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Capitolo 39

Arrivai a casa dei miei in tempo per la cena, ma tardi per la chiacchierata che mio padre voleva fare. Non erano felici del mio ritardo, ma ci passarono sopra. Andrew ogni tanto mi guardava e anche i suoi genitori, che poi accennavano sorrisi. Mi stavo spaventando, così decisi di mantenere lo sguardo fisso sul mio piatto facendo finta di nulla. Poi però iniziarono a farmi domande sull'università e sulla mia vita ora che vivevo da sola. A quel punto ero anche tentata di svelare il fatto che lavorassi all'ospedale nel weekend, ma non sapevo come l'avrebbero presa. Li osservai a lungo, sembravano tutti abbastanza di buonumore, potevo dunque provare a svelare quel segreto. Mi schiarii la voce e richiamai l'attenzione di tutti. «Mamma, papà, volevo scusarmi ancora per il ritardo. E volevo anche spiegare il perché di questo mio ritardo...»

«Avanti allora.» Disse mio padre ascoltando curioso.

«Ricordi il volontariato che ho fatto durante le vacanze estive?» Domandai e lui annuì. Raccontai loro che in realtà non avevo mai smesso di aiutare in ospedale e che lavoravo quasi tutti i weekend regolandomi con lo studio. Mia madre non sembrava entusiasta, mentre mio padre non fece trapelare nulla, la sua espressione era impassibile e indecifrabile.

«Come sai, io preferirei ti concentrassi sullo studio. Ma se riesci a prendere buoni voti e lavorare allo stesso tempo, sei libera di farlo.» Disse con mia grande sorpresa. «Ma se i tuoi voti si abbassano, molli tutto e ti concentri esclusivamente sull'università.»

«Va bene.» Annuii ma non ero sicura l'avrei fatto. Avrei preferito mollare l'università piuttosto... cosa che avrei fatto quasi sicuramente alla fine dell'anno. Non mi piaceva studiare lì, non era il mio settore e l'anno seguente mi sarei iscritta a lettere o averi fatto infermieristica. Questo però scelsi di non dirlo in quel momento, soprattutto in presenza di altre persone, altrimenti si sarebbe scatenato l'inferno e mio padre avrebbe preso le sembianze del dio Ade. Avrei fatto un passo alla volta, stasera avevo parlato dell'ospedale e in futuro, forse... avrei parlato della St. William.

Dopo cena, i Larson se ne andarono via, Andrew compreso. Anche io avevo messo la giacca pronta per tornare a casa, i miei però mi chiamarono nello studio. Un po' confusa, li seguii in silenzio e per qualche ragione mi sentii agitata, nervosa, non avevo un buon presentimento. Mio padre si mise seduto e mia madre lo affiancò sorridente, il che mi preoccupava ancora di più. «Siediti Isabel.» Disse mio padre indicando la poltroncina davanti alla sua scrivania. Li guardai entrambi sedendomi esitante, giocherellando nel frattempo con le chiavi dell'auto che tenevo tra le mani. «Sono felice dei voti alti che continui a prendere. Un giorno potresti diventare una grande imprenditrice, o lavorare con me e farmi da spalla.»

«Si vedrà.» Dissi semplicemente. Non era esattamente il mio sogno, ma era meglio tralasciare anche questo fatto per ora.

«Andrew viene a trovarti spesso a casa?» Domandò mia madre.

«Ogni tanto passava, poi mi sono ripresa le chiavi.» Dissi con una nota acida ricordando che gli avevano consegnato la copia senza il mio permesso.

«Ma sei stupida? Perché lo hai fatto?» Chiese subito lei contrariata, mentre io rimasi abbastanza sorpresa dai suoi modi.

«Perché è casa mia, mamma. Decido io chi deve avere le chiavi e chi no.» Risposi in tono calmo ma freddo. Speravo di non dover iniziare una delle solite litigate con lei. Mia madre era insopportabile quando si arrabbiava, non era una persona con cui potevi conversare. Quando cercavo di esprimere le mie opinioni, mi zittiva sempre. O parlava lei, o non parlava nessuno.

