Capitolo 3
Fare shopping con Megan era come fare uno sport estremo, davvero faticoso. Eravamo uscite da Moschino appena dieci minuti prima e ora, stava provando un vestito dopo l'altro da Prada.
«Se compro ancora qualcosa, mia madre mi uccide. O peggio... mi sequestra la carta di credito.» Disse spaventata al pensiero, io invece stavo cercando di realizzare quello che le avevo appena sentito dire.
«Ti spaventa di più il fatto che possa levarti la carta? Non sei un po' esagerata?» Risi ma lei mi guardò seria.
«La carta è potere, non si scherza con quella.»
La guardai perplessa e risi. «Come vuoi.»
«Menomale che oggi hai l'autista, altrimenti non so come avrei fatto a tornata a casa.» Pagò alla cassa gli ultimi due vestiti e dopo aver preso tutte le borse, le portammo alla macchina.
«Sì, ma presto credo non avrò più nessun autista. Mio padre ultimamente richiede spesso i servigi di Ronald, sta diventando più il suo autista anziché il mio. Per fortuna c'è mia madre che, dovendo spostarsi spesso al lavoro, riesce a darmi qualche strappo a scuola quando serve.» Spiegai salendo in auto.
«Potreste semplicemente assumerne un secondo, così ciascuno avrebbe il suo...» disse Megan facendo spallucce non appena Ronald ebbe chiuso la portiera.
«Credo lo faremo, vedremo prima come va avanti la cosa.» Controllai l'ora e imprecai notando un messaggio da parte di Andrew che diceva: "non so se te lo ricordi ma, abbiamo il ripasso di storia tra poco a casa mia".
Sospirai facendo dei calcoli veloci nella mia mente per capire se sarei riuscita nella mia impresa, ovvero: accompagnare Megan, tornare a casa, prendere i libri e andare da Andrew. «Ronald, accompagniamo Megan, poi dovrei tornare a casa a prendere dei libri e successivamente a casa Larson. Riusciamo a fare tutto in circa venti minuti?» Domandai speranzosa, anche se sapevo sarebbe stato difficile.
«Certamente signorina Evans.»
«Oh, studi da Andrew? Interessante...» Megan accennò un sorrisino e io scossi la testa.
«Non farti strane idee, lo sai che non mi piace.»
«Ma non puoi negare che sia bello... e tanto ricco! Ma a te effettivamente cosa importa? Hai più soldi di lui.» Fece spallucce prendendo lo specchietto nella borsa per controllarsi il trucco.
«Sai che non mi piace parlare di soldi, possiamo evitare?» Era una cosa che non sopportavo e il problema era che Megan adorava i soldi, così, tirava sempre fuori l'argomento quando ne aveva occasione. Sembrava quasi vantarsi di me come farebbe una madre con la figlia, anche se era strano e senza senso.
«E perché? Tutti sognano le nostre vite, la tua soprattutto...» si sistemò il rossetto rimettendo poi tutto nella borsa, «comunque credo dovresti dare una chance a quel ragazzo, io non ci penserei due volte.» Mi fece l'occhiolino e quando arrivammo a destinazione, mi salutò scendendo con tutte le sue borse. Erano così tante, che la domestica dovette raggiungerla per darle una mano a portare tutto dentro.
Anche se con un leggero ritardo, ero poi arrivata davanti alla villa dei Larson. Non ero mai stata lì, l'ultima volta che ero andata a trovarli abitavano da un'altra parte e parlo di diversi anni fa. Fortunatamente però c'era Ronald che avendo accompagnato mio padre diverse volte, conosceva il posto. Al citofono fuori dal cancello, chiesero i nostri nomi e solo dopo l'identificazione, ci lasciarono entrare con l'auto. Presi la borsa e i miei appunti mentre mi aprirono la portiera per farmi scendere. «Grazie Ronald, ti chiamo poi quando ho finito.»
Andai all'ingresso e uno dei maggiordomi mi prese i libri dalle mani. «Benvenuta signorina Evans.» Disse in tono calmo e gentile mentre una donna bassina si avvicinava per sfilarmi il cappotto e andare ad appenderlo. Alzai lo sguardo e osservai l'enorme ingresso bianco con la scala centrale nera in marmo che portava al piano di sopra. «Il signorino Larson la sta aspettando. Da questa parte, prego...»
Seguii il maggiordomo e arrivati in cima alla scalinata, prendemmo il corridoio a destra. Percorrendolo, mi persi a guardare il panorama fuori dalle grandi finestre e quando svoltammo di nuovo, riportai lo sguardo avanti. Il maggiordomo bussò alla grande porta nera a due ante aspettando il permesso di Andrew prima di aprire.
