Capitolo 38
Mi strinsi nella giacca e scesi dall'ambulanza aiutando a portare giù la barella. Durante quel weekend aveva nevicato quasi tutto il giorno, il che non fu proprio d'aiuto per noi. Ero a lavoro da tutta la mattina e il mio turno era quasi finito. Dopo aver spiegato ai medici, come la giovane donna avesse riportato tutti i lividi, la portarono via. Fortunatamente non era nulla di eccessivamente grave, era caduta dalle scale e nonostante i dolori, l'aveva presa sul ridere dandosi della maldestra. Andando nella zona del pronto soccorso, salutai alcune infermiere di turno per poi salire le scale e andare nel reparto pediatria. L'ospedale era grande e ci avevo messo il mio buon tempo per ambientarmi. Il mio turno era ufficialmente finito, quindi avevo il tempo per far visita ad alcuni bambini con cui avevo fatto amicizia quando facevo le ore nel loro reparto. Portavo loro da mangiare e il pomeriggio, dei libri da leggere o da colorare, così passavano il tempo. Arrivata alle stanze, iniziai a fare il giro di visite. La prima bambina che vedevo, era Lily, di sette anni. Era stata ricoverata da qualche settimana per un problema ai reni. Le piaceva la scuola e le mancavano i suoi amici, così al mattino si faceva portare un Tablet per seguire le lezioni della sua maestra. Quando il giorno prima le diedero la notizia che in poche settimane sarebbe stata dimessa, aveva esultato elettrizzata.
Il secondo bambino era Matt, aveva dieci anni e presto sarebbe stato operato per rimuovere un tumore benigno. Era attivo e amichevole. Spesso veniva con me a fare il giro dei pazienti, gli piaceva conoscere nuove persone, ed era un modo per non stare bloccato nella stanza ad annoiarsi. Soprattutto quando sua madre gli toglieva il nintendo per non farlo stare troppo davanti ad uno schermo.
Poi passavo da Jade, un'adolescente di quindici anni, anche lei con un tumore benigno che non vedeva l'ora le rimuovessero. Voleva tornare a fare la sua solita vita e uscire dall'ospedale il più in fretta possibile. Odiava stare li, si annoiava e lo ripeteva tutte le volte esasperata. Così, dopo avermi detto che le piaceva leggere, le avevo portato un libro per sconfiggere la noia e ogni volta che andavo a trovarla, mi facevo raccontare fin dove era arrivata per commentare insieme la storia.
Kate stava nella stanza accanto, aveva un anno in più di Jade. Era una ragazza molto tranquilla, parlava poco e preferiva stare per conto suo a disegnare. Quando andavo da lei mi portavo solitamente dietro qualche foglio e una matita. Mi mettevo seduta vicino al suo letto e disegnavo qualcosa anche io. Lei ovviamente era molto più brava, ma io disegnavo lo stesso perché un po' di compagnia le faceva bene e i miei schizzi facevano davvero ridere messi a confronto con i suoi. A volte facevo la finta offesa e lei rideva ancora di più, il che era davvero bello. Sembrava dimenticarsi dei dolori che a volte la chemioterapia le provocava.
Dopo aver visitato tutti i pazienti che potevo, andavo infine da Dan. Un bambino di undici anni con la fibrosi cistica, conosciuta anche come FC. La malattia gli causava spesso problemi respiratori, tosse e infezioni polmonari. Doveva sempre stare molto attento, portare la mascherina e i guanti quando usciva dalla stanza, prendere sempre le medicine, seguire la sua cura e non sforzarsi troppo. Nonostante questo però, anche lui era un bambino piuttosto attivo e anche molto sveglio. Adorava giocare a basket e ballare l'hip-hop. Entrando nella sua stanza, lo trovavamo sempre intento a imparare qualche nuovo passo o lanciare palline di carta nel cestino fingendo che fosse un canestro. Arrivata davanti alla porta già aperta, lo guardai senza entrare e sorrisi. Sembrava intento a fare i compiti, infatti non notò subito la mia presenza... ma appena mi vide, si illuminò mettendosi i guanti e la sua nuova mascherina personalizzata prima di avvicinarsi trascinandosi dietro l'ossigeno.
«Ciao Dan!»
«Ciao Isabel! Che bello vederti, mi stavo annoiando. Hai finito il turno?» Domandò saltellando.
«Proprio così. Cosa stavi facendo?»
«Dei noiosissimi compiti...» disse alzando gli occhi al cielo. «Mamma è andata a prendermi dei vestiti a casa e ha detto che al suo ritorno devono essere finiti, così può mandarli ai professori domani.»
«Ho un'idea. Se ti va, possiamo andare alla zona bar, prendere qualcosa da mangiare e nel frattempo ti aiuto con i compiti. Sai... non andavo malaccio a scuola.»
