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Capitolo 22

Punto di vista di Jason

Se ne era andata via con lui. La cosa mi aveva sorpreso e non poco dovevo dire. Avevo pestato Andrew e da un lato era stata la cosa più soddisfacente che avessi fatto in quel periodo. Dall'altro lato non capivo se avevo spaventato Isabel, cosa che non ero intenzionato a fare, ma non avevo resistito. Avrei continuato a prenderlo a pugni se non ci avessero fermati, sarebbe stato anche un modo per fargliela pagare per ciò che mi aveva fatto al Royal.
Restai al Maple Leaf fino all'orario di chiusura cercando di tranquillizzare Jane che ogni cinque minuti, veniva a controllarmi il viso assicurandosi che non fossero spuntati lividi. Jaden era rimasto con me, gli altri invece erano tornati a casa presto. Nella mia testa, ad ogni modo, c'era solo una persona: Isabel. Mi chiedevo se fosse sola adesso e soprattutto, mi domandavo cosa le passasse per quella sua testa. Si lasciava trattare come un oggetto, non diceva nulla ai suoi genitori e la cosa era alquanto strana. Mi sembrava strano che si disinteressassero di lei in questo modo. Erano sempre attenti a dove andava o a che ora tornava, eppure non dicevano nulla di Andrew. Certo qualcosa non andava in loro, ma Isabel non me ne parlava. Ero tentato dal chiamarla ma non ero sicuro di ricevere risposta, l'alternativa era andare sotto casa sua o direttamente nella sua stanza per parlarle.
Mi alzai e dopo aver salutato tutti ed essere fuggito a fatica da Jane, mi incamminai verso la fermata dell'autobus, che dopo due minuti si trasformò in una corsa. La gente scendeva ad una fermata poco più avanti e io corsi il più veloce possibile. Salii al pelo, prima della chiusura delle porte e presi fiato sedendomi al primo posto libero che trovai. L'autobus era uno schifo come lo ricordavo, mezzo scassato e dall'aria tossica, oserei dire. Non lo prendevo ormai da un anno e non mi mancava per niente se dovevo essere sincero.
Alla fermata successiva salì un ragazzino, ad occhio sui quattordici anni. Portava sulle spalle un borsone apparentemente della squadra di calcio che allenavano nel quartiere prima. La sua giacca e i capelli, come anche il resto della roba, erano leggermente bagnati. Solo allora guardai fuori dal finestrino e notai che aveva iniziando a piovere. Mi alzai facendo cenno al ragazzino di prendere il mio posto, lui mi ringraziò levandosi il borsone pesante dalla spalla e dopo essersi seduto, prese le cuffie dalla tasca iniziando ad ascoltare la musica.
Più tardi premetti il pulsante di fermata e tirando su il cappuccio, scesi nel quartiere dove abitava Isabel. Decisi di mandarle un messaggio e chiederle se era a casa, giusto per sapere, ma non rispose. Non sapevo se mi stesse ignorando o se non l'avesse realmente visto, ma l'avrei scoperto perché ormai mi stavo avvicinando sempre di più a casa sua.
Cercai la copia della chiave del cancelletto che avevo copiato da quella che aveva Marisol ed entrai senza fare troppo rumore. Girando intorno alla casa, notai solo qualche luce accesa in cucina e andando sempre avanti a passo svelto, arrivai al giardino dietro. Mi avvicinai al grande albero e alzai lo sguardo lasciandomi sfuggire un sorriso, la luce della stanza di Isabel era accesa. Non era una luce forte, quindi doveva essere quella della lampada sul comodino. E questo significava che stava leggendo o scrivendo qualcosa, ignorandomi.
