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Capitolo 51

Mi ero odiata per quello che avevo fatto la sera prima. In mezzo alla notte mi ero alzata andando a dormire sul divano di Andrew, per poi svegliarmi prima di lui e tornare a letto fingendo di essere stata lì tutto il tempo. Mi riportò a casa in mattinata e quando fui finalmente sola, corsi a fare una lunga doccia. Ogni volta che pensavo alle labbra di Andrew sulle mie, rabbrividivo. Non avevo sentito nulla di positivo in quei baci ed ero sicura che nemmeno lui avesse provato qualcosa, o almeno... nulla che arrivasse dal cuore. Sospirando, uscii dalla doccia avvolgendo l'asciugamano intorno al mio corpo e mi asciugai i capelli, dopodiché andai in camera per cambiarmi. Ma nel momento in cui toccai il letto, sentii le palpebre farsi pesanti e per quanto volessi cambiarmi, dovendo uscire ancora, non riuscii a muovermi. Il letto era diventato più comodo del solito e sospirando stanca, caddi subito in un sonno profondo.

Al mio risveglio, avevo ancora l'asciugamano attorno al corpo e in più, una coperta. Mettendomi seduta, mi guardai intorno e sentii delle voci provenire dal salotto, sembravano quelle di Clyde e Sammy. Presi un paio di pantaloncini e una maglietta vestendomi velocemente, dopodiché li raggiunsi. Parlavano davanti all'ingresso e vedendomi, si zittirono subito interrompendo la loro conversazione. «Buongiorno.» Sussurrai un po' confusa nell'averli trovati lì.

«Buongiorno.» Dissero all'unisono. «Sono passato a trovarti un'oretta fa, ma ho visto che dormivi.» Spiegò Clyde.

«E visto che è ora di pranzo e non avevi preparato nulla, ti ho portato del riso con il pollo... è ancora caldo. Ti ho messo ora il piatto in cucina.» Sammy indicò verso il bancone e sospirando, andai velocemente ad abbracciarli cogliendoli di sorpresa.

«Scusatemi se vi ho trattato male in questi giorni... mi dispiace davvero tanto.» Dopo qualche secondo ricambiarono l'abbraccio e quando mi staccai, li guardai entrambi dispiaciuta. «Questo non è proprio un bel periodo.»

«Allora perché non ne parli?» Domandò Sammy incrociando le braccia al petto.

«Perché non posso.» Mi passai una mano sulla fronte sospirando. «Ma presto risolverò tutto... o almeno ci proverò.»

«Non pensi sarebbe più facile se ti lasciasse aiutare?»

«Vorrei Sam, ma davvero non posso. Devo risolvere da sola e comunque è meglio, così non metto in mezzo nessuno.» Sammy annuì anche se sembrò essere ancora un po' offeso. Ad ogni modo, lo capivo, aveva tutte le ragioni per esserlo, visto come mi ero comportata.

«Dato che sei sveglia, vuoi pranzare con noi?» Chiese Clyde accennando un sorriso. Ci pensai qualche secondo e annuii ringraziandoli, mi erano mancati.

•••

La sera uscii velocemente di casa e scendendo le scale, quasi andai a sbattere contro qualcuno, Andrew. Non sapevo perché si fosse presentato senza preavviso, anche se non era una novità, ad ogni modo era il momento meno adatto. «Ciao, cosa ci fai qui?»

«Passavo a trovarti. Tu dove stai andando?» Domandò in tono serio inarcando un sopracciglio.

«Vado a trovare un'amica.»

«A quest'ora? Vestita così?» Chiese dubbioso guardando il mio tubino nero.

«Tu non devi andare al locale?» Domandai a mia volta.

«Ci vado tra poco, tu dimmi... da chi devi andare?»

«Dalla signora Districk.» Risposi incrociando le braccia. «Non mi credi?»

«Non molto.» Mi squadrò tirandomi a se dai fianchi.

Mi avvicinai lentamente alle sue labbra alzandomi in punta di piedi. «Allora accompagnami.» Sussurrai a pochi centimetri dal suo viso, schivando le labbra all'ultimo per poi superarlo andando verso l'uscita. Lo sentii sospirare e poco dopo mi affiancò indicandomi la sua macchina parcheggiata non troppo distante.

«Perché vai da lei?»

«Mi ha invitata e non avendo niente da fare, le ho detto che sarei passata stasera.» Risposi non appena entrai in macchina, allacciando la cintura.

«La prossima settimana non ci sono.» Mi avvertì mentre partiva prendendo la strada più veloce per arrivare a casa di Sylvia. Lo guardai e prima che potessi porgli la domanda, mi rispose come se mi avesse letto nel pensiero. «Vado da mio nonno.»

