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Capitolo 4

Annodai la cravatta, misi le scarpe e presi lo zainetto pronta per andare a scuola. Era passato qualche giorno dall'episodio con mio padre e tutto era tornato come prima, ovvero con lui che si comportava normalmente faceva finta di nulla. Scesi di sotto e andai nella sala da pranzo, dove Marisol e le altre avevano già apparecchiato e preparato la colazione per me.
«Signorina Isabel, suo padre mi ha chiesto di informarla del fatto che il signor Ronald non lavorerà più per lei.»

A quelle parole quasi mi soffocai bevendo il cappuccino, non potevano privarmi dell'autista. Ronald era al mio servizio da molti anni, mi aveva sempre portata ovunque. «Perché? Non può licenziarlo, a me serve l'autista.»

«No signorina, non è stato licenziato, Ronald è semplicemente passato al servizio di suo padre. Lavorerà per lui queste ultime settimane, prima di andare in pensione.» Mi spiegò con calma.

«Oh...» avevo quasi dimenticato che Ronald era ormai arrivato alla pensione e l'idea di non avere più lui alla guida, era strana. «Ma oggi come vado a scuola?»

«I suoi genitori hanno già assunto un nuovo autista che lavorerà esclusivamente per lei.»

«Oh, bene...» annuii finendo di fare colazione, ancora un po' sorpresa dagli ultimi aggiornamenti. «Allora io andrò a presentarmi al nuovo autista, buona giornata Marisol.»
Uscii con lo zainetto in spalla e scendendo i gradini, mi avvicinai perplessa all'auto parcheggiata.

«Buongiorno signorina Evans...» sussultai girandomi verso la voce che mi aveva chiamata e socchiusi le labbra guardando il mio nuovo autista sorridermi. «O posso chiamarti Isabel?»

Non potevo credere ai miei occhi, non poteva essere vero. «Che cosa ci fai tu qui?!» Inizialmente pensai quasi ad uno scherzo, ma nella mia famiglia non c'era spazio per gli scherzi.

«Mi sembra ovvio, ti porto a scuola... e in giro quando lo richiedi.»

«No, so cosa fai ma, tu... voglio dire...» sbuffai alzando gli occhi al cielo, «non facevi il cameriere da qualche parte? Eri in quel gruppo catering...» il mio sguardo cadde sulla sua cravatta annodata male e scossi leggermente la testa trattenendo una risata.

«Si possono fare più lavori se uno lo desidera. Qui serviva un autista e tua madre, la sera della festa ha chiesto se uno di noi cercasse lavoro...» notando il mio sguardo sembrò sentirsi leggermente a disagio e senza distogliere gli occhi dai miei si toccò la cravatta.

«Ok.» Guardai l'auto e inarcai un sopracciglio. «Questa è una Range Rover...»

«Acuta osservazione signorina Evans, se ne intende di macchine.» Disse prendendomi palesemente in giro e socchiudendo gli occhi, lo fulminai velocemente con lo sguardo.

«Io non vado in giro con la Range Rover. Dov'è la mia Rolls Royce Phantom?»

«Mi dispiace principessa, ma quella macchina la guida l'altro autista che ha portato tuo padre a fare delle commissioni.»

«Non chiamarmi "principessa".» Aspettai alcuni secondi ma quando capii che non avrebbe aperto la portiera, sospirai entrando da sola in auto. Mi accomodai ai posti dietro mentre il ragazzo di cui non conoscevo ancora il nome, si mise al posto del guidatore e mi osservò dallo specchietto. «Ti hanno già dato il mio orario scolastico?» Domandai.

«Sì, per il resto mi hanno detto che sei tu a dovermi avvisare, suppongo dovrai darmi il tuo numero.» Sorrise quasi compiaciuto mentre realizzavo che aveva ragione.

«Suppongo dovrai dirmi il tuo nome allora...» stavolta sorrisi io compiaciuta, ma lui continuava ad avere un'espressione divertita.

