Capitolo 34
L'estate era passata velocemente, avevo fatto tutto quello che avevo programmato e di più. Continuavo a fissarmi nuovi progetti, nuovi obbiettivi. Avevo iniziato l'università da ormai un mese e mezzo, era tosta ma continuavo lo stesso a fare del volontariato all'ospedale nel fine settimana. Diana aveva preso una stanza nella sua università e ogni tanto facevamo delle video-chiamate per tenerci aggiornate sugli ultimi avvenimenti. Salendo in macchina, gettai lo zainetto sul sedile accanto e partii dopo aver messo la cintura. Da quando erano finite le vacanze, io e mia madre avevamo praticamente fatto a cambio, io ora avevo la Range Rover tutta per me e lei si faceva dare i passaggi da Gabriel. Quando arrivai al locale di Andrew, parcheggiai e scesi dall'auto andando verso l'ingresso. Lui e mio padre mi stavano aspettando da alcuni minuti, ma non ebbi nemmeno il tempo di entrare che sentii una voce alle mie spalle chiamarmi. Mi fermai qualche secondo pensando di essermelo immaginata e mi voltai, vedendo un viso familiare all'ingresso del parcheggio. Erano passati quasi sei mesi dall'ultima volta che lo avevo visto alla festa a casa mia. Il mio cuore batteva dalla felicità e sorridendo, corsi verso di lui che mi stava venendo incontro. «Non sai quanto io sia felice di vederti!» Lo abbracciai e lui ricambiò facendosi sfuggire un sorriso. «Ma dove sei finito tutti questi mesi? Non ho più visto nessuno.»
Jaden pressò le labbra e mi guardò. «Lo so, è che... da quando Jason se ne è andato, le cose sono un po' cambiate. Poi non avevamo più il solito posto dove riunirci.» Disse indicando il locale con un cenno della testa. «Una volta potevi trovarci tutti al Maple Leaf.»
«Mi dispiace...» sospirai guardandomi le scarpe.
«Non è colpa tua. Ad ogni modo, cosa mi racconti?»
«Ho iniziato l'università alla St. William, è a mezz'oretta da qui. Ma dimmi qualcosa di te piuttosto...»
«Grande! Io lavoro nell'officina di mio cugino e ogni tanto continuo a lavorare con la squadra catering. Non è cambiato molto.» Disse facendo spallucce.
«Ethan, Mike e gli altri li vedi ancora?»
«Sì, ogni tanto la sera ci riuniamo per qualche amichevole di basket.» Rise mettendo le mani nella tasca della felpa.
«Bene...» sorrisi poi iniziai a torturarmi le mani. «Jason...? L'hai più sentito?» Non pronunciavo il suo nome ad alta voce da tanto ed ero quasi riuscita ad evitare che occupasse i miei pensieri costantemente. Ora però, avevo quasi paura di averlo "liberato".
«Sì, parliamo spesso.» Sembrò sentirsi quasi a disagio, ma io lo ero di più.
«Sta bene? E Jane? Ralph?» Domandai.
«Stanno tutti bene.» Disse semplicemente guardando poi l'orologio al polso. «Ora devo andare alla fermata, tra poco passa il bus.»
«Ma tu non avevi la macchina?» Chiesi confusa.
«Sì, ma non oggi purtroppo.» Pressò le labbra e mi guardò. «Mi ha fatto piacere rivederti...»
«Anche a me...» accennai un sorriso e con un lieve imbarazzo, mi salutò indietreggiando. Io sospirai voltandomi e tornai verso il locale da cui erano appena usciti Andrew e mio padre.
«Chi era quello?» Sbottò subito fulminandomi.
«Una vecchia conoscenza.»
«Con quel nero?» Chiese guardando male Jaden che stava andando tranquillamente avanti.
«Cosa ci sarebbe di male?» Domandai cercando di contenere la rabbia che saliva ogni volta che mio padre iniziava a fare commenti razzisti.
«Non ti voglio vedere accanto a quella razza.» C'era disprezzo nelle sue parole.
«Quale razza? Non vedo animali.» Risposi, ma subito dopo partì uno schiaffo da parte sua che mi lasciò spiazzata. Mi aveva colpita senza problemi davanti ad Andrew, ed era la prima volta che lo faceva in presenza di un'altra persona che non fosse mia madre.
