Capitolo 54
Scesi dal taxi ed entrai nell'aeroporto cercando con lo sguardo, Andrew. Lo trovai dopo qualche minuto, accanto al suo assistente che si occupava di far portare via la valigia. Due persone lo raggiunsero con in mano un caffè, una di queste, era Megan. Mi avvicinai tranquillamente con un sorriso finto sulle labbra e salutai tutti a gran voce attirando l'attenzione. «Scusate se ci ho messo un po'.» Salutai Andrew con un bacio sulla guancia e mi voltai. «Megan! Non mi aspettavo di vederti qui.» Dissi in modo palesemente sarcastico.
«Già, sono passata a dire a Andrew che se serve, posso dare un'occhiata al suo locale.» Incrociò le braccia squadrandomi.
«Non mi dire, è sotto la tua responsabilità quindi?» Risi e Andrew, prendendomi per il braccio, mi portò lontana da loro.
«Non iniziare.»
«Tanto ci sei tu a difenderla.» In realtà, non m'importava, ma dovevo fargli credere il contrario.
«Mi sta solo dando una mano, ha diversi contatti e il locale va bene. Non ti facevo tanto gelosa.»
«Hai ragione, non so di cosa mi preoccupo.» Sospirai facendo spallucce. «Il tuo aereo quando parte?»
«Tra poco, in effetti dovrei andare.» Disse guardando l'ora. «Ah... volevo dirti, cerca di rispondere al cellulare quando ti chiamerò in questi giorni.»
«Certo, ma se non rispondo è perché sono al lavoro.»
«Lo spero per te.»
Incrociai le braccia al petto guardandolo. «Cosa vorresti dire?»
«Nulla, ma visto che starò via sette giorni, non vorrei ti dimenticassi di questo.» Disse alzandomi la mano con l'anello. Doveva aveva una bella faccia tosta per dirmi una cosa del genere, visto quello che faceva lui. Mi trattenni dal dire cose brutte e scossi leggermente la testa.
«Come potrei dimenticarlo? Non ti preoccupare.» Accennai un sorriso. «Non vedo l'ora tu sia di ritorno... manda i miei saluti a tuo nonno.» Gli baciai la guancia e dopo aver salutato tutti, si allontanò con il suo assistente. Megan intanto mi affiancò sui suoi tacchi alti, sorridendo.
«Quindi... Andrew ora ti piace veramente.» Si lasciò sfuggire una risata e la guardai.
«E a te piace o è solo sesso? Sesso e soldi probabilmente.» Sorrisi compiaciuta non appena fu il suo sorriso a spegnersi.
«Ma di cosa stai parlando?»
«Sai? L'amante è proprio un classico...» aprii la mia borsa frugandoci dentro con una mano. Tirai fuori il braccialetto di diamanti che avevo trovato in camera di Andrew e alla sua vista, Megan si irrigidì. Mi avvicinai al suo orecchio in modo che solo lei potesse sentire quello che stavo per dire. «Pensi che non sappia di voi? O del fatto che raggiungerai Andrew nel weekend?» Le mie labbra si curvarono in un sorriso. «Ho controllato i voli e ho trovato una prenotazione in albergo. Solo che... Andrew non va in albergo, perché sta da suo nonno. Questo vuol dire che gli ultimi tre giorni li passerà con te e tornerete qui insieme. Mi sbaglio forse?» Le lasciai il braccialetto e la guardai. «Come hai fatto a ridurti così? Non fare la troia, puoi puntare più in alto.» Le picchiettai gentilmente una spalla per poi superarla e andare a prendere un taxi. Vedere la faccia di Megan dopo tutto quello che le avevo detto, era stato soddisfacente.
•••
Ero certa del fatto che Megan avesse chiamato subito Andrew dopo quello che le avevo detto. Ma quasi sicuramente lui aveva il cellulare spento, quindi avrebbe ricevuto tardi il messaggio. Ero curiosa di vedere come avrebbe reagito, me ne avrebbe parlato? O avrebbe fatto finta di nulla?
Salii le scale e arrivata davanti al mio appartamento, presi le chiavi per aprire. Fui bloccata da Clyde che raggiungendomi con il fiatone, mi prese per mano e mi trascinò nel suo appartamento sotto lo sguardo confuso di Sammy che stava cucinando. «Ma che succede?» Domandò.
«Non ne ho idea.» Risposi confusa quanto lui.
«Tuo padre stava prendendo l'ascensore e non aveva un'aria felice.»Spiegò prendendo fiato.