«Puoi salvarmi come "autista".» Lo fulminai per l'ennesima volta e presi il suo cellulare segnando il mio numero, poi andai indietro per sbirciare qualche contatto ma si riprese il cellulare alla velocità della luce. «Sei una principessa ficcanaso, eh?»

Lo guardai a bocca aperta e incrociai poi le braccia al petto guardando fuori dal finestrino. «Ma come osi? Partiamo che è meglio, o arriverò tardi a scuola.» Con la coda dell'occhio lo guardai mettere le chiavi nel nottolino e subito dopo partì uscendo dal viale. Appena in strada lo vidi allungare la mano e accendere la radio. Era la prima volta che vedevo qualcuno del nostro personale fare i propri comodi, non sapevo se ridere o essere scioccata, di certo mio padre gliene avrebbe dette di tutti i colori. «Cosa fai?»

«Cerco qualcosa di decente da ascoltare, non avete dei cd in macchina?» Chiese curiosando.

«No.»

«Triste.» Sussurrò, ma lo sentii lo stesso molto bene. Iniziò a fischiettare una melodia dopo aver spento la radio e nel frattempo io, presi il mio cellulare iniziando a fare alcune ricerche. Avrei scoperto il suo nome anche senza chiederlo ai miei, pensandoci avrei potuto chiederlo a Marisol stamattina prima di uscire. «Com'è la scuola privata? Quella divisa dovete metterla per forza?»

«Perché? Non ti piace?» Domandai alzando lo sguardo.

«Non dico questo, comunque eccoci arrivati. Ci abbiamo messo poco, contenta?» Parcheggiò davanti a scuola e prendendo lo zaino aspettai che venisse ad aprirmi, ma "occhi di ghiaccio" si limitò a guardarmi confuso. «Non scendi?»

Scossi la testa e cercai di non ridere. «Hai tanto da imparare.»

«Cosa...? Oh, aspetta.» Sembrò avere un flash e scese veloce passando ad aprirmi la portiera. Trattenendo un sorriso, scesi con lo zainetto in spalla. «Visto? Sono uno che impara in fretta.»

«Vedo. Allora a dopo mm...» schioccai le dita fingendomi pensierosa nel tentativo di farmi dire il nome, ma non rispose.

«A dopo princi- ehm, volevo dire, signorina Evans.»
Sapevo che lo aveva fatto apposta per infastidirmi, ma non dissi nulla limitandomi ad entrare a scuola. Questa situazione mi sembrava assurda, tra tutte le persone che avrebbero potuto assumere... avevano scelto proprio il cameriere dagli occhi di ghiaccio.

•••

«Quindi hai un nuovo autista?» Megan si mise il rossetto e io mi appoggiai al lavandino annuendo.

«Era tra quelli del catering della festa.» Spiegai.

In quel momento la porta del bagno si aprì ed entrò una ragazza con gli occhiali e i capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Sembrava quasi sentirsi a disagio e teneva due libri stretti tra le braccia. «Cos'hai da guardare nuova arrivata?» Chiese Megan in tono arrogante ricevendo subito una leggera gomitata sul braccio da parte mia.

«Meg...» sussurrai, ma lei non sembrò prestarmi molta attenzione.

«Non vedi che io e la mia amica stiamo parlando? Vattene.»

«Mi dispiace...» sussurrò lei intimidita e provai tenerezza nel vederla così. Un cellulare suonò e il nostro sguardo cadde su Megan che rispondendo, uscì come se nulla fosse dando una spallata alla ragazza, facendole in questo modo cadere i libri.
«Oddio...» si abbassò subito e avvicinandomi la aiutai a raccogliere degli appunti che erano voltai fuori dalle pagine.

«Mi dispiace per come ti ha trattata, Megan ha un carattere particolare, se impari a conoscerla in realtà non è poi così male...» le accennai un sorriso e ci alzammo entrambe in piedi. «Come ti chiami?»

«Diana... Diana Harrison.» Si sistemò gli occhiali sul viso e le tesi la mano che strinse esitante qualche istante dopo.

«Piacere di conoscerti, io sono Isabel Evans. Da quando frequenti questa scuola?»

