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Capitolo 12

Le cose da fare in questi giorni erano troppe e io ero una sola, avessi avuto il potere di sdoppiarmi o una giratempo, sarebbe stato tutto più semplice. Tra compiti, test, domande per l'università, aiuti per le candidature e l'inaugurazione del Royal Hotel, non sapevo più dove sbattere la testa. Ero stressata, volevo e non vedevo l'ora di liberarmi da tutti gli impegni. Avevo assolutamente bisogno di una vacanza e per vacanza intendevo una settimana di pace e silenzio. Non dovevo necessariamente andare chissà dove. A scuola quella mattina, avevamo saltato la prima ora per ricevere un annuncio in aula magna. Andrew era diventato rappresentante degli studenti, la cosa non mi sorprendeva e sembrava non aver sorpreso neanche la metà degli studenti presenti. Durante l'ora di lezione che ci avevano sottratto, l'attenzione di tutti era stata rubata da Andrew. Aveva accennato qualcosa sulla festa di Halloween che a quanto pare non si sarebbe più svolta in palestra. Pensava piuttosto di prenotare un luogo fuori da scuola per avere una sala molto più grande e stranamente, molti si ritrovarono d'accordo. L'unica ad essere rimasta in silenzio fu Diana, che mi svelò di essere preoccupata per l'eventuale prezzo del biglietto. La cosa mi dispiaceva, perché effettivamente non tutti potevano permettersi di spendere, e non tutti riuscivano ad ammetterlo di fronte agli altri.
All'uscita da scuola, Andrew si avvicinò con un sorriso sulle labbra e camminò accanto a me verso il parcheggio. «Isabel, ho pensato ad una cosa. Potremmo organizzare il ballo in una delle grandi sale dell'albergo.»

«Non lo so Andrew, la musica alta non credo sia il massimo per i clienti che intendono riposare e godersi solo pace e tranquillità.» Risi fermandomi poco distante dall'auto, dove Jason mi aspettava.

«Giusto... non ci avevo pensato.» Pressò le labbra e sembrò scavare nella sua mente alla ricerca di un'altra idea.

«Se proprio vuoi farla fuori da scuola, potresti chiedere al Drewmore quanto costa affittare la sala. Sarebbe interessante festeggiare Halloween in un vero castello.» Proposi vedendolo in difficoltà.

«Questa sì che è un'idea fantastica!» Sorrise entusiasta poggiando le mani sulle mie braccia.

«Sì, ma informati prima. Poi consultati con il vice rappresentante e fai un calcolo veloce di quanto potrebbero venire a costare i biglietti, in fine proponi agli studenti ricordando loro che più siamo, più scenderà il prezzo.»

«Ma sentiti, saresti stata perfetta al mio fianco. Sei mitica Isabel!» Andrew mi fece l'occhiolino e corse verso i suoi amici rimasti a chiacchierare all'ingresso.

Io mi voltai e salutando Jason entrai in auto sospirando. Ero così stanca che il sedile sembrava più comodo del solito e mi aveva praticamente immobilizzato le gambe. «Jason, mi dispiace dirtelo ma... oggi ti tocca lo shopping con me.»

«Eppure non sembri in vena.» Ridacchiò partendo.

«No infatti, ma devo cercare qualcosa da mettere per l'inaugurazione di domani. Tu verrai?» Mi tirai leggermente in avanti attendendo la sua risposta.

«Ti ci devo portare, quindi direi di sì.» Rise lanciandomi un veloce sguardo dallo specchietto.

«Giusto. Però mi piacerebbe invitarti per fare il giro con noi e tutto il resto...» sospirai ma subito dopo mi si accese una lampadina. «Ci sono! Potresti farmi da bodyguard per quel giorno. Parlerò con mia madre.»

«Vedo che gradisci molto la mia compagnia.»

«Tu non gradisci forse la mia? Che scortese.» Incrociai le braccia facendo la finta offesa.

«Certo che la gradisco, mi piace stare con te.» Rise tenendo lo sguardo sulla strada.

«Bene allora, ti farò sapere.» Mi misi di nuovo seduta composta e guardai fuori dal finestrino aspettando di arrivare a casa. Non potevo andare in giro con la divisa scolastica e per di più avevo una gran fame, non vedevo l'ora di vedere cosa aveva preparato per pranzo lo chef. Al mattino ero così immersa a ripassare tutti i miei appunti che ero scesa tardi per la colazione e dovetti subito andare a scuola. Jason aveva insistito per portarmi qualcosa all'intervallo ma gli avevo detto di lasciar stare, perché avrei dovuto usare quel tempo per ripassare ancora. Anche se non avevo idea di quanto fosse servito, la mia pancia ogni tanto brontolava distraendomi. Durante il test, per evitare situazioni imbarazzanti da parte del mio stomaco, mangiai di nascosto tre caramelle e miracolosamente funzionarono.

«Com'è andato il test a proposito?» Domandò improvvisamente mentre si fermava ad un semaforo rosso.

«Se non mi mette una A, contatterò personalmente un avvocato.» Dissi in tono minaccioso e si lasciò sfuggire un'altra risata. Avevo studiato tantissimo e avendo risposto a tutte le domande, meritavo il massimo.

«Ho notato che parli di più con Andrew, siete diventati amici?»

«Amici, credo sia un parolone... diciamo che lo sopporto di più essendo ora più gentile nei miei confronti.» Spiegai e vidi che comunque l'espressione di Jason era rimasta dubbiosa. «So che non ti fidi molto di lui, ma starò attenta.» Lo rassicurai poggiando una mano sulla sua spalla.
Annuì leggermente incerto e quando il cancello di casa mia si aprì, Jason si fermò davanti al portone scendendo subito dopo per aprirmi. «Signorina Evans, eccoci arrivati.» Mi prese per mano aiutandomi a scendere e mi accompagnò fino al portone d'ingresso facendomi ridere. Marisol nel frattempo aveva aperto e ci guardava sorridendo.
«Grazie infinite, lei è un vero gentil'uomo.» Mi inchinai stando al gioco.

«Oh, lo so.» Mi lasciò un bacio sul dorso della mano e continuai a ridere divertita a quella scena. «Signorina Marisol...» fece un piccolo inchino verso di lei salutandola.

«Signorino Jason.» Ricambiò l'inchino sorridendo dopodiché prese il mio cappotto e la borsa.

«Marisol i miei non tornano per pranzo, vero?» Domandai avendo avuto un'idea.

«No, signorina.»

«Perfetto! Allora possiamo pranzare tutti insieme.» Facendo un piccolo applauso guardai Jason. Unii le mani e lo pregai con lo sguardo. «Che ne dici Jason? Tanto dovo uscire per fare shopping dopo, tanto vale che tu ti fermi qui.»

Sembrò rifletterci qualche istante, poi annuì. «Va bene, parcheggio l'auto e arrivo.»

Esultai ed entrando in casa andai a cambiarmi prima di scendere di sotto da tutti gli altri. In due secondi mi avevano fatto tornare le energie e non sapevo nemmeno come. Credo si chiamasse semplicemente felicità. Ecco cosa ti dava energia... semplicemente la felicità che si trovava nelle piccole cose che accadevano in giornate qualsiasi.