«Sei incredibile.» Incrociò le braccia al petto scuotendo leggermente la testa.

«Rose basta. Isabel ha ragione... è casa sua, decide lei.» Disse mio padre sorprendendomi per la seconda volta quella sera. «Poi con tutto quello che è successo ultimamente, è meglio così.»

«Volevate parlare di questo?» Domandai confusa anche se, in fondo, sapevo che c'era dell'altro.

«Speriamo che Andrew non si sia sentito offeso.» Continuò mia madre ignorandomi. Cosa di cui, non mi sorpresi affatto.

«No, non ti preoccupare.» Dissi alzando gli occhi al cielo.

«Almeno ti piace.» Disse come se stesse ringraziando il cielo di quel fatto. Ma si sbagliava.

«No.» Risposi senza pensarci due volte non credendo al fatto che lo avesse anche solo pensato. «Quante volte devo dirlo?»

«Isabel, è un buon partito.» Rispose calmo mio padre.

«Non m'interessa.» Ero esausta ogni volta che mi ricordavano queste cose e non sapevo come fargli capire che se per me Andrew era un 'no', sarebbe rimasto un 'no'.

«E che cosa vuoi fare? Da sola non saresti capace di badare a te stessa.» Sbottò mia madre irritata.

«Sto vivendo da sola. Studio e lavoro. Non ho bisogno di qualcuno al mio fianco.»

«Una donna ha sempre bisogno di un uomo.»

«Questa frase suona peggio detta da una donna.» Dissi guardandola abbastanza sconvolta. «Vorrei tu non ripetessi mai più una cosa del genere in mia presenza.» Mi alzai salutando velocemente entrambi e uscii di casa andando alla mia auto arrabbiata. Non potevo stare ancora in quella casa, mia madre mi aveva innervosita parecchio e dovevo calmarmi. Allacciata la cintura partii accendendo poi la radio. Iniziai a canticchiare per distrarmi e nel tragitto verso casa, man mano misi da parte la conversazione che avevo appena avuto e una volta liberata la mente... mentre mi fermavo ad un semaforo, pensai a Jason. Sorrisi istantaneamente, era di nuovo in città e non vedevo l'ora di parlare con lui, o stagli semplicemente seduta accanto e colpirlo scherzosamente ogni volta che faceva qualche battuta.

•••

Il mattino seguente, Clyde e Sammy vennero a fare colazione da me come ci eravamo accordati il giorno prima. Io però avevo la mente altrove e loro sembrarono notarlo. Mentre mettevo il Tablet nella borsa, ci misi un po' ad accorgermi che entrambi mi stavano chiamando. «Scusate, ero sovrappensiero.»

«Lo abbiamo notato. Che succede?» Domandò Clyde finendo il suo caffè.

Li guardai entrambi e Sam si mise subito sull'attenti. «Quello sguardo vuol dire che è successo qualcosa di grosso e ora devi dirci tutto, sorella.» Sam aveva un rilevatore di gossip nella testa, li adorava.
Pressai le labbra e mettendomi seduta, iniziai a raccontare cosa era accaduto il giorno prima in ospedale. Di come ero rimasta spiazzata nel ritrovarmi davanti agli occhi Jason e gli altri, di quel poco che ci eravamo detti e del fatto che non riuscivo più a pensare ad altro se non lui. Sam era a bocca aperta scioccato ma elettrizzato. «Non ci posso credere, è davvero tornato quindi. Dopo quanto poi? Quasi un anno?»

«Sì e ieri mi aveva chiesto di uscire per parlare, ma dovevo andare dai miei.» Dissi alzando gli occhi al cielo.

«Ma resterà?»

«Lo vorrei sapere anche io. Spero di rivederlo presto.» Guardai l'ora e presi la giacca. «Dobbiamo andare.» Dissi a Clyde che aveva lezione alla mia stessa ora. Le nostre università non erano molto distanti l'una dall'altra, quindi quella mattina avevamo deciso di fare la strada insieme.

