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Capitolo 56

Il mattino seguente, il mio risveglio fu meraviglioso. Jason mi aveva preparato la colazione portandomela direttamente a letto. Era rimasto con me tutta la mattina tra le coperte a coccolami, ero più felice che mai, nessuno avrebbe potuto in alcun modo farmi sentire giù di morale. Non riuscivo a levarmi il sorriso dalla faccia e più tardi, stavo girando per casa canticchiando con addosso solo una maglia lunga e dei pantaloncini corti. Jason, purtroppo, era andato via un'ora prima di pranzo per spostare i soldi in un'altro luogo sicuro, dicendomi che ci saremmo visti più tardi. La mia gioia, ad ogni modo, era talmente tanta che chiamai Diana al cellulare finendo per aggiornarla e impazzire di felicità insieme a lei. Andrew ogni tanto cercava di contattarmi, ma io lo ignoravo per poter fare nulla sul divano. Abbracciavo il cuscino ripensando continuamente alla sera precedente con il sorriso sul volto. Più tardi però, sentii suonare e bussare più volte alla porta, così, mi ritrovai costretta ad aprire. Era incredibile, avevo Andrew davanti, ma ero lo stesso felice. Il suo umore era l'opposto del mio e il suo sguardo era degno di quello di un assassino. Le sue mani erano serrate in due pugni e non appena entrò in casa, si guardò attentamente intorno. «So che sei stata tu!»

«A fare cosa?» Domandai camminandogli tranquillamente davanti facendo la finta ingenua.

«Isabel, sono già fuori di me. Evita di giocare perché non sono proprio in vena. Hai rubato l'incasso, le foto e... la mia chiavetta.» Disse pronunciando l'ultima parola a denti stretti.

«Non so di cosa parli.» Dissi incrociando le braccia al petto per poi mimare con le labbra, "provalo".

Il suo viso diventò rosso dalla rabbia e prendendomi per il braccio, mi strattonò. «Dimmi dove sono i miei soldi!»

«Non volevi darli in beneficenza?» Domandai accennando un sorriso. «Forse li hai inviati prima di partire e te ne sei dimenticato.»

Afferrando un bicchiere che avevo lasciato sul bancone, lo tirò a terra tirando un urlo di frustrazione, per poi scostarmi i capelli e guardarmi il collo. «Sei stata a letto con il bastardo?!» Domandò spiazzato.

«Sta zitto Andrew. Tu sei l'ultimo a dover parlare.» Alzai gli occhi al cielo e lo spintonai levandomi dalla sua presa.

«A te non deve importare quello che faccio. Tu sei la mia fidanzata, mi devi portare rispetto e non... fare la troia mentre io sono via.»

Risi sarcastica guardandolo e scossi la testa impressionata dalla sua stupidità. «Perché non mi mostri i video di sorveglianza del tuo ufficio? Oppure... perché non mi spieghi come il braccialetto di Megan fosse finito sotto il tuo letto?» Mi avvicinai accarezzandogli la guancia. «Lascia che ti dica una cosa per il tuo bene. Chiudi la bocca, perché fai più bella figura.» Facendo il giro, andai a prendere l'anello che avevo raccolto e lasciato sul mobile, e lo consegnai a Andrew. «Riprendilo, non ho mai voluto stare con te. Sono innamorata di Jason e nessuno potrà mai cambiare le cose.» Incrociai le braccia al petto proseguendo. «E vorrei dirti un'altra cosa.» Alzai l'indice guardandolo negli occhi. «Hai fatto tante cose brutte, ma non credo tu sia cattivo... penso solo che tu ti sia sentito in trappola, così come è successo a me. Però puoi cambiare le cose, puoi dire 'no', hai una scelta. Non lasciare che siano gli altri a dirti cosa fare o a metterti i piedi in testa.» Le cose che avevo detto erano sincere. Andrew, frustrato, tirò un pugno sul bancone e uscì a passo svelto dall'appartamento. Guardai la porta d'ingresso aperta, domandandomi se mi avrebbe mai ascoltata. Mentre stavo per andare a chiudere la porta, vidi Sam uscire lentamente dall'appartamento guardandosi intorno.

«Isabel, cos'è successo?» Domandò con aria un po' assonnata, era ancora in pigiama.

«Vieni, ti racconto.» Accennai un sorriso e lo lasciai entrare in fretta per poi richiudere alle nostre spalle.

