Capitolo 30
Ero andata a visitare l'università che mio padre desiderava ardentemente io frequentassi. Mi aveva accompagnata lui personalmente e mi aveva presentato il direttore, con cui ebbi una lunga chiacchierata. Erano felici del fatto che presto, una studentessa modello, avrebbe quasi sicuramente frequentato la St. William l'anno successivo. Mio padre aveva detto al direttore che ero stata accettata in molte altre università e che le stavo valutando tutte in cerca della migliore. Secondo lui, così dicendo, mi sarei fatta desiderare ancora di più e avrebbero tenuto un posto riservato per me. Avrei voluto che quelle sue parole fossero vere, perché valutare anche altri posti era quello che volevo, ma non me lo permetteva, aveva già scelto lui per me.
Nel pomeriggio invitai Diana a casa mia e mentre l'aspettavo, sistemai un po' la stanza. Avevo bisogno del suo aiuto per controllare un articolo di giornale che stavo scrivendo per la scuola. Nell'ultimo periodo mi veniva sempre più difficile scrivere, pensavo a tutto quello che era successo e il mio umore era molto sotto terra. Aprii il cassetto e mi fermai dal metterci un quadernino. Quello spazio era già occupato dal diario che mi aveva regalato Jason e dal bottone che avevo trasformato in collana. L'avevo tolta con dispiacere dopo che aveva tentato di rubare in casa mia. In quel momento bussarono alla porta e chiudendo velocemente il cassetto, diedi il permesso di entrare. Gloria aveva accompagnato Diana che, entrando, mi salutò calorosamente con un abbraccio. «Ciao Bella, scusa il ritardo ma mia madre si è fermata a fare benzina.»
«Non ti preoccupare.» Sorrisi sedendomi con lei sul letto. «Ho quasi finito l'articolo, però non mi entusiasma. Volevo arricchirlo e speravo potessi aiutarmi.»
«Certo, ora lo leggo e vediamo.»
«Ah! Prima che mi dimentichi...» mi alzai e andai a frugare nella libreria, prendendo due libri completamente nuovi. Tornai a sedermi e porsi i libri a Diana. «So che volevi leggere qualcosa di Oscar Wilde così ti ho preso un suo libro più, "Il grande Gatsby" di Fitzgerald, che a me è piaciuto molto.» Dissi sorridendo nel vedere la sua espressione sorpresa e felice.
«Isabel, non dovevi! Grazie tante, sei unica, davvero.» Sfogliò i libri e lesse le trame.
«L'ho fatto per ringraziarti di essere una mia buona amica e per avermi aiutata anche a distanza.» Dissi riferendomi al problema durante il periodo natalizio. «Comunque come va con Colson? Non sono aggiornata.»
Diana rise e mise i libri nella sua borsa. «Va tutto bene. La cosa in realtà mi spaventa un po' perché non può andare sempre così bene, cioè dai, io sono sempre stata presa di mira dalla sfortuna.»
Risi alle sue parole e scossi la testa. «Tu pensa a goderti questi momenti, fidati!»
«Cosa mi dici tu? Non hai più parlato di...» fece una pausa guardandomi. Sembrava stesse per pronunciare un nome proibito. «Jason...»
Pressai le labbra scarabocchiando un angolo del quaderno che avevo davanti. Bussarono alla porta e Gloria entrò con un vassoio in mano. «Signorina, ho portato qualche muffin e qualcosa da bere.» Disse poggiando tutto sul comodino.
«Grazie mille, sei stata gentile.» Sorrisi e appena uscì dalla stanza, tornai alla domanda di Diana.
«Abbiamo litigato la sera della vigilia e ci siamo parlati per l'ultima volta due settimane fa, quando hanno buttato giù il Maple.» Spiegai.
«Mi dispiace tanto... ti manca, vero?» Domandò, ma non risposi. «Isabel, tu tieni a lui, dovreste parlare e cercare di chiarire.»
«Ci ho provato all'inizio, ma poi lui ha fatto una cosa sbagliata e ora non posso perdonarlo. Del resto... credo che nemmeno che lui voglia far pace. Ci siamo feriti a vicenda.»
«E tu vuoi perderlo perché avrebbe fatto una sola cosa sbagliata?» Domandò incredula. «Questa "cosa" è così grave da non meritare il perdono?»
«Non penso nemmeno che lo cerchi il perdono.» Passai un dito sullo schermo del cellulare come se mi aspettassi di vedere una notifica che in realtà non c'era.
