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Capitolo 40

Punto di vista di Jason

Schivai Mike, passai la palla e quando Jaden me la passò di nuovo, la afferrai al volo. Palleggiai correndo verso il canestro, Rick mi marcava standomi addosso. Feci passare la palla da basket sotto le gambe e continuai a palleggiare tenendo un braccio contro il petto di Rick per impedirgli di rimpossessarsi della palla. Gli altri si sbracciavano incitandomi a passarla, ma non potevo, era un rischio in quel momento. Con uno scatto veloce sfrecciai e saltando, tirai la palla che fece un giro intorno al canestro lasciandoci con il fiato sospeso prima di entrare e segnare il punto. I ragazzi della mia squadra esultarono, eravamo in vantaggio noi al momento. Ethan stava tenendo il punteggio e faceva da arbitro dato che aveva il gesso. Mike chiese cinque minuti di pausa così ne approfittammo tutti per bere dell'acqua. Quasi sicuramente non avremmo continuato la partita, visti i nuvoloni, si sarebbe messo a piovere da li a poco. Guardai il cellulare, erano le cinque del pomeriggio. Isabel forse era ancora in ospedale, non volevo disturbarla chiamando. Entrai nella sua chat e restai a guardarla pensando. Potevo semplicemente mandarle un messaggio e vedere se rispondeva. Jaden si avvicinò e abbassai subito il cellulare. «Cosa dicono gli altri? Qui penso si metterà a piovere tra poco.»

«Già, tornano tutti a casa infatti.» Disse indicando alcuni che iniziavano a mettere lo zaino in spalla. «Allora?» Domandò  guardando verso il cellulare. «Parlavi con Isabel?»

«No, credo sia in ospedale.»

«Le hai detto perché sei tornato?» Mi guardò infilandosi la giacca.

«Più o meno...» risposi vago.

«Cioè? Non glielo hai spiegato, vero?» Inarcò un sopracciglio e sospirai.

«Le ho detto che sono tornato per capire delle cose.»

«Beh, è un passo. Ora devi solo... sai, essere più specifico. Mettere le cose in chiaro.»

«Non è facile. Stavo per farlo, volevo... ma mi sono bloccato.» Sospirai andando con lui verso il resto del gruppo per salutarli.

«Certo che lo è. Ma ti fai problemi perché ci tieni. Speri in una reazione positiva, è normale.»

Dopo aver salutato tutti, aiutammo Ethan ad alzarsi e lo riaccompagnammo a casa sua. A metà strada, Jaden iniziò a ricevere diversi messaggi dalla sua ragazza che tentava di convincerlo ad andare ad una festa con lei. «Perché non vuoi andarci?»

«Non è che non voglio, è che c'è la partita stasera in TV.» Disse lamentandosi.

«La possiamo registrare.»

«Mm sì, potremmo, ma sarebbe meglio guardarla in diretta.» Sopirò guardando ancora la chat. «Ok, vado ma ci vieni anche tu.»

«Scordatelo.» Risi e in quel momento suonò il mio cellulare. Era Isabel e risposi subito mentre Jaden mi insultava sottovoce.

«Ehi Isabel.»

«Ehi, Jason McCann!» Rise e io con lei. «Mi chiedevo... se avessi da fare stasera.» Potevo immaginare le sue guance colorarsi di rosa. Quella era la sua voce timida e imbarazzata. «Magari potevi venire da me, sai... per quella cena.» Disse. «Ma mi rendo conto che forse è troppo lontano venire fin qui...»

«No.» Risposi in fretta, «è perfetto.»

«Bene allora! Io sono tornata ora a casa, quindi puoi venire qui quando sei più comodo.»

«Posso aiutarti a preparare la cena se ti va. Vengo lì per le sette?» Domandai.

«Va bene! Allora a più tardi!»

«A più tardi principessa.» Sorrisi riattaccando e appena vidi lo sguardo che mi aveva lanciato Jaden, lo colpii alla spalla.

«Fate venire il diabete.»

«Sta zitto Jaden. O vuoi che ti faccia un video la prossima volta che sei con Kady?» Domandai divertito. «Quando ha saputo che ti eri slogato il polso è corsa a casa tua e voi sì che eravate sdolcinati.»

