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Capitolo 27

Il giorno dopo quella travagliata vigilia, avevo passato il Natale in completa solitudine. Nemmeno Andrew era passato, sapendo che non c'era pericolo che qualcuno venisse a trovarmi o che io uscissi di casa. Anche perché aveva nevicato tutto il giorno e lo avevo trovato strano quanto bello, non vedevo nevicare a Natale da molti anni. Avevo tentato di accendere il camino, ma avevo fallito alla grande, quindi era il mio terzo giorno al freddo. Ero rimasta sotto le coperte e non mi ero praticamente mossa, se non per prepararmi qualcosa di veloce da mangiare. Diana mi aveva scritto per sapere come stavo e se mi stessi divertendo a Londra, non volevo raccontarle gli ultimi problemi proprio durante le feste, così le dissi che andava tutto bene. Megan invece mi aveva scritto un paio di volte e mi aveva mandato qualche foto di lei a Parigi in compagnia di un ragazzo. Aveva ripreso a parlarmi normalmente, come se nulla fosse mai successo e forse era meglio così, avendo già altri problemi a cui pensare. Ricevetti un messaggio e un'ora dopo, Andrew stava entrando nella mia stanza guardandosi intorno mentre io finivo di scrivere alcune cose al computer. Mi ero portata avanti con i compiti non avendo altro da fare, era un modo per riempire la giornata e non pensare al freddo o al silenzio.
«In casa tua si gela. Perché il riscaldamento non è acceso?»

«Mio padre lo ha fatto staccare poco prima della partenza e io non so accenderlo. Ho provato anche con il camino, ma niente, il fuoco si spegne subito.» Spiegai stringendomi la coperta intorno al corpo.

«E non puoi chiamare qualcuno?»

«Non importa, resisto.»

«Come vuoi.» Andrew si sedette sul mio letto e puntò lo sguardo sul quaderno che mi aveva regalato Jason. Non ci avevo ancora scritto, ma lo tenevo vicino. «Particolare.» Disse allungando la mano, ma io lo presi velocemente, poggiandolo poi sul comodino.

«Già, è un regalo. Te lo farei vedere ma è un diario, sai, personale.»

«Capisco. E questo regalo suppongo sia da parte di "occhi di ghiaccio".» Alzai gli occhi al cielo ignorandolo e tornai a lavorare sul mio computer. «Bella, quello ti nasconde un sacco di cose.»

«Cosa ne puoi sapere tu?»

«Ho fatto le mie ricerche e se vuoi, posso dirti diverse cose sul suo conto.»

«Mio dio, Andrew... devi essere davvero geloso.» Sbuffai guadagnandomi un'occhiataccia.

«Non sono per niente geloso di quello, non ne ho motivo. Io ho tutto, lui invece non ha proprio niente.» Disse per poi guardarmi alcuni istanti. «In realtà non è corretto, c'è qualcosa che possiede...» sussurrò e io alzai lo sguardo aspettando che concludesse la frase, curiosa di sapere cosa avrebbe detto. Andrew era così sicuro di se, che sentirgli dire quelle parole, quasi mi sorprese. Si era accorto che Jason aveva qualcosa, qualcosa che lui forse non poteva avere o forse sì, ed ero curiosa di sapere cosa fosse. «Il tuo cuore.» Mi guardò e io distolsi lo sguardo tornando a lavorare, non volevo rispondere, forse la verità era che non sapevo nemmeno come rispondere. «Chi tace acconsente, è proprio vero.»

«Andrew, se non chiudi la bocca, ti mando fuori a calci.» Dissi chiudendo bruscamente il computer.

«Ma non farmi ridere.»

«Mi spieghi cosa passa per la tua mente? Perché ti comporti così? Perché non mi lasci in pace? Non ci eravamo quasi mai parlati se non per i compiti e ad un tratto, quest'anno hai iniziato a starmi vicino. Io non ti sono mai piaciuta.»

«Prima o poi dovevo interagire con te, sai come la pensano i nostri genitori.»

«So che ci vogliono insieme. Ma diciamo la verità, non ci sopportiamo, tu non vuoi stare con me. Sicuramente ti avranno obbligato a parlarmi.»

«Non mi hanno obbligato, mi hanno solo spiegato i vantaggi.» Disse facendo spallucce.

«I vantaggi?» Davvero gli importava così poco sapere con chi stava? Era tutto business, contava solo questo. «Non vorresti stare con una persona che ti piace davvero?»

«Non m'interessa. Voglio solo ottenere ciò che mi spetta e voglio successo, il resto conta poco.»

«Il fatto che tu la pensi in questo modo è triste. Dovresti prendere in mano la tua vita e scegliere ciò che vuoi davvero, a partire dal college, alle amicizie... dovresti essere tu a decidere, è la tua vita.» Quando finii, mi resi conto di aver praticamente detto ad Andrew le stesse cose che Jason cercava di farmi capire ogni volta. Sospirai alzandomi e afferrai il cellulare andando nella sua chat, ma mi bloccai subito dopo la prima parola, che cancellai velocemente.