«La felpa che stai indossando è tua?» Chiese ad un tratto e stringendomi nella felpa calda abbassai lo sguardo scuotendo leggermente la testa con aria colpevole.
«Me l'aveva prestata quando sono andata a casa sua.»
«Sei stata a casa sua?!» Diana mi guardò entusiasta e annuii coprendomi alcuni istanti il viso.
«Ma è stato tempo fa...» sospirai e calò il silenzio per qualche istante.
«Chiedigli perché ha commesso quello sbaglio, ma non per messaggio. Vai da lui e parlate faccia a faccia.» Disse in tono fermo e deciso. «Non saremo amiche dall'infanzia, ma ti conosco abbastanza per dire che hai bisogno di quel ragazzo.» Aprii bocca per dire qualcosa ma non mi lasciò proseguire. «E adesso non dirmi che non è vero, perché mentiresti a te stessa.» Continuò. «E visto che ti voglio bene, non ti farò notare quanto tu sia cotta di lui perché so che non ti piace quando lo faccio.»
«Ma così lo hai appena fatto...» bisbigliai, ma mi zittì.
«Non ho finito, Isabel Evans. Stavo dicendo...» pressò le labbra pensando e appena si ricordò quello che doveva dire, riprese a parlare. «Devi vederlo e lo farai adesso.»
«Adesso?» Domandai scioccata.
«Adesso.»
•••
Fu così che io e Diana ci ritrovammo dal dover finire un semplice articolo di giornale, al cercare Jason nel quartiere dove abitava. Io continuavo a pensare che quella non fosse una buona idea, guidavo piano nella speranza di convincere la mia amica che sarebbe stato meglio fare retromarcia. «E così, Jason abita qui?» Guardò fuori dal finestrino studiando la zona.
«Già. Più avanti c'è la sua palazzina, credo ci convenga parcheggiare qui nei dintorni.» Dissi rallentando alla ricerca di un parcheggio. Diana stava attenta cercando dei posti liberi e dopo cinque minuti buoni, riuscii finalmente a parcheggiare in un angolo della via. Mi tornarono alla mente ricordi poco piacevoli e mi resi conto da sola di avere le spalle tese. «Non è una zona sicura.»
«Ma è giorno, poi siamo in due. Tranquilla, non succederà nulla.» Mi rassicurò e scese dall'auto aspettando che la raggiungessi. Io presi un bel respiro e dopo aver preso le chiavi e la giacca, la raggiunsi. «Io ti aspetterò di sotto.»
«Scordatelo, non ti lascerò da sola. E poi è stata una tua idea questa, quindi verrai con me.» Le indicai il palazzo dove stava Jason e mi avvicinai con lei al citofono cercando il suo nome, ma non lo trovai. Alcuni nomi erano sbiaditi e alcune caselle erano proprio vuote. «Ci tocca andare direttamente alla sua porta.» Entrai dal portone rotto e salii con Diana le scale.
«Ma quanti scalini ci sono?» Chiese con voce già stanca lamentandosi.
«Ancora un po'... resisti.» Facendo due scalini alla volta, arrivammo prima e dopo aver ripreso fiato, mi piazzai davanti alla porta. «Ok, è una pazzia.» Sussurrai.
«Vero.» Diana rise e suonò al posto mio facendo velocemente alcuni passi indietro. Io mi ritrovai paralizzata a guardare la porta, ma non accadde nulla. Ripresi a respirare tranquillamente quando provai a suonare ancora e nessuno venne ad aprire.
«Che peccato, non è in casa.» Dissi sarcastica ricevendo uno sguardo di rimprovero da Diana.
«Abbiamo fatto tutte queste scale per niente?! Dove potrebbe essere a quest'ora?»
«Al campo da basket.» Dissi ad alta voce senza nemmeno rendermene conto.
«Allora è li che andremo!»
•••
Non ci volle molto a raggiungere il campo da basket. Tirai su il cappuccio della felpa quando, nel sentire la voce dei ragazzi, mi resi conto del fatto che ci stavamo avvicinando troppo. «Hai sentito?» Chiesi girandomi verso Diana.
