Capitolo 10
Mi stavo per svegliare, me lo sentivo... ma da un lato, i miei occhi sembravano non volerne sapere di aprirsi. Sentivo di non avere più la testa sul cuscino, ma ero comunque comoda e sempre al caldo. Udii un lamento e due braccia mi strinsero. Il petto di Jason si alzava e si abbassava regolarmente, sentivo i battiti del suo cuore ed era rilassante. La sveglia iniziò a suonare e la maledii mentalmente mentre Jason si lasciò sfuggire un altro lamento tenendomi a se. Nascosi il viso contro il suo petto mentre le nostre gambe si intrecciarono.
«Odio le sveglie.» Sussurrò con voce roca e alzando lo sguardo lo vidi socchiudere gli occhi.
«Anche io...» sussurrai e dopo un po' calò di nuovo il silenzio.
«Riprenderà a suonare tra cinque minuti, vero?»
«Sì...» annuii e mettendoci tanta forza di volontà, mi misi seduta. Passai una mano sul viso e mi alzai stiracchiandomi. Andai a prendere il cellulare e staccai la sveglia successiva per poi correre a prepararmi. Oggi a scuola ci sarebbe stata un'assemblea quindi le lezioni, fortunatamente, erano state sospese. Dopo aver indossato la divisa corsi in bagno scontrandomi quasi con Jason, che stava uscendo e sembrava prendersela comoda. Misi del correttore attorno all'occhio e andai a prendere gli occhiali da sole. «Pronto?»
«Io da un pezzo. Oggi non devo litigare con la camicia e la cravatta.» Si passò una mano tra i capelli e infilò la giacca. «I tuoi sono già usciti?»
«Sì, di solito escono molto presto.» Presi la borsa e andando alla porta, la socchiusi controllando il corridoio. «Nessuno in vista. Se ti vedono, inventa qualcosa.»
«Va bene, se chiedono dirò che sono entrato di nascosto a notte fonda e ho passato la notte con te a parlare di tatuaggi.» Disse sarcastico e lo fulminai.
«Che stupido che sei, dai vieni.» Percorsi il corridoio seguita da Jason e scesi velocemente le scale facendogli cenno di proseguire dritto verso l'uscita. Io intanto girai l' angolo andando in sala da pranzo per prendere qualcosa da mangiare.
«Signorina Isabel, non si ferma nemmeno oggi?»
«Oh, buongiorno Gloria!» La guardai tenendo una brioche in mano. «Devo scappare a scuola per l'assemblea. Posso chiederti se per favore posso portare via due brioche?»
«Ma certo! Gliele metto in un sacchettino di carta, va bene?»
«Sì!» Sorrisi rimettendo a posto la brioche e aspettai.
Gloria arrivò subito dopo seguita da Marisol che mise le brioche nel sacchetto e me lo porse. «Vuole anche qualcosa da bere?»
«No, va bene così. Ora devo scappare!» Salutai entrambe e andai verso la porta «Muchas gracias ad entrambe!»
«De nada signorina!» Risposero all'unisono sorridendomi.
Jason aveva già preso l'auto e mi aspettava. Salii al posto del passeggero e allacciai la cintura mentre partiva. «Ti ho preso una brioche calda.»
«Grazie. Oggi non hai libri vedo.»
«Niente lezioni, c'è un'assemblea.»
«Allora cosa vai a farci a scuola? Meglio andare a fare un giro.»
«Ma si parlerà anche delle elezioni per i rappresentanti del corpo studentesco.» Spiegai trattenendomi dal mangiare subito la brioche.
«Ti candidi?» Mi guardò di sfuggita curioso.
«Non fa per me. Anche se ai miei genitori farebbe piacere.» Qualsiasi cosa che portasse ad essere il numero uno o al potere, a loro era gradita. Anche una banale candidatura a scuola.
«Alla fine devi fare quello che piace a te.»
«Non sempre è possibile.»
«Tutto è possibile.»
«Ci sono delle regole.» Lo guardai mentre lui teneva lo gli occhi sulla strada.
«Le regole sono fatte per essere infrante, soprattutto quelle di cui parli tu.»
«E di che regole starei parlando io?» Chiesi incrociando le braccia.
«Quelle imposte dai tuoi genitori immagino.» Entrò nel parcheggio della scuola e si fermò. «E tu non dovresti farti mettere i piedi in testa da loro.»
«Non mi faccio mettere i piedi in testa.»
Alzò gli occhi al cielo togliendo le chiavi dal nottolino. «Come no.»
Inarcai un sopracciglio guardandolo. «Scusami?»
«Se non eri una che si faceva mettere i piedi in testa, ieri saresti riuscita a pararti il culo da sola con tuo padre.»
Mi stava davvero parlando in questo modo? Ora mi stavo innervosendo, non poteva comportarsi così. «Avrei gestito la situazione anche senza il tuo aiuto!»
«Per quello dopo mi hai ringraziato e hai insistito perché dormissi da te?»
«L'ho fatto per essere gentile. Fuori stava diluviando!»