•••

Nel tardo pomeriggio, Jason mi mandò un messaggio dicendomi di raggiungerlo urgentemente. Mi ero subito vestita e prendendo l'auto, lo avevo raggiunto il più in fretta possibile a casa di Sylvia. Parcheggiai nella residenza e appena scesa, mi incamminai velocemente verso Jason che fumava una sigaretta seduto sulla piccola scalinata della villa. Il fatto che stesse fumando, mi fece capire che qualcosa davvero non andava. «Jason...»

Alzò lo sguardo non appena lo chiamai e sedendomi accanto a lui, mi tirò a se baciandomi la fronte. «Ehi...»

«Cosa succede?»

Restò qualche secondo in silenzio e sospirando, strinse la mia mano nella sua. «Non ti ho mai detto perché mi trovassi quasi sempre qui nell'ultimo periodo.»

«Sylvia mi ha detto che era per via dell'auto...»

«No.» Scosse subito la testa. «Non era per quello.» Lo guardai confusa aspettando proseguisse. «Lei aveva scoperto qualcosa su di me, ma ha aspettato a dirmelo, perché non era sicura.»

«Jason, mi stai preoccupando. Cosa avrebbe scoperto?» Intrecciai le dita alle sue e dopo aver spento la sigaretta, mi guardò.

«Vieni, te lo mostro.»

Mi alzai seguendolo dentro casa e mi lasciai condurre verso la sala. Sul tavolino davanti al divano, c'erano delle foto vecchie e un po' rovinate ai bordi, alcune in bianco e nero, altre addirittura color seppia. Mi sedetti accanto a Jason e le guardai ancora senza capire. «Questa è Sylvia da bambina...» disse mostrandomi la piccola foto color seppia, «questo è suo fratello» spiegò indicando il bambino poco più alto di lei. «Si chiamava Fred, era mio nonno.»

Trattenni il fiato guardando lui e poi di nuovo la foto. «Tuo nonno...?» Domandai incredula. «Il nonno paterno di cui mi hai parlato?»

«Esatto...» annuì guardando altre foto. «Sylvia, nel momento in cui decise di sposare Arthur, non lo vide più. Mio nonno era una testa calda e per qualche motivo, non gli andava a genio che lo sposasse.»

«Ma...» sospirai cercando di formulare una domanda alla volta. «Io non so cosa domandarti prima...»

«Lo so.» Si passò una mano tra i capelli e guardandolo, gli accarezzai la schiena.

«Non sono mai riusciti a risolvere?» Domandai tristemente e Jason scosse subito la testa.

«Sei arrabbiato?»

«Certo.» Rispose immediatamente. «Sono arrabbiato con entrambi. Mio nonno non doveva mettersi in mezzo alla loro relazione, Sylvia e Arthur erano innamorati, doveva lasciarli stare. Ma lei avrebbe dovuto trovare un modo per riappacificarsi con lui. Dice di averlo fatto, ma forse non ha fatto abbastanza!»

Presi la mano a Jason stringendola. «Ehi, stiamo parlando di Sylvia... non credi abbia tentato il tutto e per tutto? Tu stesso hai detto che tuo nonno era un po'...» cercai la parola adatta. «Difficile.» Era incredibile ciò che mi stava dicendo. Jason era praticamente il nipote di Sylvia e si erano ritrovati dopo tutti questi anni. «Tu non sei davvero arrabbiato con lei, vero? C'è dell'altro.»

Non mi rispose subito, ma quando alzò lo sguardo annuì. «Sì, è vero, sono arrabbiato per altro.»

«Ti va di dirmi per cosa?» Domandai tranquillamente.

«Sono arrabbiato perché lei ora... sta morendo.»

Persi un battito a quelle parole, non poteva essere vero. Mi rifiutavo di crederci, Sylvia non poteva andarsene, tanto meno dopo questa rivelazione. Scossi velocemente la testa alzandomi con gli occhi leggermente lucidi. «No, no, no. Jason...» risi nervosamente, «cosa stai dicendo? Sylvia non sta morendo.» Dissi in tono fermo e stavolta fu lui ad alzarsi per cercare di non farmi agitare. I ruoli si erano subito invertiti. «Dov'è adesso?»

«Isabel, siediti.»

«No.» Andai verso la porta ma Jason mi bloccò facendomi voltare.

«Le hanno diagnosticato il cancro ma è ad uno stadio troppo avanzato. Ha provato qualche cura non appena lo ha saputo, ma non ci sono stati miglioramenti. Non c'è più nulla da fare...» disse tenendo le mani sulle mie spalle. Chiusi gli occhi lasciando scivolare qualche lacrima e sentii le braccia di Jason avvolgersi intorno al mio corpo. Ricambiai l'abbraccio di cui entrambi avevamo bisogno e cercai di riprendermi. Ero qui per Jason e Sylvia, non potevo piangere, dovevo essere più forte, per entrambi. Mi staccai dopo qualche secondo asciugando le guance e feci un respiro profondo.