«Ok, ok. Ma sai almeno qual è la differenza? Che io e lei stiamo insieme. Io ho espresso i miei sentimenti per lei, quindi siamo giustificati se ogni tanto siamo sdolcinati.» Disse dandomi una pacca sulla spalla.

•••

Dopo aver fatto una doccia, mi cambiai subito per uscire. Jaden mi lanciò le chiavi di casa che stavo dimenticando di prendere e scesi alla macchina. Erano le sei quando partii, era presto ma volevo assicurarmi di trovare subito parcheggio vicino a casa sua. Misi l'indirizzo nel navigatore e presi la strada più veloce. Qualche minuto dopo svoltai e mi fermai a guardare il posto in cui un anno prima c'era il Maple Leaf. Notai due macchine entrare nel parcheggio e poco dopo scesero Andrew Larson e Mark Evans. Strinsi la presa sul volante facendo diventare le nocche quasi bianche. I due passarono al lato del locale ed entrarono da una porticina che avevano appena aperto dopo aver tolto un lucchetto e dato dei giri di chiave. Mi ripresi dopo aver sentito una notifica che però ignorai ripartendo velocemente.
Quindici minuti dopo avevo superato l'ospedale dove lavorava Isabel, quindi ero a metà strada. Guardai il navigatore e dopo un altro quarto d'ora circa, vidi quello che doveva essere il suo palazzo. Fortunatamente aveva smesso di piovere, trovai subito parcheggio e scendendo dall'auto, guardai il numero del portone prima di entrare. All'ingresso c'era un portinaio sulla quarantina che leggeva un giornale, avvicinandomi lo guardai chiedendo a che piano abitasse Isabel e dopo aver ricevuto l'informazione, salii sentendo il suo sguardo addosso finché non voltai l'angolo. Presi l'ascensore e guardai l'enorme spazio che c'era, lì dentro potevano benissimo starci dieci persone. Appena il tintinnio segnò l'arrivo al mio piano, uscii e mi guardai intorno cercando il numero venti sulla porta. Controllai anche il nome sul campanello per sicurezza e subito dopo suonai. Misi le mani in tasca e nel frattempo un ragazzo biondo aprì la porta guardandomi con un'espressione confusa quanto la mia. Diedi una veloce sbirciata dietro di lui prima di riguardarlo.
«Ciao... mm cercavo Isabel.» Dissi mentre lui mi squadrava come per capire chi fossi. Eppure non avevo sbagliato casa.

«Si sta vestendo. Tu sei?»

Riflettei qualche secondo su ciò che aveva detto, prima di rispondere. «Jason.»

«Ma non mi dire.» Sulla sua faccia spuntò un sorrisino e si appoggiò allo stipite della porta incrociando le braccia. Non capivo cosa stesse accadendo e non capivo perché questo tipo fosse a casa di Isabel. «Sam! Indovina!» Urlò.

Qualche secondo dopo, un altro ragazzo lo raggiunse. «Che succede?» Mi guardò e si bloccò sorridendo dopo avermi squadrato. Ora mi sentivo a disagio oltre che confuso. «E lui chi è?»

«Jason.» Rispose il ragazzo biondo mentre il suo amico sgranava gli occhi.

«Davvero? Sei Jason? Quel Jason?Oddio è vero! Adesso ti riconosco!» Sorrise e tese una mano che strinsi esitante mentre si presentava. «Io sono Samuel.»

«Ah giusto, io sono Clyde.» Disse l'altro facendomi un cenno con la testa. Improvvisamente apparve Isabel parlando tranquillamente di qualcosa, ma appena ci vide si bloccò.

«Jason?» Guardò subito l'ora e poi di nuovo a me.

«Sono un po' in anticipo, ma se sei impegnata...»

Nessuno dei tre mi lasciò finire la frase. I due ragazzi uscirono spingendo invece me dentro casa chiudendo poi la porta. Isabel scosse la testa ridendo e mi guardò con aria leggermente imbarazzata. «Scusa... ti hanno riempito di domande?»

«Mi hanno solo lasciato un po' spiazzato. Mi ha aperto il ragazzo biondo e pensavo di aver sbagliato casa, anche se avevo controllato sia il numero che il nome sul campanello.»

«Ero andata a cambiarmi perché ero tutta sporca di farina. Per quello ti hanno accolto loro.» Spiegò sorridendo, ma guardando probabilmente la mia espressione, si avvicinò. «Va tutto bene?»

