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Capitolo 31

A inizio settimana, a scuola, si era parlato degli esami finali, del diploma e del nostro futuro. Giusto per mettere un po' di pressione in più agli studenti e farli uscire di testa. Io però non pensavo a nulla, dentro la mia testa c'era il vuoto. Mi ero tenuta a distanza da tutti, non ero dell'umore adatto per parlare e non sarei quindi stata di buona compagnia. Ad ogni modo dovevo controllarmi perché dopo scuola mi sarei dovuta fermare ancora per terminare un progetto con Diana. Il giornale stava andando bene e gli studenti leggevano davvero gli articoli, anche perché spesso fornivamo informazioni sulle varie università e la cosa interessava molto tutti quelli dell'ultimo anno.
Uscendo dall'aula di arte andai ai bagni e prendendo il cellulare dallo zaino, dopo più di ventiquattr'ore, decisi finalmente di accenderlo. C'erano moltissime chiamate perse e messaggi, tutti di Jason. Sentii delle voci e corsi velocemente a chiudermi in uno degli ultimi bagni, tornando poi a guardare il cellulare. I messaggi dicevano tutti la stessa cosa: "rispondi", "ho bisogno di parlarti, per favore", "rispondi alle chiamate e lascia che ti dia una spiegazione." C'erano anche dei messaggi vocali ma non li ascoltai, non me la sentivo. Poggiai la mano sulla maniglia della porta per poterla aprire, ma mi fermai non appena sentii la voce di Megan e delle altre ragazze.
«Isabel non passa più molto tempo con te o sbaglio?»

«Ultimamente credo abbia perso la testa.» Rispose Megan. «Perde tempo dietro il suo autista... ops, volevo dire ex autista.» Rise e serrai inconsapevolmente la mano in un pugno.

«Usciva con l'autista?!» Domandò scioccata una di loro.

«Sì, prima. Era carino, ma pur sempre uno squattrinato... e violento aggiungerei. Lui e Andrew hanno litigato molte volte. Avrebbe potuto farlo arrestare se avesse voluto.»

«Non me lo sarei mai aspettata, ma in effetti la vedevo un po' strana quest'anno.»

«Sì, ha anche iniziato ad uscire con quella sfigata arrivata dalla scuola pubblica e credo che ora lavori per il giornalino della scuola insieme ai nerd. Patetica. Non è più quella che conoscevo un tempo, neanche il fatto di essere ricca può salvarle la reputazione adesso. Un tempo, uscire con lei serviva a qualcosa, ma ora è inutile.» La sentii allontanarsi e uscire seguita dalle altre. Io socchiusi la porta assicurandomi che non ci fosse davvero più nessuno e sospirai andando davanti allo specchio. Eravamo tutti etichettati, l'unica cosa che contava era la popolarità e il conto corrente di chi avevi davanti. Tutto si comprava secondo loro, anche la simpatia delle persone... e nel mondo a cui appartenevo sicuramente era così.
Perché si rivelavano tutte persone false proprio ora? Ma in fin dei conti, meglio tardi che mai. Possibile che quello che i miei genitori dicevano sempre, si stesse rivelando vero? "Non esistono gli amici..."

•••

La campanella suonò segnando la fine della giornata scolastica. Salutai Andrew che nell'ultimo periodo si stava dedicando meno al lavoro di rappresentante degli studenti e più, ai lavori del suo nuovo locale. Mentre percorrevo il corridoio, Diana mi affiancò sistemandosi lo zaino in spalla. «Ehi!»

«Eccoti.» Accennai un sorriso uscendo con lei da scuola. «Vuoi andare a mangiare qualcosa prima di metterci al lavoro? Io pensavo di prendermi un cappuccino e qualcosa di dolce da portar via.»

«Direi che è perfetto, anche io prederò qualcosa da portar via.»

«Ho pensato anche ad un'altra cosa. Potremmo proporre a qualche professore di creare dei gruppi e andare a visitare le università che abbiamo in città. In questo modo sarebbe facile anche per me, i miei mi lascerebbero finalmente vedere altro con questa scusa.»

«La trovo una bella idea.» Annuì e d'un tratto si fermò guardando avanti.

«Che succede?» Seguii il suo sguardo e mi si strinse lo stomaco.

«Vuoi rientrare a scuola?» Domandò, ma non risposi. Jason aveva iniziato ad avanzare verso di noi e io lo fissavo senza riuscire a muovermi. Aveva il cappuccio tirato su, come sempre, e le mani infilate nelle tasche della giacca. Mi domandavo con quale coraggio si fosse presentato davanti alla mia scuola, dopo tutto quello che era successo, dopo tutte le bugie che aveva detto. «Isabel?» La voce di Diana mi riportò con i piedi per terra.