•••

A pranzo avevo scoperto un po' di cose, ad esempio che Gloria aveva una cotta per lo chef. Sfortunatamente non si era potuto fermare a mangiare con noi, Gloria invece ne era felice perché avrebbe evitato l'imbarazzo. Marisol aveva invece uno spasimante che lei ignorava, le altre infatti la rimproveravano continuamente cercando di convincerla a dargli una chance. Non lavorava qui, a quanto pare lo aveva conosciuto una sera mentre andava al cinema. Mi sembrava quasi di sentir parlare le ragazze nella mia scuola, era divertente. Jason e Philip invece, parlarono tra di loro tutto il tempo evitando le nostre conversazioni da ragazze. Pranzare in compagnia era bellissimo, io ero sempre da sola solitamente e a cena era praticamente la stessa cosa. I miei c'erano ma l'atmosfera era totalmente diversa. Dovevi stare composta e parlare solo se interpellata o per annunciare qualcosa. Con Marisol e gli altri invece mi divertivo, mi sentivo parte di una famiglia anche se nessuno aveva alcun legame di sangue. Mi sarebbe piaciuto pranzare così ogni giorno, anche se sapevo non essere una cosa possibile. I miei prima o poi se ne sarebbero accorti e non volevo mettere nessuno nei guai. Per loro poi, sarebbe stato uno scandalo vedermi così amichevole e gentile verso il personale.

Un'oretta e mezza dopo ero in centro tra i negozi e i bar. Jason aveva parcheggiato consigliandomi di girare per tutti i negozi a piedi, invece di spostarci ogni volta con l'auto. In realtà me lo aveva consigliato anche perché continuavo ad essere indecisa su dove andare e trovare parcheggio, non era facile. Aveva preso il primo posto libero che aveva trovato.
«Devi necessariamente comprare qualcosa di nuovo ogni volta che c'è un evento?» Domandò.

«Dipende dall'evento. A volte sono i miei genitori a dirmi di prendere qualcosa di nuovo, come in questo caso. Fosse stato per me avrei indossato qualcosa che ho già... ma loro hanno detto che domani c'è l'inaugurazione e che saranno presenti giornalisti e gente importante, come l'attuale sindaco.» Spiegai velocemente camminando accanto a lui in cerca di un negozio che mi attirasse.

«Capisco.» Disse, ma sapevo che lo diceva tanto per.

«Che ne dici di Valentino? O entriamo da Chanel? Altrimenti ci sarebbe Givenchy, ho visto qualcosa di carino sul sito.» Mi voltai verso Jason che guardava i negozi con una lieve smorfia.

«Non lo so, devi decidere tu.»

Entrai in alcuni negozi e le commesse si fiondarono a servirmi come al solito. Non comprai quasi nulla per quanto fossi tentata, dovevo concentrarmi nel trovare qualcosa per il giorno seguente. Jason era silenzioso, non capivo se si trovasse a disagio o se si stesse solo annoiando, forse entrambe le cose. Lo portai da Dior dove persi un'ora a guardare due vestiti. Uno in particolare mi piaceva molto, era un abito nero in seta, corto con le maniche a tre quarti un po' gonfie in fondo. Era semplice ma carino. «Che ne pensi?» Chiesi rivolta a lui.

Jason guardò l'etichetta con il prezzo e si schiarì la gola. «Carino ma... non è un po'...?» Pressò le labbra ma non disse nulla, lasciando quella frase in sospeso.

Guardai il prezzo pensando... 3,900.00 dollari. «Dici che non ne vale?»

«Non saprei, non me ne intendo di queste cose. Ma credo potresti trovare di meglio.»

«C'è un qualche mio vestito che ti ha mai colpito?»

«Quello che hai messo alla cena dai Larson ti stava bene.» La sua risposta fu così veloce che mi sfuggì una risata.

«Andiamo a cercare qualche abito di Sherri Hill allora.» Uscii con lui dal negozio e girai qualche via per arrivare alla boutique.

«Anche li costa tutto un rene? Quanto hai pagato quel vestito?»

Risi dandogli una piccola spinta. «Credo sui settecento dollari.»

«Ah...»

Forse credeva che  fossi una snob? O che non mi curassi molto di quanto spendessi. Anche se forse era così a pensarci bene. Effettivamente io passavo solo la mia carta, senza guardare troppo, come quella ragazza nel film "I love shopping" anche se la situazione era diversa, perché lei era indebitata fino al collo e nonostante ciò continuava a comprare. Ma da un lato riuscivo quasi a capirla, anche io quando vedevo accessori o vestiti stupendi, non riuscivo quasi a resistere e mi capitava di cedere. «Pensi che io sia viziata?» Domandai all'improvviso.

«No assolutamente, so che non lo sei.» Sorrise e annuendo entrai con lui nel negozio.

La commessa si avvicinò ma le dissi subito che avrei guardato da sola. Sapevo che era il loro lavoro, ma dopo un po' diventavano stressanti. Appena ti vedevano entrare, si fiondavano come iene sulla carne fresca. Era troppo chiedere di girare in santa pace senza che ti seguissero ovunque? E ripeto, non ce l'avevo poi più di tanto con loro perché facevano solo quello che gli veniva chiesto, ma ti facevano solo venir voglia di uscire dal negozio quando si comportavano così.
Jason guardava con me i vestiti osservando sempre il prezzo. In un qualche modo lo trovavo tenero e stavo guardando più lui che i vestiti. «Jason?»

«Sì?» Alzò lo sguardo togliendo le mani dai vestiti.

«Quello che fai tu è giusto. Guardare prima il prezzo intendo... ma solo per questa volta, guarda prima il vestito. Scegli tu per me.»

«Io?» Chiese cercando di capire se fossi seria.

«Sì, tu. Da questo lato ci sono gli abiti di Sherri Hill, ma se trovi qualcosa di meglio da parte di un altro stilista fai pure. Hai tutta la boutique a disposizione.» Sorrisi e mi allontanai verso i camerini. «Ti aspetto qui.»
Mi misi seduta comoda ai divanetti e aspettai guardando ogni tanto il cellulare. Ero curiosa di vedere cosa avrebbe scelto Jason, per se aveva buon gusto, ero sicura che se la sarebbe cavata bene anche qui. Dopo cinque minuti era già davanti a me con in mano un abito rosso in velluto, decorato con alcune perline. Le maniche erano lunghe, dietro aveva la schiena leggermente scoperta, si chiudeva con la zip e in alto invece, con un piccolo fiocco. Dovevo ammettere che mi piaceva, mi alzai e lo presi dalle sue mani sorridendo.

«Ti piace?» Domandò e per la prima volta lo vidi quasi insicuro.

Guardai il prezzo, costava sui cinquecento dollari, molto probabilmente era il meno caro che avessi mai preso li dentro ed era bellissimo. «Molto, ora lo provo.»
Entrai nel camerino e mi cambiai indossando l'abito scelto da Jason. Non potevo credere che avesse anche azzeccato la taglia, mi stava alla perfezione. Tirai su la zip fino alla base della schiena, poi annodai i piccoli lacci dietro al collo facendo un fiocchetto. Infilai i tacchi e sistemai i capelli prima di scostare la tenda e uscire dal camerino facendo subito voltare Jason. Lo vidi socchiudere le labbra un istante e intanto feci un giro su me stessa guardandomi allo specchio grande che c'era vicino ai divanetti. «Cosa ne pensi?»