«Tu e quel Clyde...?» Cercai di formulare quella domanda ma Isabel sembrò capire subito e si mise a ridere. «Perché ridi?» Non capivo cosa la divertisse tanto, io al contrario, mi sentivo leggermente infastidito.

«Clyde e Sam sono i miei vicini di casa...» disse, «e stanno insieme...» spiegò ridendo nel vedere ora la mia faccia. Dopo quel chiarimento mi sentivo più rilassato e scuotendo la testa mi lasciai scappare un sorriso. «Sei geloso, McCann?» Domandò divertita mentre alzavo gli occhi al cielo.

«Proprio per niente, Evans.»

«Sì certo. Comunque cosa ne pensi della casa?» Domandò e alzando lo sguardo sorrisi. Entrando si arrivava subito al salotto dal soffitto altissimo e alla cucina open space. Le pareti erano in mattoni e tutto era arredato alla perfezione. Le finestre erano molto grandi e si vedeva buona parte della città.

«Direi che è fantastica, mi piace.» Annuii e lei sorrise visibilmente contenta.

«Sono felice di avere la sua approvazione, signore.» Poggiò una mano sul cuore e fece un piccolo inchino. «Comunque ho preparato l'impasto per la pizza appena sono tornata a casa.»

«Quindi si mangia la pizza stasera! Fantastico!» Sorrisi e mi sedetti con lei sul divano dopo aver levato la giacca.

«Esatto! Mi sono fatta dare la ricetta da Sam. Ha un'amica italiana che lavora in una pizzeria, quindi mi fido.»

«Ottimo. Com'è andata al lavoro comunque?» Sembrava più allegra del solito.

«Benissimo. Hanno dimesso una paziente, Jade. Aveva un tumore benigno e l'hanno rimosso, era contentissima.» Spiegò poggiando la testa sullo schienale del divano. «Tu cosa mi racconti?»

«Nulla di che, ero al campetto a giocare a basket con i ragazzi ma stava iniziando a piovere, così siamo andati via. Jaden si è ritrovato a dover uscire con Kady e in quel momento mi hai chiamato tu.»

«Che tempismo.» Rise e si alzò. «Vuoi bere qualcosa? Vino? Birra?»

La guardai sollevando le sopracciglia incerto su quello che avevo sentito. «Scusa, non credo di aver capito. Mi hai proposto degli alcolici?»

Scosse la testa ridendo e la seguii in cucina. «Non sono proprio un'amante degli alcolici, ma li ho perché due settimane fa, con i ragazzi e Diana abbiamo fatto una cena.» Tirò fuori una delle mie birre preferite e la stappò.

«Facciamo che questa la bevi con me.» Accennò un sorriso e sembrò pensarci, poi prese due bicchieri annuendo.

«Va bene, e nel frattempo mi aiuti con la cena?»

«Certo.» Dopo aver bevuto un sorso di birra, la aiutai. Aveva appeso la ricetta al frigo con una calamita e tirando su le maniche della felpa, si lavò le mani prima di iniziare a tirare fuori l'impasto.

«Io ti avverto, è solo la seconda volta che la faccio. La prima volta non era male, ad ogni modo non avere aspettative troppo alte.» Disse divertita mentre si sporcava le mani di farina.

«Se la tua cucina è ancora intatta mi fido.» Risi e iniziai a tagliare la mozzarella prendendo poi la salsa che poggiai sul bancone. La guardai mentre iniziava ad accendere il forno, era attenta e controllava continuamente la ricetta per assicurarsi di aver svolto tutti i passaggi. Qualche minuto dopo aver condito la pizza, la passai a Isabel che la infornò. Mettendo un dito nella salsa, mi avvicinai a lei piano e la feci girare. «Ehi Simba.» Mi osservò confusa e le spalmai una riga di salsa sulla fronte.

«Jason!» Socchiuse le labbra e mi fulminò. Andò a pulirsi la fronte con un tovagliolo, dopodiché, si avvicinò al sacchetto bianco rimasto sul bancone e prese una manciata di farina fissandomi con sguardo vendicativo.

«No...» indietreggiai tenendo le mani avanti mentre lei mi guardava con un sorrisino malvagio e divertito. «Isabel...»

«Mi dispiace McCann, ma te la sei cercata.» Mi tirò la farina in pieno viso e scoppiò a ridere mentre io restai immobile con gli occhi chiusi. Mi pulii e la guardai sospirando.

