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Capitolo 55

Controllai l'ora e andai velocemente a cercare qualcosa da mettere, dovevo sbrigarmi. Afferrai un vestito corto, bordeaux, con le spalline sottili e delle scarpe nere con il tacco. Legai i capelli e afferrai la pochette, spegnendo tutte le luci prima di uscire dall'appartamento. Mi arrivò un messaggio e sorrisi avvisando i ragazzi prima di andare al piano di sotto, dove Diana mi aspettava. Indossava un abito leggero, arrivava al ginocchio e le spalline erano sottili, mentre i capelli neri le ricadevano lisci sulle spalle. «Ciao Diana!» La abbracciai sorridendo. «Sei stupenda!»

«Grazie, anche tu.» Sorrise e uscii con lei dopo qualche secondo, andando alla sua macchina. Mi sedetti al posto del passeggero e dopo aver allacciato la cintura, aspettai che Diana partisse e facesse il giro del palazzo.

«Quindi... stasera esci con Colson dopo tempo.» La guardai e lei arrossì sorridendo.

«Già, ma usciamo da amici.»

«Sicura?» La guardai accennando un sorriso divertito e annuì. «Beh, è bello il fatto che siate rimasti in buoni rapporti, sono felice per voi.»

«Grazie! Anche io sono felice, non lo vedo da tanto e anche se non stiamo più insieme, ho sempre pensato non ci sarebbe stato nulla di male nel restare amici.»

«No, infatti. Non c'è assolutamente nulla di male, vi siete anche lasciati in buoni rapporti.»

«Isabel?»

«Dimmi.»

«Che cosa stai combinando?» Fermandosi ad un semaforo, mi guardò.

Non potevo coinvolgerla, volevo tenerla lontana dai possibili guai, ma era anche vero che le dovevo delle spiegazioni. «Mi dispiace tanto Diana, ma non posso dirtelo...»

«Perché? Non starai progettando qualcosa di folle, vero?» Mi guardò alzando un sopracciglio e in risposta, sorrisi nervosamente facendola sospirare. «Isabel...»

«Ascolta D, so che sei la mia migliore amica, ma non voglio metterti nei guai. Quando sarà tutto finito, ti racconterò... in fondo è il minimo che possa fare. Fidati di me.»

Sospirò poco convinta e ripartì quando il semaforo diventò verde. «Mi fido, ma stai attenta per favore.»

Durante il tragitto, aggiornai Diana raccontandole di Andrew e di come pensasse non mi fossi accorta del fatto che mi tradisse con Megan. Cosa di cui non m'importava e che in realtà sospettavo, al contrario di Diana che mi guardò scioccata spostando lo sguardo da me alla strada. Iniziò ad insultarlo, il che mi fece ridere, non l'avevo mai sentita parlare in quel modo. «Non pensavo ne restassi così sorpresa.» Dissi indicandole dove andare.

«Invece sì! Siete fidanzati!»

«Nemmeno io sono stata leale.» Alzai le spalle pressando le labbra. 

«Lo so ma... non è quello. Andrew ti ha praticamente minacciata e avvertita di stare lontana da Jason, quando lui andava a letto con la tua ex migliore amica. Come si può essere tanto incoerenti e spregevoli?» Si fermò vicina al frutteto e spense l'auto. «Poi però devi raccontarmi bene come vi siete riappacificati tu e Jason. State insieme?»

«No... non lo so, non ne abbiamo mai parlato in realtà.» Arrossii guardando fuori.

«Sei innamorata di lui da tanto, non è vero?»

La guardai e ad entrambe spuntò il sorriso sulle labbra. Scesi dall'auto e dopo aver salutato Diana con un cenno della mano, passai tra gli alberi raggiungendo la casetta sull'albero. Un po' distante, c'era parcheggiata una vecchia auto grigia che non avevo mai visto. Salii ed entrando nella casetta, trovai Jason vestito di nero, con il cappuccio tirato su che controllava il portatile. Sorrise non appena incrociò il mio sguardo e avvicinandomi, gli stampai un bacio sulla guancia. «Ciao.»

«Ciao.» Mi squadrò sorridendo andando poi verso il borsone. «Pronta per la festa?»

«Certo, devo solo cambiare outfit.» Gettai la pochette dietro il baule e mi sfilai i tacchi, mentre Jason mi passava un cambio. Ci guardammo negli occhi per diversi secondi e incrociando le braccia al petto, risi. «Posso cambiarmi?»

