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Capitolo 28

Jason, Ethan e Jaden si levarono i passamontagna imprecando sottovoce. Ethan mi passò davanti e diede una spinta a Jason. «Non avevi detto che erano partiti?»

«Infatti.» Gli diede a sua volta una spinta e mentre litigavano tra loro, io mi spostai vicino alla scrivania e alzai la cornetta del telefono.

«Se non ve ne andate entro cinque minuti...» dissi attirando subito la loro attenzione, «chiamerò la polizia...» avvicinai le dita ai tasti e aspettai.

«No.» Jaden mise una mano avanti e mi guardò superando i suoi due amici. «Ce ne andiamo via.»

Gli atri restarono in silenzio, si scambiarono solo un'occhiata veloce e tutto ciò mi sorprese ancora di più. Jason non mi guardò nemmeno, prese solo lo zainetto che aveva lasciato a terra e con le mani strette a pugno, uscì dalla stanza seguito dagli altri.
Io abbassai la cornetta con le mani ancora tremanti e li seguii per accertarmi che uscissero davvero senza toccare nulla. Accesi le luci prima di scendere le scale e sentii lo sguardo dei ragazzi addosso, tranne quello di Jason che continuava a fissare avanti. Li accompagnai fino alla porta, dove Jason si fermò lasciando passare prima gli altri facendo loro cenno di proseguire. Io lo guardai asciugandomi le guance con le maniche della felpa incrociando poi le braccia al petto. Sembrava voler dire qualcosa ma forse non trovava le parole giuste, visto che restammo due interi minuti avvolti nel silenzio. Quando finalmente decise di voltarsi e guardarmi negli occhi, si passò una mano sul viso leccandosi velocemente le labbra come per iniziare il suo discorso. «Tuo padre sta distruggendo le vite di tutti.»

«E questo giustificherebbe la tua infrazione?!» Domandai arrabbiata.

«Ci stavamo solo riprendendo ciò che era nostro.» Disse sicuro di se come se l'azione che aveva quasi commesso non fosse stata grave.

«Non ci posso credere... da te non me lo sarei mai aspettata. Ne ho fatti anche io di sbagli e mi sono scusata tantissime volte! Questa però l'hai fatta davvero grossa.» Mi passai le mani sul viso e presi un respiro profondo. «Eravate anche armati! Ethan mi ha puntato una pistola alla testa! E so di averlo fatto anche io a Jaden, ma non sapevo fosse lui!»

«Erano scariche, non ti avremmo mai fatto del male e tu non dovevi nemmeno essere in casa! Non avremmo mai voluto ci beccassi in quella situazione.»

«Se questo è il tuo modo di giustificarti o scusarti, lasciatelo dire... fa schifo.»

Jason sospirò alzando gli occhi al cielo e si appoggiò al muro. «Lo so, non è una giustificazione, ma credimi quando ti dico che i veri ladri qui... sono tuo padre e il sindaco.»

«Tu sai in che situazione sono con i miei genitori. Hai idea di cosa mi sarebbe potuto succedere se tornando a casa, avessero scoperto di essere stati derubati?» Alla mia domanda, la sua espressione cambiò, lo guardai negli occhi e scossi lentamente la testa. «Vattene.»

«Isabel, non sapevo nemmeno...»

«Vattene Jason. Per favore...» dissi interrompendolo mentre poggiavo una mano sulla porta aspettando di vederlo uscire per poter chiudere.
Quando finalmente uscì, chiusi a chiave riflettendo solo in quell'istante sul fatto che Jason aveva alcune copie delle chiavi. Diedi un colpo alla porta con la mano e tornai di sopra, nell'ufficio di mio padre. La serratura era da cambiare e avrei dovuto chiamare qualcuno al più presto per farla riparare. Tutto doveva essere esattamente come i miei lo avevano lasciato o sarebbero stati guai seri, non avrei nemmeno saputo spiegare perché la serratura fosse in quello stato. Spensi le luci e tornai nella mia stanza, chiudendo anche quella a chiave. Ero spaventata, continuavo a ripensare a quello che era successo minuti prima e anche se nessuno si era fatto male, e nulla era stato rubato, non rivivere mentalmente l'episodio era davvero difficile.

•••

«No, lei non capisce. Deve essere la stessa serratura e mi serve che venga qualcuno oggi, è un lavoro urgente.» Erano dieci minuti che cercavo di convincere l'uomo dall'altro capo del telefono a venire a riparare la serratura della porta. Prima avrei risolto quel problema, meno sarei stata in ansia. «Ascolti, so che è periodo di festa, ma se potesse concedermi solo un po' del suo tempo le sarei davvero grata.» Sospirai passandomi una mano sul viso e riattaccai avendo ormai perso le speranze di convincerlo. Guardando lo schermo del cellulare notai alcuni messaggi e subito dopo mi arrivò una chiamata a cui risposi subito. «Diana, come stai?»

«Ciao Isabel! Io sto bene, tu?»