«Scappa.» Dissi semplicemente e guardandomi, smise subito di ridere iniziando a correre intorno al bancone mentre partivo all'inseguimento. «Se pensi di sfuggirmi, ti sbagli!» Bloccai subito il passaggio scattando dall'altra parte e lei urlò correndo dalla parte opposta mentre io prendevo una manciata di farina. Ripresi a rincorrerla e poco dopo la bloccai cospargendole il viso di farina. «Presa!»

«Guarda che non finisce così!» Rise passandosi le mani sugli occhi per pulirli e in quel momento le scattai una foto a tradimento. «Jason!» La tirai a me e mi perse il cellulare dalle mani. Le lasciai fare quello che voleva senza farci troppo caso e mi soffermai a guardarla mentre rideva. Era semplicemente bellissima e i suoi occhi brillavano. Le lasciai un bacio tra i capelli e mi guardò dolcemente. «Sei incredibile.»

«Questo già lo sapevo.»

•••

Dopo cena, ci eravamo buttati sul divano a guardare le foto che Isabel aveva sistemato in un album dedicato esclusivamente alla vigilia di Natale dell'anno precedente. «Jaden mette ancora quel maglione ogni tanto.»

«Anche io, quando fa freddo, metto il cappellino che mi ha fatto tua madre.»

«Ce l'hai ancora?» Domandai divertito.

«Ma certo! Tu no?»

«Credo di sì, ma l'avrò messo una volta.» Non ero solito a indossare berretti di lana.

«Allora quando ci rivediamo, mettilo così facciamo pendant.»

«Mi stai chiedendo di uscire a modo tuo?» Chiesi scherzando.

«Lo faccio perché so che ci tieni a passare del tempo con me. Ammettilo che ti sono mancata infinitamente. Non sapevi più come passare le giornate senza di me, per questo sei tornato.» Finse di darsi delle arie e rise. In realtà era vero che dopo essermi trasferito mi era mancata, ed era vero che le giornate erano piuttosto noiose senza lei.

«Hai proprio ragione.» La tirai a me abbracciandola e lei si accoccolò subito guardandomi contenta come una bambina. «Allora dove andiamo la prossima volta?»

«Non saprei proprio.» Sembrò pensarci e guardando fuori mi illuminai.

«Hanno aperto una pista di pattinaggio nel nostro quartiere. Potremmo andarci.» Proposi e sapevo già cosa avrebbe detto. Non sapeva pattinare, ma questo avrebbe reso le cose più divertenti.

«Ma io non so pattinare.» Pressò le labbra e giocai con una ciocca dei suoi capelli.

«Ti insegno io, sarà divertente.»

«Mm... vedremo.» Si mise seduta e il mio sguardo cadde poi su un giornale ripiegato sul tavolino. Isabel non leggeva il giornale da quello che ricordavo. Lo presi e lessi i titoli dei primi articoli.

«Da quando li prendi?»

«L'ha portato Andrew l'altro giorno per ricordarmi che i furti in città non si sono fermati.» Alzò gli occhi al cielo appena pronunciò quel nome.

«Furti?» Mi sentii irrigidire e la guardai. Anche lei sembrava a disagio e la cosa rendeva la situazione un po' più scomoda.

«Sì, ecco... da un po' sono iniziati dei furti. Ma gli unici a venire derubati, sono i miei genitori e i Larson. Curioso, vero?» Mi guardò mettendosi a gambe incrociate sul divano. «Sembra che il karma li abbia colpiti in pieno. Il primo furto è avvenuto in casa nostra, hanno rubato qualche gioiello di mia madre e anche qualcosa dalla mia stanza.»

«Non hai paura?»

Restò in silenzio per alcuni secondi pensando forse a cosa dire. «No, non ho paura.» Sembrava avere dei dubbi, c'era qualcosa di incerto nella sua voce. «I miei genitori si sono fatti dei nemici. Io non credo di aver mai fatto torti a nessuno, quindi sono tranquilla.»

«E non hai idea di chi ci sia dietro?» Isabel pressò le labbra iniziando a cercare una posizione comoda. Era evidentemente agitata, anche se cercava di nasconderlo. Iniziai a temere che dubitasse di me.

