Capitolo 5
Mi svegliai presto quella mattina, mancavano venti minuti alle sette ed io ero già vestita e pronta per andare a scuola. Ma le lezioni iniziavano alle otto, quindi sarei rimasta un'ora a vagare per casa.
Oppure...
Scesi silenziosamente di sotto per vedere se i miei fossero in casa e mentre andavo verso la sala da pranzo, sentii qualcuno chiamarmi.
«Signorina Isabel, come mai già sveglia?» Mi voltai verso Marisol che mi guardava con in mano un vassoio.
«Buongiorno Marisol, non so come mai ma, già alle sei non avevo più sonno. I miei sono in casa?»
«Sono usciti giusto cinque minuti fa. Hanno accennato qualcosa su un incontro con i signori Larson.»
«Ah capisco, grazie.» Incontravano i Larson al mattino presto, questo voleva dire che il progetto stava andando bene. Io però volevo capire di cosa si trattasse e glielo avrei domandato quella sera.
«Vuole che le porti già la colazione?»
Marisol mi risvegliò dai miei pensieri e alzai lo sguardo, «mm... no grazie, credo uscirò ora e andrò a prendere qualcosa fuori.» Sorrisi mettendo la borsa in spalla.
«Come preferisce, allora le auguro una buona giornata.»
«Grazie!» Uscii dopo averla salutata con un cenno della mano e corsi a cercare Jason, che con sorpresa trovai già davanti a casa. Era in macchina che smanettava sul suo cellulare con espressione annoiata. Mi avvicinai facendo il giro e bussai piano al finestrino attirando subito la sua attenzione. Alla velocità della luce aveva già infilato il cellulare in tasca e scese dall'auto con le labbra curvate in un sorrisino.
«Come mai già sveglia?»
«Ma perché fate tutti la stessa domanda? Anche io so svegliarmi presto.» Risi incrociando le braccia.
«Ti devo portare a scuola? Direi che è presto...» disse facendo cadere lo sguardo sull'orologio. «Hai già fatto colazione?»
«No.»
«Perfetto! Ti porto in un posto.» Batté le mani sfregandole e mi aprì la portiera dietro.
Lo guardai con espressione confusa. «Dove?»
«Vedrai, fanno una cioccolata che è la fine del mondo.»
Salii in auto e poco dopo eravamo già partiti prendendo una via diversa dalla solita. Jason fischiettava tenendo gli occhi sulla strada, mentre io cercavo di capire dove mi stesse portando. Non conoscevo queste vie, erano abbastanza vuote, c'era qualche negozio minuscolo e giravano ogni tanto dei ragazzi con lo zaino in spalla andando probabilmente verso scuola. Ci allontanammo dalle case e ad un certo punto pensavo mi volesse portare fuori città finché, dopo aver fatto svariati giri, Jason parcheggiò davanti ad una piccola tavola calda con in alto una vecchia insegna sbiadita. Facendo attenzione si riusciva a leggere "Maple Leaf". Presi la borsa e scesi quando Jason mi aprì la portiera, lasciando poi che mi facesse strada dentro quel piccolo ma, apparentemente, tranquillo posto. Dentro era arredato in modo piuttosto curioso... in una metà della locanda le pareti erano rosse, al muro erano appesi cartelli, targhe decorative e alcune foto della città che riconobbi essere Toronto. Dall'altro lato, la locanda era blu e bianca, al muro erano appese foto di giocatori di hockey e osservandole intuii che i colori, probabilmente, erano stati scelti appositamente per richiamare il colore di una squadra in particolare. Dietro al bancone c'era una grande bandiera Canadese appesa, il posto non era niente male. Jason si sedette ad un divanetto poggiando le braccia sul tavolo e lo seguii mettendomi dall'altro lato per essere di fronte a lui.
«Qui fanno anche degli ottimi pancake con lo sciroppo d'acero, dovresti provarli.» Si levò la giacca e allentò il nodo alla cravatta che, già in partenza, aveva annodato male.
Una donna bassina, dagli occhi color nocciola si avvicinò sorridente con un taccuino in mano. «Buongiorno e benvenuta al Maple Leaf!» Mi guardò e subito dopo spostò lo sguardo su Jason. «Tu non dovresti essere al lavoro?» Domandò. A quanto pare lo conosceva.