Corsi velocemente alla porta con i ragazzi e osservai dallo spioncino mentre loro restarono in ascolto. Mio padre iniziò a suonare tenendo il dito premuto sul campanello, cosa che odiavo tantissimo. Quando nessuno aprì, iniziò a bussare così forte che temetti buttasse giù la porta. I ragazzi sussultarono e io corsi sul balcone tenendo il cellulare in mano, sapevo quale sarebbe stato il prossimo step. Infatti, dopo un po', il mio cellulare iniziò a suonare e aspettai alcuni secondi prima di rispondere. «Pronto?»
«Dove sei?» Domandò in tono arrabbiato.
«Sto facendo una pausa di cinque minuti prima di tornare al lavoro. Perché?»
«Non è vero, ho visto la tua macchina di sotto. Dimmi dove sei e sappi che se provi a mentire, te la faccio pagare.» Rispose facendomi rabbrividire.
«Sono al lavoro e mi hanno accompagnata, per quello hai visto la macchina parcheggiata.»
«Dobbiamo parlare dell'università.»
«Voglio lasciarla, te l'ho detto.» Dissi sgattaiolando dal balcone al bagno.
«Scordatelo. Provaci e non otterrai un soldo, li trasferirò tutti sul mio conto.»
«Prendili, non m'interessa. Ora devo andare.»
«Non parlarmi così! Giuro che quando ti vedo, sei in guai seri. Ti farò cacciare dall'appartamento, poi voglio vedere che cosa farai.» Staccò la chiamata e tornando dai ragazzi, li guardai. Erano tesi e guardavano ancora verso la porta chiusa. Sospirai sedendomi sul divano e Sam, voltandosi, corse ad abbracciarmi. Non avrei voluto assistessero ad una scena come quella, era imbarazzante. Mio padre era terribile ed ero stanca di lui, ero stanca di tutto, dovevo andarmene.
«Devo andare, prendo la macchina.»
«Dove?» Clyde si sedette accanto a Sammy.
«In un posto. Grazie per avermi salvata da mio padre.» Accennai un sorriso alzandomi. «Vi devo un favore, anzi... mille.» Diedi un bacio sulla guancia ad entrambi prima di uscire.
•••
Mi coricai sull'erba fresca guardando le nuvole che coprivano il cielo. Quasi sicuramente avrebbe iniziato a piovere da lì a poco, ma non m'importava. Stare al frutteto, mi faceva dimenticare per un po', i problemi che mi perseguitavano a casa. Misi una mano nella borsa e tirai fuori il mio diario rileggendo alcune pagine. A volte, rivivere i ricordi mi aiutava a pensare e trovare soluzioni per i problemi del presente. «Dovresti entrare nella casetta, tra poco inizia a piovere.» Sussultai e girandomi, vidi Jason in piedi con le mani in tasca.
«Pensavo fossi al lavoro.» Mi tirai su rimettendo il diario nella borsa e lo guardai accennando un sorriso.
«Ho finito mezz'oretta fa.»
«E come sei arrivato qui?» Domandai notando che l'auto non c'era.
«Autobus, poi ho fatto un pezzo a piedi.»
«Potevi avvisarmi prima, così ti passavo a prendere io e mangiavamo qualcosa insieme.»
Jason sorrise e levandosi lo zaino dalle spalle, lo passò avanti aprendolo. Dentro c'era una busta grande del Mc Donald da cui arrivava un buon profumo. «A quello ho pensato io. Quando prima mi hai scritto dicendo che passavi qui, mi sono organizzato.» Mise di nuovo lo zaino in spalla e sorridendo, lo abbracciai. «Dai, andiamo su.» Mi strinse a se baciandomi la fronte e si incamminò con me alla scaletta. «Nel frattempo mi racconti cosa è successo?»
«Che vuoi dire?»
«Vieni qui quando vuoi stare tranquilla e staccare dal mondo esterno.» Salito in cima mi guardò accendendo qualche lanterna e le lucine.
«Il solito.» Sospirai entrando con lui nella casetta. «Mio padre mi ha fatto una sfuriata per telefono e vuole farmi cacciare dall'appartamento.»
«Non può farlo!» Jason mi guardò confuso sedendosi.
«Temo di sì... purtroppo è lui che paga.» Pressai le labbra afferrando il mio Crispy McBacon. «E così facendo mi obbligherà a tornare a casa sua.»
«Sei maggiorenne, non può obbligarti.»
«Ma non avrei i soldi per l'università e per tenere l'appartamento... non guadagno abbastanza come paramedico.»
Jason sospirò e mangiando il suo panino, guardò un punto indefinito con aria pensierosa. «Non ti preoccupare, in qualche modo risolverò.» Il mio cellulare iniziò a suonare e vedendo il nome sullo schermo, Jason lo afferrò mettendo il silenzioso. «Devo rispondere.» Risi allungando la mano e lui scosse la testa.