«Ti sta... benissimo.» Prese la mia mano facendomi fare un altro giro e squadrandomi annuì. «Mi piace. Tu piuttosto cosa ne pensi?»

«Lo adoro.» Sorrisi e rendendomi conto di avere ancora la mano nella sua arrossii. «Direi che lo abbiamo trovato, mi cambio e arrivo.»

Lasciai la sua mano tornando nel camerino e guardandomi allo specchio, imprecai mentalmente nel notare le mie guance arrossate. Mi cambiai e prendendo il vestito, andai con Jason alla cassa per pagare, dopodiché uscimmo dal negozio guardandoci intorno. Era stato lo shopping più veloce della mia vita. «Vuoi andare tu in qualche negozio? Facciamo shopping anche per te se vuoi.»

Rise scuotendo la testa. «Sto bene così, grazie.»

«Dai, dico sul serio! Per me sarebbe anche una bella occasione per vedere che negozi preferisci. Il tuo stile mi piace, sai?»

«Davvero?» Mi guardò divertito.

«Certo! Dai, fammi vedere i tuoi negozi preferiti.»

«Facciamo che ti ci porto durante il mio giorno libero o quando non sono vestito così.» Disse toccandosi la cravatta.

Alzai gli occhi al cielo e sorrisi. «Temi per la tua reputazione?»

«Certo.»

«Come vuoi.» Feci spallucce andando con lui verso l'auto.

«Abbiamo già finito?» Chiese impressionato.

«Stranamente sì. Mi hai trovato l'abito giusto in cinque minuti.»

«Quando hai detto che dovevi fare shopping, mi aspettavo di peggio.»

«E invece...»

Arrivammo all'auto e Jason prese le chiavi aprendo. «Stavo pensando ad una cosa...» mi lasciò salire e andando a sedersi poi al posto del guidatore, proseguì con il suo discorso. «Se ti portassi a casa e ti cambiassi per venire con me in un posto? Teoricamente dopo averti portata a casa dovrei staccare visto che lo shopping è finito...»

«Dove?» Chiesi interrompendolo.

«Al campo da basket nel mio quartiere. Ogni tanto facciamo delle partite abbastanza serie se siamo un buon numero.»

«Grandioso! Così potrai dimostrarmi di essere un buon giocatore come mi avevi detto.» L'idea di vedere una partita all'aperto mi emozionava. Sarebbe stata un'esperienza interessante.

«Davvero? Quindi ti va di venirci?» Chiese in tono sorpreso.

«Certo. Ma tu dovrai andare a cambiarti suppongo.»

«Ho parcheggiato la mia auto vicino a casa tua. Posso aspettare te e poi facciamo un salto a casa mia, tanto il campo è a due passi da dove abito.» Spiegò.

«Perfetto direi. Devo indossare qualcosa di casual?»

Jason mi guardò dallo specchietto e sorrise. «Jeans, felpa e scarpe basse. Devi solo stare comoda.»

Giunta in camera non ci avevo messo molto per vestirmi. Indossai un paio di jeans e un maglioncino bianco di Tommy Hilfiger che adoravo. Presi le Converse e dopo averle allacciate afferrai la borsa, per poi scendere di sotto ad avvisare Marisol. Le dissi semplicemente che sarei uscita, non sapevo a che ora sarei tornata perché non avevo idea di quanto durasse una partita amichevole di basket. Uscii dal cancello e vidi Jason alzare un braccio per attirare la mia attenzione, appoggiato ad una Range Rover nera. Avvicinandomi guardai prima la macchina, poi lui che sulle labbra aveva stampato un enorme sorriso.
«Ma guarda, guarda...» sfiorai il cofano dell'auto mentre Jason tirò fuori le chiavi.

«Visto che bella? Anche se per te, a quanto ricordo, è oltraggioso girare con questa invece della Rolls Royce.»

«In realtà, da quando avevi iniziato a portarmi in giro con quella, ho cambiato opinione. Devo dire che ho iniziato ad apprezzarla.»

«Benissimo, allora partiamo signorina Evans.»

•••

Il quartiere di Jason era ben diverso dal mio e non era molto distante dal Maple Leaf. C'erano molte palazzine un po' vecchie, alcune avevano un aspetto così decadente che sembravano abbandonate, altre però non sembravano male. Per le strade i bambini giravano da soli in gruppo, senza un adulto che gli accompagnasse. Avevano il loro pallone da basket e ogni tanto se lo passavano, senza prestare troppa attenzione in giro. Attraversavano tranquilli le strade, con la certezza forse, che tutti si sarebbero fermati anche se non erano sulle strisce. Non vedevo negozi, ma più che altro piccoli bar e qualche vecchio supermercato. Non so se mi sarei sentita al sicuro girando da sola per un quartiere simile. Non volevo di certo saltare a conclusioni affrettate ma, al momento non mi sembrava poi un luogo tanto sicuro. Ad ogni modo cercai di mettermi in testa che non potevo giudicare senza prima visitare e conoscere il posto.
Dopo alcuni giri, Jason entrò in una palazzina con il portone già aperto, forse rotto. Parcheggiò l'auto davanti ad una delle porte del garage e scese dall'auto facendomi cenno di seguirlo. Stavo per entrare davvero nell'appartamento di Jason? In effetti ero curiosa di vedere dove vivesse. Ed ero anche curiosa di vedere uno di questi appartamenti. L'unico in cui ero stata, fu a New York qualche anno prima. Era un appartamento stupendo con la vista su Central Park e tante stanze ampie e luminose. Se mai dovessi andare a studiare a New York il prossimo anno, credo prenderei proprio un appartamento come quello. Poi pensandoci, sarei libera dai miei genitori e questo renderebbe tutto ancora più bello. La mia vita avrebbe finalmente una svolta, l'unica cosa triste era che sarei stata sola.
Mi risvegliai dai miei pensieri quando Jason mi condusse verso le scale.
«Non è pulitissima questa palazzina, ti avverto.»
Mi guardai intorno e vidi tutte le cassette della posta vicine con i nomi attaccati con un pezzo di scotch. Era tutto un po' impolverato e pieno di ragnatele, compreso quello che scoprii essere un'ascensore, proprio accanto alle scale. Jason aprì e notai quanto fosse piccolo e messo male. Lo ammetto, mi spaventava, non ho mai amato gli ascensori. Se possibile prendevo sempre le scale, ad esempio quando andavo in ufficio da mia madre. Fortunatamente lei stava al secondo piano e questo mi aveva reso le cose semplici.

«Questo ascensore funziona? È a norma?»

Mi guardò con un sopracciglio inarcato come a chiedersi se fossi seria e lo ero. «Credo di sì.»

«Credi?» Iniziavo già a sentire l'attacco di claustrofobia.
Jason mi prese per mano tirandomi dentro e cliccò il tasto che portava all'ultimo piano. Quando le ante si chiusero, il mio respiro si bloccò e senza rendermene conto, stavo stringendo la manica della giacca di Jason. Lui poggiò la mano sulla mia schiena iniziando ad accarezzarla.
L'ascensore fece un rumore strano e sussultai pregando non precipitasse all'improvviso. Dopo un po' le porte si aprirono e tirai un sospiro di sollievo uscendo subito, seguita da Jason che ridacchiava divertito.