«Sì, vogliono andare in quel bar laggiù.» Tirò anche lei su il cappuccio e ci dirigemmo entrambe verso il bar malandato. Era piccolo e c'erano pochi tavoli, quasi tutti vuoti. «Mi sento una specie di agente in incognito.» Diana rise indicando poi un tavolo in fondo a cui ci accomodammo. Io restai di spalle all'ingresso e cercai di non voltarmi ogni due secondi per vedere chi entrava. Una donna si avvicinò per prendere le nostre ordinazioni e due minuti dopo ci portò quello che avevamo chiesto. Pagai subito dandole anche la mancia e iniziai a bere il succo visibilmente agitata mordicchiando la cannuccia.
«Magari all'ultimo decideranno di andare da qualche altra parte.»
«Non credo proprio... perché stanno entrando ora.» Disse portando il suo sguardo altrove. I ragazzi non sembrava si fossero seduti molto lontani da noi, chiesero alla donna di portare quattro lattine di coca cola dal frigo e tornarono a parlare tranquillamente tra di loro. «Allora?» Sussurrò Diana guardandomi ma io scossi lievemente la testa.
«Aspettiamo un po'.» Non volevo andare diretta da lui, avrei aspettato alcuni minuti, magari dopo averlo sentito salutare i suoi amici. Una volta rimasto solo, forse sarei riuscita a parlargli, anche se in realtà non sapevo nemmeno come iniziare la conversazione. Dovevo essere arrabbiata, ma ero venuta fin qui nel teorico tentativo di far pace, quindi dovevo stare attenta alle parole.
«Non ho capito niente, mi rispiegate con calma cosa è successo?» Sentii la voce di quello che doveva essere Mike e mi risvegliai dai miei pensieri ascoltando.
«Jason e Isabel hanno litigato.» Rispose Jaden suscitando il mio interesse e quello di Diana per quella conversazione.
«L'unica cosa che devi sapere è che Jason è un idiota.» Riconobbi la voce di Ethan e giocando con la cannuccia nel mio bicchiere, continuai ad ascoltare.
«Quello che non capisci, Ethan, è che Jason non aveva previsto di...»
«Zitto Jaden.» Disse quell'inconfondibile voce, interrompendolo subito.
«Perché dovrebbe stare zitto? Non è forse la verità?» Ethan rise riprendendo poi a parlare. «Tornando alla storia, che tra parentesi, io ho scoperto prima di Natale...» disse prima di bere un sorso dalla sua lattina di coca cola. «Jason non era andato a lavorare casualmente dagli Evans, ma c'è anche da dire che il diventare un autista è stata una botta di culo.»
«Già. La prima sera volevo chiedere se c'erano posti vaganti per un qualsiasi lavoro in quella casa, poi la signora Evans è saltata fuori con quella richiesta e ho colto l'occasione.» Spiegò Jason prima che Ethan riprendesse a raccontare il resto di quella storia che non riuscivo ancora a comprendere.
«Esatto... e così ha conosciuto Isabel. Ha conquistato la sua fiducia, se l'è fatta amica e ha praticamente scoperto quando le telecamere della casa venivano attivate, se c'erano allarmi, quanti ingressi ci fossero al primo piano...»
«Geniale.» Commentò Mike.
«Una domanda. Perché devi essere tu a raccontare questa storia?» Domandò Jaden.
«Perché Jason non ne vuole parlare e Mike non ha capito un cazzo di quello che è successo. Ora fammi finire...» disse sospirando. «Dopo aver studiato un po' la casa, è riuscito a trovare anche il nascondiglio della cassaforte e il codice, il gioco era fatto. Ha chiamato me e Jaden, peccato che quando siamo entrati in casa, la ragazza era dentro... e non abbiamo concluso nulla perché lei ha riconosciuto Jason. Però sono dell'idea che sarebbe andato lo stesso tutto a meraviglia se lui non fosse...»
«Adesso basta.» Disse Jason in tono brusco.
Qualche lacrima scese lungo le mie guance e Diana mise subito una mano sulla mia guardandomi dispiaciuta. Avrei preferito non essere a conoscenza di quella storia, perché sentirla, mi aveva spezzata. Avevo vissuto per mesi in una grande, immensa bugia. Non riuscivo quasi a muovermi, le gambe sembravano essersi addormentate, ma allo stesso tempo volevo scappare via. Volevo tornare a casa, chiudermi nella mia stanza e premere la faccia contro il cuscino. «Andiamo via.» Sussurrai a Diana guardando un punto indefinito. Mi alzai e voltandomi per uscire, guardai il tavolo dei ragazzi. Jaden fu il primo a vedermi e subito dopo Ethan. Sembrarono quasi raggelarsi e distogliendo lo sguardo da loro, uscii dal bar abbassando il cappuccio.