«Ti raggiungo al bar qui davanti...» non ero sicura di quello che stavo facendo, ma in fin dei conti, quando mai lo ero?

«Sei sicura?»

«Sì.» Annuii poggiando la mano sulla sua spalla e voltandomi, mi incamminai verso il retro, non volendo che qualcuno ci vedesse. Jason mi seguì in silenzio e quando non ci fu più nessuno intorno alla scuola, lo guardai non molto sicura di volerlo sentire parlare, per quello ruppi io il ghiaccio. «Con che coraggio sei venuto qui?»

«Non potevo immaginare fossi in quel bar. Quando Jaden mi ha detto di averti vista io...»

«Tu cosa, Jason?» Lo interruppi bruscamente. «Mi hai mentito sin dal primo momento. Io mi sono fidata di te, ti consideravo mio amico... il mio migliore amico.» Lo guardai con gli occhi lucidi, ma facendo un respiro profondo proseguii. «Sono sempre stata così bene, che scoprire la verità è stato devastante. Non riesco a capire... che cosa ti ho fatto?»

Abbassò il cappuccio passandosi una mano tra i capelli e, frustrato, li tirò leggermente. «Tu non hai fatto niente, assolutamente niente.»

«Però è me che hai ferito.» Sussurrai.

«Mi dispiace...» mi guardò negli occhi e sembrava sincero. Sembrava. Ci ero cascata troppe volte, non potevo più fidarmi.

«Non basta Jason.» Scossi la testa e indietreggiai di qualche passo.

«Lascia almeno che ti spieghi.» Disse riavvicinandosi subito. «Sì, è vero, ho mentito su molte cose. Ho accettato il lavoro di autista e inizialmente... ammetto di aver pensato a te come un modo per ottenere informazioni. Il mio intento è sempre stato quello di derubare tuo padre, ma solo perché lui è stato il primo a farlo.»

«Dovrei ringraziarti per aver ammesso questa cosa? L'ho capito che mi hai usata, ho sentito tutta la conversazione al bar.»

«Isabel, fammi finire.» Disse con aria frustrata. «Tolto questo, il resto non è stato una bugia. Tu sei davvero mia amica, ci tengo a te.» Mi prese una mano ma la ritrassi subito serrandola in un pugno.

«Nessun'altra bugia?» Domandai guardandolo negli occhi e quando scosse la testa accennai un sorriso sarcastico. Sentii una lacrima rigarmi il viso e portai le mani avanti non appena tentò di avvicinarsi ancora. «Sicuro? Jason McCann.» Nel pronunciare il suo vero nome, lo vidi raggelarsi. I suoi occhi erano fissi sui miei, era evidentemente spiazzato e socchiudendo le labbra provò a dire qualcosa, ma non uscì alcun suono.

«Come sai...?» Non riuscì nemmeno a finire la frase.

«Addio Jason.» Mi voltai, ma dopo neanche due passi, lui si piazzò davanti a me.

«Non te ne andare. Ok, ti dirò tutto... devi ascoltarmi.»

«Io mi sono stancata di sentire bugie su bugie. Non voglio più sapere nulla, ora lasciami, devo andare.»

«Non ti lascio andare via!» Sbottò facendomi sussultare.

«Io faccio quello che voglio!» Dandogli una spallata lo superai ma sentii comunque i suoi passi dietro di me. Diana nel frattempo ci guardava visibilmente scossa mentre si avvicinava con due bicchieri caldi del bar.

«Oh, andiamo! Non hai mai preso posizione e vuoi farlo proprio ora? Con me?» Afferrandomi per il braccio mi fece voltare. «Vediamoci stasera alla casa sull'albero. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Nessuna bugia.»

•••

Dopo cena, passai vari minuti a fare avanti e indietro per la stanza, pensando a lungo su cosa fare. Jason mi avrebbe aspettata alla casa sull'albero, mi aveva mandato un messaggio con l'ora esatta, ma non avevo risposto. Non ero sicura di volerlo incontrare, ma se avessi cambiato idea, avevo una scusa pronta per uscire. Socchiusi la finestra e guardai fuori, quasi aspettandomi di vederlo scavalcare il balcone da un momento all'altro. Dovevo ammetterlo, mi piaceva quando lo faceva. Mi ricordava quando da piccola lasciavo la finestra socchiusa in attesa di vedere Peter insieme alla piccola Trilli, intenti a catturare l'ombra o ad ascoltarmi leggere una qualche favola. Andai ad aprire il cassetto del mio comodino, tirando fuori il bottone e il quaderno che mi aveva regalato Jason. Non ci avevo ancora scritto niente, non volevo iniziare raccontando qualcosa di triste... lo so, era stupido. Indossai la collana e dopo aver afferrato la giacca, scesi di sotto cercando le chiavi dell'auto. Ai miei dissi che sarei uscita con Diana, mancava ancora un'ora e mezza al coprifuoco quindi non fecero troppe storie. Salii sulla Range Rover e partii in direzione del vecchio frutteto, con ancora molti dubbi su quello che stavo facendo. Chiamai Diana e misi il viva-voce, rimettendo poi entrambe le mani sul volante. Dopo qualche squillo rispose. «Ciao Bella!»