«Questo è il mio secondo giorno. In realtà ieri mi hanno solo fatto visitare la scuola e mi hanno informata sui corsi... quindi oggi sarebbe effettivamente il primo giorno di lezioni. Ho vinto una borsa di studio, per quello sto frequentando qui l'ultimo anno. Questa è una scuola privata, tra le migliori della città aggiungerei.»

«Ma è fantastico! Allora ci vedremo sicuramente a qualche corso.» Suonò la campanella e balzai ricordando di avere lezione al piano di sopra, così andai alla porta, «ci vediamo Diana! E se hai bisogno, vieni pure a cercarmi!» Sorrisi salutandola e corsi verso la mia classe per prendere il posto in prima fila. Accanto a me si sedette Andrew, stranamente puntuale rispetto al solito.

«Stasera, cena a casa mia con i tuoi genitori.» Disse.

Lo guardai chiedendomi se parlasse seriamente, ma dal tono e dall'espressione potevo capirlo tranquillamente. «Me lo dici adesso?» Ultimamente le persone attorno a me avevano questa tendenza a dirmi le cose all'ultimo momento e non sapevo perché.

«Anche io l'ho saputo adesso, mi ha chiamato mio padre poco fa, quindi poche storie.»

«Non c'è bisogno di essere così arroganti.» Presi il mio libro dopo aver ricevuto uno sguardo fulmineo da Andrew, che decisi di ignorare.

Per il resto della lezione mi concentrai nel prendere appunti mentre il mio compagno di banco, faceva qualsiasi cosa tranne che seguire. Il professore lo aveva ripreso già due volte ma a lui non importava, alla fine avrebbe chiesto a me qualsiasi cosa. Spostai lo zainetto sul banco per cercare un evidenziatore e in quel momento vidi lo schermo del mio cellulare illuminarsi.
C'era un messaggio da un numero sconosciuto e diceva: "Come vanno le lezioni?"
Sospettai fosse l'autista ma per esserne sicura, inviai un messaggio chiedendogli chi fosse. La risposta arrivò subito dopo, ma non era quella che mi aspettavo: "Vieni al parcheggio."

«Signorina Evans.» Il professore mi richiamò e sussultai alzando lo sguardo mentre tiravo fuori l'evidenziatore dallo zainetto. «Era distratta?»

«Mm no, scusi...» sentii lo sguardo di Andrew su di me e pressai le labbra pensando. «Posso uscire un attimo dalla classe? Non mi sento molto bene.» Non ero solita a chiedere di uscire, infatti lo sguardo del professore sembrò sorpreso e lievemente preoccupato.

«Certo, se vuole può chiamare a casa o andare in infermeria.» Disse scrutandomi attentamente per capire cosa avessi.

«Grazie, andrò a chiedere un po' d'acqua e zucchero.»

Presi lo zaino lasciando sul banco solo il libro e il quaderno degli appunti per poi uscire dall'aula. Se quel ragazzo mi aveva fatta uscire per niente, non so cosa avrei fatto, ma sicuramente nulla di buono. Non mi piaceva andare fuori durante l'orario delle lezioni, così come non mi piaceva assentarmi o arrivare in ritardo. Scesi i gradini per andare al parcheggio fuori, dove trovai l'autista appoggiato alla macchina con in mano due bevande calde di Starbucks.
«Tieni, è cioccolata calda.» Disse porgendomi il bicchiere.

Lo guardai con un sopracciglio inarcato e le braccia conserte, non poteva essere serio. Non poteva davvero avermi mandato un messaggio per questo. «Stai scherzando, vero?»

«Mi sono informato male? Pensavo ti piacesse la cioccolata.»

«Tu mi hai mandato un messaggio durante l'orario di lezione e mi hai chiesto di venire al parcheggio... per bere qualcosa con te?» Chiesi rielaborando tutto quello che era appena successo.

«Ho pensato che probabilmente ti stessi annoiando.» Fece spallucce porgendomi il bicchiere che decisi di prendere subito dopo sospirando.

«Tu sei pazzo, ho dovuto dire una bugia al mio professore.»

