Capitolo 53
Scesi dall'ambulanza con gli altri due colleghi e ci dirigemmo velocemente verso la casa da cui avevano chiamato cinque minuti prima. Ci aprì la porta un padre preoccupato che ci condusse subito verso il salotto, dove una bambina tra gli otto e i nove anni era distesa sul divano e con una mano si toccava il petto in cerca di aria. La madre era agitata e cercava di farla alzare, ma la bloccammo subito. «La lasci coricata, ora la portiamo in ambulanza.» Guardai la bambina, aveva metà viso paralizzato, faticava a respirare e a comunicare, stava avendo un ictus. «Veloce, la barella.»
«Che cos'ha?!» Urlò la madre agitata mentre sistemavano la bambina sulla barella.
«Glielo diranno con sicurezza in ospedale, venite con noi.» Accompagnai i genitori in ambulanza con il paramedico e dopo aver chiuso, passai davanti, al posto del passeggero. Dopo aver acceso la sirena, partimmo velocemente arrivando in ospedale in cinque minuti. Portarono la bambina dentro d'urgenza e sospirando, guardai i genitori seguire i medici. «Speriamo di aver fatto abbastanza in fretta. L'ictus va preso in tempo.»
«Cosa ti fa pensare che sia ictus?» Domandò Eric, il paramedico che era alla guida.
«La bambina aveva metà viso paralizzato, faceva fatica a respirare, si colpiva il petto e il lato destro della testa. Doveva sentire un forte dolore...» pressai le labbra al pensiero di quella povera bambina che faticava a comunicare e i genitori preoccupati. «Il padre salendo in ambulanza ha detto che la piccola aveva problemi ai reni e prendeva pillole per la pressione... e se non sbaglio, la pressione alta è un fattore che può causare l'ictus.»
«Hai iniziato medicina alla fine?» Domandò.
«No, ho solo guardato molti episodi di Grey's Anatomy. Comunque cambio università a Settembre.» Risposi facendogli sfuggire un sorriso
«La tua deduzione comunque è corretta, si tratta di ictus.»
Non appena finii il turno, andai a salutare i pazienti di pediatria chiedendo poi della bambina che avevamo portato ore prima in ospedale. Era in rianimazione, non si era ancora svegliata e aveva tubicini ovunque, i genitori erano rimasti con lei tutto il tempo. Chiesi ad un'infermiera qualche aggiornamento e successivamente, scesi pronta ad uscire. Qualcosa però mi bloccò. Vidi Sylvia parlare con un medico e aspettai che finisse, prima di avvicinarmi posando una mano sulla sua spalla richiamando la sua attenzione. «Sylvia, cosa ci fa qui?»
«Isabel, che bello vederti. Stavi lavorando?» Sorrise guardandomi con occhi stanchi.
«Sì, ho finito poco fa il turno. Lei cosa fa qui? Si sente poco bene?» Domandai preoccupata.
«No.» Rise dandomi dei colpetti sulla spalla. «Sto benissimo, ho solo accompagnato mia nipote a fare degli esami e ci ha messo un po'.»
«Capisco... e sua nipote sta bene?»
«Sì, ha avuto una reazione allergica, ma fortunatamente non è nulla di tanto grave... sta già molto meglio.»
«Menomale...» guardai il cellulare che segnò una notifica per poi rimetterlo in tasca. «Devo scappare, ma mi tenga aggiornata, se ha bisogno non esiti a chiamare.»
«Certo, grazie cara.» Sorrise e dopo averle lasciato un bacio sulla guancia, la salutai uscendo.
•••
Dopo essere passata velocemente a casa per cambiarmi, presi un taxi per farmi portare dai miei genitori. Dopo l'incidente, l'unica volta che avevo guidato, era stato il giorno in cui ero andata a prendere l'auto dal meccanico. Avevo perso un po' di sicurezza e non ero ancora pronta per rimettermi al volante. Mandai un messaggio a Jason che sarebbe passato a prendermi in pochi minuti ed entrai a casa dei miei. C'era più silenzio del solito e meno personale in giro. Dirigendomi verso l'ufficio di mio padre, bussai prima di ricevere il permesso ed entrare. Mia madre alzò lo sguardo dai fogli che stava guardando con mio padre e scosse leggermente la testa delusa. «Perché ci hai messo così tanto?» Domandò mio padre in tono severo.
«Stavo lavorando.» Risposi avvicinandomi alla scrivania.
«Non m'importa, sei in ritardo di un'ora.»