«Oh, certo.» Mi diede le spalle e ridendo, mi piazzai davanti a lui spingendolo piano verso la porta. «Ehi! Non guardo!»

«Sì Jason, lo so.» Alzai gli occhi al cielo sorridendo e quando lo sentii scendere dalla scaletta, iniziai a cambiarmi velocemente. Infilai i pantaloni e la felpa nera per poi allacciarmi le scarpe. Slegai i capelli lasciandoli ricadere sulle spalle e afferrai i borsoni vuoti dopo aver nascosto gli altri vestiti in uno zaino. Li passai a Jason che li portò alla macchina insieme al computer e guardando l'ora, feci un respiro profondo ripensando all'ultima ora. Mi ero vestita bene, Diana era passata a prendermi facendosi vedere con me dalle telecamere all'ingresso del mio palazzo e dal portinaio. Jason, da quello che mi aveva detto, si era fatto riprendere dalle telecamere di un bar insieme a diverse persone, prima di venire qui e cambiarsi anche lui d'abito. Diana era davvero la migliore amica che una persona potesse avere, se qualcuno avesse fatto domande, lei mi avrebbe coperta. Scesi giù dopo aver preso il portatile e lo misi in auto con i borsoni. «Dove hai preso questa macchina?» Domandai chiudendo la portiera dietro.

«Il vecchio proprietario voleva rottamarla perché ne aveva presa una nuova e questa aveva il motore andato. In questi giorni l'ho sistemata e ho cambiato la targa.»

«Cosa ne farai una volta finito il lavoro?»

«La mando a rottamare da uno di fiducia da cui mandiamo anche i clienti dell'officina.» Disse semplicemente alzando di spalle.

«Ok, bene.» Annuii torturandomi i polsini della felpa. Jason si avvicinò prendendomi le mani e accarezzandole mi guardò negli occhi. Non era la prima volta che facevo una cosa del genere, ma ero lo stesso nervosa.

«Ehi, tranquilla.» Mi tirò a se baciandomi la fronte. «Andrà tutto bene, abbiamo lavorato su questo piano a lungo.»

«Lo so, andiamo.» Accennai un sorriso e salii in auto mentre Jason gettava lo zaino con i vestiti, sui sedili dietro.

Appena partiti, guardai Jason. Sembrava calmo, sicuramente più di quanto potessi esserlo io in quel momento. I suoi occhi erano fissi sulla strada e dopo un po', probabilmente si sentì osservato perché mi osservò di sfuggita e accennando un sorriso, mise la mano sulla mia. Sorrisi sentendomi in qualche modo più tranquilla e controllai il cellulare, c'era una chiamata persa che ignorai mettendo il silenzioso. Ripensai mentalmente al piano e a tutti i passaggi che avremmo dovuto seguire per entrare inosservati al Classic, non potevamo fare errori. «Non dovresti pensarci troppo, andrà bene.» Jason sembrò leggermi nel pensiero. «Distraiti. Parlami di qualcosa.»

«Di cosa dovrei parlarti?» Risi guardandolo.

«Quello che vuoi, se non sai cosa dire, puoi cantare.»

Risi di nuovo coprendomi il viso. «Non so cantare.»

«Non è vero! Ti ho sentita e non sei affatto male.» Mi guardò di sfuggita sorridendo mentre svoltava ad un incrocio.

«Parli tu.»

«Modestamente, non sono malaccio.» Ridacchiò e dopo qualche minuto, parcheggiò sul retro del locale, dietro a dei cespugli abbastanza alti, fuori dalla vista delle telecamere. Era il momento di metterci al lavoro. «Ok.» Jason prese il portatile e tirando indietro il sedile per stare più comodo, lo accese. «Disattivo le telecamere esterne per cinque minuti, il tempo di entrare. Dopo, penserò a quelle che ci sono in ufficio.»

«Va bene.»

«Sicura di riuscire a disattivare l'allarme entro quei cinque minuti?» Mi guardò e annuii sentendo una stretta allo stomaco dovuta all'agitazione. Jason aprì una schermata e lo vidi subito più concentrato che mai. Codici e numeri scorrevano veloci sulla pagina nera. Prendendo lo zainetto, frugai nella tasca e tirai fuori la copia delle chiavi del locale. Jason sospirò levando le mani dalla tastiera e aspettò diversi secondi. «Dai... dai...» lo sentii sussurrare tra se e se. Dopo un po' socchiuse il computer e mi guardò, sembrava volesse dirmi qualcosa di negativo, ma sorrise. «Fatto.» Sorrisi abbracciandolo e scesi velocemente dall'auto prendendogli il computer. «Tu disattiva l'allarme, io prendo i borsoni.»