Rise bevendo il suo caffè. «Oddio, dramma!» Mi prese in giro e lo guardai male sorseggiando poi la mia cioccolata calda con tanto di panna, la mia preferita.

«Mi dici il tuo nome?» Chiesi tentando ancora una volta.

«No.»

«Tanto appena torno a casa posso scoprirlo chiedendo semplicemente ai miei.»

«Se resti qui fino alla fine dell'ora potrei dirtelo.» Disse stuzzicandomi.

«Tu sei pazzo, dovrei già essere in classe adesso.»

«Dai principessa, mancano poco più di venti minuti alla fine della lezione...» sorrise facendo cenno di spostarci dietro la macchina. «Ci vedono dalle finestre, vieni...» mi spostai velocemente con lui. L'ultima cosa che volevo, era essere beccata fuori da scuola. «Allora, ci stai

Stavo sbagliando, ma per qualche motivo volevo accettare e passare li quei venti minuti. «Ci sto.» Entrai con lui in macchina e per la prima volta mi misi seduta davanti al posto del passeggero. «Non sono mai stata davanti, è strano.»

«Mai? Wow, hai sempre avuto l'autista?» Il suo tono di voce era sorpreso.

«Sempre.» Annuii bevendo un altro sorso stando attenta a non sporcarmi la divisa, «sono stata solo al posto del guidatore quando ho fatto l'esame per la patente, quello sì... ma mai al posto del passeggero.»

Mi guardò di scatto come se avessi detto chissà quale cosa e sorrise. «Tu hai la patente?» Ora era incredulo e si capiva.

«Certo.»

«Allora cosa te ne fai dell'autista?»

«Non mi piace guidare, preferisco arrivare a destinazione e scendere direttamente. Odio il traffico e cercare parcheggio... oh e fare benzina, non sono capace.» Spiegai velocemente.

«No, non ti credo. Tu non hai la patente, mi stai solo prendendo in giro.» Rise finendo il caffè e posò il bicchiere vuoto. Nel frattempo tirai fuori la mia patente, ancora foderata dall'involucro di plastica, mostrandogliela. Lui la prese esaminandola e per non so quale motivo, scese dall'auto facendo tutto il giro aprendo la portiera. «Scendi.»

«Perché?» Chiesi scendendo lentamente dall'auto come mi aveva chiesto, incerta su ciò che volesse fare.

«Voglio vederti guidare, andiamo dove vuoi.»

Aveva ufficialmente perso la testa. Se pensava davvero, sarei andata al posto del guidatore e per di più mi sarei allontanata da scuola, non aveva capito proprio niente. «Non ci penso neanche e poi devo rientrare, tra poco suona la campanella.»

«Abbiamo tempo.» Disse porgendomi le chiavi.

«Scordatelo.» Presi il suo bicchiere vuoto e andai a buttarlo con il mio, tornando poi velocemente alla macchina. «Ora devo andare.»

Mi prese la mano e mi consegnò le chiavi. «Solo un giro veloce, poi ti lascio andare. Ci stai?»

«Mi dispiace ma, stavolta non ci sto.» Risi restituendo le chiavi a lui che alzò gli occhi al cielo scherzosamente. Mi persi un momento nel vedere il suo bel sorriso, ma tornai alla realtà quando ricevetti un messaggio da parte di Andrew. "Dove sei finita? Il prof mi ha mandato a cercarti." Imprecai sottovoce prendendo lo zaino. «Devo davvero scappare, mi stanno cercando.»

«Tranquilla, ci vediamo all'uscita.» Mi fece l'occhiolino e sorrisi salutandolo con la mano prima di allontanarmi.

«Dopo mi dici il tuo nome!» Urlai e lui mi mostrò il pollice in su appoggiandosi alla macchina. In fondo non era male, un po' troppo euforico per essere un autista ma, in fin dei conti era carino e simpatico. Parlare con lui era piacevole e con me si comportava normalmente, come se fossi un'amica di vecchia data. Arrivai vicino all'infermeria e qualcuno mi bloccò da dietro per il braccio, Andrew.