«Soffri di claustrofobia?»

«Quando non sono sicura di poter uscire da un luogo stretto e chiuso, mi sale l'ansia e non riesco quasi a respirare.»

«Mi dispiace. Allora dopo prendiamo le scale, va bene?»
Annuii accennando un sorriso per rassicurarlo e tirando fuori le chiavi di casa, aprì dando qualche giro. Il corridoio era un po' stretto, Jason aspettò che entrassi prima di chiudere la porta alle nostre spalle e accese la luce. Mi fece strada fino alla prima porta a sinistra che portava al piccolo salotto.
«Vado a cambiarmi e torno, vuoi qualcosa da bere?»

«No grazie, sto bene così.» Sorrisi e mi guardai intorno mentre Jason andava a cambiarsi.
Notai subito che era abbastanza vuoto. C'era solo un divano piazzato davanti alla TV, un tavolino, e sulle pareti c'era qualche mensola con su dei DVD e qualche vecchia cassetta. Non era male in fondo. Io avrei aggiunto qualche quadro, foto o delle piante, ma ognuno aveva i propri gusti. Dopo due minuti, Jason era già pronto, aveva indossato dei pantaloncini da basket abbinati alla canotta con sopra un numero, mentre ai piedi aveva delle Jordan un po' consumate. In tutto ciò, come al solito, stava benissimo anche vestito in modo sportivo.
«Non avrai freddo?» Fuori non è che ci fosse proprio tanto sole.

«Prendo una felpa. Prima però devo mangiare qualcosa, sto morendo di fame.» Mi fece cenno di seguirlo in cucina e aprendo il frigo iniziò a tirare fuori del prosciutto, del formaggio, qualcosa da bere e nel ripiano vicino al frigo prese del pane. «Toast?»

Ci pensai su e feci spallucce. «Perché no? Ti aiuto.»

Mentre prendevo le fette di pane, lo vidi prendere una qualche salsa dal frigo. Jason notò la mia espressione confusa e prese un pacchetto di nachos mostrandomeli. «Ti piacciono?»

«In realtà non gli ho mai mangiati, credo.»

«Allora rimediamo.»

Dopo aver preparato i toast, Jason versò i nachos in una ciotola e mise la salsa in un piattino a parte. Mettendo tutto sul tavolino ci accomodammo iniziando a mangiare. «Sai, non sono sicura sia una buona idea mangiare minuti prima di una partita.»

«Forse no, ma avevo fame. Lo faccio quasi sempre, lo stomaco vince tutte le volte.» Spiegò e risi alla sua affermazione. «Assaggia i nachos, ti piaceranno ne sono sicuro.» Jason aveva già finito il toast in qualche morso e prendendo una patatina la intinse in un po' di salsa prima di mangiarla. Io finii prima il panino poi lo imitai assaggiando. La salsa era un po' piccante ma nel contesto erano davvero buoni. Iniziai a mangiarne un po' e Jason rise. «Non vorrei dire ma... hai macchiato il tuo maglioncino firmato.»

Socchiusi le labbra e guardai la macchia di salsa sul maglioncino. «Oh...» sospirai. «Speriamo vada via, è il mio preferito...» presi un tovagliolo e mi pulii cercando di non peggiorare la situazione. «Potrei usare il bagno?»

«Porta in fondo a destra.»

Lo ringraziai e percorrendo il corridoio andai fino in fondo raggiungendo il piccolo bagno. Provai a pulire il maglioncino con un po' d'acqua, ma la situazione rimase la stessa. Mi lavai le mani e uscendo dal bagno vidi Jason indicarmi di seguirlo in camera.
Guardandomi intorno non potei fare a meno di sorridere. La stanza era blu, con appesi alcuni poster di giocatori di hockey e squadre di basket. Vicino alla finestra c'era una scrivania attaccata al muro, con qualche foglio e matita sparsi, sopra invece c'era una mensola con appoggiata su una macchina fotografica. Questa doveva essere la stanza più grande della casa, o almeno, grande quanto il salotto. Il letto era matrimoniale, sopra c'erano gettati i vestiti che Jason aveva indosso prima. Girandomi verso di lui, notai che aveva tirato fuori dall'armadio due felpe con il cappuccio.
«Metti questa.» Mi porse una felpa grigia e la presi guardandola. «So che non è nel tuo stile principessa, ma non ho altro da darti.» Rise infilandosi la sua felpa nera e così facendo, finì per scompigliarsi i capelli.

«Va bene lo stesso, grazie.» Lo guardai e lui fece lo stesso. Pressai le labbra e poco dopo sembrò capire.

«Oh certo, ti aspetto di la.»

Uscì dalla stanza e pochi istanti dopo mi levai il maglioncino, indossando la felpa di Jason. Era larghissima, mi sentivo piccola, sicuramente aveva preso una taglia più grande della sua. Però era davvero comoda e aveva un profumo fantastico. Mi guardai allo specchio e raccolsi i capelli in una coda, lasciando liberi due ciuffi davanti. Presi la borsa e tirai fuori il cellulare mettendolo nella grande tasca davanti che aveva la felpa, poi tornai da Jason che squadrandomi iniziò a ridere. Io lo fulminai incrociando le braccia e si avvicinò.
«Cos'hai da ridere?»

«Sembri ancora più piccola così. Ti sta bene.» Sfiorò la ciocca di capelli che avevo lasciato libera e sorrise.

«Grazie.» Abbassai leggermente lo sguardo sorridendo e iniziai a torturare i polsini della felpa che scendevano di continuo coprendomi le mani. «Ti dispiace se lascio la borsa qui e la riprendo prima di tornare a casa?»

«Nessun problema. Andiamo?»

«Certo.»

Prese la palla da basket e uscii con lui dal suo appartamento per poi prendere le scale.
«Il campetto è qui vicino a casa, adesso mando un messaggio a Jaden per chiedergli se è già li. Se non risponde è perché sta giocando.»

Riflettei su quello che aveva appena detto e lo guardai. «Allora, tecnicamente il non risponderti sarebbe una risposta... giusto?»

Ci pensò e annuì ridendo. «Diciamo di sì.»
Usciti dalla palazzina, Jason iniziò a palleggiare fischiettando. Io lo guardai afferrando poi la palla, ridendo sotto il suo sguardo sorpreso.
«Mi hai appena rubato la palla?» Chiese in tono divertito.

«Proprio così.» Risi cercando di palleggiare e camminare allo stesso tempo ma la mia attenzione ricadeva sempre sulla palla, che Jason poco dopo mi rubò. «Ehi!»

«Scusa principessa.» Mi fece l'occhiolino e iniziò a far roteare la palla su un dito lasciandomi letteralmente a bocca aperta.

«Ma come fai?!» Lo avevo visto fare solo in TV e sarebbe piaciuto anche a me riuscirci.

«Questione di pratica, poi ti insegno.» Sorrise tenendo poi il pallone sottobraccio indicandomi un campetto in lontananza. Si sentivano le voci dei ragazzi, sembravano un bel gruppo.
Quando ormai arrivammo davanti al campetto, i ragazzi si voltarono tutti verso di noi smettendo di giocare e Jaden nel vedermi sorrise.

