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Capitolo 46

Quel pomeriggio, la voglia di studiare mi aveva abbandonato completamente, infatti non toccai un solo libro. Avevo invitato Sam e Clyde da me, ma avevano rifiutato per via di un altro impegno. Stessa cosa per Jason che mi accennò di un lavoro che non poteva assolutamente rimandare, così mi ritrovai da sola ad annoiarmi guardando la TV. Continuai a girare tutti i canali, ma nessun programma o film suscitava il mio interesse. Più tardi quindi, andai a preparare qualcosa di leggero per cena pensando a come riempire quelle ore così lunghe e noiose. Dopo aver sistemato la cucina, sospirai e alzandomi andai in camera, dove iniziai a cercare il libro di Peter Pan, ma non lo trovai. Finii per mettere a soqquadro la stanza, controllai nei cassetti e nelle borse, non poteva essere sparito così. Sollevai lo sguardo solo quando, qualche ora dopo, sentii il cellulare suonare. Allungando la mano verso il comodino lo afferrai e risposi subito dopo aver letto il nome sullo schermo. «Ciao Jason!»

«Ehi Isabel...» accennò una risata ma sembrava che qualcosa non andasse.

«Va tutto bene?» Domandai gettando una felpa sul pouf.

«Hai lavorato molto in ospedale... quanto sei brava a dare i punti?»

«Oddio, cosa è successo?» Mi alzai velocemente e tenendo il cellulare all'orecchio andai a prendere la giacca.

«Sono alla casa sull'albero. Sai il vento forte che ha tirato l'altro giorno? Ha fatto qualche danno e mi sono fatto male sistemando un'asse... il braccio ora sanguina.»

«E hai deciso di farlo a quest'ora? Arrivo il prima possibile, tu cerca di fermare il sangue in qualche modo. Se hai il kit di pronto soccorso in macchina, prendi delle garze e disinfetta la ferita.» Corsi a mettermi le scarpe e quasi inciampai imprecando sottovoce.

«Va bene, grazie.»

Staccai la chiamata e, dopo aver preso la cassetta del pronto soccorso, mi precipitai fuori dall'appartamento. Dovevo sbrigarmi, Jason era abbastanza lontano e pensandoci, forse avrebbe fatto meglio a chiamare qualcun altro. Salii in macchina e cercai la strada più veloce per raggiungere il frutteto, dopodiché partii.
Riuscii ad accorciare un po' la strada e non appena arrivai, restai sorpresa nel trovare il vecchio pick-up di Jason anziché la Range Rover. Scesi velocemente con la cassetta del pronto soccorso in mano e mi bloccai quando, alzando lo sguardo, vidi la casetta illuminata da lucine, lanterne e decorata con molti fiori tutti intorno. A terra c'era qualche petalo che conduceva fino alla scaletta. Salii lentamente guardandomi intorno ed entrando, vidi Jason sorridermi a braccia conserte. Aveva addosso una felpa verde scuro con il cappuccio tirato su e sembrava che prima del mio arrivo stesse guardando qualcosa appoggiato sul baule... una mappa. «Che cosa sta succedendo?» Sorrisi e mi avvicinai lentamente guardandolo, il suo braccio sembrava a posto. Jason prese il kit mettendolo in un angolo e si riavvicinò a me prendendomi delicatamente le mani.

«Ricordi quando un anno fa ci siamo dati alla fuga in centro?» Domandò e io risi subito al ricordo annuendo. «Dicesti di voler scappare un giorno. Volevi andare sull'Isolachenoncè.» Sorrise sfiorandomi la guancia e lo guardai dolcemente. «Stanotte ho pensato di portartici.» Mi mostrò la mappa dell'isola che stava guardando prima del mio arrivo e mi portai una mano alle labbra. Il cuore mi batteva forte e quasi mi veniva da piangere dalla gioia. «Ho fatto del mio meglio, ma servirà un po' di fantasia...»

«Jason, è... meraviglioso.» Sfiorai la mappa prendendola poi tra le mani e riallacciai lo sguardo al suo. «E hai fatto tutto questo per me?»

Sorrise facendomi l'occhiolino e si sedette sul baule. «Qui dentro c'è un tesoro.» Disse dandoci un colpetto con la mano. «Ma la chiave è nascosta da qualche parte... sta a te trovarla.»