«Idea fantastica! Così li finirò anche prima.» Prese velocemente il libro, il quaderno e due penne raggiungendomi. Scesi con lui al bar e andammo a sederci ad un tavolo libero dopo aver ordinato al bancone. Dan si levò la mascherina e lo aiutai a fare i compiti mentre mangiavamo il nostro toast caldo. «Adesso ho capito! Sei brava a spiegare.»
«Nah, ci sei arrivato da solo. Sei un ragazzino sveglio, Dan.» Risi bevendo un sorso della mia bibita.
«Prima però non l'avevo capito.»
«Il cibo aiuta a concentrarsi, tutto merito del toast.»
«Mi piace questo ragionamento.» Annuì convinto e chiuse il quaderno non appena finì l'ultimo esercizio. «Quando smetti di lavorare in ambulanza? Noi ti rivoliamo tutti nel nostro reparto.»
«Io devo andare dove mi dicono i superiori.» Spiegai facendomi sfuggire una risata. «Però mi mancate e anche io voglio tornare da voi. Vedrò cosa posso fare.»
«Volevo farti una domanda, prima che mi dimentichi di nuovo.» Disse improvvisamente con aria curiosa.
«Dimmi pure Dan.»
«Perché hai un bottone al collo?» Chiese indicandolo.
Toccai la collana e sorrisi guardandolo. «Questo non è un bottone.»
«Non lo è? Sei sicura? Perché a me sembra proprio un bottone.» Disse stringendo leggermente gli occhi come per vedere meglio facendomi di nuovo ridere.
«Questo è il bacio di Peter Pan. Conosci la storia?» Domandai incrociando le braccia sul tavolo.
«Ah! Ora capisco. Sì, la conosco... ma pensavo fosse una ghianda il bacio da parte di Peter Pan.»
«Nel film sì. Ma nel libro è un bottone che Peter da a Wandy come bacio di ricambio.» Spiegai.
«Non ho mai letto il libro, non sono uno che legge molto. Non so, non credo di aver mai trovato un libro che mi prendesse.» Disse pensando.
«Hai mai provato a leggere Harry Potter? Quella sì che è una bella saga. Non può non prenderti.»
«Mai letto e mai visto, ma potrei provare. Così forse mi annoierò ancora meno... chiederò a mia madre se mi compra il primo libro.»
«Te lo posso prestare io se vuoi. Così vedi prima se ti piace.» Proposi.
«Mi sembra perfetto!»
«Bene! Ho anche tutti i DVD, ma ti consiglierei di leggere prima i libri. Io faccio sempre così, prima leggo e poi guardo il film.»
«Sei proprio una fan allora.» Disse ridacchiando.
«Da sempre.» Ammisi sorridendo. «Ci sono cresciuta con certe storie.»
«Uh! Sai che sono passato da Luca oggi pomeriggio?» Disse all'improvviso come se si fosse appena ricordato.
«Dan, cosa dici? Tu non puoi stare nella sua stessa stanza.» Luca era un ragazzo di diciassette anni, anche lui affetto dalla fibrosi cistica come Dan. Dovevano mantenere una distanza di due metri per evitare di trasmettersi i batteri.
«Lo so, gli ho parlato stando fuori dalla porta. Stava facendo una AffloVest... non sembrava bello. Secondo te la sua nuova cura funzionerà?»
«Spero proprio di sì! Teniamo le dita incrociate.» Sorrisi scompigliandoli leggermente i capelli.