«Non provare a parlarmi così... non devi assolutamente azzardarti. E guai se parli di nuovo con lui.» Si avvicinò ma con mia sorpresa, Andrew si mise in mezzo facendomi da scudo.
«Non credo succederà più Mark. Se ricordo bene, quel ragazzo era solo un paziente che Isabel ha aiutato la scorsa settimana all'ospedale. Li ho visti personalmente quando sono andato a prenderla per portarla a cena. Sicuramente la stava solo ringraziando, giusto?» Chiese a me che annuii qualche secondo dopo.
«Sarà meglio. Non voglio vederla mischiarsi con quelle persone.» Se ne andò senza dirmi più nulla salendo sulla sua auto. Io guardai altrove fino a quando riuscii a cacciare indietro le lacrime.
«Bella? Tutto ok?» Andrew mi sfiorò il braccio e guardandolo annuii.
«Sì, grazie.» Non sapevo perché mi avesse aiutata, poteva averlo fatto per secondi fini oppure no. Ad ogni modo mi sentivo in debito.
•••
Presi gli ultimi libri rimasti sullo scaffale e li infilai in un'altra scatola. Andrew stava guardando le valigie vicino alla porta della mia stanza e gli scatoloni pieni. Dovevo ancora svuotare il cassetto, poi avevo finito. La cabina armadio era ancora piena ma avrei avuto tempo per portare via tutto. «Quindi domani mattina te ne vai?»Domandò sedendosi.
«Sì. Non voglio più aspettare, tanto l'appartamento è arredato. Porto le mie cose e domani faccio la spesa.» L'università era solo a mezz'ora da dove vivevo ma, grazie ad Andrew, ero riuscita a convincere i miei del fatto che fossi pronta a vivere da sola. Avevo preso un'appartamento vicino alla St. William e lo avevo arredato con una collega di mia madre.
«Sei arrabbiata con tuo padre?»
«Tu che dici?» Presi lo scotch e sigillai le ultime scatole.
«Non te la prendere troppo. Sai che è stressato per quello che è successo quest'estate.»
Sospirai alzando gli occhi al cielo. «Non è una scusa.» A fine agosto eravamo stati derubati, questa volta per davvero. Qualcuno era entrato mentre nessuno di noi era in casa, l'allarme era stato disattivato e in qualche modo, avevano oscurato le telecamere. Non eravamo quindi riusciti a beccare il colpevole, o i colpevoli.
Avevano rubato alcuni gioielli di mia madre, qualcosa di mio e cosa più grave, avevano preso tutti i soldi dalla cassaforte di mio padre. Erano un bel po' e mio padre si era infuriato come non mai. La polizia aveva interrogato tutto il personale, ma loro avevano tutti un alibi, erano al compleanno di Marisol svoltosi in un locale in centro e le telecamere lo confermavano. Da quel giorno aveva fatto mettere una telecamera nascosta anche nella stanza in cui aveva nascosto la nuova cassaforte.
«Se hai bisogno di aiuto, domani passo, tanto non ho lezione.»
«Dovrei farcela da sola, ma grazie del pensiero.»
Andrew dopo un po' andò via e io tornai a controllare le mie cose assicurandomi di aver impacchettato tutto. Guardai verso il comodino e avvicinandomi, aprii il cassetto tirando fuori il diario e la collana che mi aveva regalato Jason. Avevo iniziato a scriverci la sera in cui lo avevo visto per l'ultima volta. Sfogliandolo, sorrisi vedendo la foto che avevo fatto stampare e lasciato li in mezzo, eravamo io e lui mentre guardavamo il film della Marvel. Richiusi il diario e andai a metterlo nella borsa, indossando invece la collana. Dopo aver visto quella foto, mi tornarono alla mente diversi ricordi, lui quando si annodava male la cravatta, quando venne a mangiare a casa mia per la prima volta, quando iniziava a farmi il solletico... non me ne accorsi subito, ma stavo sorridendo. Mi buttai sul letto guardando il soffitto, tutti quei ricordi sarebbero rimasti sempre nel mio cuore, lui, sarebbe rimasto sempre nel mio cuore.
•••
Finii di sistemare le lucine nella mia nuova stanza e facendo qualche passo indietro, le guardai. Ero soddisfatta di come avevo sistemato. In generale, tutto l'appartamento era molto bello e venirci finalmente ad abitare, mi faceva venir voglia di fare salti di gioia. Mi sentivo più libera e avevo già meno stress addosso, ero davvero felice. Andai in salotto a mettere la musica prima di scappare nella cucina collegata, a prendermi del succo. In quel momento suonò il campanello e portandomi dietro il bicchiere, andai ad aprire. Alla vista che mi si presentò davanti, quasi soffocai mandando il succo di traverso.
«Ciao!» Un ragazzo alto, dai capelli biondi corti leggermente scompigliati e gli occhi scuri, mi guardò sorridente.
«Ciao.» Dissi appena mi ripresi.
«Sapevo che qualcuno si sarebbe trasferito qui oggi, così sono venuto a presentarmi. Io sono Clyde, abito nell'appartamento qui di fronte.» Mi tese la mano che strinsi subito.
«Piacere di conoscerti, io sono Isabel.» Dissi sorridendo mentre un altro ragazzo si avvicinava. Aveva la pelle scura, stupenda, un sorriso smagliante e i classici capelli neri super ricci rasati di lato.
«Clyde ti avevo detto di aspettarmi!» Disse rimproverandolo mentre tornava poi a guardarmi. Aveva tra le mani una piccola cesta di muffin.
«Non stavo più nella pelle!» Rispose in sua difesa. «Isabel, lui è il mio ragazzo, Samuel... detto anche Sam.»
«Due ragazzi carini e già occupati, peccato. Mi stavo già prendendo bene.» Scherzai facendoli ridere e mi spostai per farli entrare. «Entrate pure.»
«Grazie tesoro, se ti può consolare, fossi stato etero ci avrei provato subito.» Disse Sam porgendomi la cesta di muffin mentre li accompagnavo in salotto ridendo.
Poggiai tutto sul tavolino abbassando poi il volume della musica al minimo. «Questi muffin hanno un profumo delizioso!»
«Li ha fatti Sam, è fissato con i dolci.»
«Non sono fissato.» Lo fulminò e tornò a guardarmi accavallando le gambe.
«Sembrano buonissimi. Vi porto qualcosa da bere?»
«Tranquilla, abbiamo preso un caffè poco fa. Comunque è pazzesco come hai arredato casa! Quelli che ci abitavano prima non avevano così gran gusto.» Disse Sam guardandosi attentamente intorno.
«Mia madre faceva l'arredatrice e ha chiamato una sua collega perché mi aiutasse a sistemare tutto.»
«Sembri piuttosto giovane per vivere da sola, sei una studentessa?» Domandò Clyde.
«Sì, studio alla St. William, sono al primo anno. Voi? Non sembrate molto più grandi di me.»
«Tosta quell'università! Ma dicono sia tra le migliori.» Disse Sam sorpreso. «Io sono un parrucchiere, lavoro in un salone che hanno aperto appena due mesi fa, il Flawless Hair.»
«Non mi dire!» Sorrisi subito sorpresa. «Quello in centro? Ci sono passata ieri per chiede un appuntamento ma questa settimana era pieno.»
«Sì è vero, ma se chiami domani puoi farti mettere già in lista per la settimana dopo ancora. Però voglio che tu chieda di me quando chiami il salone.» Disse indicandosi. «Così avrò una cliente di fiducia.»
«Ovviamente.» Risi e intanto presi un muffin dalla cesta assaggiandolo. Era ottimo e feci subito i complimenti a Sam prima di tornare alla domanda che stavo per fare. «Tu Clyde?»
«Io lavoro all'Apple store e studio ingegneria. Sono al secondo anno.»
«Interessante. E riesci a studiare e lavorare insieme? Io faccio volontariato ogni tanto il fine settimana all'ospedale, ma credo sia ben diverso.»
«In effetti è piuttosto dura, ma devo pagarmi gli studi in qualche modo.»
«Io non so se potrei mai farcela da sola, quindi hai la mia stima.»
«Credo ce la faresti anche tu, sembri una in gamba.» Mi fece l'occhiolino e sorrise.
I ragazzi si fermarono da me a parlare per poco più di un'ora. Erano simpatici e divertenti, sembravo essere stata fortunata a ritrovarmeli come vicini di casa. Tutto stava andando benissimo da quando avevo lasciato la casa dei miei genitori e mi sembrava di aver appena iniziato a vivere.
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