«Si può sapere dov'eri finita?» Domandò seccato.

Mi voltai guardandolo, mi stava già facendo venire il nervoso e aveva appena aperto bocca. «In infermeria, non mi sentivo bene.» Dissi tranquillamente. «Perché?»

«Non hai nemmeno risposto al messaggio.»

«Perché stavo tornando ora in classe.» Spiegai indicando lungo il corridoio.

«Non me la racconti giusta Evans.» Mise due dita sotto il mio mento facendomi alzare il viso e mi guardò negli occhi passando il pollice sul mio labbro. «Questo è cioccolato?»

Trattenni qualche secondo il fiato pensando, «avevo bisogno di zuccheri...» guardai in fondo al corridoio illuminandomi, «così sono andata a prendere qualcosa alle macchinette prima di andare in infermeria.» Non è poi tanto difficile inventare bugie sul momento.

Mi guardò alcuni istanti pensieroso e annuì, «andiamo in classe...»  mise un braccio dietro la mia schiena e ci incamminammo.
Se dovevo essere sincera, non avevo molta voglia di tornare in classe, sarei rimasta volentieri fuori con il signorino senza nome, alias "occhi di ghiaccio".

•••

Appena suonò la campanella di fine lezioni, andai veloce al mio armadietto per recuperare i libri. In quel momento mi sentivo stranamente felice, volevo andare alla mia auto e vedere come sarebbe stato il mio ritorno a casa con quel pazzo dell'autista.
«Ti serve un passaggio?» Andrew si appoggiò all'armadietto accanto al mio passandomi un foglio di appunti che probabilmente mi era scivolato in classe.

«No, ho di nuovo l'autista. Grazie comunque.» Accennai un sorriso e lui mi guardò con espressione confusa.

«Ok... ci vediamo a cena.»

Annuii e dopo aver messo lo zaino in spalla, andai all'uscita correndo verso la Range Rover. Mi sedetti dietro e poggiai lo zaino di lato.
«Com'è andata?» Chiese guardandomi dallo specchietto qualche secondo prima di partire.

«Bene, grazie.» Sorrisi e scossi la testa guardando i suoi capelli biondo cenere leggermente scompigliati. «Tu cos'hai fatto in queste ore?»

«Nulla di che, ho fatto un giro della zona poi sono tornato qui ad aspettarti guardando post e video su Instagram... è stato abbastanza noioso in effetti. Stavo meglio in tua compagnia.»

Sorrisi alle sue parole e spostai lo sguardo verso il finestrino giocando con la cravatta. «Sai che sarà così tutti i giorni?» Domandai.

«Cioè bere qualcosa insieme e parlare per mezz'oretta? Non mi dispiace.»

Risi avvicinandomi e poggiai le braccia sulle spalle del sedile davanti a me. «Non intendevo quello. Oggi sono uscita ma non potrò farlo tutte le volte...» spiegai mentre lui mi guardò di sfuggita con il suo solito sorrisino mantenendo successivamente gli occhi sulla strada. «Ora mi dici il tuo nome?» Si fermò ad un semaforo rosso e incrociò il mio sguardo.

«Jason. Jason Davies.»

Ripetei il suo nome nella mia testa per qualche secondo senza distogliere gli occhi dai suoi. Sapere come si chiamava era una soddisfazione, sarei probabilmente impazzita se avessi aspettato un altro po'. «Mi piace, è un bel nome.»

«Grazie principessa.» Mi fece l'occhiolino ripartendo appena il semaforo diventò verde.

«Mi chiamo Isabel.»

«Ah quindi posso chiamarti Isabel invece di "signorina Evans"?»

Alzai gli occhi al cielo e risi rimettendomi comoda con la schiena appoggiata al sedile, «sì puoi, e comunque lo faresti lo stesso.»

«Vero.»

«Sei incredibile.»

«Grazie, me lo dicono spesso.» Rispose divertito.

«Non intendevo... lasciamo perdere.» Mi chiedevo come avesse ottenuto il lavoro. Sicuramente mio padre aveva lasciato a mia madre il compito di assumere l'autista, senza preoccuparsi troppo. «Sai che in presenza dei miei dovrai comportarti diversamente, vero?»