Più tardi riaccompagnai Dan nella sua stanza, due minuti prima dell'arrivo di sua madre, con cui mi persi a parlare diversi minuti. Era una donna simpatica e teneva molto a suo figlio, cercava sempre di stare con lui il più possibile, anche se il lavoro non glielo permetteva tanto quanto avrebbe voluto. Dopo averli salutati entrambi, scesi di sotto passando di nuovo per il pronto soccorso. Dovevo tornare a casa a farmi una doccia e prepararmi per andare a casa dei miei, che avevano organizzato una cena a cui non sarebbero mancati, ovviamente, i genitori di Andrew. Mi avevano assillata richiedendo a tutti i costi la mia presenza, anche se non capivo il perché. Forse avrebbero fatto un annuncio e al solo pensiero non sapevo se esserne preoccupata o meno. Ma prima di uscire, mi bloccai nel vedere Jaden seduto su un lettino con un labbro spaccato e l'occhio leggermente gonfio. Si teneva il polso e uno dei medici lo stava controllando. Su un altro lettino invece c'era Ethan ridotto anche lui abbastanza male. Mi avvicinai a passo svelto e li chiamai attirando la loro attenzione, ma quando mi videro sbarrarono gli occhi. Sembrava avessero appena visto un fantasma. «Che cosa vi è successo?» Quando fui abbastanza vicina, notai un'altra figura poco più indietro. Una volta incrociato quello sguardo, mi bloccai di colpo, come frenerebbe un'auto se all'improvviso sbucasse qualcosa o qualcuno in strada. Il mio cuore aveva perso qualche battito e sembrava stesse cercando di uscire dalla gabbia toracica. Pensasi quasi ad un'allucinazione, perché ciò che stavo guardando non poteva essere reale. Forse stavo sognando, ma era un sogno davvero realistico se così fosse stato. «Jason...» sussurrai il suo nome e lui restò a guardarmi spiazzato quanto lo ero io. Un'infermiere si avvicinò a lui chiedendogli di sedersi per poterlo medicare, ma lo fermai. Aveva un taglio al sopracciglio e lo zigomo arrossato, ma sembrava stare bene, al contrario dei suoi amici. «Ci penso io.» L'infermiere annuì anche se esitante e facendo sedere Jason, presi l'occorrente per medicarlo. Le mani mi tremavano leggermente e nessuno dei due disse una parola. Facendo un respiro profondo, mi calmai e tornando da lui, gli alzai delicatamente il viso disinfettando il taglio. Pulii il sangue che gli era sceso giù e guardando il suo labbro inferiore notai che aveva anche lì un taglietto. Ad un certo punto sentii la sua mano sulla mia e riallacciai i nostri sguardi. Socchiuse le labbra, apparentemente per dire qualcosa, ma restò in silenzio puntando poi lo sguardo altrove. Vederlo dopo tutti quei lunghi mesi era strano, non sapevo nemmeno io cosa dirgli, anche se nella testa avevo un'infinità di domande. «Cosa è successo? E come stanno i ragazzi?» Domandai al medico.
«Il suo polso è slogato, ma per il resto sta bene. L'altro ragazzo invece ha una spalla slogata e due dita rotte, servirà il gesso. A quanto pare hanno avuto una rissa con quei due uomini laggiù.» Disse indicando due dalla parte opposta ridotti peggio di loro. Li guardai attentamente soffermandomi poi su uno di loro. Aveva un'aria familiare ma non riuscivo a ricordare dove lo avessi già visto. Fu dopo qualche secondo, mentre lo portarono da un'altra parte, che mi apparve un flash che mi fece sussultare. Era l'uomo che un anno prima aveva tentato di aggredirmi in una via e da cui Ethan e Mike mi avevano salvata. «Tutto bene Evans?» Domandò il dottore guardandomi alcuni istanti mentre Jason si alzava poggiando una mano sulla mia spalla. «Sì, dottore...» guardai Ethan che si teneva le dita cercando di imprecare a bassa voce e spostai poi lo sguardo su Jaden. «Vado a prenderti del ghiaccio per l'occhio.»
«Evans, aspetta. Il tuo turno non è finito più di due ore fa?» Chiese improvvisamente il dottore.
«Non importa, posso fermarmi ancora un pochino.» Corsi a prendere il ghiaccio prima che potesse dirmi altro e quando ritornai, era già andato via con Ethan. Allungai il ghiaccio a Jaden che appena lo mise sull'occhio, sospirò. «Va meglio?» Chiesi e lui annuì ringraziandomi. Poi mi girai verso Jason che mi stava ancora guardando. Sentivo gli occhi lucidi da almeno quindici minuti, ma avrei trattenuto le lacrime stavolta.
«Allora?» Jaden ci guardò. «Se volete mi giro.»
Jason lo ignorò restando a guardarmi qualche altro secondo, prima di tirarmi tra le sue braccia e stringermi forte. Io ricambiai subito tenendolo stretto, non volevo lasciarlo, quasi come se avessi paura di perderlo ancora, cosa che non poteva accadere. Non ero sicura di quanto fosse durato quell'abbraccio, ma quando ci staccammo ne sentii già la mancanza. Poggiò le labbra sulla mia fronte lasciandoci un bacio, così come aveva fatto la sera che mi aveva detto addio. «Mi sei mancata.» Disse sfiorandomi poi la collana mentre poggiava la fronte sulla mia. Queste furono le prime parole che uscirono dalle sue labbra. Sentire la sua voce mi causò un sorriso e una stretta al cuore.
«Anche tu mi sei mancato...» sussurrai guardandolo.
«Mi dispiace tu abbia scoperto del mio ritorno in questo modo.» Disse prendendomi le mani.
«Già... non è proprio un bel modo di rivedersi.» Pressai le labbra e Jaden si alzò.
«Vado a vedere come procede con Ethan.» Borbottò prima di allontanarsi indicando verso un corridoio.
A quel punto il mio sguardo tornò su quello di Jason e facendogli un cenno lo accompagnai nella sala d'aspetto. «Onestamente... non so che domanda porti prima.»
«Stasera hai qualcosa da fare?» Chiese insicuro mentre io lo guardavo perplessa, ma poi si spiegò. «Voglio parlarti e spiegarti tutto quello che vuoi in privato.»