«Correte, chiudo io se vuoi.» Disse Sam alzando le chiavi che gli avevo lasciato. Prima delle feste ci eravamo scambiati la copia delle chiavi a vicenda. Nella settimana di Natale erano andati via, così andavo a lasciare in casa loro la posta e innaffiavo le piante a cui Sam teneva tanto.

«Grazie Sammy!» Gli stampai un bacio sulla guancia correndo alla porta e aspettai Clyde che mi raggiunse subito dopo aver salutato il suo ragazzo.

A lezione continuavo a perdermi, la mia testa era altrove. Guardavo spesso il cellulare che avevo lasciato in silenzioso, ma non ricevetti nemmeno una notifica. Finite le lezioni di quella giornata, uscii dall'università e guardai i messaggi che mi aveva mandato Andrew pochi istanti prima. Voleva vedermi, ma inventai una scusa. Sapevo che si sarebbe lamentato ancora dei furti e ne avevo la testa piena di sentirlo. Aveva l'ansia che presto avrebbero derubato anche lui e probabilmente sarebbe successo. C'era da aspettarselo, lui doveva semplicemente stare attento e provare ad aumentare la sicurezza se era tanto preoccupato. Ad un tratto, un numero sconosciuto iniziò a chiamarmi e dopo qualche istante risposi. «Pronto?»

«Ehi Wendy...» il dolce suono della sua voce mi fece sorridere.

«Ciao Peter.» In quel momento mi sentii le farfalle nello stomaco.

«Sei impegnata per l'ora di pranzo?» Domandò.

«No, sono libera. Sono appena uscita dall'università.» Spiegai.

«Ti va di mangiare con me? Prendiamo qualcosa di semplice e andiamo alla casa sull'albero se ti va.» Propose e io, non smisi un attimo di sorridere.

«Certo, va benissimo.» Risposi ancora ferma davanti alla scalinata dell'università.

«Non pensavo di farti tanto felice con un invito a pranzo. Quello è uno dei tuoi sorrisi speciali.» Disse la voce che ora arrivava dalla mia sinistra. Arrossii e girandomi lentamente, mi ritrovai un Jason sorridente, con lo stile impeccabile di sempre e i capelli leggermente scompigliati dal vento.

«Come facevi a sapere...?» Interruppi la mia domanda e alzando gli occhi al cielo risi. «Sei incredibile.»

«Grazie principessa.» Rise e io lo guardai a lungo con ancora il sorriso sulla faccia. Sorridevo da così tanto che mi stava venendo male alle guance. «Andiamo?» Chiese e io annuii seguendolo alla macchina che aveva lasciato con le quattro frecce.

«Non so come tu faccia a sapere sempre tutto, veramente.»

«Perché sono Jason.» Rispose facendo spallucce. Accese la radio tenendo comunque il volume basso e partì. «Ti va il Mc? Facciamo il drive quando siamo però più vicini alla casa, così il cibo rimane caldo.»

«Va bene.» Annuii restando a guardarlo. Era come se stessi cercando un cambiamento in lui, ma non c'era... era sempre lo stesso, non era cambiato di una virgola. Non che mi aspettassi chissà cosa, ma solitamente quando rivedevo una persona dopo tanto, quasi non la riconoscevo. «Tu, ti sei fatto mezz'ora di macchina per venirmi a prendere, quando potevi semplicemente chiedermi di raggiungerti a Est Everside appena ero libera. Perché?»

«Perché volevo vederti.» Sorrise guardandomi qualche secondo, prima di riportare gli occhi sulla strada.

«Sei il solito pazzo.» Risi e il mio sguardo cadde sulle sue mani. Al polso aveva ancora l'orologio che gli avevo regalato per Natale.

«Raccontami un po'. Da quanto lavori all'ospedale? Perché giuro che non mi sarei mai aspettato di vederti lì.»

