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Capitolo 32

Una festa, i miei avevano pensato che era tanto tempo che non ne organizzavano una e visto il tempo favorevole, decisero di cogliere l'occasione. Avevano spedito diversi inviti e mentre fuori i giardinieri sistemavano le siepi e il personale sistemava i lunghi tavoli bianchi, io mi preparavo. Non avevo più sentito Jason, nessun messaggio, nessuna chiamata, niente di niente, ma era giusto così. Secondo Diana invece, non avrei dovuto dargli buca quella notte, a detta sua dovevo ascoltare quello che aveva da dire, ma ormai era tardi.
Dopo aver asciugato i capelli, andai nella cabina armadio e indossai un abito verde con uno scollo a V che avevo messo da parte. Cercai delle scarpe da abbinare e subito dopo andai a mettere un filo di trucco. Raccolsi i capelli in una coda, indossai degli orecchini semplici e per quanto riguardava la collana, scelsi di tenere quella con il bottone che mi aveva regalato Jason. Non si abbinava, ma volevo tenerla lo stesso. Sbuffai pensando a quanto avrei voluto Marisol accanto a me, mi mancavano i suoi abbracci e le cose dolci che mi diceva, mi mancava la mia seconda madre. Andai alla scrivania e prendendo carta e penna, iniziai a scrivere.

"Cara Marisol,
ho pensato di scriverti questa breve lettera semplicemente per sapere come stavi, e perché la tua mancanza si fa sentire davvero tanto. Qui le giornate sono sprecate e passano lentamente, a volte mi tornano in mente i pranzi che facevamo tutti insieme e mi spunta un sorriso, cosa di cui ho bisogno ultimamente. Ricordi l'ultima volta che ci siamo viste? Mi avevi accennato di voler sapere qualcosa su Jason... ecco, abbiamo litigato. Non credo nemmeno riusciremo a risolvere questa volta, ma supererò la cosa. Ad ogni modo, ho saputo che il fine settimana riesci a vederti con Gloria e Carmela, dunque credo ti farò consegnare questa lettera da loro. Voglio che mi racconti come stanno andando a te le cose in questo periodo e voglio assolutamente sapere se ci sono novità per quanto riguarda lo spasimante di cui ci avevo parlato. Spero di ricevere belle notizie, a presto.
Baci, Isabel."

Piegai la lettera e frugando tra i cassetti, cercai una busta. Quando la trovai, insieme alla lettera, inserii una foto che ero riuscita a stampare. Ritraeva uno dei primi pranzi che avevamo fatto tutti insieme. Levai la pellicola e chiusi la busta correndo di sotto per poter lasciare la lettera a Gloria. Ci misi un po' a trovarla perché continuava a fare avanti e indietro dalla cucina al giardino, nessuno stava fermo, quest'atmosfera mi era molto familiare. Non sapevo se il ricordo che avevo, effettivamente fosse bello. Era ad una festa come quella che ci sarebbe stata a breve, che avevo incontrato Jason e ricordavo tutto nei dettagli.

•••

Aprirono i cancelli, accesero le luci in giardino e misero della musica classica di sottofondo. I camerieri stavano finendo di portare gli stuzzichini e da bere. Avevano allestito anche un mini-bar in un angolo, era tutto perfetto come al solito. Gli invitati iniziarono ad arrivare dopo pochi minuti. C'era chi si faceva portare dal proprio autista e chi veniva in taxi, altri ancora venivano con le proprie auto parcheggiando fuori dalla proprietà.
Senza farmi vedere da mia madre, che mi avrebbe sgridata, presi una manciata di stuzzichini da un vassoio e passeggiando per il giardino, feci finta di nulla mangiandoli. Mi incamminai poi verso il cancello dove vidi fermarsi una bellissima Jaguar E-Type nera, da cui scese la signora Districk. I miei si avvicinarono per salutarla, ma dopo qualche minuto andarono ad accogliere i Larson. Incamminandomi verso di lei, alzai una mano per attirare la sua attenzione e notai che strinse leggermente gli occhi per capire chi fossi.

«Buonasera signora Districk.»

«Oh, cara! Come stai?» Mi prese le mani e sorrise guardandomi.

«Bene, grazie. Lei come sta?»