«Sì.» Indossai un paio di guanti neri e corsi verso il retro guardando l'anta vicino al contatore, era chiusa con un lucchetto. Appoggiai il portatile su un ripiano e presi dalla tasca due graffette. Fortunatamente il lucchetto era classico, aprirlo non era difficile, ci impiegai meno di un minuto. Aprii l'anta e controllai velocemente i cavi ingarbugliati. Una volta trovato quello che mi serviva, lo collegai al computer. Entrai nel sistema e due schermate si aprirono subito mostrandomi una serie di codici. Non potevo fare errori o avrei anche potuto far suonare l'allarme rovinando tutto il piano. Sbirciai l'ora, avevo ancora due minuti ovvero, meno di quanto pensassi. Sentii due mani toccarmi delicatamente le spalle tese, Jason era dietro di me e mi guardava. Accennai un sorriso e iniziai a modificare velocemente i codici digitando sulla tastiera. «Un minuto esatto...» sussurrai dando un'altra occhiata all'orologio.

«Stai andando bene, non guardare quanto manca. Ce la fai, lo so.» Sussurrò Jason al mio orecchio. Sorrisi annuendo e subito dopo esultai vedendo la scritta "allarme disattivato". Staccai il cavo e chiusi velocemente l'anta mentre Jason apriva la porta. Mancavano cinque secondi, le telecamere si sarebbero riattivate. Spinsi dentro i borsoni e Jason mi tirò velocemente prima di chiudere la porta con un calcio. Era tutto buio e toccando la parete, cercai l'interruttore della luce, ma Jason mi bloccò accendendo una torcia. «Prendi, io ne ho un'altra nel borsone. Vado a disattivare le altre telecamere, appena ho fatto ti mando un messaggio.»

«Va bene, io vado già verso l'ufficio.» Misi un borsone in spalla e puntai la torcia lungo il corridoio separandomi da Jason. Guardandomi intorno, mi fermai cambiando strada e andai verso la zona bar guardando la cassa. Era chiusa, così mi inginocchiai frugando tra i cassetti e le ante alla ricerca della chiave. Non era da nessuna parte, quindi, Andrew la teneva quasi sicuramente nel suo ufficio. Sentii il cellulare vibrare e controllandolo, notai il messaggio di Jason, aveva disattivato definitivamente tutte le telecamere all'interno e all'esterno del locale. Mi incamminai di nuovo verso l'ufficio a passo svelto, volevo sbrigarmi, uscire di qui con Jason assicurandomi che non ci fossero problemi. Aprii la porta dell'ufficio nel momento in cui vidi Jason in lontananza venire verso di me. Gli feci cenno di sbrigarsi e una volta dentro, ci guardammo intorno attentamente. Tutto era in ordine e non c'erano molti posti in cui potesse nascondere una cassaforte. Puntai la torcia verso il grande quadro sulla parete e sorrisi notandolo leggermente storto. «Un classico...»

Jason mi affiancò e tirando giù il quadro, restò sorpreso nel notare che effettivamente, c'era una cassaforte. «Banale.»

«Le persone pensano sia talmente banale che non guardando neanche e di conseguenza, questo risulta furbo a volte.» Risi inserendo il codice che ormai già conoscevo e quando sentimmo scattare la serratura, da parte di entrambi uscì un sospiro di sollievo. Tirai fuori parecchie buste bianche, tutte con fuori scritto quanti soldi ci fossero all'interno di ciascuna busta. Era l'incasso delle ultime tre settimane. Jason versò nel primo borsone solo i soldi, il secondo era riservato a tutte le foto che Andrew aveva fatto per incastrare Jason. «In questa cartella ci sono i fogli che dimostrano la finta beneficenza che stanno facendo Andrew e Megan.»

«Perché non facciamo qualche fotocopia?» Jason accennò un sorriso e prendendomi la cartella dalle mani, andò alla stampate che c'era vicino alla porta. «Quando torna in città lo stronzo?»

«Domani. È stato da suo nonno per qualche giorno.»

«Non era una settimana? O ricordo male?» Domandò mentre iniziava a stampare le prime pagine.

«Gli ultimi giorni li passa in albergo con Megan.» Dissi e in quel momento, Jason accese la luce guardandomi con le sopracciglia sollevate dalla sorpresa.

«Scusami?»