Risi e gli raccontai della mia estate. Del corso che avevo fatto, il volontariato, e di quante persone avevo conosciuto lavorando lì. Bambini e ragazzi che lottavano ogni giorno per la loro vita, medici e infermieri che lavoravano a volte senza sosta solo per aiutare i pazienti. «Mi è piaciuto molto quel lavoro estivo, così ho proseguito. Nei fine settimana sono quasi sempre la. Delle volte sono loro a chiamarmi e a chiedermi se sono disponibile. Da qualche mese mi pagano anche.»

«Bene, sono felice per te, è bello che tu faccia qualcosa che ti piace.»

«Sì. Da quando mi sono diplomata, mi sento più libera.»

«Immagino. Jaden mi ha detto che ora vivi da sola.» Disse guardandomi con un sorrisino.

«Le notizie girano in fretta.» Scherzai. «La prossima volta mangiamo da me. Così mi dici se ti piace la casa e la mia cucina.» Risi con lui che mi guardò subito.

«Fermi tutti! Isabel Evans cucina da sola!» Guardò avanti ridendo ancora. «Quante volte hai chiamato i pompieri?»

Lo guardai a bocca aperta e gli tirai un pugnetto sulla spalla. «Che cattivo! Guarda che ora sono diventata bravina!»

«Ci crederò quando lo vedrò.»

«E lo vedrai. La prossima volta da me, è deciso.»

«Mi stai invitando a pranzo? Quanti passi avanti che hai fatto. Per di più a casa tua.» Mi guardò con un sorrisino prendendomi in giro e lo colpii di nuovo piano alla spalla facendogli la linguaccia. Tornai a guardare la strada sorridendo. Ci stavamo comportando come se nulla fosse cambiato, come se lui non se ne fosse mai andato.

Una volta arrivati abbastanza vicini alla zona del frutteto, andammo a prendere da mangiare al drive e dopo aver preso parecchio cibo, Jason ripartì veloce verso la casa sull'albero. Controllò che non ci fosse nessuno e svoltò tra gli alberi e i cespugli ancora coperti con un po' di neve. Presi qualche sacchetto tra le braccia e Jason mi aiuto a portarli su, dove tutto era pulito e in ordine oltre che inaspettatamente caldo abbastanza da poter togliere la giacca. «Come fa ad esserci questa temperatura?» Jason sorrise semplicemente e si sedette su un tappeto nuovo con appoggiate coperte e cuscini. «Tu sapevi che avrei accettato di pranzare con te oggi.» Dissi puntandogli il dito contro accusandolo scherzosamente.

«Io so sempre tutto.» Mi fece l'occhiolino e mi sedetti accanto a lui, dopo aver tolto la giacca. «Mi piacciono le foto che hai appeso. Jaden mi ha detto che venivi qui spesso.»

«Una volta al mese quando potevo.» Confermai prendendo il mio panino e la bibita. «Guardavo i film della lista. Spero non ti dispiaccia che io sia venuta qui.»

«Affatto. Anzi, ne sono felice.» Sorrise guardandomi.

«Come sta Jane?» Domandai mentre iniziavamo a mangiare il cibo ancora caldo.

«Sta meglio.» Disse solo, ma quando notò il mio sguardo, proseguì. «Lavora in una caffetteria adesso, mentre Ralph ha ripreso gli studi e la sera lavora in un pub. All'inizio è stata dura, mia madre pensa ancora al Maple Leaf, delle volte sente forti sensi di colpa per averlo venduto.»

«Mi dispiace.» Sussurrai. Non potevo nemmeno immaginare quanto Jane fosse davvero stata male. «Tu invece?»

«Io ho lavorato nella vecchia officina di mio nonno. Abbiamo abitato con lui e mia nonna per i primi mesi. Ora però abbiamo preso la casa accanto alla loro.»

«Oh...» lasciai uscire quell'esclamazione senza volere. Se avevano preso una casa, allora c'erano poche probabilità che lui fosse tornato per restare. Mi sentii un po' egoista e guardandolo, accennai un sorriso un po' triste. «Scusa... è che...» sospirai arrossendo lievemente. «Nulla, lascia stare.»

«Dimmi Isabel.» Mi incoraggiò bevendo un sorso della sua bibita.