«Bene, non vedevo l'ora di andare a qualche festa. Ero così annoiata a casa che ne stavo per organizzare una io. Comunque lascia che ti dica che sei bellissima con questo vestito.» Disse velocemente facendomi sfuggire una risata.

«L'abbiamo preceduta a quanto sembra.»

«Già, ma organizzerò anche io qualcosa appena posso. Così potrò anche farti vedere casa mia. Dovresti venire a trovarmi ogni tanto, cara. Quando sei libera e hai voglia di una tazza di tè, puoi passare.»

«Grazie signora Districk, non lo scorderò.» Dissi sorridendo. «Per caso è venuta qui da sola?»

«Sì, mia nipote aveva già degli impegni purtroppo. Tu l'hai già conosciuta mia nipote, vero? Comunque ho parlato con la mia cara amica Susan e mi ha detto che ci sarebbe stata.» Disse guardandosi intorno.

«Parla di Susan Garret? Perché l'ho vista poco fa dirigersi ai tavoli con il marito.»

«Proprio lei! Allora grazie, vado a raggiungerla. Devo raccontarle un po' di novità.» Disse unendo le mani felice. «Comunque bella collana, ha l'aria di essere speciale.» Sorrise e si allontanò. Io portai la mano sul bottone sfiorandolo e pressai le labbra. Non sembrava, ma quella donna era attenta e intelligente, riusciva a sorprendermi tutte le volte. In certi momenti, mi ricordava Miss Marple.

Mi voltai e andai verso Andrew che aveva appena finito di parlare con mio padre. Aveva addosso una camicia bianca, i classici pantaloni neri e i capelli in ordine, escluso qualche ciuffo fuori posto. Nel vedermi sorrise e, tirandomi a se, mi baciò la guancia. «Buonasera Isabel.»

«Andrew, come stai?»

«Benissimo. Tu?» Domandò portandomi con lui a prendere qualcosa da bere.

«Solito, è ok.» Risposi facendomi poi preparare un analcolico dal barista.

«Megan non c'è? O l'altra tua nuova amica, non ricordo come si chiama.»

«Diana aveva già un altro impegno, quindi non è potuta venire. Megan invece, per quanto mi riguarda, può starsene a casa sua.» Potevo essere risultata cattiva, ma non me ne fregava niente.

«Woah...» rise sorpreso e mi guardò. «Questa rabbia da dove arriva?»

«Lunga storia...» che era quello che dicevo quando non avevo voglia di raccontare qualcosa. «Parliamo di te invece.»

«Vuoi parlare di me? Onorato, Isabel Evans.» Disse sorpreso con un sorrisino sulle labbra.

«Sì, volevo parlare del fatto che non stai più svolgendo il tuo ruolo da rappresentante degli studenti ultimamente. Ci hai fatto caso?» Domandai prendendo il mio analcolico alla frutta mentre lui sospirava alzando gli occhi al cielo.

«Lo sai che sono impegnato Bella. Ma cercherò di rimediare, in fin dei conti, mi sono preso delle responsabilità e le devo mantenere.»

Le sue parole mi sorpresero e camminandogli accanto, lo guardai. «Sono felice di sentirtelo dire.»

«Ragazzi!» Sentii una voce squillante alle nostre spalle e voltandoci, ci ritrovammo Megan che correva sorridente verso di noi. «Ci sono anche io finalmente! Mia madre ci ha messo più di me a prepararsi.» Disse alzando gli occhi al cielo.

«Ah...» Andrew guardò lei e poi me sorseggiando il suo drink, sembrava divertito e a disagio allo stesso tempo.

«Io vado altrove.» Dissi accennando un sorrisino falso prima di allontanarmi. Non potevo stare con loro, non avrei retto. Andando verso l'ingresso, non avrei mai immaginato di vedere una faccia più che familiare, girare con un vassoio in mano intento a servire gli invitati. «Jaden?»

Alzò lo sguardo e si avvicinò qualche secondo dopo. «Isabel... eccoti.»

«Mi cercavi?» Domandai confusa nel sentire le sue parole.

«Sì... cioè, non proprio.» Si guardò intorno e mi fece cenno di seguirlo in un angolo, dopodiché posò il vassoio su un ripiano e riprese a parlare. «Jason vuole parlarti. Di persona.»

