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Capitolo 6

Punto di vista di Jason.

Isabel si girò come se avesse percepito il mio sguardo su di lei e la guardai ancora una volta, prima di svoltare l'angolo e allontanarmi dalla sua scuola. Ero arrabbiato.
Arrabbiato perché quello che le avevo detto prima al locale era vero. La conoscevo da poco, ma da quello che avevo potuto vedere fin'ora... lei non sembrava affatto come le altre persone che la circondavano, non era come i suoi genitori, soprattutto come suo padre.
Mark Evans era un uomo senza cuore e lo sapevo, mi chiedevo com'era possibile che sua figlia fosse così diversa da lui. Quella ragazza sembrava così innocente, non c'entrava proprio nulla con quelle persone. Evidentemente mi sbagliavo, non dovevo giudicare una persona solo perché portava abiti firmati. Ma questo complicava tutto.
Tornai al Maple Leaf e parcheggiai l'auto li davanti. Entrai nel locale, ora vuoto e andai a sedermi al bancone che Ralph in quel momento stava pulendo.
«Jason, sei già tornato?»

«Sì, mi porti un caffè?» Chiesi e in quel momento Jane passò lasciandomi ciò che avevo chiesto. «Che servizio veloce, grazie.» Risi e lei mi guardò incrociando le braccia. «Che c'è?» Domandai.

«Lei è la Isabel di cui mi hai parlato?» Domandò a sua volta seria e curiosa.

«Sì, non si era capito dalla sua divisa? Va alla scuola privata.»

«Jason. Non ferire quella ragazza, ok? Sembra tanto dolce...» mi lanciò uno sguardo di avvertimento e io la guardai inarcando un sopracciglio.

«Perché pensi che io possa ferirla?»

«Ti conosco bene, sei un bravo ragazzo ma... a volte combini pasticci.»

Ralph rise da dietro il bancone e lo fulminai. «Stai tranquilla, Jason ormai è un ragazzo a modo, guarda com'è vestito. Quanto guadagni?» Domandò.

«Non ti riguarda, pensa al tuo lavoro e non distrarti.»

«Tu comportati bene.» Disse Jane puntandomi il dito contro.

«Sissignora!» Finii di bere il mio caffè e controllai il cellulare andando nella chat di Isabel. Jane sparì in cucina e Ralph fece il giro sedendosi accanto a me.

«Ti piace la ragazza ricca?» Mi prese il cellulare dalle mani cliccando sulla sua foto per vederla meglio.

«Che? No.» Ripresi il cellulare uscendo dalla chat. «Lei è ok, ma non è il mio tipo.»

«Come no...» prese il tovagliolo, si avvicinò e mi pulì il labbro. «"Sei sporca di cioccolato piccola..."» mi imitò ridendo e lo spinsi via.

«Fottiti.» Risi e Ralph tornò dietro il bancone.

«Dato che sei qui potresti anche darci una mano, abbiamo alcune cose da spostare in magazzino.»

«Va bene.» Mi alzai andando dietro in magazzino e levai la giacca appendendola dietro la porta. Tirai piano la cravatta cercando di non sciogliere il nodo e slacciai i primi bottoni della camicia, finalmente respiravo. Guardai la posta gettata sul tavolo e una busta in particolare attirò la mia attenzione. Lessi un nome familiare sulla busta indirizzata a Jane, era strappata di lato quindi l'aveva letta. La presi tra le mani ma in quel momento, come se avesse avuto un radar, lei arrivò raccogliendo subito tutto e mi fulminò.

«Cosa combini?» Chiese in un tono quasi accusatorio.

«Vi do una mano.» Risposi ovvio.

«Non puoi vestito così, sarebbe un peccato sporcare quella camicia.»

Alzai gli occhi al cielo e sorrisi. «Non ti preoccupare.»
Ci pensò su poi mi lasciò li, portando via tutta la posta e le cartelle che aveva lasciato poco prima sul tavolo. Mi nascondeva qualcosa ma prima o poi avrei scoperto tutto e lo sapeva.

•••

«Come fa di cognome la ragazza ricca?» Chiese Ralph mentre spostavamo l'ultimo scatolone.

«Si chiama Isabel, non "ragazza ricca".»

«Oh scusa.» Alzò gli occhi al cielo prendendomi in giro. «E qual è il cognome di "Isabel"?»
Guardai altrove sistemando cose a caso e potei sentire l'insistente sguardo di Ralph addosso. «Allora?»

