli occhi bruciare, così indossai gli occhiali da sole e guardai fuori dal finestrino pensando a quanto fossi disastrosa come amica. Forse anche io ero come Andrew e i miei genitori... Jason aveva ragione quando la prima volta che ci siamo incontrati, guardandomi mi aveva considerata "una di loro". Lo avevo trattato male e ora avevo perso in tempo record, l'unica persona sincera che avessi mai conosciuto. Mi asciugai velocemente la guancia e chiusi gli occhi poggiando la testa al finestrino, ora l'unica cosa che volevo era tornare a casa, andare a letto e mettermi sotto le coperte.
Quando si fermò davanti a casa mia, scesi entrando direttamente.
«Bentornata signorina, lo chef è arrivato poco fa, per il pranzo ha delle preferenze?» Domandò uno dei maggiordomi.
«In realtà... non ho molta fame oggi.» Mi fermai pensando a cosa fare. «Voi però è tutta la mattina che lavorate, lo chef potrebbe preparare qualcosa per quelli del personale. In quanti siete oggi?»
«Questa mattina siamo solo in quattro, gli altri arrivano nel pomeriggio.»
«Più l'autista siete in cinque, andate a chiamarlo e chiedetegli se vuole unirsi...»
«Signorina... è gentile da parte sua, ma non possiamo.» Mi guardò confuso e sorpreso cercando di capire se fossi seria.
«Certo che potete, voglio che vi prendiate un momento di pausa. Tanto i miei genitori staranno fuori tutto il giorno. Quindi Albert, buon appetito.» Accennai un sorriso e salii le scale andando nella mia stanza, dove finalmente potei levarmi gli occhiali e togliere la divisa scolastica.
Indossai dei pantaloni neri e un maglioncino bianco, dopodiché andai alla scrivania a fare alcuni esercizi di matematica. Poco fa mi sarei messa sotto le coperte, ma forse era meglio fare qualcosa di utile e produttivo. Non volevo mettermi a letto e piangermi addosso, non sarebbe servito a nulla. Ciò che continuavo a ripetere nella mia testa era "sii forte, sii forte". Eppure, neanche dieci minuti dopo ero scoppiata in lacrime. Mi sentivo un'idiota. Anche se cercavo di convincermi mentalmente ad essere forte, anche se ripetevo quelle frasi in continuazione, mi ritrovavo sempre allo stesso punto, se non peggio.
Incrociai le braccia sulla scrivania e ci nascosi il viso chiudendo gli occhi. Nel frattempo bussarono alla porta ma non dissi nulla.
«Signorina, è sicura di non voler mangiare nulla? Non dovrebbe saltare i pasti...» Marisol da dietro la porta sembrava un po' preoccupata e alzando leggermente la testa mi schiarii la voce prima di rispondere.
«Tranquilla Marisol, mangiate voi! Io non ho fame, grazie comunque.»
«Come preferisce...» sentii i suoi passi allontanarsi e prendendo in mano la penna, ripresi a fare matematica. Riuscii però a risolvere solo i primi tre limiti, perché bussarono nuovamente alla porta. Sospirai asciugandomi una guancia ancora bagnata dalle lacrime di poco prima e alzai lo sguardo anche se la porta era alle mie spalle.
«Non ho fame...» dissi di nuovo.
Non sentii alcuna risposta così tornai a scrivere, ma la porta si aprì subito dopo interrompendomi per l'ennesima volta. Accanto a me posarono un vassoio con due bicchieri d'acqua e piatto con sopra due toast caldi.
«Lo chef sta preparando la sua specialità, io ho pensato di preparare la mia.» Jason prese una sedia mettendosi accanto a me. Era l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere dopo oggi, ma mi faceva piacere averlo qui.
«Sembra buono...» guardai il toast e dovevo ammettere che emanava un profumo davvero delizioso.
«Provalo.» Disse avvicinandomi il piatto.
«Con le mani?»
Mi guardò alcuni istanti e rise. «Isabel, è così che si mangia un toast.»
La sua risata mi fece sentire meglio e guardando il piatto presi un toast, mentre Jason prendeva l'altro. «Se mia madre mi vedesse mangiare in camera...» non continuai la frase, ma alzai gli occhi al cielo e risi.