«Credo di star facendo una stupidaggine.»

«Ovvero?» Domandò. «Aspetta... stai andando alla casa sull'albero di cui mi hai parlato?»

«Esatto. Sono in auto adesso, ma ogni due minuti ho l'istinto improvviso di fare retromarcia.»

Rise ma non capii perché. A mio parere, c'era solo da piangere, cosa che il mio angelo custode probabilmente stava facendo, chiedendosi perché gli fosse stato assegnato il caso umano peggiore. «Eppure non l'hai fatto, stai andando avanti.»

Era vero, stavo continuando per quella strada che presto mi avrebbe portata da lui. «Potresti raggiungermi? Ho bisogno che qualcuno mi prenda a schiaffi. Ma cosa sto facendo? Lui è un bugiardo, un ladro, non capisco... è come se non riuscissi a vedere le cose negative, nonostante io le sappia. Assurdo vero? Non so se mi spiego, sto iniziando a parlare un po' a vanvera...» dissi tutto d'un fiato.

«Ti piace.» Disse interrompendomi. «Per questo ignori i lati negativi.»

«Hai ragione...» annuii anche se non poteva vedermi ma mi corressi subito dopo. «Aspetta, non sul fatto che mi piace. Non mi piace in quel senso... ma ignoro i lati negativi.» Sospirai dando un piccolo colpo al volante. «Sono una che si fa sottomettere. Mi arrendo e faccio quello che mi dicono gli altri, o meglio, quello che dice lui... ecco sì, è così.» Dissi riprendendo a parlare veloce, ma Diana mi fermò di nuovo.

«Isabel, fai un respiro profondo e smettila di farti tutti questi problemi. Qualsiasi cosa tu ti senta di fare, falla e basta.»

Minuti dopo aver chiuso la chiamata e aver lasciato in pace la povera Diana, mi fermai al lato della strada, proprio davanti al frutteto. Scesi dall'auto e silenziosamente, camminai tra gli alberi per evitare di essere vista da Jason nel caso fosse già arrivato. E lui, effettivamente, era lì. La sua macchina era parcheggiata nel solito punto e le luci della casetta erano accese, doveva essere dentro ad aspettare. Restai appoggiata ad un albero e guardando a terra mi persi, come succedeva spesso, nei miei pensieri. Perché l'indecisione non poteva non tormentarmi di continuo. Alzando lo sguardo, notai che si era messo a fare avanti e indietro accanto alle finestre, sembrava agitato. Anche io lo ero, o forse ero semplicemente arrabbiata, sbaglio? In effetti, cosa provavo esattamente? Non ne ero sicura, non del tutto. Ero sicuramente arrabbiata all'inizio, delusa, triste, spaventata... ma non era quel tipo di paura che ti faceva battere forte il cuore come quando stai per essere aggredita, o quando guardi un film horror. La mia era paura di perdere qualcuno, paura di venire ferita dentro. Ma io, Jason, lo avevo già perso... non ero più sicura di potermi fidare come prima e lui doveva capirlo, doveva mettersi nei miei panni. Si era arrabbiato per molto meno quando eravamo ancora amici. Quando tenni nascosto quello che avrebbe fatto Andrew al Maple Leaf, diede di matto. Certo non potevo immaginare che il posto appartenesse a sua madre, capisco dunque la rabbia che ha provato, ma era questo il punto. Lui aveva mentito e se non lo avesse fatto, molte cose sarebbero sicuramente andate in modo diverso, o forse no. Non potevo saperlo perché la vita è strana e forse era così che doveva andare in fin dei conti. E chi ci dice che non era forse così che doveva finire?
Asciugai una lacrima di cui inizialmente non mi ero nemmeno accorta e guardando Jason dalla finestra ancora una volta, mi allontanai tornando alla macchina. Dopo essere salita e aver allacciato la cintura, misi le chiavi nel nottolino, poggiai la fronte sul volante per dei lunghi secondi e risollevato lo sguardo, partii.

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