«Jason! Spegni la luce!» Lo rimproverai agitata mentre lui premette tranquillo sull'interruttore puntando la torcia su di me e alzando gli occhi al cielo, feci lo stesso con lui.

«Quel coglione ha il coraggio di chiederti la mano, ordinarti di starmi lontano... e ti tradisce?» Domandò facendosi sfuggire una risata sarcastica.

«Già, la coerenza non è il suo forte.» Tornai a svuotare la cassaforte, dopodiché, passai a controllare la scrivania. Era vuota e nei cassetti non c'era nulla di rilevante. «Usciti di qui, dove vai?»

Jason raccolse i fogli e mi guardò qualche istante prima di rispondere. «Da Sylvia.» Disse riportandomi la cartella che misi di nuovo nella cassaforte.

«Cosa vai a fare da Sylvia?» Domandai confusa.

«Non mi sono fatto riprendere dalle telecamere di un bar. Lei è il mio alibi.»

«Cosa?» Lo guardai spiazzata.

«Mi ha chiamato lei, vuole parlare di qualcosa e sembra importante. Non sembra stare neanche molto bene in realtà.» Mi guardò chiudendo la zip dei borsoni. «La vedo meno attiva del solito, è pallida e sembra debole.»

«L'ho incontrata in ospedale un giorno, anche a me è sembrato che non stesse bene.» Confermai cercando di scacciare alcuni pensieri negativi dalla mia testa. Era evidente che non stesse bene e mi chiedevo perché avesse chiamato Jason per parlare e non me. Non ero gelosa del fatto che stessero legando, ci tenevo a lei e volevo solo essere sicura che stesse bene.

«Mi chiede sempre di te.» Jason mi accarezzò la spalla e accennai un sorriso. Puntando lo sguardo sul computer di Andrew, mi sedetti alla sua scrivania e lo accesi. «Cosa fai?» Jason si spostò dietro di me.

«Potrebbe avere qualcosa sul computer.» Spiegai cercando di trovare la password. Jason nel frattempo tentò di aprire un cassetto che io non avevo nemmeno notato, ma era chiuso a chiave.

«Qui c'è sicuramente qualcosa.» Cercò di tirare più forte ma spostò solo un lato della la scrivania. «Ho un cacciavite.» Disse illuminandosi mentre frugava in una delle tasche dei borsoni.

«Sei preparato. Non hai anche un piede di porco per caso? Così prendiamo anche i soldi rimasti nella cassa.» Dissi sarcastica facendomi scappare una risata. Jason invece mi guardò diversi istanti con aria pensierosa.

«No ma... posso aprirla in qualche modo.» Corse fuori lasciandomi lì un po' perplessa ma, facendo spallucce, tornai al mio lavoro. Collegai il mio portatile al suo computer per trovare la password e, una volta riuscita, iniziai a controllare tutte le cartelle. Ne aveva tante, alcune aveva provato a nasconderle ma non aveva fatto un buon lavoro. Cancellai le foto e i video di sorveglianza che aveva raccolto per accusare Jason e mi assicurai non ce ne fossero altri. Ad ogni modo, non mi sembrava abbastanza... dopo averci pensato su, cancellai qualsiasi cosa sul computer resettandolo. Jason arrivò qualche minuto dopo con aria soddisfatta e il cacciavite in mano. Si abbassò e dopo qualche istante, ruppe la chiusura del cassetto che scivolò indietro aprendosi. Dentro c'era una chiavetta USB rossa, Jason me la passò e senza esitare, la inserii nel computer per vedere cosa ci fosse dentro. C'erano due cartelle, una nominata con la lettera T e l'altra, con la data del fidanzamento.

«Non ci posso credere, ha salvato la registrazione di quella giornata... è praticamente una prova a tuo favore.» Feci per cliccare, ma decisi di guardare prima la cartella "T". Sembrava la foto di un contratto, ma una volta ingrandito, capii che si trattava di un testamento.

«Larson ha già fatto un testamento?» Jason inarcò un sopracciglio iniziando a leggere.