«Ma potrebbe essere ovunque.»

«Peter disse qualcosa per convincere Wendy a seguirlo quella sera. Lei desiderava vedere qualcosa in particolare.» Mi condusse alla finestra e notai che diversi alberi, erano circondati da piccole lanterne. «Ogni albero corrisponde ad un luogo... c'è il campo degli indiani,» disse indicando a sinistra, «la nave di uncino...» sussurrò pizzicandomi i fianchi facendomi così sfuggire una risata. «La laguna delle sirene... e la roccia del teschio. Ma la chiave potrebbe anche essere qui.» Disse facendo spallucce.

«Wendy voleva vedere le sirene...» risposi guardando Jason e sorrisi sfiorandogli il cappuccio. «Vado a cercare la chiave.» Scesi la scaletta e corsi verso l'albero su cui era appeso il cartello "Laguna delle sirene". A terra c'era un barattolo di vetro pieno di sabbia, si intravedeva anche qualche piccola conchiglia colorata. Tolsi il coperchio e misi la mano nella sabbia, finché non sentii qualcosa, la chiave. La afferrai e sorrisi tornando velocemente da Jason che si era seduto davanti al baule a gambe incrociate. Mi ricordava Peter Pan più che mai. «Trovata!» Era stato facile.

«Ottimo! Adesso Wendy, apri il forziere.»

Inserii la chiave nella serratura del solito vecchio baule e lo aprii. Dentro c'erano alcune foglie che Jason mi aiutò a spostare, scoprendo poi una scatola. «Comunque sappi che la tua chiamata mi hai spaventata.» Lo informai.

«Mi dispiace, volevo che questa fosse una sorpresa.» Rise e aprì con me la scatola rivelando una serie di foto e alcuni oggetti, tra cui il fermaglio che mi sfilò dai capelli il giorno dell'inaugurazione del Royal e le maschere del ballo.

«Non posso crederci...» sorrisi guardando foto di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza e che ripercorrevano praticamente la nostra storia. «Non sapevo nulla di queste foto.»

«Alcune ce le ha scattate Jaden, quelle della vigilia invece le ha scattate mia madre. Poi sono riuscito a trovarne alcune della festa di Halloween, compresa questa...» mi porse la foto che aveva tanto fatto arrabbiare Andrew un tempo, dove sembrava che io e Jason fossimo sul punto di baciarci. «Bella, vero?»

Lo guardai e sorrisi. «Molto.» Notai che si era messo a giocare con qualcosa di argentato che passava da una mano all'altra. «Quello è il mio bacio?»

«Sì. Sai che non me ne separo.» Lo rimise in tasca e allungando la mano, sfiorò il bottone al mio collo. «Come tu non ti separi dal mio.»

«Così è come se fossi sempre con me... e io con te.» Sussurrai mentre lui mi faceva sedere tra le sue gambe e appoggiare la schiena al suo petto.

«Io ci sarò sempre.»

«Lo so, ho sempre creduto in te Peter.» Gli lasciai un bacio sulla guancia e tornai a guardare le foto, trovandone una mia con il piccolo Michael tutto sporco di cioccolata. Risi e Jason me ne passò un'altra di noi due sotto il vischio. Arrossi lasciandomi scappare un sorriso e sospirai. «Mi manca andare al Maple Leaf.»

«Anche a me e ricordo ancora quando ti ci portai la prima volta.»

«Jane mi preparò una cioccolata deliziosa! La migliore del mondo.» Risi e guardando di nuovo nella scatola, vidi la cravatta di Jason. «Ecco la cravatta del lavoro che non hai mai saputo annodare.»

«Odio le cravatte... ma almeno non mi hanno obbligato ad indossare il cappello da autista.» Si passò una mano tra i capelli e lasciò cadere indietro il cappuccio.

«Comunque ho notato che non hai la Range stasera.»

«Ho pensato che con quella non sarebbe stato comodo guardare le stelle.» Raccolse alcune coperte piegate accanto al baule e mi fece cenno di seguirlo fuori. Scesi di sotto con lui e lo aiutai a sistemare le coperte e qualche piccolo cuscino. «Ho anche gli snack.»