«Ma guarda un po'! Non mi sarei mai aspettato di vederti qui!»

«E invece eccomi.» Sorrisi mentre salutava Jason con una delle loro strane strette di mano. Poi arrivarono tutti gli altri che lo salutarono allo stesso modo per poi squadrare me.

«Questa chi è? La tua ragazza?» Chiese un ragazzo dai capelli ricci castani e arrossii alla sua domanda.

«Lei è una mia amica.» Chiarì Jason.

«Capito. Facciamo una partita ora che sei qui? Ci mancava un giocatore.»

«Sì arrivo.»

Si girò verso di me e mi accompagnò alle panchine ai lati del campo. «Ti va di stare seduta qui? Ti lascio la palla.»

«Certo, faccio il tifo per te.» Sorrisi e lui ricambiò lasciandomi la sua palla da basket.

Corse dagli altri che si divisero a squadre, Jason e Jaden ovviamente erano insieme, il ragazzo ricciolino invece era il capitano della squadra avversaria. Iniziarono a giocare e feci del mio meglio per stare dietro alle loro mosse. Cercavo di tenere i punti ma scoprii, sentendo ogni tanto i ragazzi, che in base a dove lanciavano la palla, i punti cambiavano. Potevano valerne uno, due o persino tre. Ero leggermente confusa su questo, ad ogni modo Jason stava facendo un canestro dopo l'altro. Dopo aver segnato, si girò verso di me facendomi l'occhiolino. Io sorrisi applaudendo e poco dopo si levò la felpa correndo verso di me. «Inizia a far caldo, te la lascio qui.» Disse lasciando la felpa accanto a me mentre tornava a giocare. I suoi capelli iniziarono a diventare leggermente bagnati ai lati per via del sudore e i muscoli erano tesi. Non nego che mi persi ad ammirarlo così a lungo, da perdere il conto dei canestri che stava facendo. Alzando la canotta si asciugò il viso e deglutii guardando il suo corpo scolpito. Si levò anche quella e mi picchiai mentalmente dicendomi di distogliere lo sguardo, ma non riuscii. Come potevo? Era più forte di me. Al mio posto, tutti avrebbero continuato a guardare quell'opera d'arte. Tirò la canotta verso di me e alzandomi, la raccolsi da terra tornando poi a sedermi. Le partite di basket erano interessanti dovevo ammetterlo, man mano diventava praticamente uno spogliarello. Quasi metà della squadra era rimasta a petto nudo, io però non riuscivo a staccare i miei occhi da Jason. Diversi minuti dopo la sua squadra esultò avendo vinto e io mi lasciai sfuggire un sorriso. Andarono tutti verso i loro zaini o alla fontanella per bere, mentre Jason veniva verso di me con la mano tesa. «Prendi la palla e vieni con me.»

«Come...?» Lo guardai spaventata da quella richiesta.

«Facciamo qualche tiro.»

«No, no, no... io non so giocare.» Scossi la testa e lui alzò gli occhi al cielo.

«Ti insegno io.» Insistette.

«Mi vergogno... poi tutti si metteranno a guardare e vedranno quanto sono goffa e incapace.»

«Non lo faranno, ci sono io.» Mi rassicurò prendendomi per mano e afferrando il pallone da basket mi portò davanti al canestro. «Guarda, è facile.» Mi mostrò come fare e tirò facendo subito canestro. Recuperò subito la palla e tornando, la mise tra le mie mani.

«Ma questo canestro è altissimo...» mi lamentai.

«Non è vero, è normale.» Rise mettendosi dietro di me. «Prova.»

Tirai la palla che colpì il bordo del canestro tornando verso di me e Jason la prese al volo ridendo. «Non ridere dei miei fallimenti.» Lui lo faceva sembrare così facile.

«Scusa piccola, vieni qui.» Mi tirò a se mettendo di nuovo la palla tra le mie mani, poggiai la schiena contro il suo petto e arrossi mentre metteva le mani sulle mie. «Ora guarda verso il canestro e...» mi aiutò a lanciare e la palla fece un piccolo giro prima di entrare segnando così il mio primo punto.

Sorrisi contenta e girandomi lo guardai arrossendo. «Grazie.» Raccolsi la palla e tornai indietro porgendola a lui che sfiorò le mie mani nel prenderla.

«Allora... sei di qui? Non ti ho mai vista.» Il ragazzo ricciolino si avvicinò con gli altri e lo guardai.

«No, io... abito vicino al centro, nella zona dell'Evermore Village.» Spiegai.

Mi guardò sorpreso con le sopracciglia sollevate. «Ma davvero?» Rise fischiando. «Abbiamo una benestante qui.»

Jason mi tirò leggermente indietro, sembrava infastidito. «Lasciala stare Ethan.»

«Non ho fatto nulla di male.» Disse difendendosi e mi guardò. «Lascia che mi presenti, io sono Ethan Benson.» Fece un piccolo inchino e gli altri risero. «Tu sei?»
Questo ragazzo già non mi piaceva.

«Isabel...»

«Ehi Isabel, ti va di giocare? Noi due contro Jason.» Jaden mi interruppe proprio mentre mi stavo presentando.

«Amico, non vedi che sto conversando?» Disse per poi tornare a guardarmi. «Dicevi? Isabel...?»

«Isabel Evans.» Risposi e la sua espressione si fece cupa. Quasi sentii un brivido.

«Evans...?» Guardò Jason stringendo i pugni. «Che cosa l'hai portata a fare qui una Evans?» Il mio cognome, pronunciato dalle sue labbra sembrava veleno.

«Con me porto chi voglio, Benson.» Rispose guardandolo minaccioso.

«Non questa.» Mi indicò guardandomi quasi con disgusto.

Non capivo cosa stesse succedendo e non capivo perché quel ragazzo ce l'avesse tanto con me, io nemmeno lo conoscevo. Perché sembrava odiarmi così tanto? «Io non ti conosco, perché dovresti essere tanto arrabbiato con me?»

Si girò di scatto e si avvicinò. «Tu e la tua famiglia siete la feccia di questa città.» C'era disprezzo nelle sue parole. «Devi stare alla larga da qui perché se ti rivedo, io...»

«Tu non farai proprio un cazzo.» Jason si mise davanti a me spingendolo indietro senza fargli finire quella frase dall'aria minacciosa.

«Ah no?» Rise sarcasticamente avvicinandosi a Jason con aria superiore. «E chi mi impedirà di toccare questa puttanella? Tu...?»

Il suo sorrisino beffardo sparì nel momento in cui Jason lo colpì alla mascella facendolo cadere indietro. Sussultai coprendomi la bocca con le mani. Ethan si rialzò e i ragazzi trattennero velocemente i due prima che potesse scoppiare una rissa. Ma entrambi si dimenarono, Ethan riuscì a liberarsi e colpì Jason allo stomaco facendolo piegare dal dolore. Io corsi velocemente da lui stringendogli il braccio preoccupata per poi girarmi verso il ragazzo che lo aveva colpito. «Lascialo stare.»