Sospirai passandomi una mano sul viso. «No. Basta, non abbiamo più nulla da dirci.»

«Devi permettergli di spiegarsi. Vuole raccontarti una cosa importante e tu dovresti davvero ascoltarlo.»

«Jaden, è tardi. E poi... come faccio a sapere che non mentirà di nuovo?»

«Non lo farà, fidati.»

Ma era proprio questo il problema, pensai. Fidarsi. «Ci penserò... ora scusami, ma devo tornare dagli altri.» Mi ero appena inventata una scusa e mi dispiaceva, ma dovevo schiarirmi le idee. Entrai in casa e salii velocemente le scale per arrivare di sopra. Corsi nella mia stanza e senza accendere la luce, mi buttai sul letto allargando le braccia, dopodiché inspirai profondamente. Perché levare Jason dalla testa sembrava un'impresa tanto impossibile? Era sempre lì, mentre, quando non c'era, qualcuno me lo ricordava. Sembravano farlo apposta e io mi sentivo soffocare. Chiusi gli occhi e girandomi su un lato, tirai leggermente le gambe vicino al petto. Volevo sparire anche solo per alcuni minuti, avevo bisogno di silenzio, di tranquillità... ma forse dovevo smetterla di dirlo, perché ogni volta succedeva l'opposto. Sentii un lieve cigolio, dell'arietta fredda improvvisa e poi dei passi. Mi misi di scatto seduta e alzandomi, guardai verso la finestra. Ero quasi certa fosse un sogno, o un incubo, non ne ero completamente certa, non ero quasi mai certa di niente in realtà. Accesi la calda luce sul comodino e mi avvicinai a Jason che si era abbassato il cappuccio della felpa. «Cosa ci fai qui?» Per qualche motivo non ero del tutto sorpresa di vederlo.

«Non sei venuta da me, così sono venuto io da te.» Rispose avvicinandosi ancora. «So che non vuoi più avere niente a che fare con me e dopo averti detto tutto quello che ho da dire, non mi vedrai più.»Sussurrò sfiorandomi la collana. Ora ero quasi dispiaciuta, abbassai leggermente lo sguardo e annuii.

«Ok, parla...» andai a chiudere la porta a chiave e mi sedetti con lui sul letto. I suoi occhi avevano una luce diversa dal solito, era triste e onestamente non l'avevo mai visto così.

«Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui dal Canada quando io avevo sei anni e Ralph nove. Mio padre aveva un sogno, insieme a mia madre... a dire la verità credo l'abbia fatto più per lei. Diciamo che il suo sogno era realizzare i sogni di mia madre.» Accennò un sorriso al ricordo e si guardò le mani unendole. «Volevano aprire una tavola calda, il Maple Leaf.» Disse facendo poi una pausa. «Ed è quello che fecero dopo essersi trasferiti in città. Era sempre andato tutto bene, il lavoro andava bene, avevamo una bella casa, con un giardino e ognuno la sua stanza. Una famiglia normale, felice... nonostante ci fossi io a cacciarmi nei guai con Jaden sei giorni su sette.» Disse facendomi scappare un sorriso. «Ovviamente avevamo avuto anche noi qualche periodo buio, ma eravamo sempre riusciti a rialzarci. Finché qualche anno dopo, non ci ritrovammo in una situazione che non avremmo mai immaginato.» Attaccò lo sguardo al mio, come se volesse farmi capire che tutto quello che stava dicendo, era la pura verità e non solo. Era qualcosa di cui non parlava, era personale e importante... e lo stava raccontando a me. «Avevo appena finito il liceo quando venni a conoscenza del fatto che mio padre soffriva di insufficienza cardiaca. Il suo cuore era debole, danneggiato.» Sentendo le sue parole provai un grande dispiacere e restando in silenzio, lo lasciai proseguire. «Insistemmo subito per farlo visitare, ma mio padre era testardo, non voleva. Non avevamo capito il perché inizialmente e la cosa ci stava mandando fuori di testa, ma evitavamo di prendercela con lui, non volevamo peggiorare la situazione. Una sera però, mentre io e Ralph stavamo rientrando a casa, li sentimmo parlare. Mio fratello frequentava un'università fuori città e tornava solo durante le feste, quindi i miei gli mandavano sempre un po' di soldi perché non gli mancasse nulla. Sentendoli quindi parlare di "tasse universitarie", Ralph iniziò a sentirsi in colpa e si ritirò alla fine dell'anno. Non disse mai ai nostri genitori la verità sul perché avesse lasciato gli studi e sia io che lui iniziammo a cercare più lavori. I soldi però mancavano ancora, quindi decisero di chiedere un prestito alla banca.» Quando pronunciò la parola "banca" ebbi un brutto presentimento. «Ce lo concesse e riuscimmo a pagare tutte le visite e gli esami. Una cosa che odiavo, era il fatto che mio padre non condividesse le informazioni sulla sua salute, quasi come se non fosse importante. Era davvero testardo e io non capivo come mia madre riuscisse a mantenere la calma in certi momenti.» Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Un po' di tempo dopo, la banca ci richiese i soldi, ma non li avevamo ancora tutti. Mio padre andò a parlare con il tuo per trovare un accordo...» disse e senza rendermene conto iniziai a torturarmi le mani. «Dovette vendergli il frutteto per chiudere il debito.» Non riuscii a crederci, portai una mano davanti alla bocca e spostai subito lo sguardo altrove. Il frutteto in cui c'era anche la piccola casa sull'albero e che apparteneva ai McCann, ora era di mio padre. «Quando ci diede la notizia era tanto dispiaciuto quanto lo ero io. La sua salute successivamente peggiorò, aveva bisogno di un'operazione urgente, un trapianto di cuore.» Si schiarì leggermente la voce mentre io mi ritrovai a pregare mentalmente con una mano sul cuore mentre continuavo ad ascoltare quella storia. «Ci ritrovammo a dover chiedere altri soldi per l'operazione, così mia madre tornò alla banca... ma quella volta non le concessero nessun prestito. Mio padre peggiorava e mia madre tornò altre volte a chiedere aiuto, finché in qualche modo non li convinse.» Avrei quasi voluto interromperlo e dirgli che non era obbligato a riportare a galla vecchi ricordi se non se la sentiva, ma lui proseguiva con aria decisa. «Mio padre fu messo in lista per ricevere il cuore, ormai era davvero debole, aveva il respiro affannato e doveva stare sempre seduto. Quando arrivò il giorno dell'operazione ci sentimmo sollevati. Lo aspettammo nella sua stanza per ore avvolti nel silenzio, eravamo piuttosto agitati.» Potei vedere i suoi occhi luccicare e sfiorai la sua mano poggiandola lentamente sulla sua. «Quando il cardiochirurgo tornò da noi, iniziò a spiegarci che dopo aver messo il cuore nuovo, questo era riuscito a fare un solo battito, poi si era interrotto. In pratica il cuore del donatore aveva subito un danno non visibile, ma critico. Non avevano neppure potuto rimettere quello vecchio perché era completamente andato.» La sua voce si spezzò affievolendosi e vidi delle lacrime scendergli lungo le guance. «Morì in sala operatoria, senza nemmeno averci accanto.» Sussurrò mentre anche io piangevo silenziosamente e senza pensarci due volte, mi avvicinai di più a lui abbracciandolo. Ero a pezzi per la sua storia e non era nemmeno finita. Ci mise un po' a ricambiare l'abbraccio e tenendomi a se continuò. «Dopo i funerali, iniziarono a mandarci delle lettere. Dovevamo saldare il nuovo debito. Il problema era che la cifra segnata, era molto più alta di quello che effettivamente avremmo dovuto pagare. Qualcosa non andava, così mio fratello andò a chiedere spiegazioni. Ovviamente non riuscimmo a risolvere nulla, ci avevano aumentato il debito e non capivamo il perché. Ma non potevamo nemmeno mandare tuo padre in tribunale... non avevamo più niente, non ci saremmo potuti permettere nessun avvocato. Avevamo perso tutto.»

Non sapevo cosa dire, non avrei mai immaginato fossero accadute tante cose. Jason e la sua famiglia avevano sofferto tanto negli anni... e quando avevano chiesto aiuto, si erano ritrovati in altri guai. Non potevo credere che mio padre li avesse davvero trattati in quel modo, soprattutto quando in gioco c'era una vita. «Mi dispiace tanto Jason, per tutto quello che vi è successo. Non ne avevo assolutamente idea...»