«Devo andare a prenderla a scuola.» Dissi cercando di cambiare velocemente discorso.

Mi fermò prendendomi dal braccio prima che potessi uscire e mi guardò serio. «Jason.»

«Cosa?» Domandai seccato. Volevo evitare questa domanda ma, sapevo che Ralph non mi avrebbe lasciato in pace.

«Come si chiama?» Domandò per la terza volta.

Sbuffai passandomi una mano tra i capelli sapendo di non avere scelta. «Isabel... Evans.»

«Evans?» Sgranò leggermente gli occhi, odiava anche solo sentire quel nome e lo capivo. «Stai scherzando? Lavori davvero per quella famiglia?» Chiese incredulo.

«Devo andare.» Non volevo litigare, quindi era meglio per me allontanarmi da li.

«Jason, non legarti a quella ragazza. Gli Evans sono tutti uguali, finirai nei pasticci.»

Lo ignorai e presi la giacca mettendola al volo. Dopo aver salutato Jane andai alla macchina, misi in moto e allacciai la cintura partendo verso scuola. Forse non avrei dovuto portare Isabel al Maple Leaf quella mattina, in effetti non sapevo perché l'avevo fatto. Avrei dovuto portarla al Luxury o in un altro di quei bar che conosceva lei.
Parcheggiai accanto alla scuola e uscii dall'auto appoggiandomici. Tirai fuori una sigaretta e l'accesi rilassandomi al secondo tiro. Non ero solito fumare, ma ogni tanto mi serviva. Guardai verso il portone aspettando di vederla uscire, anche se era ancora molto presto e me ne rendevo conto. Mancava circa mezz'ora al suono della campanella, io però non potevo più stare al Maple, Raplh mi avrebbe tartassato di domande e avvertimenti. Non oso immaginare come avrebbe reagito sapendo che stavo per baciarla e se devo essere onesto, mi spiace non esserci riuscito. Il cellulare iniziò a suonare e guardai il nome sullo schermo rispondendo all'istante.
«Principessa, che succede?» Mi sembrava strano ricevere una sua chiamata durante l'orario scolastico, da quel che avevo capito, era una perfetta studentessa modello.

«C'è un'ora buca e non mi va di restare qui. Il supplente è il prof di ginnastica, ma io non voglio scendere in palestra a fare gli esercizi...» si lamentò.

Risi sentendo il suo tono di voce e nel frattempo tornai a sedermi in macchina. «Allora esci, sono qui fuori.»

«Davvero?» Domandò e potei immaginare l'espressione sorpresa sul suo volto.

«Sì, ho parcheggiato nello stesso posto di stamattina.» La informai.

«Ok, vedo se mi lasciano firmare il permesso ed esco. Ciao!» Staccò e gettai la sigaretta ormai finita. Per qualche ragione mi tornarono in mente le parole di Ralph "non legarti a quella ragazza", non che io mi stessi legando. Io ero solo il suo autista, nulla di più e lei non avrebbe mai visto altro in me. Alla fine era giusto così, io non ero nemmeno il tipo da relazionarsi. Non mi sono mai impegnato seriamente, le ragazze sono sempre state un passatempo. Poi, se mi trovavo li, c'era un motivo e in effetti dovevo iniziare a concentrarmi.
Dopo qualche minuto vidi una ragazza uscire e scendere velocemente gli scalini, Isabel. Accanto a lei c'era il ragazzo della festa che, se ricordavo bene, si chiamava Andrew. Sembrava stessero discutendo, lei affrettò il passo per allontanarsi ma lui la tirò con forza per il braccio facendola scontrare contro il suo petto. Le mie mani si strinsero leggermente attorno al volante e in meno di cinque secondi, mi ritrovai fuori dalla macchina e sbattendo la portiera, andai verso di loro.

«Isabel.» La chiamai e l'attenzione di entrambi si spostò su di me. Lei vedendomi sembrò rilassarsi e avvicinandomi le presi la mano portandola dietro il mio corpo.

«Ma davvero Isabel? Il cameriere impacciato è il tuo autista?» Rise guardandomi e strinsi leggermente i pugni.

«Vattene Andrew.» Rispose Isabel tirandomi delicatamente dal braccio per andare via, ma io non mi mossi.