Lo guardai incredula con le sopracciglia sollevate e controllai l'orologio. «Non è vero, ho solo tardato di dieci minuti, ma c'era un po' di traffico.»
«Zitta. Ora parlo io.» Chiuse un fascicolo e spostò alcuni fogli prima di tornare a guardarmi. «Ho ricevuto una telefonata sgradevole dall'università. Dicono che tu ti voglia ritirare, hai rifiutato l'iscrizione all'anno prossimo... spero sia falso.»
Ora avevo capito perché i miei mi avevano chiamata, erano arrabbiati perché avevano scoperto tutto. «No, è la pura verità. Non mi trovo bene lì e non ho intenzione di continuare. Proverò a fare un test per entrare a lettere e tenterò anche infermieristica. Sono due indirizzi molto diversi tra loro, ma mi piacciono.»
«Te lo scordi. Non cambierai proprio ora perdendo l'anno.» Mio padre si alzò facendo il giro della scrivania.
«Non posso continuare a studiare qualcosa che non mi piace. Non voglio diventare un'imprenditrice, non voglio fare quello che fai tu o la mamma.»
«Non scherzare Isabel. Non puoi farci questo! Cosa penseranno tutti?» Mia madre mi guardò sconvolta.
«A me non importa di quello che pensano gli altri, è la mia vita.»
«Non mi meraviglierei se Andrew la lasciasse adesso.» Disse preoccupata a mio padre.
«Lo farebbe? Perché già che siamo in tema "verità", lo dico, io non voglio stare davvero con lui.»
I miei mi guardarono sconcertati per lunghi istanti. Mio padre mi tirò uno schiaffo tanto forte da farmi cadere. «Non provare a ripeterlo. Tu sposerai quel ragazzo che, ora più che mai, sembrerebbe la tua unica speranza di vivere una vita adeguata.»
Mi rialzai con il sangue che ribolliva nelle mie vene dalla rabbia. «Lui non mi piace, mi ha obbligata a dirgli di sì.»
«Perché lui ha capito che è un'unione vantaggiosa per entrambi a differenza tua!»
«E comunque, non vuol dire nulla il fatto che non ti piaccia ora.» Rispose mia madre a braccia conserte. «Ti legherai a lui con il tempo, funziona sempre così.»
«Non è vero!» Urlai al limite dell'esasperazione.
«Non alzare la voce con noi!» Mio padre mi afferrò dal braccio stringendolo forte. «Ha preso da tua madre, purtroppo.» Disse a mia madre guardandomi con disprezzo per poi colpirmi di nuovo in viso facendomi sussultare dal dolore.
«Lasciami!» Provai a spingerlo via ma lui mi tirò un'altro schiaffo afferrandomi poi dai capelli.
«Pensavamo di lasciar passare un anno o due, ma forse dovresti sposarti subito. Andrew potrebbe rimetterti in riga. E se non farai come ti dico, non riceverai un soldo.» Mi spinse e afferrando la borsa che mi era caduta, uscii velocemente con gli occhi lucidi. Corsi fuori dalla villa andando sul retro dove Jason, a mia sorpresa, era già arrivato e vedendomi, scese dall'auto venendomi subito incontro.
«Isabel!» Mi guardò preoccupato prendendomi il viso tra le mani. Con il pollice, pulì del sangue che mi stava uscendo dal naso e puntando lo sguardo verso la villa si irrigidì. «Questa non la passano liscia.»
«No, ti prego... andiamo via. Subito.» Lo pregai con lo sguardo e sospirando annuì abbracciandomi forte. Poggiò le labbra sulla mia fronte e subito dopo entrai con lui in auto, partendo verso il frutteto. Prendendo un fazzoletto, mi pulii e nel frattempo raccontai a Jason l'accaduto di pochi minuti prima. Jason quasi non fece retromarcia arrabbiato quanto me e dispiaciuto allo stesso tempo.
«Sono folli. Cosa farai adesso?»
«Non lo so, in teoria ho dei soldi da parte a cui però potrò accedere a ventun'anni. Anche se... mio padre ha minacciato di non darmi nulla se non faccio come dice.»
«Come può farti una cosa del genere? Costringerti a sposare qualcuno... si è fermato nel novecento?» Strinse la presa attorno al volante e dopo un po' girò nel frutteto.
«Purtroppo ha una mentalità chiusa e non cambierà mai.» Guardai un punto indefinito dimenticandomi del fatto che ci fossimo già fermati. Jason aveva già fatto il giro dell'auto e mi aveva aperto la porta aspettando che scendessi.