«Andrew Larson senior, quanto tempo...» guardai fuori dal finestrino ricordando l'ultima volta che lo avevo visto. Era passato qualche anno, suo nonno era ancora più ricco dei genitori, ma molto severo e all'antica. Immaginavo già il motivo per cui andasse a trovarlo, ed era sicuramente per informarlo del fidanzamento. «Come farai con il locale?»

«Resterà chiuso.»

«Non hai un braccio destro che possa gestire tutto mentre non ci sei?»

«Sì, ma non essendo in città, preferisco chiudere.»

«Capisco.» Annuii e quando, finalmente arrivammo davanti alla villa della Districk, slacciai la cintura. «Grazie del passaggio.»

«Ci sentiamo.» Mi tirò a se facendomi voltare il viso verso di lui e prima che potesse stamparmi un bacio, glielo stampai io sulla guancia.

«Sì, ci sentiamo.» Sorrisi e scesi velocemente dalla macchina spingendo il cancello che avevano aperto subito dopo che ebbi suonato il campanello. Le luci della sala grande erano accese e arrivata al portone, il maggiordomo mi fece entrare prendendo il mio trench. Lo seguii e l'unico rumore che si sentiva riecheggiare per il corridoio, era quello dei miei tacchi. Il maggiordomo bussò prima di aprire il portone annunciando il mio arrivo, ed entrando, feci qualche passo prima di bloccarmi alla vista di Jason in jeans neri e maglietta a maniche corte, seduto sul divanetto. Sylvia sorrise guardandomi seduta sulla sua poltroncina e mi fece cenno di accomodarmi accanto a Jason.

«Buonasera cara, ti stavo aspettando.»

Guardai entrambi per diversi secondi, anche Jason sembrava abbastanza confuso nel vedermi lì. «Buonasera.» Sussurrai andando verso il divanetto da cui Jason si alzò subito squadrandomi.

«Ciao.» Sussurrò.

«Ciao.» Mi sedetti accanto a lui sentendomi un po' a disagio per poi spostare lo sguardo su Sylvia. «Cosa succede?»

«Dovresti dirmelo tu.» Rispose. «Non mi avevi detto di esserti fidanzata, deve esserti sfuggito.»

Sospirai mettendo la mano sopra l'anello per coprirlo. «Sì... mi è sfuggito.»

«Quindi? Non ti va di raccontarmi com'è successo?» Domandò mentre una cameriera entrava con in mano un vassoio pieno di biscotti e del tè caldo. «Biscotti caldi!» Esultò come una bambina e prendendone uno, tornò a guardarmi non appena la cameriera si ritirò.

«Andrew me lo ha chiesto il giorno del mio compleanno.»

«E tu gli hai detto di no. Poi deve essere successo qualcosa che ti ha forzatamente fatto cambiare idea, visto che la notizia è arrivata dopo. Chi stai difendendo?» Domandò facendomi sentire lo stomaco in subbuglio. Sembrava un interrogatorio.

«Non sono qui per parlare di questo, mi dispiace.» Spostai lo sguardo sentendomi ancora più a disagio.

«Dispiace a me.» Si alzò sorseggiando il tè e andò verso la porta. «Vogliate scusarmi, torno tra poco.» Accennò un sorriso e dopo aver guardato entrambi, uscì.

«A volte mi spaventa...» sussurrai ad alta voce senza volere.

«Perché?» Domandò Jason alzandosi. «Perché ha ragione?» Non risposi, ma il silenzio fu una chiara risposta. «Andrew si è bevuto la messa in scena?»

«Sì, è stata una litigata convincente.» Dissi ricordando la sera prima.

«E hai trovato quello che ti serviva a casa sua?»

«Qualcosa ho trovato.» Annuii iniziando a fare lentamente avanti e indietro davanti al camino spento.

«Ora però mi devi la spiegazione che mi avevi promesso. E che sia la verità.»

«Non qui.» Risposi in fretta. «Non che non mi fidi di Sylvia, ma preferirei fossimo davvero soli.»

«Ok, conosco il posto perfetto.» Tirò fuori dalla tasca le chiavi della macchina e fece un cenno verso la porta. «Andiamo?»

«E Sylvia?»

«Non è questo che voleva? Farci incontrare in modo che risolvessimo.» Andò alla porta e lo seguii trovando la signora Districk poco più in la che parlava tranquillamente con il maggiordomo.

«Andate già via?» Ci guardò avvicinandosi ma non sembrò sorpresa.

«Sì, voglio portare Isabel in un posto.»

«Un posto dove si sente a suo agio, suppongo.» Sorrise guardandomi attentamente. «Dov'è la collana che porti di solito?»

Pressai le labbra e frugando nella borsetta che mi avevano portato in quel momento con il trench, la tirai fuori mostrandogliela. Notai subito lo sguardo sorpreso di Jason, mentre Sylvia annuì semplicemente aspettandoselo. «La porto sempre con me.» Sussurrai.