«Menomale che non c'è allora, poi se dovessimo sporcare puliamo tutto, tranquilla.»
Annuii e diedi un morso al mio toast facendo subito dopo un verso di piacere. «È davvero buono!»
«Lo so! Vedi? So fare tutto, dove lo trovi un altro come me? Ecco perché dovrei essere io il tuo autista preferito.»
«In effetti, Ronald non mi ha mai preparato i toast.» Incrociai lo sguardo di Jason e ad entrambi scappò una risata. Finito di mangiare, mi pulii con un tovagliolo e dopo aver bevuto dell'acqua, incrociai lo sguardo con quello di Jason. «Mi dispiace per stamattina... come faccio a farmi perdonare?» Non volevo perdere in questo modo la sua amicizia, dovevo sistemare le cose.
«Dimmi chi è stato.»
«Non posso...»
«Non puoi o non vuoi?» Domandò tenendo lo sguardo fisso sul mio. «Dimmelo, è stato Andrew? Ho sentito dire dagli altri che i tuoi sarebbero andati dai Larson stasera.»
«No, non è stato lui... vanno dai Larson per parlare della campagna elettorale suppongo.»
«Allora chi...» si bloccò sgranando leggermente gli occhi e mise la mano sulla mia stringendola leggermente. «Tuo padre...?» Chiese insicuro. Io guardai altrove e scossi la testa, ma le sue mani presero il mio viso tra le mani facendomi riallacciare lo sguardo al suo. Mi accarezzò la guancia e cercai con tutta me stessa di tenere dentro le lacrime.
Poggiai le mani sulle sue e accennai un sorriso scuotendo leggermente la testa. «No, tranquillo. Questo è stato solo uno stupido incidente, davvero. Me lo sono fatta cadendo, è stato imbarazzante... per quello non volevo parlarne.» Risi e mi alzai andando vicino alla porta del bagno toccando il pomello. «Sono scivolata e ho battuto qui mentre tornavo in camera dopo aver fatto la doccia.» Lo guardai cercando di capire dalla sua espressione se mi credeva o meno, ma non trapelava nulla.
«Quindi la tua è goffaggine?» Sorrise e si alzò avvicinandosi.
Io lo guardai a bocca aperta e risi colpendolo piano al petto. «Non sono goffa, è stato un incidente.»
«Certo.» Mi prese sulla spalla e tirai un urlo non aspettandomelo.
«Jason mettimi giù!» Risi dimenandomi mentre andava verso il letto e coricandomi, si mise sopra di me iniziando a farmi il solletico. Iniziai a ridere così tanto che credetti di soffocare, le mie guance facevano male dal troppo ridere e mi lacrimavano gli occhi. «Basta!!» Cercai di bloccarlo e tra le risate mi bloccò i polsi al lato della testa.
«Sei una principessa goffa.»
«Non sono una principessa e non sono nemmeno goffa. Non troppo almeno...» dissi pensandoci su. Riprese a farmi il solletico e scoppiai a ridere dimenandomi. «Basta! Non respiro!»
«Vuoi che la smetta?» Domandò ridendo.
Ma che domanda era? Stavo soffocando. «Sì!»
«Allora devi dire che sono il tuo autista preferito.» Disse fermandosi.
«Mai.» Mi guardò a bocca aperta e riprese subito a farmi il solletico. Urlai cercando di bloccargli le mani, ma non riuscendoci mi arresi. «Ok! Ok!» Risi così tanto da sentire caldo e quando Jason si fermò, ripresi fiato asciugandomi le lacrime. «Oddio... ho riso troppo.» Feci un respiro profondo e Jason mi guardò con un sorrisino aspettando. «Sei il mio autista preferito.» Lo avevo detto, ma mi sarei vendicata prima o poi.
Rise soddisfatto alzandosi e mi tirò piano su accarezzando delicatamente il punto in cui avevo il livido. «Hai della crema?»
«Sì, sulla mensola in bagno, ma l'ho già messa stamattina.»