«Da quanto lo sai?»

Jason mi guardò dispiaciuto. «Se devo essere sincero, sospettavo da un po' che fosse qualcosa di grave, ma Sylvia me lo ha confermato solo un'ora fa.»

«Lei è nella sua stanza?» Dovevo vederla, non sapevo cosa le avrei detto, ma avevo bisogno di stare un po' con lei.

«Sì, sta riposando.»

Annuii e tornai a sedermi sul divano guardando le foto. Sylvia e Fred sembravano volersi bene, mi sembrava strano avessero litigato solo per Arthur. «Ti ha detto altro?»

«No, era troppo stanca, così l'ho lasciata riposare... ha detto che non appena si svegliava, ci faceva chiamare.»

«Ci?» Domandai e annuì subito.

«Mi ha chiesto di chiamarti.» Si risedette accanto a me guardando un punto indefinito. «Il personale mi ha fatto sapere che non accetta più visite nemmeno dagli altri nipoti.»

«Tiene a loro ma...» pressai le labbra, «è complicato.»

«Sì, mi ha accennato qualcosa.»
Iniziai a girare per il salotto rielaborando le ultime notizie. Fino a qualche ora prima, era convinta che nulla avrebbe potuto rovinare la mia felicità, ma evidentemente mi ero sbagliata. Sylvia stava morendo e non c'era modo di salvarla. Jason si avvicinò abbracciandomi e mi lasciò un bacio sulla tempia. «Signorino Jason?» Uno dei maggiordomi si fermò sulla porta attirando la nostra attenzione. «Mrs Districk chiede di voi.»

«Arriviamo, grazie.» Jason mi guardò e stringendogli la mano, mi diressi con lui al piano di sopra. Non potei non notare come lui si fosse ambientato, sembrava conoscere il personale e la casa, molto bene. Ci fermammo davanti alla grande porta di legno scuro e dopo aver bussato, una delle governanti aprì lasciandoci entrare. Sylvia era coricata nel suo letto a baldacchino, pallida, appoggiata ai cuscini e aveva un foulard color pesca che le copriva i capelli. Avevo quasi faticato a riconoscerla, era dimagrita dall'ultima volta che l'avevo vista. Accennò un sorriso e vedendomi, allungò la mano. Lasciai quella di Jason avvicinandomi subito a lei con gli occhi leggermente lucidi.

«Sylvia...» sussurrai sedendomi accanto a lei mentre le stringevo piano la mano. «Ma perché non mi ha detto nulla?»

«E a cosa sarebbe servito? Non volevo far stare le persone in pena.» Sospirò sistemandosi contro i cuscini che aveva dietro la schiena e allungò la mano verso la tazza sul comodino che le passai subito.

«Cioccolata con questo caldo?» Accennai una risata, era la solita.

«Lo ammetto, sono una persona molto golosa.» Rispose sorridendo. «Immagino che Jason ti abbia già accennato qualcosa.» Lo guardò e gli fece cenno di avvicinarsi all'altro lato del letto. «Mi dispiace tanto di non aver avuto modo di conoscere anche Ralph e Jane.» Disse guardandolo.

«Sylvia? Se posso chiedere... come mai ha litigato con suo fratello Fred?»

Guardò un punto indefinito e nel ricordare, sembrò intristirsi. «Fred pensava che Arthur non mi avrebbe resa felice e che l'unica cosa che gli importava, era sposarsi per ricevere l'eredità che gli sarebbe spettata. In più voleva restassi in Canada, perché la nostra famiglia per generazioni ha vissuto nella stessa cittadina.» Accennò un sorriso triste stringendo la tazza tra le mani. «Quando me ne sono andata, lui non mi ha più rivolto la parola... ho provato a risolvere ma mi ha tagliata fuori dalla sua vita. Non seppi più nulla di lui, nessuno mi avvertì quando si sposò e non mi avvertirono nemmeno quando ebbe il suo primo e unico figlio... tuo padre.» Disse guardando Jason.

«Suo marito Arthur non ha venduto a caso il frutteto, non è così?» Domandai.

«No, infatti.» Sorseggiò un altro po' di cioccolata per poi rimettere la tazza sul comodino.

«Quindi hai conosciuto mio padre?» Jason la guardò.

«Non proprio, ci avevo parlato solo una volta e non conoscevo il suo cognome.» Chiuse alcuni secondi gli occhi e le accarezzai la mano.