«Non lo so...» sospirai pensando. Ero confusa, mi doveva spiegazioni? No, o forse sì in quanto mio vecchio migliore amico. Ma era anche vero che non ci eravamo più parlati, non avevamo avuto nessun contatto. «In realtà non credo tu mi debba delle spiegazioni...» sospirai passandomi una mano sul viso. «Non lo so. Al momento sono davvero confusa. Ho tante domande ma in realtà non saresti obbligato a rispondere.» Volevo picchiarmi per quanto i miei pensieri, in quel momento, fossero contrastanti e incoerenti.
«Ma io voglio farlo, voglio spiegarti.» Disse anche se sembrò essere un po' dubbioso delle sue stesse parole.
«Dimmi solo se sei qui per passare del tempo con i tuoi amici o se sei qui per restare.» Dissi guardandolo negli occhi.
Sembrò pensarci e dopo un po' rispose, anche se non come speravo. «Te lo dirò, ma non qui.»
Sospirai per la millesima volta e in quel momento il mio cellulare iniziò a suonare, era Andrew. Lo ignorai mettendo il cellulare in tasca ma riprese a suonare nuovamente. «Non rispondi?»
Ci pensai qualche secondo e quando chiamò di nuovo, risposi. «Dimmi Andrew...» lo ascoltai e in quel momento ricordai che sarebbe stato lui a venire a prendermi sotto casa, così da andare poi a cena dai miei. «Mi dispiace, me ne sono completamente dimenticata. Oggi in ospedale ho fatto la giornata piena... infatti sono ancora qui. C'è stato qualche incidente e servivano mani in più.» Spiegai, ma lui sembrò non voler capire. «Ma perché devo venirci per forza? Non potete cenare senza di me questa volta?» Avrei voluto staccare. Jason mi guardava aspettando in silenzio. «Come sai che mio padre vuole parlarmi? A me non ha detto nulla... e di cosa vorrebbe parlarmi?» Domandai stanca. «Se non l'ha detto nemmeno a te, sarà una scusa per farmi venire a cena... senti, tu parti e inventati una scusa al posto mio. Io vedo se riesco a raggiungervi tra un'oretta, anche se la vedo dura.» Staccai qualche secondo dopo e incrociai le braccia al petto.
«Ho sbagliato? Era meglio non rispondere?» Chiese Jason con un sorrisino e l'aria un po' colpevole.
«Già.» Accennai un sorriso e lui pressò le labbra.
«Se devi andare, non preoccuparti. Noi possiamo vederci e parlare un altro giorno.»
«In effetti... i miei non sanno che lavoro qui e sarebbe difficile inventarsi una scusa. Ma non mi sento neanche di andare via in questo modo. Poi c'è Ethan che starà per uscire... a proposito, cosa è successo esattamente con quei due uomini?» Chiesi mentre un piccolo brivido mi percorse la schiena.
«Si ricordavano di Ethan e lo hanno attaccato, sai, per vendetta... peccato che c'eravamo anche io e Jaden con lui, così li abbiamo stesi, anche se un po' tardi forse.»
«Sei tornato da quanto? E già fai rissa?» Scherzai accennando un sorriso. «Comunque meglio tardi che mai... e ho notato che loro erano ridotti peggio.»
«Già. E altra cosa positiva, la polizia ha dato ragione a noi. Stavano perlustrando la zona e hanno visto tutto, la nostra è stata legittima difesa.» Spiegò e in quel momento tornò Jaden seguito da Ethan con le due dita ingessate. Mi alzai controllandolo come d'abitudine e lui fissò la mia giacca.
«Da quando lavori qui?»
«Ciao anche a te. Non ti vedevo da mesi... comunque da un po'.» Sorrisi e guardai ancora l'ora.
«Vai pure, parleremo un'altra volta.» Mi assicurò Jason.
Annuii e li salutai, lasciando Jason per ultimo così da poterlo abbracciare forte. Sarei voluta restare, ma come aveva detto Jason, avremmo parlato un'altra volta. «Non cacciatevi più nei guai.» Dissi anche se le mie parole probabilmente andavano al vento. «Ciao Jason, ci sentiamo.» Accennai un sorriso e di malavoglia, uscii dall'ospedale in cui avevo quasi passato il doppio delle ore che facevo in un giorno. Non riuscivo ancora a credere agli avvenimenti di quella giornata, temevo davvero che quello fosse un sogno. Jason era tornato, era qui, lo avevo visto, abbracciato, ci avevo parlato e riuscivo ancora a sentire il suo profumo. Allora doveva essere tutto vero e io stavo facendo la stupidaggine di andare via a causa di una stupida cena. Però se pensavo a lui, non riuscivo a trattenermi dal sorridere.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro