Capitolo 20
Appena sveglia, andai a fare colazione al Maple Leaf sperando anche di incontrare Jason, ma non fu così. Riuscii comunque a chiacchierare con Jane che mi tenne compagnia e, dolce e sorridente come sempre, mi parlò di quello che avrebbe fatto durante il periodo natalizio. Le sarebbe piaciuto andare dai suoi genitori, ma c'era troppo lavoro. Questo però non le avrebbe impedito di organizzare un gran cenone e chiudere per una o due sere il Maple. Era decisa a festeggiare con la sua famiglia e mantenere le solite tradizioni. Decorare la casa, fare i classici dolci natalizi e non sarebbero mancati i regali sotto l'albero. Mentre mi parlava dei suoi piani era sorridente, eppure scorgevo qualcosa nei suoi occhi... sembrava quasi triste e non sapevo se lo era per il fatto che non avrebbe festeggiato con i genitori o per altro.
Per quanto riguardava il mio Natale, non avrei saputo nulla su come lo avrei festeggiato fino a tre giorni prima. I miei si organizzavano sempre all'ultimo durante le feste e la maggior parte delle volte stavamo a casa, o meglio, io stavo a casa. Loro lavoravano anche durante le feste, ma le rare volte che si concedevano una pausa, prenotavano un viaggio di qualche giorno a Parigi, Londra, Roma, Venezia, Hawaii o qualsiasi altro posto passasse per la loro mente. Non avevamo tradizioni particolari come Jane, ma come molte altre cose, avevo smesso di darci importanza e mi accontentavo della tranquillità.
Dopo aver parcheggiato in garage, entrai silenziosamente in casa con lo zaino in spalla. I miei non c'erano ma volevo evitare comunque di essere vista dal personale.
«Ma dov'eri finita?!»
Mi voltai di scatto ritrovandomi un Jason confuso e preoccupato che mi squadrava dalla testa ai piedi. «Shhh!» Gli feci subito cenno di stare zitto e prendendolo per il polso, corsi con lui nella mia stanza.
«Stavo per venire a cercarti! Tu non sai che faccia ha fatto Marisol quando le ho chiesto se ti eri svegliata. Pensava fossi uscita a fare colazione con me.»
«Non potevo tornare ieri, rischiavo di svegliare i miei. Aspetta...» rielaborai ciò che Jason aveva detto e sentii il battito accelerare. «Dov'è Marisol ora?»
«Tranquilla, stava riprendendo fiato mentre ci guardava correre su per le scale.»
«Ci ha visti salire in camera?!» Mi tirai la mano sulla fronte e andai a sedermi sul letto.
«Che importa? Ci fidiamo di lei, giusto?»
«Giusto.»
«E non abbiamo nulla da nascondere, non facciamo nulla.» Alzai lo sguardo e vidi il suo sorrisino divertito. Presi il cuscino tirandoglielo e lui lo afferrò al volo sedendosi accanto a me. «Hai dormito da sola alla casetta?»
«Sì, come ti ho detto... non volevo rischiare.»
Jason mi baciò la tempia abbracciandomi. «Non volevo lasciarti sola.»
«Non ti preoccupare, avevi un'emergenza. A proposito, va tutto bene? Era qualcosa di grave?»
«Non ti preoccupare. Tutto risolto.» Mi accennò un sorriso e mi rilassai sapendo che non era successo nulla di male. Per come era andato via la sera prima, avevo quasi pensato al peggio, ma meglio un falso allarme che altro.
Voltando lo sguardo verso la mia scrivania quasi mi sentii male ricordando le domande che non avevo ancora scritto e che avrei già dovuto inviare. Ormai mi definivo un caso perso, ero irrecuperabile, un disastro. Non sapevo cosa scrivere e non sapevo come convincere i miei genitori a lasciarmi fare qualcosa che mi piacesse davvero. Mi alzai e lasciando Jason li dov'era, andai in bagno a sistemarmi per poi prepararmi al lavoro noioso che mi spettava. Andai alla scrivania e aprii direttamente il PC accendendolo, pensando nel frattempo a ciò che avrei scritto nella prima domanda. «Sono stanca e non ho fatto niente.»
«Sei solo mentalmente annoiata perché sai di dover passare ore li seduta, davanti al computer.» Jason si coricò guardandomi sbuffare. «Vieni qui.»
«Non posso, devo concentrarmi e scrivere sta roba. Oggi devo assolutamente inviare tutto...»
«Isabel vieni, prendi anche il computer, provo ad aiutarti. Non sono andato all'università e non ho mai scritto domande, ma potrei essere utile.»
Risi andando a sedermi accanto a lui mettendo il PC in mezzo e provai a buttare giù qualche riga sensata. «Più che un autista, sei un tuttofare.»
«Dillo che sono fantastico, non troverai mai nessuno come me.»
«Scusa ma non ho intenzione di dirlo.» Risi ricevendo subito dopo un pizzicotto sul fianco.
•••
La sera, mi dedicai alla lettura di un libro, seduta in sala accanto al camino. In casa, oltre a me, c'erano Albert, Marisol e Gloria. Tutti gli altri avevano finito il turno un'ora prima, quindi c'era più silenzio del solito e meno viavai. Andrew non si era fatto vivo alla fine e la cosa non mi dispiaceva, la giornata comunque non era ancora terminata, conoscendolo avrebbe potuto presentarsi anche all'ora di cena. Voleva parlare e immaginavo già quale sarebbe stato l'argomento: Jason. Ormai era prevedibile, non lo sopportava e si ostinava a tenermi lontana da lui in qualunque modo. Ad un tratto sentii la porta d'ingresso chiudersi e un rumore di tacchi venire verso la sala. Mia madre sorrideva e avanzava a passo svelto con ancora il cappotto addosso, la borsa in spalla e alcune cartelle in mano. Poggiò tutto sul tavolo e si girò verso di me unendo le mani tutte rosse per via del freddo, per poi sfregarle in modo da scaldarle un po'.
«Indovina chi è diventato ufficialmente il sindaco della città?» Il suo entusiasmo non mi stava contagiando come dovrebbe invece accadere normalmente. Non mi sentivo di rispondere nemmeno alla sua domanda, la cui risposta era decisamente ovvia. «Isabel, mostra un po' di gioia! Bart ha vinto! Ha ricevuto la chiamata mezz'oretta fa e ha contattato subito me e tuo padre per dircelo. Le cose non possono andare meglio di così!» Si levò il cappotto e chiamò Albert per farsi portare un bicchiere di Chardonnay.
«Sono felice per lui.» Chiusi il mio libro e mi alzai guardandola, mentre una domanda mi sorgeva spontanea. «Non è che ci toccherà andare ad un'altra cena dell'ultimo minuto, vero?»
«Non lo so, ma questo fine settimana i Larson ci hanno invitati ad una festa a casa loro. Saranno presenti anche l'ormai ex sindaco e altra gente importante.»
«Posso stare a casa quel giorno?»
«Isabel!» Mia madre mi fulminò mettendo le mani sui fianchi. «Smettila di fare la maleducata. Tu verrai con noi e affiancherai Andrew.»
«Che novità.» Sussurrai in modo che non sentisse. Subito dopo, il cellulare di mia madre suonò e lei rispose subito in tono molto allegro. La chiamata non durò più di due minuti e quando riattaccò, posò lo sguardo su di me. Avevo un brutto presentimento ed ebbi quasi l'istinto di tapparmi le orecchie con le mani come facevano i bambini.
«Preparati perché dopo cena andiamo a bere qualcosa da loro.»