«Perché sei tornato?» Domandai dopo aver esitato diversi secondi. Jason guardò un punto indefinito giocando con la cannuccia.

«Non lo so.» Disse.

Per qualche motivo, la sua risposta mi fece sospirare tristemente. «Hai intenzione di restare?»

«Non sono sicuro nemmeno di questo.»

«Cosa vorresti dire? Come fai a non saperlo?» Chiesi subito senza pensarci un po' alterata e mi alzai. «Non puoi essere tornato senza una ragione. Non puoi non sapere se resterai o meno.»

Si alzò anche lui guardandomi e prendendomi delicatamente il viso con una mano, fece sì che lo guardassi. «Non lo so Isabel. O forse sì, ma non sono ancora pronto.»

«Pronto per cosa...?» Domandai stanca. Ma lui non rispose, si avvicinò abbracciandomi. «A me puoi dire tutto.»

«Lo so.» Sospirò guardandomi.

«Avevi detto che avresti risposto alle mie domande...»

«Hai ragione.»

«Allora dimmi, perché sei qui? Cosa ti ha spinto a tornare?» Domandai mentre lui mi scostava una ciocca di capelli dal viso.

«Avevo bisogno di capire delle cose.»

•••

Quando tornai a casa, non smisi di pensarci. Non mi diede spiegazioni sulla sua risposta. Disse che al momento era tutto quello che dovevo sapere. Mi aveva solo raccontato del suo periodo in Canada e ogni volta che tornavo a dare domande sul presente, lui mi fermava facendo domande su di me. Non capivo perché non volesse più darmi delle risposte sensate come aveva invece mi aveva promesso all'ospedale. Qualcosa gli aveva fatto cambiare idea? Non lo sapevo, non ancora. Ma prima o poi avrebbe dovuto parlarmene per forza. In fondo, delle spiegazioni me le meritavo.
Senza avere nemmeno il tempo di cambiarmi, dovetti andare ad aprire alla porta a cui avevano appena suonato. Guardai dallo spioncino e dopo aver aperto, Andrew entrò squadrandomi. «Eri in giro?»

«Sì, ho mangiato fuori e sono tornata adesso. A cosa devo l'onore della visita?» Domandai.

«Sono passato a trovarti e a dirti che questo fine settimana c'è una rimpatriata del nostro vecchio gruppo di scuola. Ceniamo al ristorante dei miei.» Disse andando a sedersi.

«Se mi stai invitando, la risposta è no

«Perché? Sono nostri amici, ci conosciamo da anni.»

«No, Andrew, quelli sono tuoi amici.» Lo corressi.

«E Megan?»

«Soprattutto.» Dissi andando a prendere qualcosa da bere dal frigo.

«Sarebbe un'ottima occasione per chiarire con lei. Non credi? Avrete litigato per una sciocchezza, anzi, secondo me nemmeno ti ricordi più per cosa avete litigato.»

«Me lo ricordo benissimo invece. L'ho sentita sparlare di me nel bagno delle ragazze.»

«Vedi? Una sciocchezza.» Disse alzando gli occhi al cielo.

«Certo, forse per te. Del resto, sei abituato ad avere persone false attorno.» Dissi ricevendo uno sguardo fulmineo da parte sua.

«Vogliamo ricordare chi era davvero quella circondata da persone false un anno fa?» Chiese. «Jason "Davies" ti ricorda qualcosa? Qual'era il suo vero cognome? Io è già tanto se mi ricordo il vecchio.» Schioccò le dita cercando di ricordare. «Se la memoria non mi inganna tu lo chiamavi anche 'occhi di ghiaccio'

Strinsi i pugni e lo raggiunsi. «Jason McCann è la persona più vera che io abbia mai conosciuto. Avrei voluto non se ne fosse mai andato.» Dissi decisa mentre Andrew si alzava guardandomi freddamente. «E comunque vedo che te lo ricordi anche tu abbastanza bene. Se non sbaglio ti ha sempre dato molto filo da torcere.» Sorrisi incrociando le braccia e Andrew, che aveva i pugni stretti, se ne andò velocemente sbattendo la porta.

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