Jason sparì tornando subito dopo con il tubetto in mano, si sedette sul letto e mi tirò sulle sue gambe. «Sei una pessima bugiarda, ma quando sarai pronta a dirmi la verità io ti ascolterò.» Mise la crema fredda sul livido e io lo guardai sentendo una stretta allo stomaco. Era così bravo a intuire quando qualcuno mentiva? O ero davvero una pessima bugiarda? In quel momento sentii l'ansia salire, questo cosa avrebbe voluto dire? Sarebbe rimasto lo stesso mio amico?
«Sei arrabbiato?»
«No, sono solo preoccupato. Se hai bisogno di aiuto dovresti dirlo, non puoi aspettare che sia troppo tardi. E se non vuoi parlarne con me, puoi farlo con qualcun altro. L'importante è dirlo a qualcuno... ok?»
Annuii guardandolo e istintivamente lo abbracciai. Probabilmente lo avevo colto di sorpresa, perché ci mise un po' a ricambiare. Dopodiché mi alzai lasciando andare Jason a lavarsi le mani sporche di crema. C'era qualcosa in quel ragazzo e anche lui aveva dei segreti, me lo sentivo. In ogni caso, anche solo la sua presenza mi faceva stare bene. Da quando aveva iniziato a lavorare qui, mi sembrava di sorridere di più e ogni volta non vedevo l'ora di fare i tragitti in auto con lui. Quando tornò in camera prese il vassoio e mi lanciò uno sguardo veloce. «Hai ancora fame?»
«No, sto bene così. Grazie per il toast.»
«Figurati. Porto questo giù.»
«Lascialo li, posso portarlo io dopo.» Volevo restasse ancora un po' ma non potevo dirglielo, sarebbe stato imbarazzante e non volevo pensasse male.
«Ok, allora...» guardò verso la porta indicandola. «Io... vado?» Sembrava un misto tra un'affermazione e una domanda.
«Siamo ancora amici?»
«Certo.» Mi fece l'occhiolino e poco dopo andò verso la porta.
«Se vuoi puoi restare...» quelle parole erano uscite così veloci, che realizzai solo qualche secondo dopo di averlo davvero detto. Mentalmente mi stavo tirando tantissimi schiaffi per l'imbarazzo, Jason invece mi guardò con un espressione quasi divertita. «Che c'è?»
«Tu vuoi che resti?»
«Io ho solo detto che se vuoi, puoi restare.» Puntualizzai incrociando le braccia.
«Tanto so che ti piace stare con me. Magari hai anche una cotta segreta.» Lo guardai con le labbra socchiuse e gli tirai addosso un cuscino mentre lui iniziò a ridere. «Una cotta segreta per l'autista! Che scandalo accidenti!»
«La smetti?!» Gli tirai un altro cuscino e incrociai le braccia al petto. «E se fosse l'autista ad avere una cotta? Sicuramente è così, altrimenti non stuzzicherebbe la ragazza in continuazione.»
«Impossibile, l'autista non è quel tipo di persona.»
Lo guardai confusa sedendomi sul letto a gambe incrociate mentre lui mi riportava i cuscini sedendosi accanto a me. «Cosa intendi?»
«Semplicemente che lui non si lega a nessuno, preferisce divertirsi.» Spiegò facendo spallucce.
Abbracciai uno dei cuscini pensando. Era impossibile, non poteva non essersi mai innamorato. «Prima o poi però finirà per innamorarsi. Succede.»
«Se sta attento, si allontana prima che possa accadere.»
«Perché dovrebbe evitare di innamorarsi?» Lo guardai negli occhi ma lui non rispose, accennò solo un sorriso e fece spallucce. «Sei proprio un Peter Pan.»
•••
La sera i miei tornarono a casa per cambiarsi e uscirono l'ora dopo senza nemmeno passare a vedere se stessi bene, ma la cosa non m'importava più ormai, o forse non mi era mai importato. Ero praticamente stata cresciuta dal personale e sicuramente era stato meglio così, dovevo tutto più che altro a Marisol che mi era sempre stata accanto e soprattutto, fedele. Scendendo le scale, andai verso la cucina e mi bloccai appena fuori sentendo le voci del personale che si preparava ad uscire.
«Avremmo dovuto fare qualcosa anni fa.»
«Callate Carmela!» Riconobbi la voce di Marisol che iniziò a dire qualche frase in spagnolo.
«Avete visto che caro quel ragazzo? L'ha fatta mangiare e cosa più importante... l'ha fatta ridere.»
«Da quando Jason lavora qui, Isabel sembra molto... non lo so...»
«Te lo dico io Marisol! Ella esta enamorada!»
Arrossii violentemente a quelle parole. Non sapevo perfettamente lo spagnolo, ma quelle parole le avevo capite benissimo. Corsi verso le scale senza fare rumore e salii nella mia stanza chiudendo la porta a chiave. Io non ero assolutamente innamorata, Jason era solo un buon amico, tutto qui. Come potevano aver pensato ad una cosa del genere?
Afferrai il cellulare sul comodino, che stava suonando ininterrottamente, e risposi di malavoglia. «Cosa vuoi Andrew?»
«Tuo padre è a casa mia, vuoi che gli dica quanto sei arrogante?» Non risposi, perché se lo avessi fatto sarebbero uscite brutte parole. Quindi mi presi qualche secondo e sospirai. «Brava ragazza. Allora... sei da sola?»
«Certo. Con chi dovrei essere?»
«Appunto, con nessuno. Solo che non so se crederti.»
«Vuoi usare FaceTime e fare una video chiamata?» Chiesi sarcastica in tono freddo.
«No, ma potrei passare da te più tardi.»
Alzai gli occhi al cielo e colpii piano l'angolo del cellulare contro il comodino. «Cosa? A- d-»
«Cosa? Isabel?»
«A-» Presi un pezzo di carta e lo stropicciai vicino al cellulare. «Andrew ci se-i? Non-» Poco dopo staccai e dopo aver messo la modalità offline, lanciai il cellulare sul letto. Quel ragazzo era stressante, probabilmente era nato per infastidirmi. Sembrava uno di quei fratellini rompiscatole che vedevo a volte nei film.
Spensi la luce e accessi la piccola lampada sul comodino, poi attaccai un'altra presa illuminando il piccolo lato della libreria con le lucine bianche. Fuori aveva iniziato a piovere e per sconfiggere la noia, guardai i miei libri sugli scaffali, controllando quelli che ancora non avevo letto. Ma tutte le volte che tentavo di fare qualcosa di produttivo, ovviamente venivo interrotta. Andai verso la porta chiusa a chiave, prima di ricordare che in casa ero da sola. Perfetto! Forse erano dei ladri, o un assassino, sarei morta prima di prendere il diploma. Sbiancai sentendo di nuovo un rumore e capii che non veniva dalla porta ma dalla finestra. Mi avvicinai e urlai quando un'ombra scavalcò la ringhiera del balcone. Jason tirò giù il cappuccio nero della felpa e io mi portai una mano al cuore che, a momenti, stavo per vomitare. Aprii velocemente la portafinestra e prendendo il cuscino iniziai a colpire Jason che nel frattempo richiudeva dietro di se, o almeno ci provava. «Ma io ti licenzio! Hai perso completamente la testa?! Come ti salta in mente?! Dio! Potevi avvisare!» Continuai a colpirlo, finché lui non mi strappò il cuscino dalle mani gettandolo dall'altra parte della stanza e spingendomi contro la parete mi bloccò guardandomi negli occhi. I suoi capelli erano scompigliati e qualche ciocca bagnata gli ricadeva sulla fronte. Delle goccioline intanto scivolarono al lato del suo viso.
«Ho provato a chiamarti ma partiva subito la segreteria.»
Ricordai di aver messo la modalità offline e sospirai. «Oh, giusto... comunque mi hai spaventata! Non potevi suonare?! Lo sai che sono da sola.»
«Parli troppo.»
«Io parlerei troppo?! Pensavo di morire.»
«Pensavi di morire?» Inarcò un sopracciglio guardandomi.
«Pensavo fossero entrati i ladri, o un qualche assassino.»
«Invece ero io, quindi puoi rilassarti adesso.» Rise accarezzandomi la guancia, ma io misi il broncio incrociando le braccia al petto. «La principessa è arrabbiata.»
«La smetti di chiamarmi così?»
«Altrimenti?» Mi guardò divertito a pochi centimetri dal mio viso e arrossii spostando lo sguardo di lato.
«Altrimenti ti licenzio.»
«No, non lo faresti.» Rise sfiorandomi il mento e mi fece riportare lo sguardo sul suo. Sentii le guance scaldarsi e mi arrabbiai con me stessa perché non ne capivo il motivo.
«Non sfidarmi.» Lo guardai negli occhi e pochi istanti dopo sussultai sentendo un tuono. Mi strinsi a Jason e un lampo illuminò la stanza. Lui iniziò a ridere e staccandomi lo spinsi indietro.
«"Non sfidarmi" fai la dura e ti spaventi per un tuono.» Rise e lo fulminai con lo sguardo.
«Ti conviene stare zitto, sono sempre io quella con il potere qui dentro.»
«In realtà...» sorrise passandosi una mano tra i capelli. «Io sono fuori turno, questo vuol dire che... al momento, non sono il tuo autista.»
«In realtà... potrei ancora chiederti di portarmi in giro se volessi. Sei al mio servizio per ancora mezz'oretta.» Lo corressi mostrandogli l'ora sul cellulare.
«Interessante, vuoi andare da qualche parte?»
«Stavo solo supponendo, non esco mai la sera in realtà... poi piove.»
«Mettiti le scarpe e andiamo.» Accese la luce e si diresse verso la porta.
«Che?»
«Dai veloce, abbiamo mezz'ora. Prendiamo la macchina.» Tirò su il cappuccio e intanto corsi a prendere le mie vecchie Converse bianche. Quando tornai da Jason, misi la giacca e mi squadrò. «Davvero hai un paio di Converse? Pensavo avessi solo tacchi.»
«Ogni tanto le metto anche io le scarpe basse.» Corsi alla porta girando la chiave e prendendo il cellulare tolsi la modalità aereo. Scese le scale, andai a cercare le chiavi della Rolls Royce e quando le trovai, le lanciai a Jason che le prese al volo. Mi sembrava di fare qualcosa contro le regole, ed effettivamente era così. Stavo uscendo di casa senza dirlo ai miei, con un ragazzo per di più. Arrivati in garage, Jason si avvicinò all'auto aprendomi la portiera.
«Signorina Evans...»
«Ma grazie.» Risi salendo in auto e allungai la mano prendendo il telecomando per aprire il garage.
Jason allacciò la cintura e partì, mentre con il secondo telecomando apriva il cancello. «Sai dove andare?»
«Andiamo al Maple Leaf?» Proposi.
Sorrise e senza dirmi nulla partì, prendendo la strada per la tavola calda. «Sai per che ora tornano i tuoi?»
«Teoricamente per le undici, o comunque prima di mezzanotte. Perché?»
«Magari tornando, non ti trovano nella stanza e finisci in qualche guaio.»
«Non vengono mai a controllarmi e comunque stiamo in giro solo mezz'ora. Non dovrebbero beccarci.» Guardai le strade illuminate e la gente seduta dentro nei vari bar per ripararsi dalla pioggia. Gruppi di amici allo stesso tavolo che si divertivano e altri che correvano sotto la pioggia per arrivare alla fermata dell'autobus o da qualche altra parte al riparo. Jason superò alcune macchine e dopo cinque minuti eravamo già al Maple. Scesi tirando su il cappuccio e guardai la piccola insegna luminosa sulla porta che diceva "open". Jason mi prese per mano e ci affrettammo ad entrare prima di bagnarci troppo. C'erano un po' di ragazzi ai tavoli e girandosi, tutti salutarono Jason, io mi sentii leggermente a disagio quando mi squadrarono dalla testa ai piedi. Lui fece un cenno di saluto con la testa accennando un sorrisino e mi portò al tavolo dell'ultima volta. «Sono tutti tuoi amici?»
«Sì.»
«Wow, è un bel gruppetto.» Mi sfregai le mani tenendo su il cappuccio e poco dopo Jane ci raggiunse sorridente.
«Che piacere rivederti Isabel!» Il suo sorriso si spense non appena mi guardò meglio. «Oddio cara, cosa ti è successo all'occhio?»
«Oh niente, sono caduta.» Risi e lei mi guardò attentamente puntando poi lo sguardo su Jason.
«Jason si è fatto un occhio così dopo essere uscito da una rissa. Ricordi?» Lo guardò quasi con aria di rimprovero.