«Ma davvero?» Domandai con un sorrisino. «Sto avendo un bellissimo flashback in questo momento.»

«Curioso.» Rise e mi aiutò a salire sul cassone. «Siamo fortunati, temevo che stasera sarebbe stato nuvoloso.» Si coricò mettendo le braccia dietro la testa e io feci lo stesso. Ero ancora sorpresa per il fatto che Jason avesse fatto tutto questo per me. Non riuscivo a smettere di sorridere, spostai lo sguardo dalle stelle a lui, che notai essere concentrato a guardare il cielo. Sembrava quasi essersi assorto. Non lo disturbai, preferii lasciarlo alle sue riflessioni e tornai a guardare su. Ad un certo punto alzai un braccio e puntai il dito verso una stella, che unii con l'immaginazione ad un'altra. «Giochi con le stelle?» Chiese subito Jason.

«Sì. Cerco di unirle, in questo modo non sembrano essere sole in mezzo a tutto quel nero che le circonda.» Spiegai incrociando poi il suo sguardo.

«Ti va di ballare?» Domandò improvvisamente cogliendomi alla sprovvista.

«Vuoi ballare? Qui?» Sorrisi mettendomi seduta e lui fece lo stesso.

«Domani c'è la tua festa di compleanno e non potrò ballare con te, quindi voglio farlo qui, adesso.» Disse in tono convinto.

«Ma non c'è la musica.» Risi guardandolo scendere porgendomi la mano che afferrai senza esitare.

«Certo che c'è la musica Wendy.» Sorrise tirandomi a se iniziando a ballare proprio come al ballo in maschera. Un leggero venticello soffiò per pochi secondi e in quel momento sentii dei tintinnii, sembravano campanellini. «Sentito? Le fate sono qui.» Sorrise e io mi guardai intorno attentamente di nuovo sorpresa. Il fatto che avesse prestato tutta quella attenzione ai dettagli, mi lasciava senza parole.

«Lo sai? Sei incredibile... davvero. Tutto questo è meraviglioso.»

«Sono felice che ti piaccia.» Mi accarezzò la mano e dalle sue labbra uscì un piccolo sospiro. «Devo dirti una cosa.» Sussurrò e, la sua frase, mentirei se dicessi che non mi aveva preoccupata. Mi fermai ma lui non mi lasciò.

«È qualcosa di serio?»

«Sì, è serio, ma non è grave... non per me almeno.» Si lasciò sfuggire una risatina nervosa e si passò di nuovo una mano tra i capelli. Sembrava farlo spesso quella sera.

«Ti ascolto.»

«Ricordo che quando sono tornato in città, mi hai fatto una domanda. Mi hai chiesto cosa mi avesse spinto a tornare... ma io non ti ho risposto perché non mi sentivo pronto. Credo di aver avuto paura.» Disse con sguardo pensieroso, come se ci avesse pensato solo in quel momento. «Ma sono stanco di aspettare e rimandare... non posso più farlo.» Mi accarezzò la guancia tenendo gli occhi fissi ai miei. Sembrava un po' agitato, ma ai miei occhi era molto tenero e sorrisi continuando ad ascoltarlo. «La verità è che sono tornato perché mentre ero in Canada, tu non abbandonavi un solo istante i miei pensieri.» Confessò facendomi sentire una stretta al cuore. «Eri nella mia testa quando mi svegliavo, quando andavo al lavoro, quando tornavo a casa e lo eri quando andavo a dormire. Ad un certo punto pensavo di impazzire... volevo dimenticarti perché ero certo sarei rimasto definitivamente in Canada. Inutile dire che non ci sono riuscito visto che sono qui ora.»

«Jason...» cercai di dire qualcosa ma le parole non uscirono, mi bloccai. Non immaginavo mi avrebbe detto quelle cose e non immaginavo avesse pensato così tanto a me. Lui ad ogni modo proseguì con il suo discorso, come se non volesse perdere il filo.

«Isabel, tu sei una ragazza dolcissima, divertente, altruista... a volte un po' testarda, infatti mi fai arrabbiare delle volte,» disse ridendo, «ma sei fantastica. Non mi aspettavo di...» sospirò alzando qualche secondo gli occhi verso il cielo e potei giurare di aver visto le sue guance colorarsi di rosa. Il suo cellulare iniziò a suonare ma dopo qualche secondo smise subito. «Scusa, la sveglia.»