«Non puoi andartene, non abbiamo finito di parlare.» Ribatté lui bruscamente.

«E invece sì.» Risposi leggermente irritato al posto di Isabel.

«Nessuno ti ha interpellato. Non sei nessuno per rispondere, tu sei qui solo per eseguire gli ordini. Siamo noi che comandiamo, tu sei più una specie di cane.»
Il sangue mi ribolliva dentro e sentii il bisogno di colpirlo forte in viso ma, la mano di Isabel prese piano la mia, stretta in un pugno, e in qualche modo riuscì a calmarmi abbastanza da non stendere l'idiota che avevo davanti.

«Sei davvero spregevole.» Isabel si spostò accanto a me guardando Andrew con disprezzo, poggiando poi la mano sul mio braccio. «Andiamo via, per favore.»
Annuii e mentre il ragazzo ci guardava con l'espressione di uno che aveva in mente qualcosa, io e Isabel tornammo alla macchina. Volevo davvero picchiarlo e se non ci fosse stata lei probabilmente lo avrei fatto.

«Cosa vuole da te?»

«Che gli stia dietro, pretende che faccia come quelle ragazze che a scuola sbavano per lui.»

«Dovresti dirlo ai tuoi genitori se ti infastidisce tanto. Tuo padre farà sicuramente qualcosa.»

«Mhm...» Annuì e io la guardai fermandola per poi alzarle piano il viso.

«Qualcosa non va?»

«No, è tutto ok. Grazie...» entrò in macchina mettendosi ai posti dietro ma non le dissi nulla. C'era qualcosa che sembrava non voler dirmi, ma avrei trovato il modo di tirarglielo fuori. Facendo il giro, entrai anche io in macchina e prima di partire, la sua voce mi fermò. «Aspetta.» Scese dall'auto e si spostò avanti, cosa che mi sorprese, per poi allacciare la cintura.

«Ti porto a casa? O vuoi andare da qualche altra parte?»

«A casa, grazie. Potresti pranzare con me se ti va... i miei sono entrambi fuori.»

La guardai accennando un sorriso mentre partivo. «Mi stai invitando a pranzo con te?»

«Cosa...?» Arrossì di scatto e si torturò le mani iniziando a borbottare. «No, cioè... sì ma... nel senso...»

Risi divertito nel vederla in quella situazione. «Calma, sto scherzando. Comunque va bene, cucini tu?» Sapevo la risposta ma volevo vedere la sua espressione che ancora una volta, mi fece ridere.

«No no, io non so cucinare. Abbiamo dei cuochi molto bravi, ora li chiamo per avvertire che siamo in due.»

«Di loro di prendersi delle ore libere, cuciniamo noi.» Ci sarebbe stato da divertirsi. Isabel mi guardò con gli occhi sgranati, come se avessi detto una pazzia.

«Stai scherzando, vero?»

«Oh andiamo... non dirmi che non sei mai stata in cucina.»

«Beh sì, quando ero piccola aiutavo Marisol a mettere le gocce di cioccolato sui biscotti. Anche se i migliori erano quelli al burro...» disse ricordando.

«E ti divertivi?»

«Sì.»

«Bene, ti divertirai anche questa volta.» La guardai facendole l'occhiolino e lei prese il cellulare chiamando a casa, anche se poco convinta.

•••

Sceso dall'auto seguii Isabel all'ingresso, curioso di vedere la villa dentro. Cercò le chiavi nella borsa e aprì piano facendo prima sbucare la testa per vedere se c'era qualcuno. «Marisol...? Gloria? Albert?» Provò a chiamare quelli che presumevo facessero parte del suo personale, ma non risposero. «Ok sono usciti tutti, credo.»

Mi fece cenno di entrare e la seguii nell'enorme ingresso dove c'erano due grandi scale che si univano in cima portando al piano di sopra. Solo vedendo quel lato, mi sembrava di essere all'ingresso di un castello. Andai con lei nella grande sala dove lasciò le chiavi, tutto era pulito e arredato alla perfezione. «Wow...»

«Cosa?» Domandò confusa.

«Sembra un castello.»

«Ma non l'avevi già vista alla festa?» Rise incrociando le braccia.

«Non questa parte. Ci hanno fatto passare dal retro e abbiamo servito in giardino e nell'altra sala da ricevimento che avete dietro. Oh, poi ci facevano girare anche in cucina ovviamente.»