«Vorrei dire bene ma... ultimamente sono perseguitata dai guai.» Alzai gli occhi al cielo sospirando e andai a sedermi.

«Che succede?»

«Devo far riparare una serratura a casa ma non ho trovato nessuno disponibile. Sono tutti chiusi per le vacanze natalizie.»

«Una serratura? Ma com'è successo? E tu come mai sei a casa? Pensavo fossi partita con i tuoi.»

«C'è stato un cambio di programma, io sono rimasta qui. Ad ogni modo non so come fare, passerò dei guai se i miei tornano e trovano qualcosa fuori posto. Comunque basta parlare di me, raccontami come stanno andando le tue di vacanze.»

«Ma non scherzare, ora risolviamo questo dilemma.» Disse fermamente facendomi scappare un sorriso. Era dolce il fatto che si preoccupasse per me. «Mio zio è in città per alcuni giorni, lui è praticamente un tuttofare. Ora lo chiamo e gli chiedo se è libero, appena so qualcosa ti faccio sapere, cerco di fare in fretta.»

«Diana, sei fantastica. Davvero, ti ringrazio tantissimo, non so cosa farei senza di te!»

«Le amiche servono a questo! Ci sentiamo tra poco!» Rise e chiuse la chiamata.

Mezz'oretta dopo mi arrivò un suo messaggio con su scritto che suo zio sarebbe passato nel pomeriggio per vedere la serratura. In quel momento mi sentii sollevata, almeno un problema sembrava essere risolto. Scesi al piano di sotto e nel sentire un rumore provenire dal retro, persi un battito. Sentii un rumore di chiavi e a quel punto ero pronta a cacciare Andrew o Jason sottraendo loro le chiavi di forza se necessario, ma a varcare la soglia non fu nessuno dei due.
«Marisol...?» Non mi sembrava reale, poggiò a terra un sacchetto e la borsa alzando poi il suo sguardo sorridente. Corsi ad abbracciarla e questo fu anche un modo per constatare che non stessi sognando. «Sono così felice di vederti! Non posso credere a quello che ti ha fatto mio padre, mi dispiace tanto.»

Marisol mi guardò accennando un sorriso. I suoi occhi erano tristi, ma si faceva forza. «A me dispiace solo per il fatto che non posso più vederla, signorina.»

«Marisol, chiamami semplicemente Isabel e dammi del tu, sai che non mi è mai piaciuta tutta questa gran formalità. Come stai? E come mai sei qui?» Andai con lei in cucina e poggiando la busta sul tavolo Marisol ne estrasse una torta alle nocciole.

«Tenterò.» Disse riferendosi al dare del "tu" e rise. «Gloria mi ha detto ieri sera per telefono che ti avevano lasciata a casa e mi si è spezzato il cuore nel saperti sola a Natale. Così mi sono fatta dare le chiavi e oggi ho pensato di passare per lasciarti una torta e vedere se era tutto a posto.» Indicò la torta e sembrò poi realizzare qualcosa. «Mi sono scordata delle telecamere... ti farò passare dei guai, vero?»

«No, sono spente, tranquilla. Ieri c'è stato un piccolo problema e si sono spente, ma le riattiverò più tardi.» Dissi evitando di raccontare altro. «Ad ogni modo, come stai?»

Sospirò mettendosi seduta prima di parlare. «Bene, anche se... come ti ho detto, mi spiace non poterti più vedere tutti i giorni.»

«Anche a me dispiace. Mi sento un po' in colpa per quello che ti è successo...»

«Oh no, signorina-» chiuse qualche secondo gli occhi e si corresse. «Isabel, non devi sentirti assolutamente in colpa.» Mise una mano sulla mia e la strinse dolcemente. «Sai... l'unica ragione per cui sono rimasta qui tutti questi anni, sei tu. Mi sarei licenziata prima se non fosse stato per la dolce bambina, ora ragazza, che ho cresciuto e che mi ha rapito il cuore.» Poggiò una mano sul petto e io sorrisi con gli occhi lucidi. «Forse ti sembrerà strano, ma ti ho sempre considerato una figlia.»

«E io una madre. Ti sono così grata per tutto quello che hai fatto... e per aver resistito tanto a lungo. Ti meriti molto di più nella vita e, sai? Ora sono quasi felice del fatto che tu non lavori più qui. In questo modo, nessuno potrà permettersi di metterti i piedi in testa. E sai un'altra cosa? Ora che non lavori più per mio padre, gliene direi quattro se fossi in te.»

«Già fatto, non ti preoccupare.» Disse e iniziammo a ridere. «Ora però ascoltami tesoro...» mi guardò tornando seria e tenne la mia mano nella sua. «Devi fare qualcosa anche tu. So cosa succede in questa casa, so come ti trattano e sono davvero dispiaciuta di non aver mai fatto nulla per proteggerti dai tuoi genitori.» Disse e abbassai leggermente lo sguardo a disagio. «Nemmeno tu devi permettere che ti mettano i piedi in testa, fatti valere e prendi da sola le tue decisioni. Intraprendi la tua strada senza paura perché ricorda... questa è la tua vita.»