«No.» Mentiva. Sapevo che stava mentendo, non sapeva dirmi bugie. Lei aveva dei dubbi ed evidentemente non voleva parlarne.

«Lo hai dimenticato?»

«Cosa?» Domandò torturandosi la manica della felpa.

Le alzai piano il viso guardandola negli occhi. «So quando menti.»

«Lo so.» Accennò un sorriso e guardò altrove.

«Penso tu abbia dei sospetti. Io ne faccio per caso parte?» Domandai appena rialzò il viso.

«Assolutamente no, Jason.»

«Sei sicura? Non dubiti di me per quello che è successo un anno fa?»

«No! Mi fido di te...»

«Ma sembra che ci sia qualcosa che non mi vuoi dire. Dubiti forse dei ragazzi?»

«Jaden mi ha fatto la stessa domanda tempo fa e gli ho già detto di no. Mi fido di voi, davvero.» Dubitavo un po' su quello che diceva. Mi sembrava strano il fatto che non avesse nessun dubbio su di noi, perché avremmo effettivamente potuto farlo. «Perché tutte queste domande?»

«Sono semplicemente curioso.» Spiegai mentre lei annuiva giocando con la collana. «La porti ancora...»

Seguì il mio sguardo e capendo, annuì. «La tolgo raramente.» Tirai la mia giacca e frugando nella tasca interna, tirai fuori il ditale. Isabel sospirò sorpresa sfiorandolo. «Te lo porti ancora dietro.»

«Certo, è il mio portafortuna.» Lo rimisi in tasca e guardai fuori. «Ora non potrò più entrare dalla finestra.»

«Già, dovrai accontentarti della porta.» Rise avvicinandosi e mi sfiorò i capelli.

«Ti è rimasta della farina sul ciuffo.»

«Guarda qui...» presi una sua ciocca di capelli ancora bianca. «Tutta colpa tua comunque.»

Restò a bocca aperta e mi colpì al petto. «Ma se hai iniziato tu!»

•••

Isabel l'ora successiva pensò di sfidarmi a scacchi e fu una pessima idea, perché perse tre volte su tre. «Ma come fai? Io non capisco.»

«Mi dispiace principessa, ma gioco a scacchi da quando ero piccolo. Mi ha insegnato mio padre.» Era divertente vederla concentrata. Fissava la scacchiera e tutte le pedine che aveva spostato tenendosi le mani tra i capelli. Ogni volta che provavo a darle suggerimenti mi zittiva dicendo di non volere aiuto dal nemico e io pressavo le labbra per non ridere. Alla fine la lasciai vincere e non dissi nulla. Si era messa a saltare e ad esultare dalla felicità, poi avvicinandosi mi aveva teso la mano.

«Congratulazioni Jason McCann, hai giocato bene.» Le afferrai la mano stringendola e la tirai a me facendole scappare un urlo per la sorpresa. Rise e sedendosi a cavalcioni, mi guardò dolcemente. Intrecciai le mani alle sue e le baciai la fronte.

«Credo di dover andare Wendy.»

«Oh...» guardò l'ora e annuì.

«Si sta facendo tardi e devo passare a prendere Jaden ad una festa, altrimenti torna a casa fradicio.»

Rise e si alzò. «Tranquillo, vai pure.»

Misi la giacca e Isabel mi passò le chiavi dell'auto sfiorando poi il giornale di nuovo con l'aria dubbiosa di prima. Mi accompagnò alla porta ma mentre stava aprendo, decisi di fermarla. Richiusi subito tenendo la mano ferma sulla porta perché non la riaprisse e la guardai. «Cos'è che ti turba? Dimmelo.»

«Non sono turbata.» Disse e io non risposi tenendo gli occhi fissi ai suoi. Questo la fece sospirare, sapeva di non potermi ingannare. «Ok, è complicato... ma tu non c'entri nulla.»

«Ma tu sai che puoi dirmi tutto, che io c'entri o meno. Siamo amici.»

«Lo so...» si passò una mano sul viso e si appoggiò al muro. «E se ti dicessi...» mi guardò e io annuii incitandola ad andare avanti. Volevo capire.

Ma la fine della frase mi lasciò spiazzato. Sgranai gli occhi fissandola, non era quello che mi sarei aspettato di sentire. Quello non era uno scherzo, lo capivo dal suo sguardo. «Tu cosa...?»

«Sono stata io a commettere tutti quei furti.»

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