«Oh no!» Alzai gli occhi al cielo e uscii dalla sala. Continuai a lamentarmi sottovoce mentre salivo le scale per arrivare alla mia camera, sforzandomi di pensare ad una qualsiasi scusa per non uscire a "festeggiare". Stavolta però sarei dovuta andare, così avrei avuto del tempo per inventare una buona scusa per il fine settimana.
•••
Erano tutti felici quella sera a casa Larson. I miei genitori e quelli di Andrew non smettevano di parlare di come avevano stracciato la concorrenza attraverso delle notizie che avevano fatto girare tramite i giornali e, ovviamente, tramite internet. Notizie che potevano essere vere o false, nessuno lo sapeva a parte il diretto interessato. Andrew a quanto sembrava, aveva partecipato per aiutare il padre e niente di tutto ciò mi sorprendeva. Con una scusa, fece staccare entrambi dai nostri genitori e ci spostammo dall'altra parte della sala, accanto al camino.
«Dovevo parlarti, ricordi?»
Lo guardai come se fosse impazzito spostando lo sguardo da lui ai miei. «E vuoi farlo qui? Ora?»
«Sì. Rilassati, non è nulla di che.» Il suo tono di voce era calmo e mise le mani in tasca guardando il fuoco. «Ho pensato di aprire un locale mio. Sai, gestirlo e tutto.»
Lo guardai alcuni istanti non sapendo come reagire, in effetti ero indifferente e non capivo perché me lo stesse dicendo. Andrew poteva fare quello che voleva, a me importava ben poco. «Buon per te. Ne hai già parlato con i tuoi?»
«Certo. A dire la verità, ne ho parlato anche con tuo padre.» Andò a prendere due bicchieri di champagne e tornando me ne porse uno.
«Con mio padre?»
«Volevo avere un'opinione in più e tuo padre era la persona migliore a cui chiedere.» Bevve un sorso guardandomi e accennò un sorriso. Qualcosa non andava, avevo una strana sensazione ma lasciai che continuasse a parlare in modo da capire se c'era davvero qualcosa sotto. «Entrambi confidano in me e pensano che farei un ottimo lavoro.»
«Quindi aprirai un locale?» Domandai impaziente ora di capire. Non avevo ancora bevuto nemmeno un sorso di champagne e mi stava passando la voglia, così poggiai il bicchiere sul tavolino accanto.
«Sì. Ho già anche trovato il luogo adatto.»
«E dove?» Incrociai le braccia perdendomi a guardare il fuoco avvolgere la legna nel camino.
«Non credo che tu conosca la zona. O forse sì, visto con chi giri nell'ultimo periodo.» Gli lanciai un'occhiataccia ed entrambi guardammo i nostri genitori che però non ci stavano ascoltando, persi nei loro argomenti. Così tornai nuovamente a guardare il fuoco ignorando il commento di Andrew. Anche perché se avessi risposto, sarebbe partito un litigio dopo due minuti. «Forse è meglio andare di sopra.» Disse.
«Già, forse è meglio. Prima che ti esca qualche altra...» mi trattenni dall'usare termini volgari e mi limitai a guardarlo freddamente. «parola di troppo.»
Lo seguii al piano di sopra fino ad arrivare alla sua stanza. Era ordinata come lo era l'ultima volta che c'ero stata ed era forse più calda della mia. Mi fermai davanti al balcone guardando fuori e notai che si stava alzando un po' di vento. I rami degli alberi oscillavano e si sentiva lo scroscio delle foglie.
«Stavo dicendo... che ho già trovato il posto. Certo è da ristrutturare, ma non ci vorrà molto per renderlo perfetto. D'altronde i soldi non mi mancano.» Rise e lo sentii sedersi sul divano. «Comunque il luogo è in Jackson St. Side.»
Il nome della strada mi rimbombò nella testa per alcuni secondi e mi girai di scatto verso Andrew che nel frattempo si era acceso una sigaretta. Le mie labbra erano socchiuse, gli occhi sgranati fissi su di lui. «No.» Dissi fermamente avvicinandomi.