«Sì, ma prima la colazione. Ti presento Isabel...» disse sorridente presentandomi alla signora. «Isabel, lei è Jane. Oltre ad essere la proprietaria di questo posto, è anche la miglior pasticcera e cuoca del mondo!»
La donna arrossì dando un colpetto alla spalla di Jason con il taccuino. «Puoi non esagerare tutte le volte?» Chiese in imbarazzo e a quella scena risi divertita alzandomi subito dopo per stringerle la mano.
«Conoscerla è un vero piacere.»
«Il piacere è tutto mio cara... cosa posso portarvi?» Chiese dolcemente.
Mi sedetti mentre Jason sbirciava il menù. «Io prendo i pancake e un caffè.»
«Io gradirei una cioccolata calda, Jason dice che qui la fate molto buona.»
«Certo! Vi porto tutto tra qualche minuto.» Sorrise e sparì in cucina.
C'erano poche persone ed era tutto tranquillo, Jason arrotolò le maniche della camicia e mi guardò. «Prima impressione?»
«Lo trovo grazioso, non ero mai stata in una tavola calda. Jane è molto dolce e gentile, vi conoscete da molto?»
Rise anche se non capii il motivo e annuì. «Sì, vengo qui da quando ero piccolo.»
Mi guardai intorno notando che oltre a Jane, lavorava solo un'altra persona li. Un ragazzo, all'apparenza più grande di Jason. «Sono solo in due a gestire il posto?»
«Sì.»
«E riescono a fare tutto da soli? Chiedo perché al Luxury, il bar in cui vado a volte con Megan, il personale è più numeroso.»
«Sono due posti diversi piccola,» fece spallucce e arrossii lievemente per come mi aveva chiamata, «li ci vanno persone... mm...» mi guardò cercando le parole adatte ma capii quello che voleva dire.
«"Come me?"» Domandai.
«Non voglio dire-» provò a chiarirsi ma lo interruppi.
«Tranquillo, ho capito cosa intendi.» Accennai un sorriso ma mi sentii leggermente a disagio.
«Tu non sei come loro. Non guardi le persone come se fossero inferiori a te e non le giudichi.» Sorrise poggiando la schiena contro il divanetto. «Sei diversa dagli altri che ho visto a quella festa, come quel "Andrew". So che ci conosciamo da circa ventiquattr'ore ma, se devo essere sincero, mi sembri abbastanza diversa da lui.»
Risi e nel frattempo arrivò Jane con la mia cioccolata, i pancake e il caffè di Jason. «Ecco a voi ragazzi, spero sia di vostro gradimento.» Sorrise e tornò dietro al bancone a servire gli altri clienti.
«Finalmente, stavo morendo di fame!» Guardò con espressione gioiosa i pancake e dopo averci versato lo sciroppo d'acero, ne tagliò un pezzo mangiando. Fece un verso di piacere poi guardò me. «Dai, assaggia la cioccolata e dimmi com'è.»
Mescolai un po' la cioccolata con il cucchiaino e dopo aver soffiato per evitare di ustionarmi la lingua, assaggiai. Era cremosa, probabilmente la miglior cioccolata che avessi mai assaggiato. Persino migliore di quella che mi preparava Marisol a casa. Un verso di piacere uscì dalle mie labbra e riempii di nuovo il cucchiaino. «Non ci posso credere, è davvero la migliore cioccolata del mondo!»
Annuì soddisfatto riprendendo a mangiare. Intanto, due minuti dopo avevo già finito la cioccolata e ne avrei voluta un'altra, ma dovevo contenermi.
«Sei stata veloce, ne vuoi un'altra?» Chiese ridendo. Ci pensai qualche istante ma nonostante fossi molto tentata, scossi la testa e mi pulii le labbra con un tovagliolo. «Vieni qui.» Picchiettò accanto a se sul divanetto e alzandomi mi spostai accanto a lui confusa. Tagliò un pezzo di pancake e me lo portò alle labbra. Assaggiai e poco dopo annuii in segno di approvazione.
«Sono buonissimi, avevi ragione!»