Si asciugò il viso alzandosi e lo stesso feci io. «Volevo solo che sapessi perché ho fatto quel che ho fatto. Ma soprattutto, volevo farti sapere che a te tengo veramente. Mi aspettavo fossi come i tuoi genitori, invece, dal primo momento mi hai dimostrato che sbagliavo. Ero persino arrivato a pensare fossi stata adottata. Credimi... sei l'ultima persona che avrei voluto ferire.» Mi accarezzò la guancia sollevandomi il viso. «Non sono venuto qui stasera solo per raccontarti la mia storia...» disse e io mi domandai cos'altro potesse esserci. «Io, mia madre e Ralph torniamo in Canada.»

«Cosa?» Sentii una stretta al cuore e lo guardai dritto negli occhi. «No... perché?»

«Non abbiamo più nulla qui. Andremo dai miei nonni per un po' di tempo, poi dovremmo ristabilirci la. Il nostro volo è domani mattina alle otto.»

Scossi la testa e iniziai a girare per la stanza con una mano sulla fronte. Non volevo se ne andasse e sapevo di essere un'incoerente, perché prima dicevo di non volerlo più vedere e che era meglio in quel modo. Ma ritiravo tutto... non poteva lasciare Everside. Volevo restasse, volevo che tornasse ad essere mio amico, il mio solito Peter Pan che si divertiva a farmi visita entrando dalla finestra. Mi bloccò facendo sì che lo guardassi e scossi la testa. «Non andare via...»

Mi avvolse in un abbraccio sospirando tra i miei capelli. «Mi dispiace...» singhiozzai contro il suo petto e quando sollevai il viso, lui mi asciugò le guance. «Piangi per me? Pensavo che il tuo autista preferito fosse Ronald.» Scherzò facendomi sfuggire un sorriso mentre lo colpivo al petto.

«Devi fare lo stupido in un momento come questo?» Chiesi con la voce spezzata mentre lo vedevo accennare un sorriso.

«Era per vedere questo.» Disse sfiorandomi le labbra con un dito.

«Mi mancherai...»

«Anche tu.» Sussurrò poggiando la fronte sulla mia. Prese le mie mani e le intrecciò alle sue lasciando poi che il silenzio ci avvolgesse. Restammo così immobili per qualche minuto e quando sfilai una mano poggiandola sulla sua guancia, lui mi guardò sollevando piano il mio viso. Mi resi conto ora più che mai che non potevo stargli lontana o essere arrabbiata con lui per troppo tempo. Avevo bisogno di quel ragazzo, era il mio migliore amico e nonostante i litigi, non avrei mai potuto negare il fatto che gli volessi un bene immenso.

«Non mi dimenticherai, vero?»

«Io? Dimenticarmi di te? Mai.» Sussurrò al mio orecchio con un sorriso accarezzandomi la guancia. Non pensavo si ricordasse di quelle frasi, ma evidentemente lo avevo sottovalutato e lui era sempre stato attento quando mi sentiva leggere. Sfiorò la mia collana e mettendo la mano in tasca, estrasse il ditale che gli avevo regalato. Ero felice di vedere che lo portava ancora con se, mi aveva fatto tornare le lacrime agli occhi e lo abbracciai. «Addio Wendy...» sussurrò tenendomi stretta.

«Crederò sempre in te, Peter Pan.» Gli lasciai un bacio sulla guancia staccandomi poi leggermente. Lui però appoggiò di nuovo la fronte sulla mia, mi accarezzò i fianchi e tirò il mio corpo ancora vicino al suo. Le sue labbra sfiorarono a malapena le mie e stringendo leggermente la presa sulle sue braccia, lo guardai. Volevo fermare il tempo e pregai veramente perché accadesse anche se era impossibile. Un sospiro uscì dalle sue labbra, chiuse gli occhi e prendendomi il viso tra le mani, lasciò un delicato bacio sulla mia fronte. Le lacrime mi riempirono di nuovo gli occhi per poi scendere nel momento in cui Jason indietreggiò. Tirò su il cappuccio e mi guardò negli occhi. Accennò un lieve e triste sorriso, prima di uscire per l'ultima volta dalla finestra della mia stanza e andarsene.

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