«Sylvia...» la richiamai sentendo una stretta allo stomaco. Socchiuse gli occhi e sospirando, sembrò cercare di farsi forza.

«Ho mandato il mio avvocato a parlare con Mark Evans...» sussurrò. «Il frutteto ora è di tua proprietà... Jason.» Lo guardò mentre lui socchiuse le labbra dalla sorpresa.

«Cosa...?»

«So che ci tieni, è un luogo speciale anche per me e sarei felice sapendolo nelle tue mani. Da quello che mi hai raccontato, hai passato momenti bellissimi con tuo padre e con Isabel.»
Sorrisi e spostai lo sguardo sul soffitto per trattenere le lacrime. Sylvia anche in momenti come questi, pensava ad aiutare gli altri. «Cara, cosa fai? Piangi?» Domandò, ma io non le risposi, non avrei retto. Non mi voltai neanche a guardarla e dopo qualche istante, sentii Jason fare il giro e venire ad abbracciarmi. «Empatia.»

La guardai e annuii ricomponendomi. Aveva ragione, dovevo mettermi nei suoi panni e capire che, al suo posto, non avrei voluto vedere gli altri stare male... al contrario, dovevamo farla sorridere. «Ha davvero riacquistato il frutteto?»

«Certo, non poteva restare nelle mani sbagliate.»

«Io non so cosa dire...» Jason si passò una mano dietro il collo guardandola. «Grazie...»

«Non c'è di che. Sono sicura che anche Lily sarebbe contenta di questa mia decisione.»

Mi illuminai appena sentii quel nome. «Mia nonna...? Conosceva mia nonna?»

«Se la conoscevo? Era una delle mie migliori amiche in assoluto.» Ridacchiò indicando una delle foto sul comodino su cui c'erano raffigurate due bellissime donne.

«Ti assomiglia.» Jason sorrise guardando la foto da più vicino.

«Hai proprio ragione, le assomiglia in tutto e per tutto. Entrambe bellissime e dal cuore d'oro...»

La abbracciai per poi restare seduta accanto a lei tenendole la mano. «Certo che ne ha tenuti di segreti.»

«Sì, mi piace offrire alle persone dei bei colpi di scena.» Disse con aria fiera facendomi ridere. «Comunque, caro Jason, ricorda di festeggiare. Questa ragazza non ha più l'anello al dito, per fortuna ha capito di aver fatto una...»

«Mrs Districk!» La guardai di scatto non lasciandole finire la frase e lei alzò le spalle.

«Stavo dicendo "cavolata".» Disse in sua difesa facendo ridere Jason.

Restammo con lei parecchio tempo, facendoci raccontare alcuni episodi divertenti che aveva vissuto con mia nonna Lily, Arthur e anche con Fred. I suoi occhi brillavano mentre li ricordava e pronunciava i loro nomi. Sylvia teneva una mano sulla mia e l'altra su quella di Jason, sembrava sempre più stanca, ma felice. A ormai tarda sera, la sua infermiera personale, entrò nella stanza dicendoci che sarebbe stato meglio lasciarla riposare. Non volevo andare via, ma sapevo che aveva ragione. «Verremo a trovarla domani, va bene?»

«Voi potete venire ogni volta che vi va!» Sorrise socchiudendo gli occhi. «Potresti leggermi qualche altro capitolo di Peter Pan, lo abbiamo interrotto tempo fa e mi piacerebbe tanto proseguire il racconto.»

«Ma certo.» Sorrisi abbracciandola e dopo averla salutata, uscii dalla stanza lasciandola con Jason. Iniziai a camminare lungo il corridoio, fermandomi poi davanti alle grandi finestre da cui si vedeva il giardino. Non riuscivo a capacitarmi di quello che stava succedendo, probabilmente lo avrei realizzato tardi... troppo tardi. Andai sul grande balcone e mi appoggiai al bordo guardando il cielo, ora blu, ma privo di stelle. Sentii delle voci provenire dal piano di sotto, appartenevano al personale. Si domandavano tristemente cosa ne sarebbe stato di loro e della casa, dopo la morte di Sylvia. Nessuno sembrava sapere cosa fare, qualcuno si mise addirittura a piangere, il che mi rese ancora più triste. Jason mi affiancò con aria pensierosa, non disse nulla e nemmeno io, non sarebbe servito. Avvolse le braccia attorno alla mia vita abbracciandomi da dietro e poggiando il mento sulla mia spalla, guardò anche lui il cielo, lasciando che l'aria fresca ci stuzzicasse il viso.

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