«No?» Chiese lui inarcando un sopracciglio.
«No.» Ripetei decisa. «Quella è la strada del Maple Leaf, è li da anni e non puoi prenderti il posto. Non è nemmeno in vendita, non lo avrai mai. Pensi che te lo venderanno?» Risi sarcastica e lui si alzò con ancora il sorrisino stampato in faccia.
«Ottengo sempre quello che voglio Isabel.»
«Non stavolta.» Strinsi i pugni cercando mentalmente di calmarmi ma il cuore batteva a mille.
«Vuoi scommettere?»
«Lascia stare il Maple Leaf, non ti avvicinare. Mi hai capito?»
«Mi stai minacciando?» Andrew rise spegnendo la sigaretta e si avvicinò tirandomi a se dai fianchi. «Perché io posso fare di peggio. Lo sai che ho il coltello dalla parte del manico.» Mi accarezzò la guancia ma voltai lo sguardo per evitare il suo tocco.
«Tu vuoi solo farmi un torto. Non è così?» Lo spinsi sentendo la rabbia che iniziava a prendere il sopravvento. «Perché se proprio vuoi farmi del male ci sono altri modi, ma non mettere in mezzo altre persone.»
«Il fatto che io possa comprare quel posto ti ferisce così tanto?» C'era divertimento nella sua voce e questo mi innervosiva di più, ma subito dopo tornò serio. «Perché stai certa che lo comprerò e lo raderò al suolo.»
Senza pensarci gli tirai uno schiaffo e appena mi resi conto di quello che avevo fatto, indietreggiai di qualche passo. I nostri genitori erano di sotto e il pericolo era elevato. Andrew tese la mascella e mi afferrò per il braccio strattonandolo, dopodiché mi spinse al muro facendomi sussultare. «Giuro... Isabel Vee Evans, che te la faccio pagare cara. Ogni tuo gesto avrà una conseguenza.» Strinse la presa sul braccio tenendo il viso poco distante dal mio. Il suo sguardo era minaccioso, intimoriva e la presa era sempre più forte. «Puoi provare a farmi cambiare idea, ma sarà difficile se continui a comportarti come una lurida stronza.» Cercai di fargli lasciare il mio braccio e dopo qualche secondo allentò di poco la presa facendomi quasi sfuggire un sospiro di sollievo mentre i miei occhi si facevano lucidi. «Vediamo come ti comporti in questi giorni.» Sorrise lasciando finalmente il mio braccio, ora rosso e si avvicinò stampandomi un bacio all'angolo delle labbra. Chiusi gli occhi qualche istante e mi portai istintivamente le mani al petto dove riuscii a sentire il cuore battere all'impazzata per la rabbia e la paura. Sì, avevo paura. Non perché Andrew mi mettesse le mani addosso, ma per quello che sarebbe potuto accadere al Maple Leaf, a Jane, a Jason che amava tanto andarci. Dovevo trovare un modo per far cambiare idea ad Andrew o trovare un qualche compromesso. Lui lo faceva per infastidirmi ma forse c'era qualcosa che voleva da me e che avrei potuto dargli in cambio del Maple.
«Che cosa vuoi?» Ero quasi spaventata nel porgli quella domanda e mi pentii subito dopo avergliela fatta. Temevo la sua risposta, sentivo lo stomaco sottosopra dall'agitazione e l'unica cosa che volevo in quel momento, era sparire.
«Non è difficile.» Sorrise e avvicinò le labbra al mio orecchio. «Inizia con lo sbarazzarti del tuo autista.»
Abbassai lo sguardo chiudendo gli occhi per alcuni secondi e scossi leggermente la testa. «Non posso.»
«Ok.»
Alzai lo sguardo confusa. «Ok?»
«Raderò al suolo quel posto.»