Ormai abituato, feci un salto aggrappandomi al ramo dell'albero e mi tirai su, salendo piano fino ad arrivare dove volevo. Raggiunsi il balcone in poco tempo e dopo averlo scavalcato, mi avvicinai alla portafinestra sbirciando prima di lato per assicurarmi che fosse sola, anche se ne ero certo, dopodiché bussai. La intravidi alzarsi e si avvicinò scostando le tende bianche praticamente trasparenti, guardandomi senza sorpresa. Aprì e dopo avermi fatto entrare, chiuse velocemente tirando di nuovo le tende. Sul letto c'era un libro, come avevo immaginato, stava leggendo. Il cellulare era sul comodino quindi doveva aver visto il mio messaggio ma aveva deciso di ignorarlo. Mi sfilai le scarpe e la giacca bagnata che lasciai sul pouf, poi andai a sedermi sul letto guardando il libro che aveva interrotto per venire ad aprirmi. Era Peter Pan, per qualche ragione mi aspettavo anche quello. Ogni tanto lo prendeva e leggeva un capitolo, anche a caso. Sapere queste cose di lei mi faceva pensare a quanto avessi imparato a conoscerla, eppure... c'era ancora qualcosa che mi sfuggiva. La guardai alzandomi di nuovo e lei fece lo stesso raggiungendomi, mettendosi proprio davanti a me. Non mi sentivo di dire nulla ed evidentemente nemmeno lei, poiché nessuno dei due fiatò. In quel momento ci bastava il silenzio, le parole avrebbero solamente rovinato tutto. Qualcuno però avrebbe dovuto iniziare prima o poi, la pace non dura per sempre, questa è la verità. Ma io volevo godermela un altro po', e non parlavo della pace, ma di lei. Così, quando Isabel socchiuse le labbra per dire qualcosa e rompere il ghiaccio, scossi la testa poggiando un dito sulle sue labbra zittendola. Avvicinai di più il mio corpo al suo e le accarezzai la guancia calda. Qualcosa non andava e lo capivo dal suo sguardo, ma non volevo ancora parlare, non ora. La abbracciai lentamente e le accarezzai la schiena, volevo sentire quell'abbraccio e non sapevo se ero più io ad averne bisogno o lei. Ad ogni modo ricambiò, ed era tutto ciò che volevo. Mi coricai con lei sul letto e la strinsi tra le mie braccia cullandola.
Non so per quanto tempo restammo così, abbracciati, ma stavamo bene quindi non m'importava. Le accarezzai i capelli mentre lei giocava con la mia collana. Presi il libro che aveva interrotto e aprendolo, mi feci indicare dove era rimasta, iniziando poi a leggere per lei. Poggiò la testa sul mio petto guardando con me le pagine e nel frattempo, io continuavo a giocare con una ciocca dei suoi capelli. «"...gli sedette accanto sulla sponda del letto, poi aggiunse che, se lui voleva, gli avrebbe dato un bacio, ma Peter non capì che cosa fosse un bacio e tese la manina, in attesa."» Sentii Isabel farsi sfuggire una piccola risata e di conseguenza, come un effetto collaterale, sulle mie labbra apparve un sorriso. Quando finii di leggere il capitolo, abbassai lo sguardo e notai che Isabel non si era più mossa. Si era addormentata e sembrava tranquilla in quella posizione, così cercai di non muovermi troppo, mi allungai solo per afferrare la coperta e tirarla sopra i nostri corpi.