«Larson non ci rovinerà la cena.»
«Sai cosa?» Ci pensai su e annuii. «Hai ragione.» Dimenticai il cellulare e ripresi tranquillamente a mangiare. Jason sorrise tentando di rubarmi una patatina, ma gli tirai velocemente un piccolo schiaffo sulla mano. «Come osi toccare il mio cibo?» Scherzai. «Isabel doesn't share food.»
«Scusa Joey Tribbiani.» Rise sporcandomi la punta del naso di ketchup. Pulendomi, mi avvicinai a lui sorridendo e afferrando una patatina fritta, gliela portai alla bocca. «Ma grazie.» Mangiò facendomi appoggiare a se, finendo poi di bere la sua coca cola. «Ascolta, è iniziato a piovigginare.»
Guardai verso la finestra e ascoltai la pioggia scendere piano. Alzandomi, andai alla finestra guardando fuori e allungando la mano, lasciai che la pioggia la bagnasse. Jason mi abbracciò da dietro poggiando il mento sulla mia spalla. «Ricordi quando siamo usciti di nascosto con la Rolls Royce e siamo andati al Maple Leaf? Pioveva e quando siamo tornati a casa, mio padre ci ha beccati.» Risi e lui con me.
«Ricordo. Hai insistito perché dormissi da te, quindi siamo dovuti salire in camera tua molto silenziosamente... e ricordo anche che siamo finiti con il dormire per terra.» Iniziammo a ridere e girandomi, lo guardai.
«Sei il migliore amico che una persona possa avere.»
«Scusa? Mi stai mettendo nella friend-zone?» Inarcò il sopracciglio e risi abbracciandolo.
«Non ti ho messo nella friend-zone. Voglio dire... sei anche il mio migliore amico.»
«Anche?» Jason sorrise. «Oltre a quello, cosa sono quindi?» Mi accarezzò una guancia avvicinando il viso al mio. Notai del divertimento nei suoi occhi, aspettava una risposta. Socchiusi le labbra per dire qualcosa, ma un rumore all'esterno attirò subito la nostra attenzione.
«Cos'è stato?»
«Sembrava un'auto.» Jason tirò su il cappuccio andando alla porta e lo seguii. «Resta qui.»
Annuii poco convinta e mi sedetti a terra mentre Jason scendeva dall'albero. Nel frattempo, ripulii dove avevamo mangiato raccogliendo tutta la carta e quando lo schermo del mio cellulare, si illuminò, lo presi leggendo il messaggio: "spero tu sia ancora al lavoro se non mi hai ancora risposto." Ignorai Andrew e finii di sistemare. Qualche secondo dopo sentii i passi sulla scaletta, ma prima che potessi alzarmi, sentii un rumore di vetri rotti e una lanterna accesa avvolta in un panno, rotolare dentro dalla finestra. Sgranai gli occhi quando la fiamma diventò subito alta iniziando a bruciare il pavimento di legno e il lato del muro. Vidi un'ombra passare e scendere di sotto, subito dopo, la voce di Jason. «Isabel!» Imprecai correndo a prendere la bottiglietta d'acqua sperando bastasse. Jason entrò nel momento in cui iniziai a versare l'acqua spegnendo le fiamme in tempo. Portai una mano al cuore sentendolo battere veloce e sospirai inginocchiandomi. Provai a dire qualcosa, ma la voce sembrava essermi sparita dallo shock, non capivo cosa fosse successo e perché fosse successo. «Stai bene?» Jason si abbassò abbracciandomi.
«Sì, ma non capisco... chi era quello?»
«Non lo so... quando sono andato a vedere, c'era solo un'auto grigia.»
«Allora è ancora qui intorno.» Ci guardammo di scatto entrambi e alzandoci, ci dirigemmo fuori. Un ragazzo con metà viso scoperto, ci guardò prima di correre via. Jason lo seguì velocemente mentre io non riuscii a muovermi per diversi istanti, troppo concentrata a ricordare. «Lavora per Andrew...» sussurrai a me stessa prima di scendere velocemente dall'albero seguendo Jason sotto la pioggia che man mano stava aumentando, scendendo sempre più forte. Corsi tra gli alberi arrivando all'entrata nascosta e vidi Jason fermo vicino alla strada. «Lavora per...»
«Larson.» Finì la frase al posto mio tenendo gli occhi fissi sulla strada, ora vuota. Presi la sua mano stringendola e mi guardò. «Ma come può averti fatto questo? Ha tentato di appiccare un incendio con te dentro.» Tese la mascella al ricordo di quello che era successo poco prima.