«Ci credo, è così graziosa!» Ridacchio accompagnandoci poi alla porta d'ingresso. La salutammo entrambi e prima ancora che potessimo scendere i gradini, mi richiamò facendo voltare entrambi. «Isabel... comunque, quel tipo di verde non ti dona molto.» Scosse leggermente la testa facendo sfuggire un sorriso a tutti. La salutammo un'ultima volta e seguii Jason alla sua macchina, che aveva parcheggiato dentro la residenza.

«Sembrava avere l'aria un po' stanca, non trovi?» Domandai appena partiti.

«L'ho notato anche io. Mi ha detto che non è riuscita a prendere sonno la notte prima.»

«Quella donna è incredibile.» Accennai un sorriso guardando fuori. Non capivo perché Sylvia si interessasse tanto a me e a Jason, ma da un lato era dolce.

«Come sei arrivata comunque?»

«Mi ha accompagnata...» mi bloccai qualche secondo prima di terminare la frase. «Andrew.»

Jason mi lanciò un'occhiata veloce. «Ah... e perché lui?»

«Perché non ho la macchina, è ancora dal meccanico.»

«Dal meccanico?» Jason mi guardò confuso e pensieroso. «Aspetta... non era Sam ad avere problemi con l'auto?»

«Sam? Non credo, perché?»

«Ricordo che giorni fa, appena arrivato al lavoro dopo la nostra discussione...» disse pressando le labbra al ricordo. «Jaden stava parlando al cellulare, Sam aveva bisogno che andassero a recuperare un'auto, ma quando ha capito che stava parlando con Jaden ha annullato la richiesta e ha staccato.» Spiegò e capendo cosa fosse successo, mi irrigidii.

«Non so, a me non ha detto nulla.»

«Cosa hai fatto alla fronte?» Domandò subito dubbioso.

«Cosa hai fatto alle mani?» Domandai a mia volta soffermandomi a guardare le sue nocche spaccate ma ora, in via di guarigione. Mi lanciò un'occhiata e alzando gli occhi al cielo, risposi alla sua domanda. «Ho sbattuto contro l'anta della credenza.»

«La tua sbadataggine è incredibile. E dimmi... cosa è successo alla tua auto che è ancora dal meccanico? E perché se c'era un problema non l'hai portata da noi?»

«La macchina non partiva e non l'ho portata da voi perché avevamo litigato, quindi non mi sembrava il caso.»
Anche se sembrò voler dire qualcosa, restò in silenzio e dopo qualche minuto, parcheggiò vicino alla casetta sull'albero. Scendendo, tolsi i tacchi camminando a piedi nudi sull'erba che a quanto sembrava, era stata tagliata. «Grazie per avermi portata qui.» Mi guardai intorno sentendomi più tranquilla.

«Vieni.» Mi fece un cenno e salì la scaletta fino in cima. Lo seguii ed entrando, mi preparai a raccontare cosa fosse successo. «Allora? Che succede?»

«Non voglio girarci intorno... la sera del mio compleanno, ho davvero detto di no a Andrew. Poi però mi ha chiesto di vederlo, così l'ho raggiunto nel suo locale. Ha iniziato a parlarmi di un furto, qualcuno aveva rubato soldi dalla sua cassaforte, ma non sembrava turbato. Aveva foto del colpevole, ma non si vedeva il viso...» sospirai scuotendo la testa. «Insomma... voleva incolpare te, pagare dei finti testimoni e avrebbe corrotto la polizia.» Dissi velocemente.

«Lui cosa?» Mi guardò incredulo. «Non sono nemmeno mai stato al suo locale, tranne quel giorno in cui mi ha scritto di vederci... e ho trovato te uscire con l'anello al dito.»

«Già... e quel giorno ha fatto fare delle foto anche alla targa della tua auto. Ha detto che se non avessi messo l'anello, ti avrebbe incolpato anche degli altri furti... i miei.»

Jason mi diede le spalle stringendo i pugni e potei immaginare si stesse trattenendo dal colpire il muro o lanciare qualche oggetto per aria. «Che grandissimo figlio di...» tirò indietro il pugno pronto a colpire la parete ma lo bloccai velocemente. «Non può fare questo.»

«Non lo farà. Perché lo incastrerò.»

«Cosa?» Mi guardò confuso rilassando lentamente le mani.

«Troverò un modo per liberarmi di Andrew. A lui interessano solo i soldi e... divertirsi. Non ho intenzione di sposarlo.» Spiegai. «Credevi mi stessi facendo mettere i piedi in testa? All'inizio ho avuto paura, non ero certa di cosa avrei fatto e ammetto di aver perso la speranza in alcuni momenti... ma non appena Andrew mi aveva messo l'anello al dito, sapevo che avrei fatto qualcosa, avrei tentato.» Mi guardò negli occhi per lunghi istanti prima di tirarmi a se stringendomi in un caldo abbraccio. Ci impiegai qualche secondo, ma non appena realizzai, ricambiai subito stringendomi a Jason. «Mi sei mancato...»