«Cioè stando zitto e rispondendo solo quando sono loro a farmi domande?»

«Esatto, allora vedo che lo sai.»

«Ti stavi già preoccupando per me? Non vuoi che mi licenzino?» Le sue labbra si curvarono in un sorriso e lo guardai tramite lo specchietto.

«Cercavo solo di capire se sapevi come comportarti.» Dissi alzando le spalle non curante.

«Certo, certo.»
Lo fulminai osservando poi verso il finestrino aspettando di tornare a casa, dovevo fare i compiti e cercare un abito per la serata, anche se non avevo voglia di andare a cena dai Larson.
«Sul foglio che mi hanno dato, c'è scritto che posso arrivare a staccare massimo per le dieci di sera, non oltre. Non esci mai?» Domandò all'improvviso attirando la mia attenzione.

«Stacchi massimo a quell'ora perché è il mio coprifuoco.»

«Stai scherzando, vero?» Rise avvicinandosi alla villa ma parcheggiò fuori, dopodiché si girò guardandomi.

«Non sto scherzando, dopo le dieci non posso uscire. Tranne in occasioni speciali come cene e a volte compleanni.» Restò a fissarmi in silenzio così a lungo che ebbi l'istinto di sventolargli la mano davanti alla faccia per capire se era ancora sveglio.

«Ma il vero divertimento, la sera, inizia alle undici.» Spostò lo sguardo diventando pensieroso. Io nel frattempo mi chiedevo perché avesse parcheggiato fuori, ma forse era per potermi parlare tranquillamente. «Stasera cosa fai?»

«Sono a cena dai Larson...» sbuffai al pensiero e misi il broncio tornando poi a guardare Jason.

«Devi andarci per forza?» Domandò con una smorfia.

«Temo di sì, anche se la mia voglia è pari a zero.»

«Allora di ai tuoi che non ci vuoi andare.» Sembrava facile per lui. Pensava che bastasse dire di no.

«Non posso, non mi fanno mai saltare quando viene invitata tutta la famiglia.»

«Mm... capisco.» Annuì e facendo ripartire l'auto si avvicinò al cancello che si aprì subito. Si fermò davanti all'entrata di casa e scese passando dietro ad aprirmi la portiera. La scena mi fece quasi ridere ora che sapevo che tipo era, ma mi trattenni scendendo.

«Grazie per oggi comunque, è stata una giornata... interessante.» Ammisi.

«A domani Isabel.» Mi fece l'occhiolino e sorrisi entrando in casa dopo averlo salutato.

•••

Cenare a casa dei Larson era noioso quanto cenare a casa mia. I miei genitori e quelli di Andrew non smettevano di parlare del lavoro, io intanto cercavo di non addormentarmi.
«Vi mostro l'idea del nuovo progetto a cui ho lavorato con Rose?» Chiese mio padre ai Larson poggiando il tovagliolo sul tavolo. Onestamente non avevo idea di cosa stesse parlando, a me non avevano accennato nessun progetto e di solito mio padre si vantava delle sue idee, mi sembrava strano esserne all'oscuro.

«Certo, andiamo nel mio ufficio.» Si alzarono e il signor Larson ci guardò, «Andrew, tu tieni compagnia a Isabel, potreste andare a fare un giro...» spostò lo sguardo verso mio padre come a chiedere il consenso, «per te va bene Mark?»

«Certo, se sta con Andrew non ci sono problemi.» Detto ciò si allontanarono lasciandoci soli.

«Dove vuoi andare?» Domandò Andrew in tono annoiato.

«A casa...» sussurrai guardando nella direzione in cui erano spariti i nostri genitori.

«Ma quanto sei simpatica... non puoi fingere di essere un po' felice?»

Lo guardai e accennai un sorrisino falso per poi tornare di scatto seria. «Nemmeno tu comunque sprizzi gioia.»

Alzò gli occhi al cielo alzandosi, «di che progetto si tratta?» domandò.