«Giusto, hai ragione... beh, se vuoi poi te la faccio vedere tutta. Prima però devo andare a cambiarmi, mi aspetti qui? Poi andiamo in cucina.»

«Va bene.»
Si allontanò e io iniziai a curiosare li intorno. Le finestre erano enormi e si vedeva una bella parte del giardino. Il soffitto era alto e più in c'era una scala che portava al piano aperto di sopra, da cui potevo intravedere una libreria e delle poltroncine. Salii silenziosamente e vidi una scrivania in fondo, dove sopra avevano lasciato alcuni sigari. Mi appoggiai alla ringhiera e guardai la sala dall'alto, era più grande di tutto il mio appartamento, anzi... il mio appartamento ci entrava due volte. Isabel tornò e alzando lo sguardo sorrise facendomi cenno di seguirla. Aveva messo una maglia bianca a maniche corte e dei pantaloni neri a vita alta, sembrava dovesse andare da qualche parte. Si raccolse i capelli facendosi una coda e la seguii in cucina.
«Ti vesti bene anche in casa?»

«Non credo di avere altri vestiti comodi oltre il pigiama. Mia madre dice che dobbiamo avere classe sempre, non solo in giro.»

«In casa teoricamente si dovrebbe stare comodi.» Levai la giacca e la cravatta poggiando tutto su una sedia, poi slacciai i primi bottoni della camicia e mi arrotolai le maniche.

«Tu cosa metti a casa?»

«Dipende. I pantaloni della tuta oppure i pantaloncini da basket... se ho tanto caldo resto in boxer e basta.»

«Cosa?» Sgranò gli occhi e le sue guance si colorarono di rosa. Risi mentre lei mi dava una piccola spinta. Si imbarazzava per le piccole cose ed era divertente vederla sorprendersi per nulla.

«Facciamo qualcosa di semplice dato che è la prima volta che cucini... vuoi delle uova? O della pasta magari.»

«Uh sì, mi piace la pasta.» Batté le mani decisa.

«Ok prendi la pasta, io guardo se c'è il sugo, anche se non credo manchi qualcosa qui.» Controllai in frigo e presi intanto qualcosa da bere, poi aprii qualche anta e trovai alcuni barattoli di ragù. Quando misi la roba sul bancone, notai che Isabel stava ancora cercando la pasta. «Giusto, non ci vieni mai in cucina...»

«Trovata!» Indicò in alto e iniziò a saltellare. «Ci sono quasi! Adesso prendo una sedia.»

Passai dietro di lei e prendendola dai fianchi la tirai su facendola sussultare dalla sorpresa. Afferrò la scatola di mezze penne rigate e la tirai giù sfiorandole la guancia. Questa ragazza era divertente. «Arrossisci sempre?»

«Cosa? No! Stavo saltando, sarà per quello.»

«Certo, come vuoi.» Risi e cercai con lei qualche pentola. «Riempi quella con l'acqua, ma non troppo. Poi ci buttiamo il sale.» Annuì facendo come avevo detto e intanto accesi il fornello.

Più tardi apparecchiammo sul bancone della cucina e Isabel si sedette accanto a me guardando soddisfatta i piatti. «Ha un profumino... siamo stati bravi! Alla fine non era difficile, basta mettere l'acqua sul fuoco, poi la pasta...»

La interruppi alzando un dito. «Hai dimenticato il sale.»

«Giusto, il sale!»

Iniziai a mangiare e notai lo sguardo felice di Isabel che mentre si gustava il suo piatto, dondolava le gambe come una bambina. «Buona, è venuta bene.»

«Sì, è vero. La prossima volta la farò da sola.»

«Aiuto...» sussurrai ma in modo che mi sentisse. Mi diede un colpetto sul braccio e risi prendendole la mano per fermarla. «Scherzo principessa.»

«Sarà meglio. Devi avere un po' di fiducia nella tua allieva.»

«Vero.» Annuii e guardandola mi sorse una domanda. «Ho notato che non ci sono foto in giro, come mai?»

«I miei ne tengono solo una di famiglia nei loro uffici, sai... per far vedere che siamo una bella famiglia, felice e sempre sorridente.» Disse con un sorriso finto e la guardai.

«E non lo siete?»