«No, questo è suo nonno.» Spiegai tornando a leggere. «A quanto pare, se vuole che il nonno gli lasci tutti questi bei soldini, deve sposarsi.» Risi sarcastica. «Non che ne abbia davvero bisogno, ma i soldi non sono mai troppi per loro.» Chiusi la pagina e aprii l'altra cartella cliccando sul video. Jason si mise sull'attenti mentre io attivavo il volume. Non mi andava di rivivere quel momento, così mi alzai assicurandomi di aver preso tutto. Jason aveva preso il mio posto sulla sedia e osservava attento con i pugni serrati. "Se tieni tanto a Jason, ti conviene farlo." Sentire le parole di Andrew mi fecero ribollire il sangue nelle vene e probabilmente anche a Jason, che sembrava voler lanciare il computer. Mi avvicinai e Jason alzò lo sguardo tirandomi sulle sue gambe per poi abbracciarmi.

«Mi dispiace per essermi arrabbiato così tanto quel giorno.»

«Jason, non devi scusarti... chi non si sarebbe arrabbiato?» Lasciai un bacio sulla sua fronte e tornai a guardare il video, non era finito eppure io ero già uscita dall'ufficio. Mandai avanti di diversi minuti, bloccandomi non appena vidi una figura femminile, Megan. «Chissà perché, non sono poi così sorpresa.» Andrew le raccontò del fidanzamento e di come mi aveva "incastrata", lei rideva divertita. La trovai quasi più spregevole di lui in quel momento e scossi leggermente la testa alla scena. Dopo qualche secondo si erano avvicinati, Andrew aveva fatto sedere Megan sulla scrivania e lei aveva iniziato lentamente a spostare gli oggetti che c'erano sopra, facendoli cadere a terra. Afferrandolo dalla cravatta, lo aveva tirato ancora più vicino iniziando a baciarlo. Le mie labbra si piegarono in una smorfia di disgusto e subito dopo iniziarono a spogliarsi. Sgranai gli occhi e staccai subito la chiavetta. «No! No no no no no!» Dissi a tempo con Jason che spostò lo sguardo con aria disgustata. Guardandoci, dopo qualche secondo, scoppiammo a ridere.

«Non ci tenevo a vederli nudi, grazie.»

«Nemmeno io!» Alzai le mani ridendo e misi la chiavetta in tasca. «Direi di andare.» Spensi il computer prima si alzarmi, prendere un borsone, il portatile e dirigermi alla porta.

«Direi di sì.» Jason risistemò il quadro e dopo aver preso il resto, mi seguì accendendo la torcia. Scesi andando verso il retro, quando sentii un rumore e persi di vista Jason. Puntai la torcia intorno e lo chiamai, ma non rispose, così andai a cercarlo in silenzio. Non potevo credere fosse sparito proprio in quel momento, per di più senza dirmi niente e se si trattava di uno scherzo, me l'avrebbe pagata cara. Lo richiamai puntando la torcia ovunque e quando saltò fuori da dietro il bancone con in mano una bottiglia di vodka, sussultai dallo spavento imprecando.

«Jason! Ma cosa ti salta in mente?!»

«Non vuoi brindare? Ci portiamo via qualche bottiglia.» Infilò nel borsone anche del whisky e scossi la testa guardandolo.

«Sei incredibile, andiamo!»

«Ok, ok.» Mi seguì e una volta usciti dal locale, mi sembrò quasi di respirare meglio. Aprendo il portatile, mi ricollegai all'allarme. «Cosa fai?» Domandò Jason sbirciando.

«Lo imposto perché scatti tra venticinque minuti. Tempo per me di raggiungere Diana e per te di raggiungere Sylvia. Dovessero indagare, non potranno sospettare su nessuno di noi, perché vedranno che l'ora in cui l'allarme è scattato, noi eravamo in compagnia di altre persone, testimoni anche le telecamere.» Impostai il timer e corsi con Jason alla macchina. Caricammo tutto dietro e Jason sorrise partendo veloce lontano da lì. Mi sentii molto più leggera, stava andando tutto bene e presto avrei potuto dire di essere libera.

«Sembri felice.» Jason mi guardò divertito.

«Urlerei.» Risposi ridendo mentre levavo i guanti abbassando il finestrino. L'aria mi solleticava il viso e mi scompigliava parte dei capelli.

«Fallo, non c'è nessuno, siamo su una strada deserta.» Lo guardai come se fossi fuori di testa e lui rise prima di tirare un urlo felice.

«Tu sei pazzo!» Risi divertita alla scena.

«E tu sei libera! Dai!» Mi incitò e ridendo, tirai anche io un urlo di felicità. «Grande!» Jason sorrise urlando poi di nuovo insieme a me. Non riuscii a smettere di ridere e nemmeno lui. Ero certa i miei occhi luccicassero per l'emozione. Dopo qualche minuto, Jason svoltò in direzione di un grande cancello con sopra un'insegna su cui c'era scritto "Autodemolizioni E. Side". «Ora lascio questa macchina qui e prendo la mia per portarti da Diana.»