«Jason, ti fai difendere da lei?» Rise squadrandomi e tirandomi dal braccio mi avvicinò a se sfiorandomi il collo. «Questi orecchini sono di diamanti suppongo.»

«Leva le tue luride mani da lei.» Jason lo fece staccare da me colpendolo di nuovo in viso. Ethan si pulì il labbro sporco di sangue mentre Jason mi riprese tra le sue braccia. Io mi strinsi a lui sperando non avrebbero ripreso a picchiarsi. «Giuro che se la tocchi di nuovo...»

«Che cosa fai?»

«Oh fidati, non vorresti saperlo.» Il suo sguardo era freddo e la mascella tesa. Non lo avevo mai visto così arrabbiato, ma tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.

«Lei è una rovina. Tutti gli Evans lo sono, ti distruggono appena possono.» Mi lanciò un'occhiataccia e io lo fulminai staccandomi leggermente da Jason.

«Non so perché provi tanta rabbia, ma io non ti ho fatto proprio nulla. E se vuoi saperlo, "gli Evans" non sono tutti uguali.»

«Come no.» Rise e guardò Jason. «Se vuoi continuare a stare qui, non portarla più. Non voglio che tocchi questo posto e sono sicuro di non essere l'unico a pensarla così. Quindi...» si rivolse di nuovo a me, «torna a girare nella zona dei ricchi perché nessuno ti vuole nel nostro quartiere.»

«Sì, sparisci!» Gridarono all'unisono alcuni del suo gruppo.

Abbassai lo sguardo e mi allontanai dal campo a passo svelto sentendomi terribilmente a disagio. Strinsi i pugni cercando di non agitarmi troppo ma mi fermai quando sentii chiamare il mio nome.
«Isabel!» Jason corse verso di me dopo essersi infilato la felpa e aver preso la palla. Io lo guardai alcuni secondi ma tornai a camminare, finché non posò la mano sulla mia spalla facendomi voltare. «Non devi tener conto di quello che dice Ethan, è un coglione.»

«Però tutti sembravano d'accordo su quello che diceva... anche se io non capivo nulla.»

«Non capivi, perché tu non hai fatto proprio niente di male.» Mi alzò il viso facendo incrociare i nostri sguardi. «Non ce l'hanno davvero con te. Sono arrabbiati per altre ragioni.»

«Ma quali...?» Domandai esasperata.

Sospirò accarezzandomi la guancia ma non rispose, invece mi abbracciò. Continuavo a non capire e i suoi gesti mi stavano confondendo ancora di più le idee. Qualche secondo dopo però ricambiai l'abbraccio perché quel contatto mi stava facendo sentire meglio. «Ti va di andare al Maple? Prendiamo la macchina.» Sussurrò tra i miei capelli.
Annuii e ripresi a camminare con Jason che avvolse il braccio attorno alle mie spalle. Lui sapeva perché mi avevano trattata così, ma a quanto pare non voleva dirmelo. In qualche modo però sarei arrivata in fondo a questa storia.
Arrivati a casa sua, presi la mia borsa e il maglioncino pronta a scendere di nuovo, ma alzando lo sguardo vidi Jason uscire dal bagno in pantaloncini. Solo in pantaloncini...
«Ti dispiace se prima faccio una doccia? Ci metto cinque minuti.»

«Oh, certo fai pure. Io starò seduta qui o in salotto, dove vuoi.»

«Va bene.» Sparì di nuovo in bagno chiudendo la porta e io mi sedetti sul letto appoggiando di nuovo li la mia roba.
Appena sentii l'acqua della doccia scorrere, mi alzai curiosando per la stanza. Mi piazzai davanti allo specchio e slegai i capelli cercando di sistemarli il meglio possibile, il mio sguardo poi cadde sulla scrivania. C'erano dei fogli, erano disegni e alcuni erano anche familiari. Solo dopo realizzai che erano i suoi tatuaggi. Mettendomi seduta guardai solo i fogli sparsi. C'era un quaderno da cui fuoriuscivano altre bozze ma non volevo essere invadente, quindi lasciai perdere. Notai però che alcuni dei suoi disegni erano firmati con le lettere "JM", il che mi rese confusa. Aveva un secondo nome? Mi alzai e guardando la macchina fotografica sulla mensola, la presi tra le mani mettendola poi attorno al collo per evitare spiacevoli incidenti e la guardai.
Mentre ero intenta a capire come si accendesse, sentii l'acqua della doccia fermarsi. Riposizionai velocemente la macchina fotografica al suo posto e prendendo le mie cose scappai in salotto. Mettendomi seduta sul divano feci finta di nulla aspettandolo per uscire e guardai il cellulare. C'erano alcuni messaggi di Andrew e Megan che mi chiedevano di uscire, ma gli ignorai, avrei usato più tardi la scusa dello shopping per l'evento di domani.
Quando Jason mi raggiunse in salotto dopo essersi vestito, non riuscii a frenare la mia curiosità. «Hai un secondo nome?» Domandai.

«Perché me lo chiedi?» Rise guardandomi confuso mentre si passava la mano tra i capelli rimasti leggermente bagnati.

«Ho visto che sulla scrivania avevi dei fogli firmati "JM", mi sono chiesta se fosse il tuo secondo nome.» Mi guardò alcuni istanti con espressione seria, forse avevo detto qualcosa di sbagliato. «Scusa, non volevo essere invadente.» Forse gli aveva dato fastidio il fatto che avessi guardato i suoi lavori.

«No, è ok. Comunque non ho un secondo nome.» Disse mettendo la giacca. «Tu ce l'hai?» Sembrava voler evitare di chiarirmi il dubbio e decisi quindi di non insistere.

«Isabel Vee Evans.»

«Vee? Davvero?» Sorrise prendendo le chiavi dell'auto e alzandomi lo seguii fuori di casa.

«Già. Ma nessuno mi chiama così.»

«Secondo me è carino.»

«Davvero?» Accennai un sorriso guardandolo mentre annuiva.

Salii in auto lasciando dietro il maglioncino e la borsa, dopodiché allacciai la cintura prima di partire. Guardando la strada notai alcuni dei ragazzi che prima erano al campo da basket e che ora, forse, stavano tornando a casa. Mi strinsi nella felpa e iniziai a guardare le mie scarpe diventate improvvisamente molto interessanti. Jason sembrò notare il mio disagio perché mi toccò la spalla facendomi alzare lo sguardo.
«Tutto bene?» Domandò rimettendo poi la mano sul volante.

«Forse credono che sia antipatica come alcune persone nella mia zona. So che c'è poca gente educata, basta vedere come Megan e Andrew hanno trattato te e altre persone. O anche i miei genitori... io non sono così però.»

Sospirò svoltando verso il Maple. «Lo so, non ci devi pensare. Loro non ti conoscono, non pensano prima di parlare.»

«Essere giudicati all'apparenza è davvero brutto.» Scesi dall'auto appena Jason ebbe parcheggiato ed entrai con lui alla tavola calda prendendo posto al solito tavolo.

«Quello che hanno detto su di te è vero?» Domandò.

«Certo che no.» Risposi subito torturando i polsini della felpa.

«Allora fregatene.» Fece spallucce e guardò il menù. «Ti va una crêpe?»

«A quest'ora? Prima di cena?» Risi guardandolo prendendogli di mano il menù.