«Mi dispiace Isabel...» Diana poggiò una mano sulla mia spalla per poi abbracciarmi facendomi fermare. «Non avrei mai immaginato una cosa simile, è stato crudele.»
«Lo so... ora voglio solo tornare a casa, solo questo. Non voglio vederlo e non voglio sentire la sua voce.»
«Certo, andiamo via.»
Andando alla macchina, afferrai il cellulare e cercai una persona tra i contatti, dopodiché chiamai. «Dimmi.» Aveva risposto più in fretta di quanto pensassi.
«Devo parlarti, vediamoci a casa mia stasera.» Chiusi la chiamata dopo qualche minuto e infilai il cellulare in tasca.
Mi era crollato il mondo addosso e a distruggerlo era stato quello che credevo essere il mio migliore amico.
•••
Era calata la sera, fuori faceva un po' freddo ma il cielo era limpido e si riuscivano a vedere le prime stelle. Avevo spento il cellulare e stavo aspettando il mio ospite, seduta a terra, davanti alla finestra della mia stanza. C'era solo qualcuno del personale in casa, mia madre avrebbe lavorato fino a tardi e mio padre era andato fuori città, sarebbe tornato il mattino seguente. Appena tornata a casa, mi ero cambiata e Diana aveva cercato invano di consolarmi per un po', finché non capì che era meglio evitare il discorso "Jason". Era tornata a casa sua e non avevamo nemmeno dato una sbirciata al lavoro per il giornale, di cui in realtà, al momento mi importava ben poco.
Sembrava mi avessero privata dei colori vivaci, lasciandomi in bianco e nero. Era proprio uno scenario patetico e triste, avrebbero potuto scambiarmi per la Dama Grigia. Quando bussarono alla porta, mi alzai da terra e andai ad aprire, lasciando entrare Andrew. «Che faccia Isabel, chi è morto?» Mi osservò mentre chiudevo la porta e incrociando le braccia al petto, mi misi davanti a lui. «Quindi che succede?»
«Voglio che tu mi dica cosa sai su Jason Davies.» Risposi senza troppi giri di parole.
«Come?» Rise tenendo gli occhi fissi sui miei confuso e divertito dalla mia richiesta. «Come mai questo improvviso interesse? Pensavo non ti fidassi di me.»
«Ho cambiato idea. Mi hai detto che lui nascondeva delle cose... e ora voglio tutta la verità sul suo conto.»
«Avete litigato, vero?»
«Andrew, per favore, dimmi quello che sai e basta.» Dissi passandomi le mani sul viso stanca.
«Ok, ok...» sospirò sfregandosi le mani e si sedette sul mio letto. «Da dove iniziamo? Ah, sì!» Sorrise guardandomi fare avanti e indietro. «Il suo vero nome è Jason McCann.»
Mi bloccai con una mano sul cuore e quando incrociai il suo sguardo, proseguì. «Davies era il cognome da nubile di sua madre. Oh! Sua madre comunque, nel caso non lo sapessi, è Jane McCann... l'ex proprietaria del Maple Leaf.» Ogni sua parola era un colpo più forte al cuore e dovetti mettermi seduta. «La loro famiglia era indebitata con tuo padre, è sicuramente per quello che Jason ha usato un cognome diverso, così Mark non lo avrebbe riconosciuto.» Sentii la mano di Andrew sfiorarmi la spalla ma non mi mossi, guardai un punto indefinito a terra con gli occhi lucidi, i gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani. «Quello che non capisco però e quale motivo lo abbia spinto a lavorare qui. Odia tuo padre, forse voleva vendicarsi ma non so se effettivamente è così.» Singhiozzai e Andrew mi abbracciò accarezzandomi la schiena. Forse avrei preferito non fosse così diretto, erano notizie troppo grandi per essere ricevute così, tutte insieme. «Non piangere Isabel... quel ragazzo non merita le tue lacrime.» Sfiorò i miei capelli mentre io piansi contro il suo petto. Normalmente lo avrei respinto, ma in quel momento stavo male e non m'importava ci chi fosse ad abbracciarmi. «Ti va di spiegarmi cosa è successo?»
Lo guardai e incrociai le gambe sul letto asciugandomi le guance. «È successo che avevi ragione, mi stava usando.»
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