•••

Sentii due dita sfiorami il labbro, precisamente dove avevo il taglio, non mi dava fastidio ma socchiusi comunque gli occhi. Isabel ritrasse la mano e mi guardò lasciandola cadere sul mio petto. Alzai il braccio e controllai l'ora, fuori pioveva ancora ed era notte fonda. Avevamo lasciato la luce accesa sul comodino e sembrava non essere passato molto da quando ci eravamo addormentati. «I tuoi genitori saranno tornati? Non li ho sentiti.» Domandai in un sussurro.

«Sono andati fuori città, tornano domani nel pomeriggio.» Rispose mettendosi seduta e detto quello calò di nuovo il silenzio. Ma questo silenzio era diverso da quello di prima, l'aria era forse più tesa, la pace stava per essere interrotta. Mi misi anche io seduto e Isabel parlò. «Perché lo hai fatto?» Il suo tono non era aggressivo, ma calmo, anche se con aria di rimprovero.

«Me lo chiedi? Davvero?» Sospirai passandomi una mano tra i capelli, ero stanco e non volevo litigare con lei.

«Jason, ne abbiamo parlato già molte volte. Hai idea delle conseguenze che ci saranno adesso?» Si alzò incrociando le braccia al petto e mi guardò con un aria più dispiaciuta che arrabbiata.

«Dovevo lasciarti andare con lui? Devo ricordarti quello che ti ha fatto e come ti tratta?» Domandai a mia volta.

«Ti ho già detto che non ti devi preoccupare.» Disse stanca. «E non hai pensato che facendo così avresti forse peggiorato la situazione?»

«Peggiorato?» Mi alzai mettendomi davanti a lei. Non potevo credere al fatto che stavamo discutendo di questo alle due di notte. «Non so se può andare peggio. Ti ha fatto qualcos'altro?»

«Era arrabbiato... ma con te, quindi no, non mi ha fatto niente. Si è calmato un po' solo quando siamo arrivati all'ospedale.»

«Giusto, perché tu sei andata con lui.»

«Era messo male Jason, cosa dovevo fare? Lasciarlo li a terra?»

«Sì, è quello che si meritava. Con me non ha esitato. Anzi, non è stato nemmeno lui, ha pagato qualcuno per fare il lavoro sporco.» Sentii ribollire il sangue al ricordo e strinsi i pugni. «Infatti, se si fosse battuto lealmente con me quella volta, avrebbe perso proprio come oggi.»

«Smettila Jason, è una cosa seria.» Si passò le mani sul viso sospirando e iniziò a sistemare le poche cose fuori posto nella stanza.

«Hai ragione, è una cosa seria. Parliamone dai! Perché ti lasci trattare di merda?» La seguii e lei cercò di evitare costantemente il mio sguardo.

«Non lascio che mi tratti male.» Finalmente alzò lo sguardo ma i suoi occhi la tradivano quanto la sua voce. «Senti... so quello che faccio.»

«Non si direbbe.»

«Non ho voglia di litigare.» Disse in tono stanco.

«E pensi che io lo voglia?» La guardai negli occhi e notai i suoi quasi lucidi. «Sono stato bene fino ad ora, ho evitato di parlare prima per non rovinare tutto. Sapevo che sarebbe uscito questo argomento e ogni volta che parliamo di Andrew finiamo per litigare.»

«Non potevamo evitarlo per sempre usando il silenzio...» sussurrò stringendosi nelle spalle.

«No, non potevamo...» sospirai silenziosamente e inaspettatamente mi abbracciò. Non esitai a stringerla, anche se mi nascondeva delle cose e dovevamo ancora risolverne altre, volevo chiudere quell'argomento momentaneamente. Era forse meglio per entrambi, lo avremo ripreso più avanti. «Basta litigare?» Domandai e guardandomi annuì.

«Sì, basta... anche perché è notte fonda.» Accennò un sorriso e avvicinandosi alla finestra guardò fuori. «Sta ancora piovendo, sono già diverse ore ormai.»

«Già. Mi caccerai di casa o mi farai restare?» Chiesi ricevendo subito un colpetto scherzoso sul petto.

«Non ti farei mai uscire con la pioggia.» Rise e diventò poi pensierosa. «Ma tu come hai fatto ad entrare?»

La guardai confuso rielaborando velocemente ciò che mi aveva chiesto. «E' una domanda trabocchetto...?»

«No, come sei entrato? Dovrebbe esserci...» si bloccò colpendosi poi la fronte. «Non ho messo l'allarme!» Corse di sotto veloce senza accendere le luci e io la seguii sempre confuso.

«Da quando metti l'allarme?»

«Ricordi? Quando i miei sono via e il personale non c'è, attiviamo l'allarme e le telecamere. I miei me lo hanno raccomandato, hanno lasciato a me il codice.» Accese la luce e si avvicinò ad un tavolino con su un vaso di fiori, lo spostò e prese un foglietto. Lo girò dalla parte giusta e dopo averlo letto me lo passò correndo fuori di casa. Andò verso il secondo garage tornando cinque minuti dopo. La guardai con un sopracciglio inarcato e le passai il foglio con su scritto il secondo codice più semplice che avessi mai visto, il primo era quello del cellulare di Isabel. «Ok, inserito, dovrebbe attivarsi tra qualche minuto.» Chiuse la porta lasciando la chiave nella serratura e andò verso le scale con ancora le spalle alzate dal freddo.