«Perché no? Ogni ora del giorno è adatta per mangiare una crêpe alla nutella.»

«Non credo, ma va bene.» Risi mentre Jason andava al bancone da Jane che mi salutò con un cenno della mano. Io ricambiai subito e risposi poi al cellulare che aveva iniziato a suonare.

«Isabel, ma dove sei?» Dal tono di voce mia madre sembrava innervosita.

«Oh ciao mamma, sono al centro commerciale...» mi inventai. «Megan doveva prendere delle cose.»

«Oh, sei con Megan.... allora va bene. Ma perché non ti sei portata l'autista? Ho visto l'auto parcheggiata in garage.»

«Megan preferiva usare la sua auto oggi. Comunque non aspettatemi per cena, noi pensavamo di mangiare fuori se possibile.»

«Mm...» sospirò non convinta, ma alla fine cedette. «Basta che non fai tardi, domani è un giorno importante.»

«Tranquilla, a dopo.» La salutai staccando mentre Jason tornava con due piatti di crêpes.

«Tutto ok?» Domandò sedendosi davanti a me dopo avermi lasciato il piatto.

«Sì, era solo mia madre che mi diceva di non fare tardi.»

«Devi tornare per cena?»

«Mi sono inventata una cena fuori con Megan, quindi non mi aspettano. Tu comunque non sei obbligato a stare con me se hai da fare.»

«Credo di essere libero, a meno che non mi chiami Jaden per le sue solite idee pescate all'ultimo minuto... ma nel caso ti portiamo con noi.» Diede un morso alla sua crêpe facendomi l'occhiolino e sorrisi mangiando anche io prima che si raffreddasse.

«Comunque grazie per aver preso le mie difese al campo. Ti ha fatto male quel ragazzo? Ethan...»

«No tranquilla, credo di avergli fatto più male io.» Rise finendo tranquillamente di mangiare. Io invece ero dispiaciuta per la situazione.
Jason era stato gentile a difendermi, certo, aveva attaccato un ragazzo... ma lo aveva fatto per come mi stava trattando. Sapevo che aveva già fatto delle risse ma onestamente non mi sarei aspettata di vederlo picchiare qualcuno davanti ai miei occhi. Ralph, il cameriere, passando mi fulminò e senza rendermene conto alzai gli occhi al cielo. Evidentemente era successo qualcosa che gli aveva infastiditi. Che fosse l'apertura del Royal? Però non aveva molto senso.
«Isabel?»
Mi risvegliai dai miei pensieri e guardai Jason che mi indicò il cellulare sul tavolo, facendomi notare che qualcuno mi stava chiamando. Metterlo in modalità silenzioso pareva non essere servito. Risposi un po' controvoglia vedendo chi era.

«Andrew, ciao!»

«Ciao Isabel, sei a casa?» Domandò e sentii un rumore di auto in sottofondo, quindi lui era sicuramente in giro.

«No, perché?»

«Nulla, pensavo di fare un giro. Dove sei?»

«A cena fuori.»

«Ah, con chi?» Domandò.

Guardai Jason pensando. Non potevo dirgli che ero con Megan come avevo fatto con mia madre, lui avrebbe potuto chiedere conferma a lei. «Con i miei. Scusami tanto ma devo staccare... ci vediamo domani.» Staccai in fretta e misi il cellulare in tasca.

«Oggi ti cercano tutti, eh?»

«Già, sembrano farlo apposta.» Alzai gli occhi al cielo e guardai fuori notando un'auto familiare passare davanti al Maple. Non erano molti ad avere un auto come quella, ma subito dopo si allontanò girando l'angolo e mi tranquillizzai.

«Cosa succede?» Jason seguì il mio sguardo confuso.

«Nulla, pensavo di aver visto qualcuno che conoscevo.»

•••

In centro era pieno di luci, tutto era illuminato e tante persone giravano per le vie o stavano sedute nei bar. La città sembrava molto più viva a quell'ora anziché di pomeriggio.
«Guarda...» Jason indicò un carretto dove facevano lo zucchero filato. «Te lo avevo detto che c'era.»

«Ma non è giusto! Perché dovrebbero farlo solo la sera?» Mi lamentai avvicinandomi nel frattempo per prenderne uno.

«Perché di sera è tutto diverso. Il pomeriggio è banale.» Fece un gesto con la mano e risi.
Chiesi all'uomo il mio zucchero filato e gli porsi la banconota. Mi lasciò tutto il resto in moneta, ma non avevo voglia di tenerlo in tasca così cercai di pensare a qualcosa guardandomi intorno.
«Cosa cerchi Isabel?»

«Non ho voglia di tenere il resto.» Contai le monete e vidi una bambina e un bambino avvicinarsi al carretto. «Ciao!» Li salutai sorridendo e loro mi guardarono un po' confusi. «Vi piace lo zucchero filato?»

«Sì!» Annuirono mentre quelli che dovevano essere i genitori, si avvicinarono a loro.

Io mi voltai verso l'uomo dietro il carretto e gli porsi di nuovo le monete. «Questi due bambini vorrebbero dello zucchero filato, tenga pure la moneta che rimane.»

«Grazie!» Urlarono i bambini contenti e sorridendo mi allontanai con Jason.

«Li hai conquistati con lo zucchero filato!»

Risi dando un batuffolo di zucchero a Jason. «Hai visto come erano contenti? Non pensavo che un'azione semplice come questa, potesse farmi sentire bene.»

«I sorrisi fanno sempre sentire bene qualcuno. Soprattutto se sei tu a crearli.» Guardai Jason e pensai alle sue parole così dolci e vere. Lui prese un altro batuffolo di zucchero e se lo portò alle labbra. «Mangia, o potrei finirtelo io.»

Risi mangiando e, camminando con lui per le vie, mi fermai davanti ad un piccolo negozio di costumi. «Non ho pensato a cosa indosserò alla festa di Halloween, sempre se si farà.»

«Una festa?»

«In teoria dovrebbe organizzarla Andrew per la scuola, gli ho dato qualche idea su dove farla. Presto dovrebbe aggiornarci, anche perché non manca molto.»

«Ci sono tanti personaggi che potresti fare.»

«In realtà in pochi si travestono seriamente. Di solito indossiamo solo abiti da sera e una maschera.»

«Ah, capito. Allora sarai una vera principessa quella sera, scommetto che ti eleggeranno e ti faranno indossare la corona.» Rise e mi contagiò mentre lo spintonai scherzosamente. Gettai il bastoncino dello zucchero filato in un cestino e ripresi a camminare con lui. «Quello non è Larson?» Jason fece cenno con la testa verso un bar e sussultai girandomi di scatto.

«Non posso farmi vedere da lui, pensa che io sia con i miei.»

«Ok tranquilla.» Mi tirò su il cappuccio e lui fece lo stesso prendendomi per mano. «Non ti riconoscerà vestita così, tu non guardarlo.»
Annuii e girandomi di nuovo, alzai solo di poco lo sguardo notando che non era solo. C'erano Matt e Magan con lui. Io proseguii tranquilla con Jason guardando avanti mentre lui mi teneva la mano. Il cellulare vibrò nella mia tasca e pressai le labbra vedendo il nome di Megan sullo schermo, se non rispondevo magari avrebbe chiamato a casa conoscendola.