Calò il silenzio per qualche secondo prima di ricevere una sua risposta. «Certo...»
disse letteralmente una parola, ma io ne sentii mille.
Non potevo confermare nulla con certezza, ma avevo le mie teorie. Doveva essere molto sola, non sembrava nemmeno avere molti amici. L'unica ragazza di cui l'avevo sentita parlare probabilmente la usava, anche se lei non se ne rendeva conto. Per quanto riguarda i suoi genitori, sono sempre assenti e alla festa ricordo che non l'avevano degnata di uno sguardo.
«Ora a quanto pare, laverò anche i piatti per la prima volta.» Si alzò sorridendo come se nulla fosse e prese i piatti mettendoli nel lavandino.

«Ti aiuto?»

«Mm... tu se vuoi puoi asciugarli.» Aprì l'acqua calda e cercò sotto al lavandino il detersivo iniziando a leggere tutte le etichette. «Oddio ma sono tantissimi, devo usarli tutti?»

Mi abbassai guardando e le porsi il detersivo giusto. «Gli altri sono per la lavastoviglie.»

«Capito.» Indossò i guanti di gomma e prese la spugna versandoci forse un po' troppo detersivo, perché appena la mise in acqua fece subito un bel po' di schiuma. Iniziò ad insaponare piatti e bicchieri per poi metterli nel secondo lavandino dove iniziai a risciacquarli. Sapevo che voleva fare da sola, ma decisi comunque di darle una mano.

«Non stai andando male, sei un po' lenta ma ci sta per essere la prima volta.»

«Non sono affatto lenta!» Mi guardò con aria sconcertata e risi.

«Facciamo cambio, pulisco io le ultime due cose, tu risciacqua.»

«Come vuoi... vedrai, sarò molto più veloce di te.» Si levò i guanti e ci scambiammo di posto.

«Sicuro.» Iniziai a pulire guardando ogni tanto Isabel che risciacquava concentrata, come se fosse un lavoro di precisione. Dopo due minuti avevamo già finito e Isabel era in cerca di un asciugamano. «Confermo, sei lenta.» Scherzai e lei mi fulminò schizzandomi.

«Non è vero.»

«Mi hai appena schizzato l'acqua addosso?» La guardai con un sopracciglio inarcato e annuì.

«Sì, l'ho fatto.»

Guardai le mie mani ancora sporche di schiuma e gliele appoggiai sulle guance facendola sussultare. «Non l'hai fatto davvero!»

Risi ma tornai serio quando la vidi riempire un bicchiere d'acqua. «Isabel...?» Si avvicinò e io indietreggiai lentamente tenendo le mani avanti. «Non farlo...»
Ci pensò e annuì voltandosi, mi rilassai ma appena due secondi dopo mi ritrovai con la camicia fradicia. La guardai spiazzato a bocca aperta mentre lei rideva di gusto. «Oh... questa me la paghi.» Risi prendendo un altro bicchiere e lo riempii d'acqua mentre Isabel iniziò ad urlare correndo per tutta la cucina. «Vieni qui!» Corsi cercando di non rovesciare l'acqua e quando riuscii finalmente ad afferrare Isabel, la tirai con la schiena contro il mio petto versandole l'acqua addosso.

Tirò un piccolo urlo e si girò continuando a muovere le mani agitata. «Oddio è fredda!»

«Certo che lo è! E ricorda che sei stata tu ad iniziare.» Abbassai lo sguardo sulla sua maglia, che da bianca era diventata leggermente trasparente. Sentii la sua mano sfiorarmi la camicia e le sue guance si colorarono ancora di rosa.

«Ti procuro un'altra camicia.»

«Cosa?» Realizzai solo dopo quello che aveva detto, leggermente distratto da altro.

«Di sopra, ti prendo una camicia asciutta.» Disse.

«Ah sì, grazie.»

Si voltò facendomi strada al piano di sopra, pieno di stanze e corridoi grandi. «Qui ci si può perdere.»

«Che esagerato.» Rise entrando in una stanza che doveva essere la sua. C'era un letto grande, pieno di cuscini e qualche quadro moderno appeso. Vicino alla portafinestra che dava al balcone, c'era una grande libreria piena di libri e piccoli souvenir di alcune città come Parigi, Milano, Roma, Londra, Atene e altro ancora. «Arrivo tra un attimo, prendo la camicia.»
Uscì dalla stanza e andai a vedere cosa c'era dietro la prima porta in fondo alla stanza. Come sospettavo, da un lato c'era il bagno, andando dall'altra parte invece trovai la sua immensa cabina armadio. E qui serviva davvero un GPS per girarci. Frugai sbottonando intanto la camicia, mi guardai intorno e sorrisi appena trovai la zona intimo. Presi un reggiseno leggendo l'etichetta "Victoria's Secret", quasi tutto il suo intimo sembrava essere di quella marca, che a mio parere era davvero niente male.
«Jason!»