«Io ho sempre ragione.» Sorrise fiero per poi ridacchiare sottovoce prendendo il tovagliolo.
«Perché ridi?»
Non rispose e mi pulì l'angolo delle labbra, in quel momento sentii le mie guance andare a fuoco. «Eri rimasta sporca di cioccolata qui all'angolo...» disse, «fatto.»
«Grazie...»
«Di nulla, ora ti porto a scuola. Se partiamo tardi rischiamo di beccare del traffico.»
«Giusto, andiamo.»
Mi alzai e Jason prese la giacca mettendosela su una spalla. «Aspetta qui, torno tra un minuto.»
Annuii e Jason si allontanò mentre io iniziai a guardare i cartelli appesi al muro e qualche foto incorniciata del locale durante gli anni. Jane era sempre sorridente e con lei c'era quasi sempre un uomo, in una foto c'erano tutti i clienti ai tavoli, tra cui anche Jason seduto con un gruppo di ragazzi.
«Ok, possiamo andare.» Disse avvicinandosi a me.
«Ci sei tu in questa foto, guarda!» Dissi indicandolo.
«Già.» Rise e poggiò una mano sulla mia spalla portandomi verso l'uscita.
«Aspetta, dobbiamo pagare.» Lo fermai indicando il bancone.
«Ho già fatto.»
«Cosa? Ma...»
«Shh... andiamo.» Sorrise salutando Jane e io feci lo stesso andando poi con lui alla Range Rover.
«Grazie Jason, non dovevi.»
«Figurati piccola, ora però... ti siedi davanti con me.» Mi aprì la portiera del posto avanti e prendendomi la mano mi fece avvicinare in modo che mi sedessi. Non lo avrei mai fatto solitamente, ma visto che con me era stato gentile e mi aveva offerto la colazione, lo accontentai.
«Solo per questa volta.» Sorrisi mettendomi seduta e allacciai la cintura mentre Jason andava al posto del guidatore dopo aver indossato di nuovo la giacca. Allacciò anche lui la cintura e mettendo in moto, partì.
«Comunque non mi sono dimenticato... io voglio ancora vederti guidare.»
«Certo, magari un giorno.» Dissi ironica mentre lui accendeva la radio e con una mano tirava fuori dalla tasca una chiavetta USB. «Cosa fai?»
«Metto della musica.» Fece partire una canzone Rap e mi guardò. «Questa la conosci, vero?»
«Mm... forse l'ho sentita una volta, non lo so.» Risposi incerta. Quello non era esattamente il mio genere.
«"Only God can judge me" di Tupac. Non lo hai mai ascoltato?»
Pressai le labbra pensando e scossi la testa. «No.»
«Oh no...» Poggiò qualche secondo la fronte sul volante tornando poi subito a guardare la strada. «Cosa ascolti?»
«Dipende...»
«Forse posso ancora salvarti, ti farò una playlist.»
Finita quella canzone, ne partì una degli AC/DC e mi illuminai. «Questa la so!»
«Bene! Allora non sei proprio un caso perso.»
Lo colpii alla spalla e rise guidando tranquillo come se non lo avessi sfiorato. Minuti dopo eravamo già nel parcheggio accanto alla scuola, non c'era ancora nessuno. Jason abbassò il volume della musica e nel frattempo guardai l'ora. «Manca ancora un po'. Potrei entrare e andare già nel laboratorio di chimica.»
«Oppure potresti restare qui.»
Lo guardai e mi fece l'occhiolino spegnendo poi l'auto. «Potrei insegnarti a fare il nodo alla cravatta.» Proposi.
Rise guardandosela e la slacciò. «Se è necessario, ok.»
Disfai il nodo alla mia cravatta e mi sedetti composta dopo aver slacciato anche la cintura. Lui fece lo stesso guardandomi. «Ok, segui i miei passaggi.»
Annuì e nel frattempo gli spiegai i giri che doveva fare. «All'inizio può sembrare difficile ma poi ci prendi la mano. Passaggio numero otto, devi far passare questa parte dietro. Nove, infili qui e dieci stringi.» Guardai Jason e scoppiai a ridere vedendo il disastro che aveva combinato. «Non ti ho guardato per due secondi e hai combinato questo?»
«Tutti questi passaggi sono complicati.» Rispose sbuffando. Si sciolse di nuovo quello strano nodo e glielo rispiegai dall'inizio. «E se ne comprassi una finta? Non credo che qualcuno se ne accorgerebbe.»
«Potrebbe essere una soluzione.» Risi mostrandogli di nuovo con la mia cravatta come fare e, stretto il nodo, lo guardai. «Visto? Facile.»
«Per te lo è. Mm... ci riprovo.»
«Va bene, ma ancora questa volta e poi vado. Megan sta per arrivare e la campanella suona tra meno di dieci minuti.»
Annuì e si guardò la cravatta cercando di seguire i passaggi. Era concentrato ma stava di nuovo sbagliando qualche giro. «Faccio io.» Risi avvicinandomi quanto potevo e sciolsi il nodo per l'ennesima volta. Iniziai a rispiegare e nel mentre gli facevo il nodo alla cravatta, poi strinsi piano e lo guardai. «Fatto.»
I suo occhi azzurri si soffermarono a guardare i miei. Gli sistemai la cravatta e il colletto mantenendo il contatto visivo. Era difficile non guardarlo, i suoi occhi erano davvero belli, più azzurri dei miei. Questa era una delle ragioni per cui l'avevo registrato con il nome "occhi di ghiaccio", ti attiravano come due calamite. In qualche modo notai che era più vicino e non potei fare a meno di abbassare lo sguardo sulle sue labbra. Sentii una stretta allo stomaco e le guance scaldarsi, non so il perché di quella sensazione e non sapevo cosa mi stesse succedendo. Sapevo solo che il mio corpo non riusciva a tirarsi indietro. Due dita mi sfiorarono la guancia delicatamente passando poi sotto il mento per poi sollevarlo leggermente. In quel momento il mio cellulare iniziò a suonare e sussultai rimettendomi velocemente composta sul sedile. Risposi senza guardare dall'agitazione e imprecai mentalmente.
«Pronto?» Sussurrai.
«Isabel dove sei? Io e Andrew ti stiamo aspettando davanti a scuola.»
«Arrivo, sono al parcheggio.» Staccai passandomi una mano dietro al collo caldo.
Guardai Jason puntare gli occhi in lontananza verso l'ingresso dove c'erano Megan e Andrew che parlavano con degli altri ragazzi. «Devo andare.»
«Ci vediamo all'uscita, buona giornata principessa.»
Feci per dire qualcosa riguardo il nomignolo ma mi zittii prendendo la borsa. Lo salutai velocemente e uscendo dall'auto andai verso l'ingresso. Stava davvero per succedere? In auto stava per baciarmi? Io... stavo per baciarlo? Ora mi sarei distratta tutta la mattinata pensandoci. Assurdo, lo conoscevo appena, non potevamo comportarci in quel modo. Ero davvero una stupida, mi sarei picchiata da sola. Raggiunsi gli altri e nel frattempo mi voltai per vedere Jason allontanarsi in auto.
«Isabel?» Mi girai verso Megan e Andrew che avevano un'espressione confusa.
«Sì?»
«Cosa guardavi? Ti abbiamo chiamata quattro volte prima che ti girassi.»
Non me ne resi contro e facendo un gesto di non calanche con la mano, inventai qualcosa. «Nulla, mi era solo sembrato di vedere la prof di diritto.»
«Quella per fortuna resterà assente tutta la settimana, non ti devi preoccupare.»
Annuii e Andrew tornò a parlare con i suoi amici. «Vado a prendere posto in laboratorio.»
«Resta con noi, se qualcuno ci prende i posti li facciamo alzare.» Megan si avvicinò per dirmi qualcosa all'orecchio. «Poi voglio stare qui con Matthew ancora un po'.» Lo indicò con un cenno della testa e si perse a guardarlo rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
Annuii distrattamente e mi appoggiai al muretto aspettando il suono della campanella che fortunatamente sarebbe suonata da li a poco. Per far passare il tempo più velocemente, iniziai a smanettare con il cellulare sperando di riuscire a distrarmi abbastanza dalla marea di pensieri che si stavano diffondendo nella mia testa.
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