«Non ne ho idea, ma vorrei scoprirlo. Se lo stanno dicendo ai tuoi ci sarà un motivo, forse vogliono collaborare in qualcosa... mio padre non è uno che svela i suoi progetti all'infuori della famiglia.» Senza dire più nulla, entrambi ci dirigemmo verso l'ufficio. Io cercai di non fare rumore e tolsi i tacchi  tenendoli in mano, mentre Andrew mi faceva strada stando avanti.
Arrivati davanti all'ufficio, poggiammo piano l'orecchio accanto alla porta socchiusa.

«Diventerà il più importante della città, il più grande e lussuoso. E se avrà tanto successo come credo, fidatevi... ne apriremo altri.» Io e Andrew ci guardammo confusi tornando ad origliare.

«Ne sono sicuro Mark... e qui sotto gestiremo tutto io ed Elizabeth?»

«Certo, li siete voi gli esperti...» rispose stavolta mia madre per poi continuare, «tu Elizabeth potresti essere il mio braccio destro aiutandomi a gestire anche qui.» Probabilmente indicò qualcosa ma non riuscimmo ad avvicinarci abbastanza per vedere, ed era meglio non rischiare. Andrew mi prese per il polso e mi trascinò sul retro dove finalmente indossai di nuovo le scarpe.

«Cosa potrebbe essere?» Domandò nonostante fossi all'oscuro come lui.

«Non lo so Andrew, un casinò?» Alzai le spalle sospirando e lui scosse la testa.

«Un casinò? Sul serio? Magari è un club.»

«Forse, non lo so. Ma che club?» Sembrava qualcosa di losco tra gente ricca e onestamente non ne volevo più sapere.

«Non lo so. Potrebbe essere un club per persone importanti.»

Lo guardai poco convinta e tirai poi fuori il cellulare per guardare l'ora. «Direi che si è fatto tardi, ma loro sembrano avercela per le lunghe.»

«Ti faccio portare a casa se vuoi. Vengo con te, poi quando torno indietro avverto io i tuoi genitori.»

Rimasi leggermente sorpresa dalla sua risposta, era la prima volta che usava un tono gentile e non arrogante come al solito. «Sì grazie, sono un po' stanca.»
Annuì e mandò qualcuno a chiamare l'autista che dopo pochi minuti si era già fermato davanti a casa. Salii dietro con Andrew e mentre l'auto partiva, mi arrivò un messaggio che illuminò lo schermo del mio cellulare.

«Chi è "occhi di ghiaccio"?» Domandò Andrew e io girai subito lo schermo a faccia in giù.

«Nessuno.» Avevo registrato così Jason perché non mi aveva detto il suo nome e mi ero dimenticata di cambiarlo. Potevo sentire le mie guance scaldarsi e guardai fuori dal finestrino per distrarmi. Quando Andrew spostò la sua attenzione sul proprio cellulare, controllai il mio messaggio.

"Come sta andando la cena? -J"

Sorrisi rispondendo pochi istanti dopo. "Sto tornando a casa, avrei preferito studiare anziché andare dai Larson."

"Non si è parlato abbastanza di soldi? O non c'era il caviale? Sarebbe oltraggioso."

"Spiritoso."

"Sarebbe stato meglio cenare con me. Ora devo andare, buonanotte principessa!"

Lessi quell'ultimo messaggio un po' di volte cercando di capire... sempre se c'era qualcosa da capire. Alzai lo sguardo e notai che eravamo già arrivati, l'auto si era fermata proprio fuori da casa mia.
«Grazie Andrew, ci vediamo a scuola.»

«Sì, buonanotte Isabel.»
L'autista di Andrew mi aprì la portiera e scesi ringraziandolo per poi entrare in casa. Non c'era nessuno, tutti avevano finito il turno e fortunatamente avevo portato le chiavi quella sera. Salii nella mia stanza e dopo essermi messa il mio comodo pigiama, mi infilai sotto le coperte calde. Ero stanca di quella giornata e non vedevo l'ora che arrivasse il mattino seguente.

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