«Sei pazza, lo sai? Non dovresti uscire così.» Risi e poco dopo notai di aver preso una direzione diversa. «Dove stiamo andando?»

«Mi sono ricordata un'altra cosa, dovevo mettere via i soldi che mio padre ha ritirato oggi.» Sbuffò entrando in uno studio diverso da quello che avevo intravisto una volta al piano di sotto. Isabel si avvicinò alla scrivania e aprendo gli ultimi cassetti, tirò fuori due buste abbastanza piene. Alzandosi si avvicinò ad una libreria ma si bloccò voltandosi verso di me.

«Che c'è? Non guardo.» Scherzai indietreggiando e uscii poi dalla stanza. La curiosità però mi stuzzicava così lasciai la porta socchiusa sbirciando. Era sbagliato sì, ma ero curioso di sapere dove teneva la cassaforte Mark Evans. Isabel prese un libro e aprendolo lesse probabilmente qualcosa, dopodiché lo ripose tra gli altri. Subito dopo si inginocchiò e spostò tutti i libri dell'ultimo scaffale. Non mi aspettavo fosse davvero lì, i libri erano così grandi e spessi che coprivano tutto, per quello ad occhio, la cassaforte non si vedeva. Mi voltai appoggiandomi al muro e aspettai che Isabel uscisse dalla stanza.

«Eccomi.»

«Hai qualcos'altro da fare? Tanto sono solo le tre di notte.» Scherzai facendole spuntare un sorriso e alzare gli occhi al cielo.

•••

Erano passati due giorni. I genitori di Isabel avevano dovuto prolungare la loro permanenza fuori città ma nonostante questo, non ero riuscito a passare molto tempo con lei. Diceva di essere impegnata, non mi accennava nulla di più e la trovavo un po' strana, sembrava preoccupata.
Non era l'unica però ad atteggiarsi in modo insolito, al Maple Leaf, Jane sembrava giù di morale. Avevo cercato di farmi dire cosa avesse ma rispondeva dicendo di essere solo un po' stanca, inutile dire che io non le credevo per niente, sapevo che c'era qualcosa di più.
Il fatto che nessuno mi dicesse cosa realmente stesse accadendo mi faceva uscire di testa, per questo ero ancora al campo da basket a fare tiri liberi. Cercavo di non pensarci troppo, cercavo di convincermi del fatto che forse era tutto vero e che le mie sensazioni fossero sbagliate. Mentre tornavo verso il mio zaino per prendere l'acqua, notai il cellulare illuminarsi e vibrare sopra la felpa su cui era appoggiato. Lo afferrai e mi sorprese vedere quel nome sullo schermo. «Salve signor Evans.»

«Sto tornando in città. Oggi pomeriggio ti aspetto nel mio ufficio alle quattro.» Detto questo staccò la chiamata.
Il padre di Isabel era l'uomo più irritante e spregevole che avessi mai conosciuto, se non l'avessi saputo prima, non avrei mai detto che Isabel fosse sua figlia. Non assomigliava a nessuno dei due genitori, qualcuno avrebbe persino potuto pensare che fosse stata adottata.
Dover vedere Mark Evans oggi, non mi entusiasmava per niente e avevo la sensazione di ricevere un qualche rimprovero per chissà quale motivo. Del resto, non ricordavo una volta in cui avesse voluto parlare con me per dirmi qualcosa di positivo. Provai a chiamare Isabel per chiederle se sapeva di cosa avesse voluto parlarmi suo padre ma, non rispose, così ritentai altre tre volte ma dopo uno squillo chiudeva subito la chiamata, cosa che non aveva mai fatto. Ritentai una quarta volta e staccò di nuovo velocemente, stavolta senza nemmeno farlo squillare. Misi via le mie cose e guardando l'ora, mi incamminai verso casa. Se possibile, forse sarei passato prima per vedere se era casa e per capire cosa le stesse succedendo. Non era da lei comportarsi così ed ero stufo di essere all'oscuro di tutto ultimamente.

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