«Chi ti dice che non sia io a scegliere?» Andrew si alzò sfilandomi il cellulare dalle mani e dopo aver visto la chat, lo gettò sul letto. «Io ho scelto il college che volevo frequentare, io ho scelto di aprire un locale, io... ho scelto te. Ho preso tutte queste decisioni per arrivare in alto, per ottenere quello che voglio veramente.» Disse guardandomi negli occhi pieno di convinzione. «Ho scelto il successo.» Sussurrò infine vicino al mio viso.
Andrew se ne andò neanche un'ora dopo la nostra conversazione. Io mi ero spostata in sala, dove sembrava essere leggermente più caldo che in camera mia. Mi ero portata dietro la coperta e dopo essermi procurata qualche snack, avevo iniziato a guardare tutti i canali della TV, alla ricerca di qualcosa di interessante. Peccato che la mia mente andava sempre altrove e il cervello faceva in modo che la mia mano, afferrasse ogni cinque minuti il cellulare. Entravo su qualsiasi social, Whatsapp, Instagram, Twitter, messaggi, soprattutto le prime due. Guardavo sempre lo stesso profilo e non c'era mai nulla di nuovo. Dopo ore che continuavo in quel modo, pensai che tanto valeva chiamarlo. Feci partire la chiamata mettendo in viva-voce e ai primi squilli sentii una stretta allo stomaco per l'agitazione. Continuai a guardare lo schermo aspettando e dopo un po' di tempo staccai sospirando, ma dovevo riprovare. Dopo un minuto di pausa, premetti di nuovo sul suo nome e restai in attesa guardando lo schermo, questa volta però, dopo il primo squillo, Jason staccò. Questo chiariva il fatto che non volesse ancora parlarmi ed ero tentata nel provare a fare un'ultima chiamata, ma non volevo sembrare assillante, così evitai. Forse però avrei potuto lasciargli un messaggio vocale per chiedergli di incontrarci, del resto, prima o poi avremmo dovuto parlare di quello che era successo.
Persi il conto di tutti gli audio che avevo fatto e cancellato prima ancora di inviare. Ad un certo punto mi bloccavo e iniziavo a fare lunghe e inutili pause, il che mi fece innervosire. Decisi così di rifarlo per l'ultima volta e come andava andava.
"Ciao Jason, ho provato a chiamarti ma... non credo tu voglia parlare o vedermi al momento e ti capisco. Vorrei però tanto darti una spiegazione e... scusarmi. Possiamo vederci? Quando te la sentirai ovviamente. Per favore..." sospirai imprecando mentalmente per quella pausa. "Buonanotte". Inviai l'audio e dopo qualche minuto, mi alzai per andare ad inserire l'allarme. Dopo, andai in garage per controllare se fosse tutto chiuso e per qualche ragione decisi di uscire in giardino e fare poi un giro intorno alla casa. Stavo gelando, ma camminare sulla neve mi piaceva e avrei fatto una passeggiata per la città se non fosse stato così tardi. Dopo l'ultima volta, volevo evitare di uscire da sola, avrei quasi chiamato Andrew da quanto ero annoiata e la cosa era grave. Andai alla scrivania e presi la scatola dell'iphone tirando fuori le cuffie che non avevo ancora utilizzato, dopodiché spensi le luci e mi infilai sotto le coperte rannicchiandomi in modo da potermi scaldare. Forse non sarebbe stata una cattiva idea chiamare qualcuno per far attaccare il riscaldamento, ma ci avrei pensato il giorno seguente.