«Va bene.» Annuii aiutandolo a spostare la roba nella sua auto guardandomi ogni tanto intorno. Il posto sembrava chiuso, ma a quanto sembrava, Jason aveva le chiavi, infatti aprì lui stesso il cancello prima di portare dentro l'auto e lasciarla in mezzo alle altre. Salii sulla Range Rover e tirai fuori gli abiti che avevo indossato prima. Jason mi raggiunse tirando fuori anche i suoi e guardandomi, sorrise divertito.

«Ora non puoi dirmi di girarmi.»

«Che stupido.» Alzai gli occhi al cielo ridendo e lui mi fece l'occhiolino e sorprendendomi, si girò lo stesso coprendosi il viso. Sorrisi trovandolo dolce e iniziai a cambiarmi velocemente guardandolo ogni tanto. Jason non si mosse, restò con la fronte appoggiata al finestrino e le mani sul viso. Questo era rispetto. «Jason, puoi girarti.» Accennai un sorriso quando si voltò e non riuscendo a resistere, presi il suo viso tra le mani stampandogli un leggero bacio. «Sei straordinario, Jason McCann.» Lo vidi sorridere e subito dopo, mi voltai io lasciando che si cambiasse. Persone come lui erano rare e pensare a quante volte avevo rischiato di perderlo, mi faceva sentire una stretta al cuore. Un minuto dopo lo sentii ridere e voltandomi, lo vidi allacciarsi la camicia. «Perché ridi?»

«Perché sei tenera, ti sei voltata nonostante sapessi che a me non da fastidio se mi guardi.» Fece spallucce e avvicinandosi, mi baciò la guancia. «Ti porto dalla tua amica e tra un'ora ci vediamo alla casetta sull'albero, va bene?»

«Sì.» Annuii e subito dopo, partì.

•••

Raggiunsi Diana al Luxury, dove conoscevo un po' di persone e c'erano diverse telecamere. Mi raccontò del suo appuntamento con Colson che sembrò essere andato più che bene. Avevo la sensazione che sarebbero tornati insieme, ma non dissi nulla e sorrisi ascoltandola parlare felice della serata. L'allarme al Classic era già suonato da ormai un'ora e probabilmente la polizia si trovava già sul posto. Io e Diana tornammo alla sua macchina e dopo qualche secondo di silenzio, mi pose la domanda che sembrò avere in testa da quando mi aveva vista. «A te com'è andata?»

La guardai e accennai un sorriso rassicurante. «Bene. E non credo potrò mai ringraziarti abbastanza per la fiducia che mi stai dando. Spero solo che quando ti racconterò tutto, non te la prenderai...»

«Onestamente, sono preoccupata... ma nonostante ciò, mi fido di te. Ora però raccontami tutto perché sono curiosa.»

Annuii e iniziai a raccontarle tutto per filo e per segno, sperando non la prendesse male. La mia non era una cosa da nulla, avevo rubato, ma lo avevo fatto per uno scopo preciso. Diana mi ascoltava visibilmente scioccata, ma senza interrompermi e la ringraziai mentalmente per questo. Mi stava dando la possibilità di spiegarle il motivo delle mie azioni e anche qui, mi ritenevo di nuovo fortunata ad avere un'amica come lei. «Isabel, è grave quello che avete fatto, potreste davvero finire in guai seri... non hai paura?»

«Un po', ma siamo stati attenti, abbiamo organizzato tutto nei dettagli.»

«Andrew e Megan hanno davvero rubato tutti quei soldi?» Domandò guardandomi mentre accostava vicino al frutteto.

«Sì, abbiamo le prove, hanno inventato la storia della beneficenza per intascarsi tutto.»

«Che cosa disgustosa.» Scosse la testa sospirando. «E voi cosa ne farete dei soldi?»

«Li daremo in beneficenza, mantenendo l'anonimato ovviamente.»

Annuì con aria pensierosa. «Se devo essere sincera, ce l'ho un po' con te perché mi hai tenuta all'oscuro e perché hai rischiato davvero grosso... ma dall'altro lato ammiro ciò che avete fatto. Non lo so, sono confusa.»

«Immagino e mi dispiace.» Pressai le labbra e la vidi annuire. «Siamo ancora amiche?»