«Possiamo non parlare di quella vecchia storia?»
«Sì, sì. Cosa vi porto?»
«Una cioccolata calda!» Sorrisi emozionata ma arrossii subito dopo per aver parlato ancor prima che finisse la domanda. Jane però rise e aspettò poi Jason.
«Prendo solo una coca cola.»
Annuì e andò dietro al bancone.
«Hai fatto una rissa?» Incrociai le braccia sul tavolo e Jason si abbassò il cappuccio.
«Ne ho fatte tante, a scuola, in giro. Succede.»
«E i tuoi genitori non dicevano niente?»
Fece spallucce passandosi una mano tra i capelli scompigliando leggermente il ciuffo. «Sì, ci provavano. Ma... io sono io.» Rise e subito dopo, Jane ci portò quello che avevamo ordinato. La mia cioccolata aveva tanta panna sopra e quasi mi emozionai alla vista. Immaginavo le mie pupille dilatarsi davanti a quella meraviglia. Presi il cucchiaino e mescolai un po' abbassando nel frattempo il cappuccio. «Come mai avevi la modalità offline?»
«Andrew rompeva.» Alzai gli occhi al cielo sorseggiando la mia cioccolata.
«Ecco, lui è uno con cui farei rissa.»
Risi annuendo. «Hai ragione. Lui però non sarebbe mai solo, porterebbe la scorta dietro.»
«In quel caso io ho la mia. Vero Jaden?!» Si girò verso il suo amico e lo guardò. «Sempre pronto a coprirmi le spalle?»
«Sempre fratello!» Si diede due colpetti sul petto e lo stesso fece Jason. «Ci sono anche per la tua nuova amica se ha bisogno!»
Risi guardandoli e Jason si girò di nuovo. «Amico, per lei ci sono io, tranquillo.»
«Mica te la rubo.» Jaden si alzò e venne verso il nostro tavolo sedendosi accanto a me. «Sai che io e Jason da piccoli non ci sopportavamo? Ti parlo di quando andavamo alle elementari.» Scosse la testa guardando un punto indefinito e poi di nuovo me. «Mi guardava male e non mi sceglieva mai nella sua squadra a ginnastica.»
«Non ti sceglievo perché a palla avvelenata facevi schifo.»
«Ehi fratello, non ho finito.» Gli puntò il dito e Jason alzò le mani in segno di resa. «Iniziai a fargli i dispetti e lui iniziò a farli a me. Finché un giorno, in prima media, finimmo con il picchiarci a vicenda.»
«Avete fatto la vostra prima rissa a undici anni?» Li guardai spiazzata e Jason rise.
«Sì! Poi dopo esserci pestati, ci siamo alzati da terra e guardandolo dissi: "per essere un bianco, colpisci bene!"» Annuì a se stesso ricordando. «Poi lui mi ha detto che ero un coglione e ci siamo dati il cinque.»
«Quindi la vostra amicizia è nata da una rissa?» Inarcai un sopracciglio non volendo crederci.
«Da li in poi, sempre uniti. Se Jason ha bisogno, io arrivo e viceversa.» Si diedero il cinque facendo poi una strana stretta di mano. «Tu come ti chiami? Scusa se non te l'ho chiesto subito.»
«Isabel.»
Sgranò gli occhi e mi squadrò. «Sei tu? Jason mi ha parlato di te! Non pensavo però che fossi una da risse. Chi hai picchiato?»
«Non ho fatto una rissa, sono caduta.»
«Oh...» scosse la testa dispiaciuto e poggiò la mano sulla mia spalla. «Tranquilla, arriverà il tuo momento.» Socchiusi le labbra e Jason rise passandosi la mano sul viso. «Vi lascio soli, è stato un piacere Bella.» Si alzò e tornò al tavolo con gli altri suoi amici.
«Jaden è un po' fuori di testa, ma è un grande.»
«Sì, sembra simpatico.» Finii la mia cioccolata e cercai tra le tasche della giacca.
«Cosa fai?»
«Guardo se ho delle monete, non ho portato la borsa.»
Jane passò prendendo la mia tazza vuota e il bicchiere. «Offre la casa, non ti preoccupare.»