«Anche tu.» Lasciò un bacio tra i miei capelli sospirando.

«Non volevo farti soffrire.» Mi staccai di poco per guardarlo negli occhi.

«Lo so...» sospirò sedendosi e mettendomi accanto a lui, tirai le gambe al petto. «Cosa hai in mente di fare?»

«Voglio prima raccogliere tutte le prove finte che ha contro di te e fargli confessare quello che ha fatto. Ieri sono stata a casa sua per la notte e...» mi bloccai notando le sue mani stringersi di nuovo in due pugni. «Mi dispiace.»

«Ti ha toccata?» Domandò guardando un punto indefinito.

Sospirai silenziosamente passandomi una mano dietro il collo. «Ci siamo baciati, ma non significa nulla. Dovevo fargli credere di essere arrabbiata con te e di essere ora dalla sua parte.»

«Sì beh... non mi piace.»

«Nemmeno a me piace, ma almeno sono riuscita a trovare una cartella con le foto e tra le chiacchiere ho scoperto dove tiene la cassaforte. Continuavo a riempirgli il bicchiere di whisky non appena lo finiva e non ci faceva caso.»

«Dove hai imparato questi trucchi?» Domandò accennando un sorriso.

«L'ho visto in una scena di un film di spionaggio.» Dissi facendo un cenno di non-calanche con la mano.

«Nonostante il bacio, che mi innervosisce al pensiero, devo dire che sei stata furba.»

«E soprattutto fortunata.» Risi poggiando la testa alla sua spalla. «Però non è finita... credo che il resto delle foto e dei file, li tenga in ufficio.»

«Quindi che si fa?»

«Semplice, irromperò nel suo ufficio.»

Jason rise guardandomi. «Come?»

«Andrew non ci sarà la prossima settimana perché va a trovare suo nonno. Ha detto che terrà il locale chiuso, quindi direi che è perfetto. Dobbiamo solo studiare l'area, verificare quante telecamere attive ci sono all'esterno e all'interno e, disattivare l'allarme.»

«Cose da poco.» Disse in tono sarcastico.

«Come se tu non te ne intendessi. Hai disattivato le telecamere di casa mia un anno fa...» sorrisi pizzicandogli il fianco.

«E l'allarme.» Mi ricordò alzando un dito.

«Quello non vale, avevi il codice e per entrare, avevi una copia delle chiavi.»

«Vero.» Sorrise divertito. «Quando hai rubato nei ristoranti Larson e dai tuoi, hai fatto tutto da sola?»

«Diciamo di sì. Mi sono fatta insegnare alcuni trucchi di hackeraggio prima.» Spiegai. «E ci impiegavo giornate intere a progettare i piani, poi aspettavo il momento adatto e agivo. Mi assicuravo sempre che quelli che conoscevo, avessero un'alibi.»

«Ti aiuterò.»

«Cosa?» Sollevai subito lo sguardo.

«Non penserai che ti lasci fare tutto da sola, vero? Ti darò una mano.»

«Non puoi. Andrew sospetterà subito di te, per questo, quel giorno andrai in qualche bar con gli amici o un posto con delle telecamere. Lascia che mi sbarazzi io delle foto... non voglio che tu finisca nei guai, non lo permetterò.»

«Stai zitta...» sussurrò prima di posare le labbra sulle mie accarezzandomi dolcemente la guancia. Il mio stomaco sembrò riempirsi di farfalle e le guance andarono a fuoco. Mossi le labbra sulle sue ricambiando il bacio e lo sentii sorridere tirandomi più vicina. Mordicchiò il mio labbro facendomi sospirare e quando mi staccai si lasciò sfuggire un lamento. Risi e guardando l'ora, mi alzai. «Devo chiamare un taxi prima che faccia troppo tardi.»

«Un taxi? Ma per chi mi hai preso? Non ti lascio tornare a casa in taxi.» Sorrise alzandosi e dopo aver spento la lanterna, scese seguito da me.

«Tornerai a casa tardissimo.»

«Non preoccuparti.» Mi fece l'occhio e dopo aver recuperato le mie scarpe, salii con lui in auto. Non potevo spiegare quanto mi fosse mancato e quanto fossi felice in quel momento, ma nonostante avessimo risolto, non eravamo ancora liberi. Avremmo dovuto organizzare un piano accurato assicurandoci di non mettere nessuno nei guai, compresi noi stessi. Se Andrew voleva giocare, lo avremmo accontentato.

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