«Grazie, dia pure a me...» sorrisi prendendo i libri che mi aveva gentilmente portato ed entrai nella stanza di Andrew. Aveva due piani, di sotto c'era la zona studio, mentre le scale situate di lato portavano al letto. Tutto era più in ordine di quanto mi aspettassi, soprattutto la zona studio. In effetti, quella era fin troppo in ordine, potevo dedurre che non ci passasse mai molto tempo.
«Stavi aspettando me per aprire libro?» Domandai sarcastica.
«Certo, mi sembra ovvio.» Si mise seduto sul divanetto dall'altra parte della stanza mentre io avrei preferito sedermi alla scrivania.
«Quindi? Vieni a studiare o no?» Domandai indicando i libri.
«Stiamo sul divano, è più comodo.» Fece un cenno picchiettando sul posto vuoto accanto al suo e con poco entusiasmo andai a sedermi sfogliando i miei appunti, anche se Andrew sembrava stesse pensando ad altro. «Con quel cameriere irritante come l'hai risolta?»
«Quel cameriere non so nemmeno come si chiama e non m'interessa ricordare il suo viso, tanto non lo rivedrò più. Ora possiamo iniziare a studiare la seconda rivoluzione industriale?»
Alzò gli occhi al cielo e per qualche strana e miracolosa ragione, mi diede ascolto, chiudendo così l'argomento sul cameriere.
•••
«No, a rubare il brevetto fu Alexander Graham Bell...» spiegai per quella che doveva essere la terza volta, «è Meucci che inventò il telefono, solo che riscontrò dei problemi in quanto non poteva permettersi la cifra di duecento dollari per il brevetto definitivo.»
«Beh, questo è un problema suo.» Rispose indifferente.
«Sei proprio uno stupido, Andrew...» alzai gli occhi al cielo e lui mi tirò via il libro dalle mani chiudendolo.
«Sono due ore che studiamo, facciamo una pausa» si alzò andando al mini frigo per prendere da bere.
«Tu in realtà non ti stai impegnando molto, ne sei consapevole?»
Mi osservò alcuni istanti sorseggiando una qualche bevanda tornando poi a sedersi accanto a me. Prese un pacchetto dalla tasca dei suoi pantaloni e ne estrasse una sigaretta portandosela alle labbra. «Ne vuoi una?»
«Da quando fumi?» Andrew fumare, era l'ultima cosa che mi sarei immaginata di vedere.
«Da un po', ma non è una cosa abituale, fumo solo ogni tanto. Vuoi?»
«No, grazie.» Scossi la testa mentre Andrew si accese la sua sigaretta facendo qualche tiro.
«Sai che a scuola girano delle voci su di noi?» Disse improvvisamente cogliendomi leggermente di sorpresa.
«Ad esempio?» Lo guardai confusa domandandomi cosa avessero da dire su due persone che a scuola, tra un po', neanche si rivolgevano la parola.
«Pensano che ci frequentiamo... e in effetti saremmo una bella coppia, non credi?» Sembrava divertito all'idea, soffiò il fumo nella mia direzione e feci una smorfia trattenendo il fiato qualche istante.
«A scuola nemmeno ci parliamo, non so cosa possa averlo fatto pensare. Ad ogni modo, sono pettegolezzi stupidi e infondati.»
«Per il momento.» Allungò la mano verso il posacenere sul tavolino e spense la sigaretta quando, dopo qualche minuto, arrivò al filtro.
«Cosa vorresti dire?» Iniziava ad infastidirmi, non sapevo a che gioco stesse giocando ma non sarebbe durato a lungo.
«Dai Isabel, lo sai che siamo la coppia perfetta... anche i nostri genitori lo pensano. Non per altro sono l'unico ragazzo che tuo padre ti permette di vedere. Siamo destinati a stare insieme praticamente dalla nascita.»
Era vero che mio padre non mi permetteva di vedere ragazzi all'infuori di Andrew, nemmeno per semplice amicizia, ma non sarei mai stata con uno come lui. Sentire tutte quelle parole era stato come essere catapultati nel 1800. «Andrew, non succederà mai.» Mi alzai prendendo tutte le mie cose e mandai un messaggio al mio autista per farmi venire a prendere. «Ora devo andare.»
«Sai che ho ragione, quindi abituati ad avermi vicino d'ora in poi.» Si alzò e mi stampò un bacio sulla guancia. Io mi staccai e scesi velocemente di sotto facendomi restituire il cappotto. Se davvero pensavano di potermi comandare così, si sbagliavano di grosso. Solo io potevo decidere con chi stare e cosa fare della mia vita, avevo i miei diritti e nessuno poteva usarmi come una marionetta. Mi veniva quasi da ridere per quanto la situazione fosse assurda, ciò che sentivo ogni giorno era assurdo, le persone erano assurde... il mio mondo era assurdo.