Alzò gli occhi al cielo e accennò un sorriso. «Solo se mi prometti di non fare mai più una cosa del genere e di dirmi sempre la verità. Non m'importa se lo fai per proteggermi, io voglio sapere tutto, sei praticamente una sorella per me.» Mi abbracciò e ricambiai stringendola forte.

«Sei unica.»

«Lo so.» Rise e io con lei. «Ora vai, Jason ti starà già aspettando... e disfatevi di quelle foto, che al solo pensiero, sale il nervoso anche a me. Andrew ha toccato il fondo più di quanto avesse già fatto in passato.»

«Concordo.» Sorrisi e la ringraziai altre infinite volte prima di scendere dall'auto. Passai tra gli alberi e superai la casetta sull'albero andando verso l'auto che Jason aveva parcheggiato poco più avanti vicino ad un vecchio barile arrugginito. «Jason.»

Si voltò e mi fece cenno di raggiungerlo mentre teneva in mano le foto. Avvicinandomi, notai che nel barile c'era già una piccola fiamma e si stava alzando. «Le bruciamo?» Mi guardò e annuii facendomi passare qualche foto. Le guardai e contando fino a tre, le lasciammo cadere tra le fiamme, guardandole bruciare lentamente. Jason mi abbracciò da dietro poggiando il mento sulla mia spalla e sorridendo, lo guardai di sfuggita accarezzandogli le mani. «È finita.» Sussurrò al mio orecchio.

«È finita.» Confermai sospirando sollevata. «Andiamo a casa.»

Dopo aver spento il fuoco, risalimmo in auto e Jason guidò tranquillo passando davanti al Classic, dove si era formato un po' di traffico per via della polizia che stava fermando un po' di auto. Jason sembrò notare il fatto che fossi nervosa, infatti, non me ne resi conto ma stavo continuando a fare su e giù con la gamba. «Va tutto bene, tranquilla.» Annuii ma quando un poliziotto ci fece cenno di accostare insieme all'auto dietro, quasi mi sentii mancare. Non saremmo mai dovuti passare per quella strada.

Jason abbassò il finestrino e l'uomo in divisa si avvicinò. «Dobbiamo fare un controllo veloce. Documento?»

«Certo.» Invidiai la tranquillità di Jason che prendendo il portafoglio, prese il documento come gli era stato chiesto, porgendolo al poliziotto. «Cos'è successo?» Domandò indicando il locale.

L'agente lo guardò dopo aver letto il nome sul documento. «C'è stato un furto.» Disse mentre Jason scendeva dall'auto. «Apra il bagagliaio signor McCann.»

«Come vuole.» Jason fece spallucce e io mi voltai a guardare con il cuore che batteva a mille. L'agente lo guardò prima di accendere una piccola torcia.

«Apra quel borsone.» Disse in tono severo.

Non potevo crederci, non potevano beccarci in questo modo. Come avevo fatto a non pensare a questo dettaglio? Era tutta colpa mia. Mi voltai poggiando la schiena contro il sedile, avrei voluto fermare il tempo per risolvere le cose. Non dovevamo prendere questa strada, avremmo dovuto fermarci al frutteto per la notte.
Mentre mi demoralizzavo e pensavo già a me in manette in tribunale con una tuta arancione, Jason risalì in auto e dopo aver allacciato la cintura, partì. Io lo guardai e lui ridacchiò accendendo la radio, ma io la spensi subito. «Perché non siamo in manette?» Domandai con un filo di voce.

«Perché siamo più furbi di loro.» Disse semplicemente, ma io continuai a fissarlo aspettando una vera spiegazione. «Ho nascosto il borsone con i soldi e anche i due zaini con i vestiti. Non c'è pericolo, li recupereremo domani mattina. Nel secondo borsone ho messo il mio pallone da basket, una maglietta dei Lakers e dei pantaloncini.»

Lo guardai cercando di realizzare cosa avesse detto e poco dopo risi felice per lo scampato pericolo. «Io ti adoro.» Mi portai una mano al cuore e quasi piansi.

Jason rise. «Lo dicevo che dovevi stare tranquilla.»

Una volta giunti a casa, andai direttamente a bere dell'acqua in cucina, mentre Jason si slacciò i primi bottoni della camicia emanando un lungo respiro. Mi raggiunse e passai anche a lui un bicchiere d'acqua fredda. Sorrisi passandomi una mano tra i capelli e guardai Jason bere tutto d'un fiato per poi ricambiare il sorriso. «Ammetto che prima ho avuto una paura incredibile.»