«Non me lo permettono...»

«Certo che non te lo permettono. Vogliono che tu segua le loro orme e non solo per quanto riguarda la carriera... tu però non sei come i tuoi genitori. Tu hai un cuore buono, gentile, e hai dei sogni. Questa è una cosa importante, perché non tutti sono in grado di sognare, invece tu lo fai, quindi poni i tuoi obiettivi e non sprecare il tuo talento. Fai qualcosa che ti piaccia davvero e che ti renda felice. L'importante è proprio questo... che tu sia felice.»

Sorrisi e la abbracciai forte, non sapevo come avrei fatto senza di lei e non volevo se ne andasse. Anche se, quasi quasi sarei andata via io con lei. Sarebbe stato davvero bello, ma non si poteva fare. «Grazie Marisol, sei un angelo.»

«Tu lo sei, mija.» Sorrise e poco dopo si guardò intorno. «Fa piuttosto freddo in casa, o sbaglio?»

«Non so come si accende il riscaldamento. I miei lo hanno fatto staccare prima di partire e qui dentro ormai è un frigo, soprattutto di notte.»

«Sei rimasta al freddo per tutto questo tempo?» Marisol mi guardò scioccata mentre io arrossivo imbarazzata. «Povera cara... vieni, ti mostro come si accende.» Mi fece strada e io la seguii già felice al pensiero che i termosifoni avrebbero iniziato a scaldare le stanze. «Spegnere il riscaldamento sapendoti in casa è davvero assurdo.» Dopo avermi mostrato come azionare e spegnere il riscaldamento, tornammo in cucina, ma la pace fu interrotta dal rumore di un'auto che sembrava stesse parcheggiando fuori.

«Questo deve essere Andrew... i miei gli hanno affidato il compito di tenermi d'occhio mentre sono via.»

«Non ho parole.» Scosse la testa guardando verso la finestra. «Allora credo di dover andare.»

«Grazie per essere passata Marisol... mi manchi davvero tanto.» Sentii gli occhi pizzicare e lei mi abbracciò teneramente.

«Anche tu mi manchi tanto mija... mi dispiace non potermi fermare di più, ma quando potrò, verrò a trovarti di nuovo, promesso. Devo chiederti ancora molte cose, dell'università e di quel bel ragazzo dagli occhi azzurri. Non mi dimentico mica di Jason, sai?» Accennai un sorriso cercando di non far trapelare nulla e dopo aver preso la sua borsa, Marisol mi salutò un'ultima volta prima di uscire dal retro.

Uscii dalla cucina e andai ad aprire la porta facendo entrare Andrew che aveva le chiavi in mano. «Mi hai sentito arrivare?»

«No, ho avuto una visione.» Andai in sala seguita da lui che andò subito a sedersi sul divano.

«Simpatica.» Disse ironico poggiando la giacca accanto a se. «Ho parlato con tuo padre stamattina.» Tirò fuori una sigaretta dal pacchetto e io lo fissai aspettando proseguisse con il discorso. «Se vuoi, puoi venire a stare da me finché non tornano a casa.»

Lo fissai qualche istante e risi alla sua proposta. «Ti ringrazio per questa generosa offerta ma... resto qui.»

«Come vuoi, non insisterò.» Disse accendendo la sigaretta mentre gli avvicinavo un posacenere. «Oggi pomeriggio invece ti unisci a me? Controllo dei progetti per il locale... non si sa mai che ti venga una delle tue brillanti idee per rendere quel posto qualcosa di unico.»

«"Quel posto"... come lo chiami tu, è perfetto così com'è. Ma tu vuoi distruggerlo e ormai sappiamo che nulla potrà fermarti.»

«Almeno questo lo hai capito.» Disse con un ghigno facendomi alzare gli occhi al cielo. Andrew si divertiva così, facendomi innervosire. E credo che normalmente avrei risposto contraccambiando, ma ora non ne avevo voglia. «Quindi vieni?»

«No, devo sistemare casa. Mio padre la vuole splendente al suo ritorno ed è meglio che inizi.»

«Allora oggi entri nel ruolo di Cenerentola.» Rise divertito squadrandomi e io mi morsi la lingua. «Pagherei per vedere la scena, se ho tempo passo.»

Sospirai silenziosamente mantenendo la calma e mi accomodai accanto ad Andrew. L'unica cosa che avrei pulito oggi, sarebbe stato l'ufficio di mio padre dopo l'arrivo dello zio di Diana. Avrei pulito anche il resto della casa, ma forse un po' più avanti, magari una volta risolti alcuni problemi. Ripensando alla notte prima, un brivido mi percorse lungo la schiena e stringendomi nelle spalle, guardai un punto. Non potevo credere a quello che stavo per domandare. «Ripensandoci...» Andrew mi guardò ascoltando. «Quell'offerta sul venire a stare da te, è ancora valida?» Strinsi le mani sulle mie ginocchia pentendomi quasi subito per aver fatto quella domanda, sul volto di Andrew invece apparve un sorriso.

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