•••
Quando arrivai a casa, lasciai i libri sul tavolino vicino all'ingresso e andai direttamente davanti allo studio di mio padre. Dovevo parlare con lui, anche se era una cosa difficile, e cercare di fagli capire che tutto questo voler "controllare la mia vita" era folle e sbagliato. Bussai e quando ricevetti il permesso, entrai richiudendo poi la porta scorrevole alle mie spalle.
«Cosa ti serve Isabel? Non vedi che sto lavorando?» Domandò guardando dei fogli sparsi sulla sua scrivania.
«Cosa vuoi da me e Andrew?» Domandai diretta volendo solo risposte e nessun giro di parole.
«Cosa intendi?» Domandò a sua volta segnando qualcosa sui fogli, preso dal suo lavoro.
«Lui è l'unico ragazzo con cui mi permetti di parlare o avere contatti. Non che ne abbia poi tanti in quanto, solitamente mi cerca per i suoi scopi personali. Ad esempio la scuola.»
«Perché è un bravo ragazzo, di buona famiglia. Una famiglia che conosciamo da molti anni, Isabel. Non hai bisogno di altri amici.»
«Praticamente mi stai dicendo che è l'unico "amico" che potrò e che dovrò avere accanto per tutta la vita?» Non me ne resi conto all'inizio, ma avevo alzato leggermente il tono della voce. Lo capii dal modo in cui mio padre mi aveva guardata, si alzò sistemandosi la camicia e si avvicinò lentamente dopo aver posato la penna nera.
«Credo che tu ti stia agitando un po' troppo. Andrew ha un futuro brillante e di successo davanti a se. Sarà in grado di darti tutto ciò che vuoi e le nostre famiglie insieme possono fare grandi cose.»
«Quindi mi stai usando per i tuoi scopi personali? Io non voglio stare con Andrew, voglio conoscere persone nuove e scegliere da sola le mie amicizie e con chi stare.»
«Tu non sei in grado di scegliere persone di cui fidarti. Gli amici non esistono Isabel, non puoi fidarti di tutti... devi dar retta a me e a tua madre.»
«Io non mi fido di Andrew, come la mettiamo? Tu non lo vedi nemmeno per quello che è! L'unica cosa che riesci davvero a vedere sono i suoi soldi...» non riuscii a dire altro perché la mano di mio padre colpì la mia guancia facendomi girare il viso dall'altra parte. Sentii subito la mia guancia scaldarsi e gli occhi iniziarono a pizzicare, ma cercai di trattenermi, odiavo farmi vedere così. In fondo ero abituata a ricevere questo trattamento quindi avrei resistito, come sempre.
«Se dici un'altra parola, io ti spezzo in due. Mi hai capito?» La sua voce era fredda e cupa, strinse i pugni e quando non udì risposta mi afferrò per i capelli tirandoli. «Anche Andrew dovrebbe suonartele. In effetti, lui potrebbe essere troppo buono per te.» Lasciò la presa dai miei capelli per tirarmi un altro schiaffo sulla guancia, che già bruciava. Sussultai chiudendo istintivamente gli occhi e subito dopo mio padre tornò dietro la sua scrivania. «Vai in camera tua e non scendere a cena, non ti voglio vedere.» Ordinò senza guardarmi in faccia e di sicuro non avrei disubbidito, perché non sarei scesa in ogni caso dopo quello che era appena successo. L'unica cosa che importava a lui invece, era che il nostro personale non mi vedesse in quelle condizioni, o avrebbero capito che mio padre era un mostro, una persona senza cuore. Quello che non capiva lui però, era che non ci voleva molto per intuire che tipo di persona fosse. Tutti probabilmente già lo sapevano, soprattutto chi lavorava qui da anni... solo che, come me, non potevano dire nulla.
Uscii dallo studio e corsi in camera mia senza farmi vedere, chiusi a chiave la porta e mi asciugai il viso. Era davvero normale una situazione del genere? Perché mio padre mi trattava così? Ero stanca di essere la figlia perfetta, il trofeo... ero stanca di farmi comandare, ma sembrava non avessi altra scelta. Non possiamo cambiare la mentalità delle persone, possiamo provarci ma, dopo svariati tentativi diventa inutile. Mi coricai a letto e strinsi forte il cuscino guardando verso la finestra, pensando a quanto sarebbe stato bello ma impossibile scappare. Dovevo sfogarmi in qualche modo e vedendo un vecchio quadernino sulla scrivania, lo aprii iniziando a scrivere quello che era appena successo.
"...in momenti come questo potevo sentire i fili legati attorno ai miei polsi e alle mie caviglie. Alzando lo sguardo avrei visto una mano a me nemica guidare i miei movimenti, l'altra mano invece avrebbe stretto con forza il mio cuore e lo avrebbe gettato via, perché si sa... alle bambole il cuore non serve."
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