Mi girai guardando Isabel rossa come un pomodoro strapparmi di mano il reggiseno e spingermi fuori dalla cabina armadio. «Mi piaceva quella stanza!»

«Quello è il mio armadio!»

«E' davvero un bell'armadio.» Le feci l'occhiolino e mi sfilai la camicia gettandola sul suo letto. Sentii il suo sguardo addosso mentre prendevo la camicia di ricambio e sorrisi. «Se vuoi ti mando una foto.»

«Cosa?» Si risvegliò dal suo stato di trance e appena realizzò quello che avevo detto, mi tirò uno dei suoi piccoli pugni sulla spalla.

«Te la mando, così puoi metterla come sfondo se vuoi.» Tirai fuori il cellulare e andai davanti allo specchio. Scattai una foto e tornando da lei, la inviai. Il suo cellulare era sul letto e si illuminò segnando un nome che non iniziava con la J e che non riuscii a leggere per via della velocità con cui lo afferrò. «Come mi hai salvato?»

«Jason Davies.»

«Non è vero, fammi vedere.» Gettai la camicia e mi avvicinai a Isabel per prenderle il cellulare.

«No Jason! Stai fermo!»

«Voglio vedere come mi hai registrato.» La presi su una spalla e la coricai sul letto mettendomi sopra di lei. Le bloccai il polso e sfilandole il cellulare guardai finalmente il nome.

«Jason!»

«"Occhi di ghiaccio"?» Scoppiai a ridere e lei mi spinse via alzandosi. Prese il cellulare di scatto e andò nella cabina armadio chiudendo a chiave. «Non fare l'offesa! Vieni qui!» Risi coricandomi sul letto guardando verso la porta aspettando di vederla uscire, ma non rispose nemmeno. «Dai Isabel! Nemmeno io ti ho salvata con il tuo nome.» La serratura della porta scattò e uscì con una maglia nera stavolta.

«Non m'importa. Non hai il diritto di prendermi il cellulare... comunque, fammi vedere.» Disse con aria offesa avvicinandosi al letto. Mi misi seduto e la tirai accanto a me mostrandole il suo contatto. «Mi hai salvata davvero come "Principessa"

«Vogliamo tornare a parlare di come mi hai salvato tu?» Risi e lei incrociò le braccia. «Quindi ti piacciono i miei occhi...»

«Sta zitto.»

Iniziai a farle il solletico e lei cercò velocemente di respingermi tirando delle piccole urla mentre rideva. «Bene! Ho trovato il tuo punto debole!»

«Fermo!» Rise dimenandosi e mi piazzai sopra di lei bloccandola piano dai polsi. Riprese fiato e rise guardandomi per poi calmarsi pochi istanti dopo. «Perché sei ancora nudo? Metti la camicia.»
La guardai alcuni secondi prima di alzarmi e afferrare la camicia indossandola. Lei si tirò su e avvicinandosi mi sistemò il colletto. «Sono ancora arrabbiata comunque.»

«Non è vero.» Sapevo che mentiva, si poteva vedere nei suoi occhi che era divertita.

«Invece sì.» Insistette.

Alzò lo sguardo e le sfiorai la guancia. Qualcosa mi spingeva ad avvicinarmi di più, dall'altro lato però sapevo che era meglio stare alla larga da lei. Io giocavo, ma lei non era una ragazza con cui giocare, avrebbe finito con il spezzarsi. Era troppo innocente per uno come me, per questo quando avvicinai troppo il viso al suo, mi fermai. La guardai e piegando la testa di lato, poggiai le labbra sulla sua guancia.
«Devo andare, se hai bisogno chiamami, va bene?»
Annuì spostando lo sguardo e uscito dalla stanza, scesi di sotto a prendere le mie cose. Sentii scattare la serratura della porta d'ingresso e prendendo velocemente la giacca, passai dal retro andando alla macchina. Non volevo sapere cosa sarebbe successo se mi avessero trovato in casa loro.

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