«Ho la carta nel caso, posso pagare con quella.» Tolsi la cover dal cellulare per prenderla ma Jason mi fermò.
«Tranquilla.» Mi fece l'occhiolino e Jane diede una pacca sulla spalla a Jason allontanandosi. «Saluto gli altri e andiamo?»
«Sì, va bene.» Sorrisi e intanto mi sistemai la giacca chiudendola. Guardai fuori dalla vetrata della locanda e un lampo illuminò il cielo. Rabbrividii e andando verso l'uscita salutai Jane e Jaden con la mano, mentre Jason mi affiancava. Appena messo piede fuori, si sentì l'aria fredda e la pioggia scendere giù più forte di prima. Ci guardammo qualche istante negli occhi sorridendo e per qualche ragione, sentivo di pensare la stessa cosa che pensava Jason. Iniziai a correre con lui verso l'auto ridendo, mentre la pioggia continuava a scendere infradiciandoci. Mi misi seduta dal lato del passeggero in modo da stare accanto a Jason e, allacciate le cinture, partimmo. Accese la radio girando tra le stazioni che prendevano meglio e si fermò su una che stava trasmettendo "Highway to Hell" degli AC/DC. Ridacchiai e dopo qualche secondo iniziai a cantare con lui. Non credo di essermi mai divertita tanto, ero fradicia ma non m'importava e stavo cantando come una pazza con un ragazzo ancora più pazzo di quanto potessi mai esserlo io. Per tutto il tragitto continuammo così, cantando qualsiasi cosa e muovendo la testa a ritmo come fossimo ad un concerto. Appena arrivati a casa, Jason parcheggiò in garage e staccando la radio mi guardò. Non riuscendo a trattenerci, scoppiammo a ridere e scesi con lui dall'auto. «Non mi sono mai divertita tanto! Possiamo rifarlo?»
«Quando vuoi.» Sorrise avvicinandosi e mi scostò i capelli bagnati dal viso. Arrossii sentendo la solita stretta allo stomaco e mi persi guardando i suoi occhi azzurri.
«Isabel.» Sussultai sentendo la voce di mio padre venire dalla porta che collegava la casa al garage e mi voltai di scatto. «Cosa ci facevi fuori a quest'ora? E perché Andrew mi ha detto che non riusciva a contattarti?» Il suo sguardo serio metteva quasi i brividi.
«Si era spento il cellulare...»
«Però sei uscita.» Osservò.
«La colpa è mia signore.» Jason fece qualche passo avanti e mio padre si avvicinò guardandolo.
«In che modo sarebbe colpa tua?»
«Ho notato che la signorina Isabel sta sempre in casa la sera e le ho consigliato di uscire.»
«Il tuo lavoro è portarla a scuola e a casa. Poi in giro al pomeriggio se non deve studiare.» Mi lanciò un'occhiata e si avvicinò. «E mi sembrava di averti detto che oggi era il caso di stare a casa.»
Jason guardò mio padre attirando di nuovo la sua attenzione. «Me lo aveva detto, sono io che ho insistito.»
«Allora spero che tu abbia imparato la lezione. Non serve che parli, il tuo compito sai qual è, quindi pensa solo a fare quello per cui vieni pagato. E vedi di venire vestito in modo consono.» Tornò alla porta e ci guardò. «Ti consiglio di tornare a casa in fretta. Tu Isabel, vedi di andare in camera tua e restaci.» Rientrò in casa e guardando Jason mi torturai le mani. Mi aveva praticamente salvata.
«Grazie... ma perché lo hai fatto?»
«Ti copro le spalle, ricordi?» Mi fece l'occhiolino e sorrisi.
«Mi dispiace per quello che ha detto... è insopportabile quando fa così.» Alzai gli occhi al cielo non volendo più pensarci, o mi sarebbe solo cresciuto il nervoso.
«Tranquilla, ora vado.»
«Sei pazzo? Diluvia.» La pioggia non sembrava volersi fermare e non lo avrei lasciato andare via con quel tempo.
«Tranquilla, faccio una corsa e fermo qualche taxi.»
«Dormi da me. Cerco un modo per farti arrivare di sopra.» Mi appoggiai all'auto pensando ma Jason scosse la testa.