•••

Aprii di scatto gli occhi e notai il buio attorno a me. Questo significava che era ancora notte e io mi ero svegliata per via di un sogno che nemmeno ricordavo più. Avevo dimenticato tutto nell'esatto momento in cui avevo aperto gli occhi, sapevo solo di aver sentito un rumore, ma non era reale. Allungai la mano verso l'orologio e girandolo, vidi che erano quasi le due e mezza. Sospirai passandomi una mano sulla fronte e mettendomi seduta, afferrai la felpa che avevo lasciato sul letto, indossandola. Aveva il cappuccio e non era molto comoda per dormire, ma era calda. Mi coricai di nuovo tirando su le coperte, cercai di riaddormentarmi in fretta. Qualcosa però mi fece sbarrare di nuovo gli occhi, un rumore. Mi misi di scatto seduta guardandomi intorno e restai in silenzio ascoltando attentamente. Trattenni anche il fiato, come se respirare fosse troppo rischioso o rumoroso. Scostai le coperte e spostando le gambe di lato, toccai con i piedi il tappeto morbido tirandomi su i calzini bianchi alla caviglia. Restai ancora in ascolto, finché non mi decisi ad alzarmi prendendo il cellulare e camminai in punta di piedi verso la porta con una mano sul cuore, come per paura che potesse balzare fuori dal petto. Nessuno poteva essere entrato in casa, perché avevo inserito l'allarme e all'apertura di una porta, questo sarebbe scattato. Uscii dalla mia stanza dopo aver raccolto tutto il coraggio che avevo in corpo e mi diressi verso le scale guidata dalla poca luce naturale che entrava dalle finestre. Non sapevo il perché stessi camminando al buio, una persona normale forse avrebbe acceso le luci di tutta la casa o chiamato qualcuno. Mi bloccai a metà scala decidendo di mandare un messaggio e la prima persona che mi apparì in schermata, fu proprio Jason. Pensai che era probabile mi rispondesse essendo solito a dormire tardi e stare in giro, forse avrebbe considerato anche un mio messaggio, così iniziai a scrivergli: "Jason, so che è notte fonda ma dimmi che sei sveglio. Ho davvero bisogno che tu mi risponda". Inviai e dopo aver messo la vibrazione, infilai il cellulare nella tasca della felpa. Ripresi a scendere gli scalini e arrivata alla fine, sbiancai quando sentii delle voci arrivare dal corridoio sul retro. Nel panico, corsi di nuovo di sopra salendo gli scalini due a due senza far rumore e arrivata in cima alle scale ripresi fiato andando nella mia stanza. Chiusi a chiave la porta e provai a chiamare Jason al cellulare, ma partì subito la segreteria. Staccai velocemente e provai a chiamare Andrew. Il suo cellulare squillava, ma doveva avere il silenzioso, perché non rispondeva. Misi via il cellulare e uscendo di nuovo dalla stanza, corsi verso il secondo ufficio di mio padre chiudendo poi subito a chiave. Andai verso la cassaforte e cercai un libro in particolare, posizionato sul ripiano sopra. Quando lo trovai, andai verso la scrivania e aprendo il libro, presi la piccola chiave argentata che era nascosta al suo interno. Presi la valigetta riposta nell'ultimo cassetto e inserendo la chiave l'aprii estraendone una pistola. Non avevo idea di come caricarla e tanto meno usarla, ad ogni modo non avrei mai fatto del male a nessuno, mi bastava spaventare gli intrusi. Rimisi la valigetta al suo posto e alzai di scatto lo sguardo appena sentii qualcuno tentare di aprire la porta. Sentii imprecare dall'altra parte e questa volta, la voce sembrava solo una. Mi nascosi sotto la scrivania e chiusi velocemente gli occhi quando sentii un forte rumore. La chiave cadde a terra e dei passi avanzarono nella stanza. Non vedevo cosa stesse accadendo, forse si stava guardando intorno alla ricerca di qualcosa di prezioso, ma poi lo sentii buttare giù qualche libro e a quel punto gattonai piano facendo il giro della scrivania. Un altro uomo entrò facendomi quasi sussultare, avevano entrambi il passamontagna in testa e guardavano verso la libreria parlando a bassa voce tra loro. Non so dove presi il coraggio, ma mentre erano entrambi di spalle, mi alzai e tenendo la pistola tra le mani, la puntai verso di loro con il cuore che batteva così forte da poter essere sentito alla distanza di un metro. Le mie mani non erano per nulla ferme, tremavano tanto da farmi quasi cadere l'arma. «Fermi.» Dissi con voce tremante mentre puntavo la pistola alla testa del ragazzo più vicino. Il suo complice si girò di scatto ma l'altro rimase fermo. «Dovete andarvene subito... e non succederà nulla.» Pregai che mi ascoltassero e che finisse bene, ma perché accadesse, dovevo essere convincente. Così, tolsi la sicura alla pistola anche se scarica e deglutii silenziosamente. «Ci sono telecamere ovunque e se avete una vaga idea di chi sia mio padre, saprete che farà di tutto per farvi trovare e sbattere in cella.»

«Tuo padre, Mark Evans dici?» Domandò qualcuno dietro di me mentre puntava una pistola dietro la mia testa facendomi sbiancare e sudare freddo. «Certo che conosciamo quel verme.»

«Che cazzo stai facendo?» Il ragazzo davanti a me guardò il tipo alle mie spalle facendo un passo avanti.

«Vi salvo il culo, ecco cosa faccio. Non che ce ne sia bisogno, la ragazzina non avrebbe il coraggio di sparare.» Sembrò trattenere una risata e mi scostò i capelli di lato. «Vero?» Domandò rivolto a me.

«E tu? Mi spareresti?»

«Non me ne faccio di questi problemi, ora abbassa la pistola.» Lo sentii premere l'arma contro la mia tempia così lasciai cadere la pistola tremando. «Molto bene. Direi che ora potete continuare.»

I ragazzi lo guardarono e sussultai appena riflettei bene su quello che stava accadendo. A quel punto fissarono me confusi, ma subito dopo si misero al lavoro. «Punta la torcia del cellulare, così vedo quello che faccio.»

Senza volere singhiozzai con gli occhi lucidi e i ragazzi mi guardarono ancora, mentre l'altro mi teneva ferma per un braccio. «Eri l'unico a sapere dov'era la cassaforte. E poi...» lasciai scivolare una lacrima guardandolo. «Riconoscerei la tua voce tra mille, Jason.»

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