«Non credo lo sapesse... non si è affacciato alla finestra, ha lanciato la lanterna rotta senza guardare. Penso che il suo intento fosse di rovinare la casetta.»
«Poteva finire male. Andrew è fuori di testa!» Si passò le mani tra i capelli frustrato mentre la pioggia gli bagnava il volto. Tornammo indietro e dopo aver raccolto le nostre cose, entrammo in macchina. Guardai avanti qualche secondo e sospirando, feci inversione uscendo in strada. Ero nervosa, pioveva come la sera dell'incidente e oltretutto, era la stessa strada. «Ehi, tutto bene?»
«Sì.» Accennai un sorriso e cercai di rilassarmi. Dovevo solo andare piano, per questa strada le macchine passavano di rado, quindi non c'era nulla di cui preoccuparsi. Dovevo solo sperare che non spuntasse qualcosa in mezzo alla strada, come un cervo o qualsiasi altro animale.
«Isabel?» Jason mise una mano sulla mia e solo in quel momento notai di avere le nocche bianche per via della stretta. «Accosta.»
«Non posso accostare qui. Piove da un po' e si sarà formato del fango... potremmo restare bloccati.»
«Più avanti c'è una piccola zona di sosta, vai lì e metti le quattro frecce.» Disse indicando avanti. Lo guardai di sfuggita e facendo come aveva detto, accostai mettendo le quattro frecce. «Stai pensando a quello che è successo?» Domandò e scossi subito la testa. «Allora cosa?»
Picchiettai nervosamente le dita sul volante e facendo un respiro profondo, lo guardai. «Un po' di tempo fa ho avuto un'incidente.» Jason mi guardò immobile con le labbra socchiuse. «Per quello non ho portato la macchina nella vostra officina... e la ferita che avevo sulla fronte, non l'avevo fatta sbattendo la testa contro l'anta della credenza.» Pressai le labbra puntando lo sguardo avanti mentre il silenzio invadeva l'auto.
«Perché non me lo hai detto...?» Jason sembrò deluso.
«Avevamo litigato, mi ero appena "fidanzata".» Dissi mimando le virgolette con le dita sull'ultima parola. «Non mi sembrava il caso di chiamarti dall'ospedale.»
«Isabel, sei matta? Cosa me ne frega del litigio! Sei finita in ospedale.» Si passò le mani sul viso e tra i capelli, tirandoli dalla frustrazione.
«Mi dispiace. I ragazzi volevano chiamarti...» sussurrai.
«Ci hanno pensato loro e non tu?»
«Ho fatto il tuo nome.»
«Cosa?» Sentii il suo sguardo addosso e allacciai il mio al suo.
«Hanno detto che ho fatto il tuo nome mentre ero priva di sensi, per quello hanno pensato di chiamarti.» Calò il silenzio e sentii le mie guance scaldarsi.
«Facciamo a cambio.» Slacciò la cintura aprendo la portiera. «Scendi.»
Slacciai la cintura scendendo dall'auto e Jason corse dal mio lato con la pioggia che non smetteva di scendere. Lo guardai a lungo, pensando e realizzando ogni volta di più, quanto tenessi a lui. Era dolce e tenero, anche se non amava sentirselo dire. Aveva un lato protettivo, si preoccupava per me e metteva le persone che amava al primo posto. Era il mio Peter Pan e non potevo stare senza di lui... questo forse mi rendeva più Trilli che Wendy. Jason mi sfiorò la guancia e avvicinandosi, sfiorò le labbra con le mie prima di unirle in un tenero bacio. Lasciai scivolare le mani dietro il suo collo alzandomi in punta di piedi e tirandomi più vicina a se, passò piano la lingua sul mio labbro inferiore. Accarezzandogli il collo, socchiusi le labbra approfondendo il bacio. Le gocce d'acqua scorrevano lungo i nostri volti ma non ci feci troppo caso ed evidentemente, nemmeno Jason. Mi spinse piano contro la portiera dell'auto mordicchiandomi il labbro e arrossi lasciandomi sfuggire un sospiro. Quando ci staccammo per riprendere fiato, mi guardò e ad entrambi sfuggì una risata. «È stato o no un bacio da film?» Chiese in un sussurro sorridendo.
«Il miglior bacio.» Risi accarezzando i suoi capelli. «Ora andiamo, siamo fradici.» Mi stampò un ultimo bacio e facendo il giro, salii in macchina allacciando la cintura. Jason fece lo stesso e subito dopo, mise in moto partendo. «Grazie.»
«Per cosa?» Domandò lanciandomi uno sguardo veloce.
«Non lo so, per tutto.» Sorrisi e tornai a guardare la strada.
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