«Non voglio metterti nei guai, mi beccano sicuro se passo da dentro.»
«Di certo non puoi entrare dalla finestra con questa pioggia. Poi sei fradicio e dovresti salire ad asciugarti prima di prenderti un raffreddore.»
«Ti preoccupi per me?» Rise e lo colpii al braccio.
«Seguimi e basta, facciamo un giro diverso per salire, fidati.» Presi la sua mano ed entrai con lui in casa silenziosamente. Misi le chiavi dell'auto al proprio posto e feci cenno a Jason di togliere le scarpe. Sfilai anche io le converse tenendole in mano e passai dal corridoio secondario dopo la cucina. Non accesi nemmeno le luci per non rischiare e salendo le scale arrivai al corridoio delle stanze. Mi avvicinai con Jason alla mia camera e sentendo dei passi, lasciai entrare prima lui. Chiusi a chiave e lasciai la luce spenta gettando le scarpe da qualche parte. Dalle mie labbra uscì un lungo sospiro di sollievo e levando la giacca, presi anche quella di Jason mettendole nella cabina armadio. «Non ho roba da uomo, vuoi fare un bagno caldo mentre i tuoi vestiti si asciugano un po'?»
«Oh certo, il bagno lo faccio in compagnia?»
«Cosa?» Lo fissai realizzando solo dopo quello che aveva detto e lo colpii alla spalla.
«La mia era una semplice informazione.» Rise levandosi tranquillamente la felpa e io mi voltai. «La smetti di imbarazzarti per così poco? Ti ricordo che sei stata tu ad invitarmi a dormire con te.»
«Ma tu non dormirai con me. Cioè... saremo divisi.» Corsi verso il letto e iniziai a mettere i cuscini in mezzo, quando alzai la testa notai Jason fissarmi.
«Stai scherzando, vero?» Rise e slacciandomi la felpa, scossi la testa.
«Io da un lato, tu dall'altro. Oppure c'è il tappeto.» Alzai le spalle e andando a prendere un asciugamano, lo portai a Jason per poi andare a cambiarmi nella cabina. Quando tornai, vidi che Jason era già a letto e aveva spostato uno dei cuscini dietro la sua testa. Mi avvicinai ed entrai sotto le coperte guardandolo. «Non invadere il mio spazio.»
«Tranquilla principessa, starò da questo lato.» Mi coricai ma il secondo dopo tornai seduta. Non ci riuscivo, non potevo dormire con qualcun altro, mi sentivo a disagio. Alzandomi, tirai con me il cuscino e mi coricai sul tappeto morbido. «Cosa ho fatto adesso?» Domandò stanco.
«Niente, buonanotte.» Chiusi gli occhi cercando di dormire, ma ricordai di non avere la coperta. Jason però si alzò, come se avesse sentito i miei pensieri e coricandosi accanto a me sul tappeto, coprì entrambi.
«Siamo per terra, coricati, non c'è nulla di male... ok?» Annuii e abbassando lo sguardo osservai alcuni tatuaggi che aveva sul petto e sulle braccia. Sembrò notarlo perché alzò leggermente le braccia mostrandomeli. «Ti piacciono?»
Li sfiorai e mettendomi seduta li guardai meglio. «Sì, sono carini. Hanno fatto male?»
«Non molto, dipende anche dalla zona e dalla soglia che hai del dolore. Forse questo un po', ma comunque sopportabile.» Disse indicando l'anno in numeri romani tatuato sotto la sua clavicola destra.
«Hanno tutti un significato o li hai fatti perché ti piacciono?»
«Hanno un significato e li ho disegnati tutti io.»
«Davvero?» Lo guardai sorpresa sfiorando i numeri romani e altri tatuaggi sul braccio. Erano davvero dei bei disegni e non avrei mai pensato avesse questo talento.
«Sì, li disegno e poi li porto dal tatuatore.» Spiegò portando l'altro braccio dietro la testa.
«Allora sei davvero bravo.» Mi coricai di nuovo e chiusi gli occhi stanca stringendomi nella coperta. Sentii Jason sfiorarmi i capelli e lo lasciai fare rilassandomi, poi senza rendermene conto, le mie palpebre si fecero pesanti e qualche minuto dopo, stavo già dormendo.
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