«Megan, dimmi.» Risposi continuando a camminare.

«Andrew mi ha detto che sei a cena con i tuoi, eppure passando davanti la tua villa ho intravisto qualche luce accesa.»

«Il personale stacca intorno alle dieci, lo sai.»

Sentii bisbigliare in sottofondo, poi parlò. «Non quando tu e i tuoi siete fuori. Non avevano la cena da preparare, quindi non avrebbero avuto motivo di restare. Dimmi la verità Bella, dove sei? Sono tua amica, ci diciamo sempre tutto.» Ridacchiò e sbuffai silenziosamente. Doveva mettersi a fare la detective proprio stasera? Ad ogni modo non era così intelligente, ero più che certa fosse stato Andrew a farle dire quelle cose.

«Sono fuori con i miei, che tu ci creda o no.» Risposi fermandomi in un angolo poco affollato. Jason poggiò un orecchio vicino al mio cellulare e io lo lasciai ascoltare.

«Allora non è un problema se chiamo a casa tua...»

Jason e io ci guardammo, lui sembrava irritato quanto me. Prese il cellulare dalle mie mani e fece per rispondere ma lo bloccai. «Cosa vuoi fare?» Sussurrai.

«Vogliono giocare? Allora giochiamo.» Si portò nuovamente il cellulare all'orecchio e io lo guardai con il cuore che batteva dall'ansia. «Trovateci.» Disse e staccò.

Mi porse indietro il cellulare e lo misi nella tasca dietro dei jeans ridendo. «Tu sei pazzo!»

«Lo so!» Rise e tenendomi la mano mi tirò a se guardando verso il punto in cui erano prima Megan e Andrew. «Aiutiamoli un po' altrimenti non ci troveranno mai e non potremmo divertirci.» Mi tirò verso il bar ma restammo comunque ad una certa distanza, giusto da riuscire a vederli. Andrew sembrava abbastanza irritato, in effetti sembrava il vecchio Andrew di prima. Jason li guardò e portando le dita alle labbra fischiò facendo voltare diverse persone, compresi gli interessati. Jason rise sistemandosi il cappuccio e mentre i tre cercavano di farsi largo tra la folla, Jason mi fece cenno di seguirlo verso la parte opposta. Iniziammo a correre cercando di non andare addosso a nessuno, era praticamente uno slalom tra la gente. Svoltammo in una via tranquilla fermandoci a metà per vedere se ci avevano raggiunti, ma nulla. Riprendemmo fiato e quando ormai li stavamo dando per persi, spuntarono all'angolo. «Andiamo!» Jason non aveva mai lasciato la mia mano e riprendemmo a correre verso una meta indefinita. Dopo qualche minuto però sentii il rumore di un auto e voltandomi la vidi. L'auto di Andrew.

«Jason...» richiamai la sua attenzione indicando dietro di noi.

Lui si voltò per qualche secondo e svoltammo in una via poco illuminata schiacciandoci contro la parete. Restando in silenzio ascoltavamo e guardavamo verso la strada. L'auto ci superò lentamente ma ad un tratto frenò, ci avevano visti. Stavolta guidai io Jason verso un'altra strada, correndo velocemente per trovare un qualche nascondiglio. In vita mia non avevo mai corso tanto e sapevo che l'indomani, le mie gambe sarebbero state doloranti. Mi bloccai prima di essere tirata da lui in un vicolo. «Devi fidarti di me, ok?»

Annuii e lui saltò su un cassonetto chiuso della spazzatura allungandomi la mano. «Jason non posso, è troppo alto!»

«Non lo è! Ti aiuto io!» Tenne la mano tesa mentre sentivo l'auto avvicinarsi sempre di più. Non sapendo neanche se in realtà fosse Andrew o una persona a caso. Presi una piccola rincorsa e afferrai la mano di Jason salendo sul cassonetto attaccato al muro.

«E ora?» Domandai.
La risposta non tardò ad arrivare, Jason salì sul muretto e saltò dall'altra parte. Fu li che capii quanto fosse pazzo, più di quanto credessi. Salii anche io sul muretto e guardai giù, erano poco più di due metri. Per Jason forse non era molto, ma per me sì.

«Fidati di me.» Mi fece cenno di scendere tendendo le braccia verso di me. Mettendomi seduta sul muretto guardai indietro.

L'auto si era fermata e Megan aveva abbassato il finestrino. «Isabel Evans! Ma sei impazzita?!»

Non risposi e mi spinsi giù dove Jason mi prese subito tra le braccia. Notai che eravamo vicino al parcheggio dove aveva lasciato la sua auto e risi andando con lui verso la Range Rover. Entrammo velocemente dentro e prendemmo fiato prima di scoppiare a ridere.
«Non posso credere di averlo fatto davvero!» Poggiai una mano sul cappuccio e cercai di smettere di ridere.

«"Isabel Evans!"» Jason imitò Megan facendomi ridere di più. «Pensa di essere tua madre?»

«E la faccia di Andrew quando hai fischiato?» Dissi mentre lui riprendeva a ridere.

«Credo stiano facendo il giro con l'auto, sono la in fondo. Abbassati.» Calò il silenzio e ci abbassammo entrambi.

«Adesso so come si sentono i ricercati.» Ridacchiai e quando l'auto se ne andò, tornammo a sederci composti.

Jason guardò nella mia direzione con un sorrisino e io feci lo stesso. «Credo di essere una cattiva compagnia per te.» Disse avvicinandosi e incrociò le braccia appoggiandosi nello spazio tra i sedili.

«Allora credo mi piacciano le cattive compagnie.» Risposi ridendo e lo guardai tirandogli leggermente il laccio della felpa.
Lui fece lo stesso fino a sfiorare il mio cappuccio, tirandomi più vicina. Arrossi poggiando la mano sulla sua e quando il cellulare vibrò, sussultai tirandolo fuori dalla tasca. Jason sospirò guardando lo schermo e accettando la chiamata misi in vivavoce.
«Sì, Megan?» Chiesi annoiata.

«Si può sapere cosa stai facendo? E chi era quello? Andrew è convinto sia il tuo autista ma io non ci voglio credere. Ora spiegami.»

«Non ho nulla da dirti, oggi avevo voglia di uscire e fare un giro.»

«Con il tuo autista?»

«Non con il mio autista.» Guardai Jason sfiorandogli involontariamente la mano. «Con un amico. Non ti preoccupare, sto bene.» Staccai e poggiai la schiena al sedile. «Suppongo di dover tornare a casa ora.»

«Sicura di non voler scappare da qualche altra parte?»

Risi guardando avanti e per qualche secondo ci pensai. Non sarebbe stata una cattiva idea. «Magari un giorno scapperò.»

«Dove?»

«Dove capita.» Feci spallucce e incrociai il suo sguardo.

«Eppure ci sarà un posto in cui vorresti andare più di tutti.»

«In effetti sì. Tu dove andresti?» Domandai mentre Jason metteva in moto partendo.

Sembrò pensarci e sospirò. «In questo mondo non esiste il posto dove voglio davvero andare.»

«Nemmeno il mio.» Risposi.

«Ovvero?»

«L'isolachenoncè.»

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