«Isabel?» Poggiò una mano sulla mia stringendola delicatamente notando che qualcosa non andava. «A cosa pensi?»
Risollevai lo sguardo e scendendo dall'auto, sospirai. «Ha detto che assomiglio alla mia nonna materna...» accennai un lieve sorriso. «Non la ricordo benissimo perché ero piccola quando è venuta a mancare, ma so che aveva un cuore d'oro. Nulla a che fare con il resto della mia famiglia.»
«Allora deve essere vero il fatto che ti assomiglia.» Sorrise avvolgendo un braccio attorno alle mie spalle. «Sarà stata una donna fantastica.»
«Già.» Sorrisi salendo con lui sulla casetta. «E anche se la ricordo poco, so che era l'unica che mi veniva a trovare. Gli altri nonni non li conosco nemmeno... credo di averli visti una volta soltanto ad una mia festa di compleanno, quando facevo le elementari.» Dissi cercando di ricordare. «Tu invece? Vai d'accordo con i tuoi nonni?»
Jason mi guardò accennando un sorriso. «Con quelli materni sì, soprattutto con mio nonno, siamo sempre stati molto legati fin da quando ero piccolo. Quelli paterni invece non li ho più, ma non andavamo molto d'accordo...» ammise pressando le labbra. «Ricordo che dovevamo andare sempre noi a trovarli, perché loro non si smuovevano di casa. Diciamo che ce l'hanno sempre avuta un po' con tutta la famiglia.»
«Mi dispiace, come mai? Se posso chiedere.»
«La mia famiglia è canadese, nessuno si è praticamente mai mossi dalla città natale... tranne mio padre.» Spiegò sedendosi con me accanto. «Lui voleva andarsene con mia madre, aprire il locale che sognavano insieme...» sorrise, i suoi occhi brillavano quando nominava il padre. «Voleva il meglio per noi. Mio nonno però, per qualche ragione, non l'ha presa bene e da quel momento i rapporti... diciamo che si sono raffreddati.»
«Mi dispiace.» Sospirai stringendogli gentilmente la mano mentre lui mi stampava un bacio sulla guancia, sfiorando poi piano l'altra con le dita.
«Sei ancora rossa, ti fa male?» Domandò.
«Tranquillo, non è niente.» Il fatto che si preoccupasse in quel modo era dolce e non potei trattenere un sorriso.
«Non possono continuare a farti del male, devi allontanarti da loro.»
«Non è facile, Jason.»
«Lo vedremo.» Sembrò convinto e prendendo un grande foglio, lo aprì mettendomelo davanti. «Nel frattempo, guarda cosa ho recuperato.» Era la piantina del locale.
«Ma dove l'hai presa?» Sorrisi controllandola.
«Tu non ti preoccupare.» Rise passandomi un pennarello. «Dimmi dove si trova l'ufficio di Andrew e tutte le entrate.»
Sorrisi annuendo e indicandogli anche le zone in cui ero certa ci fossero le telecamere. «Qui è pieno, le ha fatte aggiungere dopo i vari furti.»
«Non importa, so come disattivarle. Tu invece...»
«Io penso all'allarme.» Finii la frase iniziando a picchiettare nervosamente a terra con il pennarello.
«Ehi...» Jason mi fece alzare il viso. «Andrà tutto bene.»
«Scusa, è che mi sembra sempre la prima volta. Finora mi è andata bene, non voglio fallire proprio adesso, soprattutto con te al mio fianco.»
«Non succederà, perché stiamo organizzando tutto nei dettagli.» Prese un foglio piegato dalla tasca e me lo porse. «Ho segnato gli orari in cui la polizia passa per la strada davanti al locale a fare i controlli. Sono sempre solo di passaggio, non ci beccheranno e per quanto riguarda l'auto, non useremo la nostra.» Lo guardai sorpresa mentre continuava a spiegare.
«E quale?» Domandai confusa.
«Vedrai.» Sorrise sicuro di se. «Tu fidati.»
Annuii guardandolo negli occhi. «Mi fido.»
•••
Qualche ora dopo, scesi la scaletta con Jason andando alla sua auto. Entrambi avevamo lasciato i cellulari nel portaoggetti per evitare distrazioni. Avevo diverse chiamate da parte di mia madre e di Andrew, più alcuni messaggi che evitai di leggere. Subito dopo però, partì un'altra chiamata e sospirando, risposi annoiata. «Pronto?»
«Isabel, ti ho chiamata minimo dieci volte.»