«Non lo farai.» Ero insicura di quelle mie stesse parole e probabilmente era una cosa che dicevo più a me stessa per auto convincermi, o illudermi. «Conosco la proprietaria e qualsiasi sia la cifrai che le proporrai, lei non accetterà.»
«Fidati Isabel, ci sono tante cose che non sai. Ma c'è qualcos'altro che potrebbe farmi cambiare idea.»
«Cosa?» Mi strinsi nelle braccia guardando Andrew ancora in piedi davanti a me. Aspettavo rispondesse alla mia domanda, ma stava fermo a fissarmi. Non capivo se ci stesse pensando perché insicuro, ma ne dubitavo. Si avvicinò sfiorando le sue labbra con le mie e lo spinsi velocemente indietro prima che potesse far sparire del tutto la distanza. Lo guardai spiazzata, non pensavo si sarebbe mai avvicinato tanto, sapevo che avrebbe voluto, ma farlo... «non ti avvicinare.»
«Stai già sbagliando tutto, sai?» Si sedette sul divano e mi squadrò. «Ad ogni modo dovresti rassegnarti, sarai mia un giorno e di questo sono ancora più sicuro. Che sia per salvare quel posto o per altro.»
«Scordatelo.» Lo guardai con disprezzo mentre mi affrettavo a raggiungere la porta. «Questo non succederà mai. Sei una persona orribile Andrew, non pensi a nessuno se non a te stesso. Sei egoista e se continui su questa strada resterai solo, anzi... lo sei già. Non hai nessuno, gli amici che ti stanno intorno sono tutti falsi e non ne avrai mai di veri, per via del tuo carattere. Apri gli occhi, non è mai troppo tardi.» Lo guardai un'ultima volta e uscii dalla stanza andando al piano di sotto, chiedendo al maggiordomo di riportarmi il cappotto. Solo dopo averlo messo, tornai dai miei sperando avessero finito di parlare in modo da tornare a casa. Appena mio padre incrociò lo sguardo con il mio, si rese conto che probabilmente si era fatto tardi e posando lo sguardo sull'orologio, ne ebbe la conferma.
«Si è fatto tardi, domani abbiamo entrambi tanto lavoro. Sarà meglio andare.» Disse alzandosi a tempo con gli altri che ci accompagnarono poi alla porta. «Andrew ti ha parlato della sua idea?» Domandò mio padre appena saliti in auto.
«Sì, e non penso funzionerà.»
«Perché?»
«Conosco Andrew abbastanza e non credo sia in grado di gestire un locale. Non ancora almeno... di conseguenza, fa male ad aprirne uno. A parer mio è uno spreco di soldi e di tempo.»
«Abbi un po' di fiducia. Ha degli agganci e io personalmente, credo possa farcela.» Rispose mia madre e mio padre concordò subito dopo.
Potevo immaginare quali fossero i suoi agganci e sapevo che aveva più probabilità di vincere rispetto a me. Io comunque dovevo tentare di salvare il posto, prima che accadesse il peggio o che Jason scoprisse i piani di Andrew. Forse sarebbe stato proprio quello il peggio. Se Jason fosse venuto a saperlo, oltre a rimanerci male ed arrabbiarsi, avrebbe sicuramente mandato Andrew all'ospedale una volta per tutte.
Non appena arrivai a casa, andai nella mia stanza e mi cambiai velocemente per potermi infilare sotto le coperte. Cercai su internet il numero del Maple Leaf ma pensai che a quell'ora dovevano aver chiuso essendo un giorno della settimana. Non sapevo nemmeno se parlarne con Jane o pensarci da sola. Non potevo far ragionare Andrew, perché non si trattava veramente di business, ma di un capriccio. L'unica chance per salvare il posto era stare alle sue condizioni, cosa che non ero intenzionata a fare e questo era un problema. Ero davvero tentata dal chiamare Jason, avevo davvero bisogno di un consiglio e di tanto aiuto, ma lui era l'ultima persona da coinvolgere e dovevo cavarmela da sola.
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