«Ho notato, è stato piuttosto divertente.» Rise e si avvicinò prendendomi le mani. «Stavo pensando ai soldi che hai ancora da parte, quelli che hai preso ai tuoi. Potresti tenerli per pagarti la nuova università.»

Scossi la testa avendo altro in mente. «So già come userò quei soldi e non sarà per l'università.»

«Allora per cosa?» Domandò inclinando leggermente la testa di lato.

«Lo scoprirai.» Dissi facendo la vaga per poi abbracciarlo.

Mi strinse a se baciandomi la fronte e mettendo due dita sotto il mio mento, mi fece sollevare il viso. «Sai? Ancora fatico a credere di aver appena derubato Larson insieme a te.»

«Credici invece.» Risi avvicinando il viso al suo. «Perché stasera è stata la mia ultima volta in veste di ladra.» Lo informai. «Ah e sappi che sono leggermente arrabbiata con te perché non mi avevi detto di aver nascosto i soldi e mi hai fatto quasi prendere un infarto quando la polizia ci ha fermati...» dissi parlando così veloce che Jason, per zittirmi, posò le labbra sulle mie stringendomi a se.

Staccandosi, mi sfiorò la mano ed entrambi guardammo l'anello dalla pietra verde, ancora al mio dito. «Questo non ti appartiene.» Sussurrò Jason a pochi centimetri dal mio viso. Sfilò l'anello dal mio dito e lo lanciò da qualche parte per poi tirarmi più vicina e posare nuovamente le labbra sulle mie. Avvolgendo le braccia attorno al suo collo, sorrisi ricambiando dolcemente il bacio. Sentii le sue mani accarezzarmi i fianchi e poco dopo, ci ritrovammo ad indietreggiare. Lasciai scivolare le mani sul suo petto e lo guardai in quei suoi occhi color ghiaccio in grado di ipnotizzare chiunque. Avvicinò il viso di nuovo al mio, per poi nasconderlo nell'incavo del mio collo, dove iniziò a lasciare una scia di baci. Sospirai arrossendo mentre finii con la schiena appoggiata alla porta della camera da letto. Jason iniziò a leccare e mordicchiare piano un punto facendomi sfuggire un gemito dalle labbra. Strinsi il suo braccio mentre con l'altra mano aprivo la porta trascinando dentro Jason che poi la richiuse con un calcio. Nella stanza, l'unica luce era quella della luna che filtrava dalle finestre. Sfiorai i bottoni della sua camicia, mentre lui giocava con la zip del vestito tenendo ora gli occhi fissi sui miei. Socchiuse le labbra cercando di dire qualcosa, di formulare una domanda che avevo già intuito. Sorrisi annuendo senza che dicesse nulla e sembrò subito più sicuro e sollevato. Lo tirai dal colletto e lo baciai dolcemente mentre abbassava la zip del mio vestito fino in fondo. Mordicchiandogli il labbro lo sentii sospirare e stringermi i fianchi. Iniziai a sbottonargli la camicia mentre, lui, sfiorandomi le braccia, salì fino ad abbassare le spalline del vestito che finì a terra. Sfilai le scarpe e dando un leggero strattone alla cintura, gliela slacciai. Si sfilò anche lui le scarpe e i pantaloni, subito dopo averglieli fatti scivolare ai piedi. Prendendomi in braccio da sotto le cosce, sorrise e mi adagiò piano sul letto. Accarezzò il mio fianco con una mano squadrandomi e sentii subito le mie guance scaldarsi. Jason sembrò notare il mio leggero disagio e mi lasciò un bacio sulla fronte. «Non sentirti a disagio, sei meravigliosa.» Disse accarezzandomi il viso. «Ti fidi di me?» Domandò subito dopo accennando un sorriso dolce e rassicurante. Annuii convinta giocando con i suoi capelli scompigliati e lo tirai a me unendo le sue labbra alle mie. Presto, anche gli ultimi indumenti che avevamo addosso finirono da qualche parte a terra, eravamo ora coperti solo da un lenzuolo. Jason si assicurava ogni secondo di farmi sentire a mio agio ed era così dolce e attento che credetti di dovergli dire io di non preoccuparsi troppo. Era speciale, mi faceva sentire sempre al sicuro, ma soprattutto, mi faceva sentire amata. Era solo grazie a lui se non rimpiangevo un solo giorno di quelli che avevo vissuto da quando lo conoscevo. Ero follemente innamorata di lui, del ragazzo che mi aveva insegnato a volare, a sognare, a vivere.

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