«Senti Andrew, non è il momento adatto.» Mi appoggiai alla portiera della macchina e Jason guardò nella mia direzione.
«Dove diamine sei? Tua madre è arrabbiata per non ho capito cosa e mi ha chiamato.»
«Sì beh, al momento non ho intenzione di tornare dai miei.»
«Ok, ma dove sei? E soprattutto, con chi sei?» Chiese in tono sospetto.
«Sono in giro. Tu invece dove sei? E con chi sei?» Domandai accennando un sorrisino falso che però non poteva vedere.
«Sono al locale, come sempre.»
«Con Megan?»
«Lei è andata via poco fa... sei gelosa per caso? Abbiamo solo parlato dell'articolo che doveva uscire.» Disse annoiato.
«Certo, avete parlato, ok.»
«Cosa stai insinuando?»
«Niente.» Alzai gli occhi al cielo. Il fatto che pensasse fossi tanto ingenua, mi faceva quasi ridere.
«Io penso tu sia gelosa. Ma per levarti il dubbio, potresti passare la notte con me.» Alle sue parole, un'espressione disgustata si formò sul mio volto e Jason poggiò subito un orecchio vicino al cellulare. «Posso uscire prima dal locale e tornare a casa, così ci divertiamo.»
«Vedremo.» Staccai la chiamata e rabbrividii. Jason invece aveva uno sguardo così freddo che sembrava voler uccidere qualcuno. «Lascialo perdere, è un idiota.»
«Se non è ancora finito in coma, è solo grazie a te.» Sbuffò e anche se probabilmente non era il momento giusto, mi sfuggì una risata. «Che c'è?»
«Sei geloso.»
«Cosa? No. Cioè... no.» Alzò gli occhi al cielo.
«Come vuoi.» Ridacchiai e subito dopo fu il cellulare di Jason a suonare. Rispose quasi subito voltandosi.
«Erika?» Sembrò confuso e io quanto lui. Chi era Erika? E perché stava chiamando Jason? «Ho lasciato tutto sulla scrivania... sì, esatto. Ok, ci vediamo domani.» Disse prima di staccare. Io lo guardai con un sopracciglio inarcato e quando si voltò, pressò le labbra.
«Chi sarebbe questa Erika?» Domandai sentendo una stretta allo stomaco.
«Ora chi è la gelosa?» Si trattenne dal ridere e io incrociai le braccia al petto.
«Non sono gelosa. Sai cosa? In realtà non mi interessa nemmeno sapere chi è...» mentii. In realtà morivo dalla voglia di sapere.
«Ok.» Fece spallucce e tesi la mascella. Non era la risposta che mi aspettavo.
«Ok...» annuii guardando altrove. «Io allora me ne vado.»
«Sei senza macchina, Isabel. Dove vuoi andare?»
«Prendo un taxi e torno a casa. Oppure passo al locale di Andrew...» dissi per stuzzicarlo. Non volevo davvero andarmene, volevo solo sapere chi fosse la ragazza senza chiederglielo direttamente.
«Oddio, stai scherzando? Ok, sei gelosa.»
«Non sono gelosa della Erika che guarda la tua scrivania. Chissà perché è a casa tua. Aspetta...» lo guardai riflettendo alcuni secondi. «Tu vivi con Jaden.»
«Erika mi stava chiamando dall'officina... è una stagista e ha appena iniziato il liceo.» Jason mi guardò trattenendo una risata non appena vide la mia faccia. «Le servivano crediti scolastici e ha pensato di aiutare qualche ora al giorno suo zio... il capo dell'officina.»
Pressai le labbra sentendomi in imbarazzo. «Scusa...» sussurrai.
«Tranquilla, è stato divertente.» Mi pizzicò un fianco sorridendo e mi abbracciò. «Non devi essere gelosa perché, odio essere sdolcinato ma lo dirò lo stesso... io ho occhi solo per te.»
«Oh... che carino!» Sorrisi guardandolo dolcemente stampandogli poi un bacio sulla guancia. «Peter ha un lato tenero.» Sussurrai.
«Wendy gli fa questo effetto.» Mi stampò un dolce bacio sulle labbra per poi abbracciarmi. Sarei rimasta con lui per delle ore infinite, tra le sue braccia che sembravano riuscire a proteggermi da qualsiasi cosa e da qualsiasi persona. Le emozioni negative abbandonavano la mia mente, probabilmente perché nell'Isolachenoncè, difficilmente si poteva essere tristi.
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