«A quest'ora?» Domandai, anche se in quel momento non m'importava davvero. Pensavo alla frase che aveva lasciato in sospeso e che speravo terminasse. Avevo la sensazione che stesse per dire quello che avrei detto anche io, cosa che non avevo ancora avuto il coraggio di fare.

«Sì.» Sussurrò Jason tornando a guardarmi negli occhi. Mi tirò più vicina a lui e tornammo a ballare sulle note di ciò che ci circondava, la natura. «Dove ero rimasto?» Domandò con un sorrisino.

«Lo sai benissimo dove eri arrivato, Jason McCann.» Sussurrai facendogli sfuggire una risata. Era divertito, io invece avevo il fiato sospeso.

«Ti vedo ansiosa.»

«Zitto...»

«Va bene.» Fece spallucce trattenendo una risata.

«No! Non intendevo...» sbuffai lasciandomi sfuggire un sorriso e alzai gli occhi al cielo. «Sei incredibile.»

«Lo so.» Mi fece fare una giravolta prima di tirarmi dolcemente al suo petto.

«Non si lasciano le frasi in sospeso.»

«Hai ragione, ma devo dire che è divertente vederti così curiosa.» Disse prima di fermarsi a guardarmi. Scosse piano la testa divertito e mi domandai a cosa stesse pensando.

«Sei proprio un bambino, Peter Pan.» Incrociai le braccia e voltai il viso trattenendo un sorriso.

«Come dici Wendy?» Chiese in tono scioccato e prima che potessi rispondere, iniziò a farmi il solletico. Tirai un piccolo urlo prima di iniziare a ridere, cercando nel frattempo di correre via. Lui però continuava a raggiungermi e ad un tratto ci ritrovammo distesi a pancia in su sull'erba. Tornammo a guardare le stelle mentre entrambi prendevamo fiato lasciandoci comunque sfuggire qualche risata. «Wendy?»

«Sì, Peter?» Lo guardai e lo sentii sfiorarmi la mano.

«Posso darti... un bottone?» Domandò guardandomi serio con quei suoi occhi che anche al buio riuscivano a brillare.

«Certo che puoi.» Sussurrai stringendogli piano la mano sentendo già le farfalle volare nel mio stomaco. Jason si tirò su con il gomito e si avvicinò senza staccare gli occhi dai miei. Le mie guance si scaldarono quando avvicinandosi, riuscii a sentire il suo respiro caldo sulle labbra che sfiorò appena con le sue, ma non le unì. Portai le mani sul suo viso e lo vidi sorridere, cosa che mi contagiò subito. Non aspettò più. Un secondo dopo le sue labbra si erano delicatamente posate sulle mie. Cosa provai? Leggerezza. Non mi ero mai sentita meglio come in quel momento. Le sue labbra erano morbide e io le seguivo perfettamente in ogni movimento, senza problemi. Quando cercò di approfondire il bacio, non lo fermai, mi avvicinai di più al suo corpo se possibile e lui, sedendosi, mi strinse dolcemente a se facendomi sedere a cavalcioni sulle sue gambe. Nel momento in cui ci staccammo quel poco che ci serviva per prendere fiato, i nostri sguardi si riallacciarono. «Buon compleanno...» sussurrò Jason poggiando la fronte sulla mia mentre le mie labbra si curvarono in un sorriso spontaneo.

«Non mi sveglierò nella mia stanza tra pochi secondi, vero?» Ero sicura di avere gli occhi luccicanti, ero così felice che avrei fermato il tempo se avessi potuto.

«No, non succederà.» Si alzò lasciandomi sull'erba e andò a prendere qualcosa. Quando tornò, mise giù la coperta e mi porse il libro di Peter Pan che io avevo cercato per ore a casa. Non avevo idea di come facesse ad esserne in possesso, ma non glielo chiesi. Aprii una pagina a caso e andando ad inizio capitolo, Jason si offrì di leggere.

«Jason?»

«Sì?» Domandò facendomi appoggiare a se.

«Grazie per avermi portata all'Isolachenoncè.»

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