«Tutte scuse, ti ho salvata e ti sei sentita in dovere di sdebitarti. Perché senza di me, probabilmente, saresti stata in guai seri. Magari tornavi con un altro occhio nero.»
Lo guardai scioccata a quelle parole, non potevo credere a ciò che le mie orecchie avevano appena sentito. Presi la borsa arrabbiata e uscii dall'auto dopo aver lanciato il sacchetto a Jason. «Spero tu gradisca la colazione.» Andai verso l'ingresso ma lui mi seguì a passo svelto piazzandosi davanti a me.
«Fai così perché sai che ho ragione.»
«Faccio così perché non ti devi permettere di parlarmi in questo modo. E comunque hai torto.»
Dalle sue labbra uscì una risata sarcastica. «So di aver ragione. Sei la solita principessa che deve essere salvata.»
Lo superai andando all'ingresso e sentendomi bloccare il braccio mi girai di scatto arrabbiata. «Basta!» Andrew mi guardò e sospirai. «Pensavo fossi qualcun altro.»
«Ah bene. Meglio così in effetti.» Mi camminò accanto seguendomi lungo il corridoio per andare il aula magna. «Volevo dirti che ho deciso di candidarmi come rappresentante degli studenti.»
Trattenni una risata, Andrew era la persona meno adatta per fare il rappresentante. «Penso dovresti concentrarti di più sullo studio.»
«Sto andando bene, non preoccuparti per quello.»
Megan mi corse incontro salutandomi. «Ciao tesoro eccoti! Ho già preso i posti in aula magna.»
«Oh bene.» Cercai di essere interessata a tutto quello che mi dicevano, ma in realtà non lo ero. Stavo pensando alle parole di Jason e più ci pensavo, più mi saliva il nervoso. Non dovrebbe permettersi di parlare senza conoscere me o la mia vita. Sapevo difendermi da sola e non avevo assolutamente bisogno di essere salvata, come invece sosteneva lui.
«Isabel, mi stai ascoltando?» Megan mi prese a braccetto trascinandomi in aula magna.
«Certo, dimmi.»
«Sosterrai la candidatura di Andrew? Potremmo aiutarlo con i voti.»
«Non lo so, vedremo. Prima dobbiamo ascoltare i discorsi di tutti.»
Arrivate ai nostri posti in prima fila, mi sedetti poggiando la borsa sulla sedia vuota accanto alla mia. Megan invece si sedette dall'altro lato iniziando a fare video con il suo cellulare.
«Ciao Isabel!»
Mi voltai e sorrisi vedendo Diana accanto a me con lo zaino in spalla. «Diana! Sei con qualcuno?»
«No. Ho pure fatto fatica a trovare questo posto, non ricordavo dove fosse.»
«Vieni, siediti qui.» Spostai la mia borsa e Diana si sedette sotto lo sguardo un po' contrariato di Megan.
«Grazie. Tu non ti candidi? Saresti un'ottima rappresentante.»
«Questa è l'unica cosa intelligente che le ho sentito dire da quando è arrivata.» Disse Megan accavallando le gambe.
Sorrisi e scossi la testa sistemandomi gli occhiali da sole. «Non fa per me.»
L'ora successiva fu di una noia incredibile, tutti dicevano praticamente le stesse cose e si sapeva, le loro erano solo parole. Tutti dicevano di voler fare grandi cose per migliorare la scuola, ma alla fine eravamo sempre punto e a capo. Quello che contava davvero, era vincere e acquisire crediti praticamente regalati.
«Megan...» le toccai la spalla parlando sottovoce per non disturbare nessuno. Lei mi guardò avvicinandosi per ascoltare. «Vado un attimo ai servizi e poi a prendere qualcosa da bere alle macchinette. Tu resti qui?»
«Sì, tra poco potrebbero litigare e non devo perdermi niente. Se succede qualcosa comunque ti avviso.» Disse tenendo il cellulare in mano pronta a filmare qualsiasi scandalo scolastico.
«Tu Diana?» Domandai girandomi verso di lei.
«Vengo con te, ho bisogno di camminare un po' non ce la faccio più.»
Risi e alzandomi con lei, uscii dall'aula arrivando nel corridoio fuori. «Finalmente si può parlare. Stava diventando una tortura ascoltarli.»
«Già, non so nemmeno perché sono venuta oggi. Potevo stare a casa e fare qualcosa di utile.»
«Hai ragione.» Andai con lei in bagno e piazzandomi davanti allo specchio abbassai leggermente gli occhiali controllando di essere in ordine. «Forse tornerò a casa, poi chiamo il mio autista.»
«Abiti lontano?»
«Non molto. In macchina credo saranno...» aprii la mano facendo qualche calcolo. «Cinque minuti circa.»
«Com'è avere un autista?» Chiese quasi sognante.
«Comodo. Anche se il mio è invadente.» Alzai gli occhi al cielo e mi appoggiai al lavandino. «Il mio primo autista è andato in pensione e lui è nuovo. Parla davvero tanto.»
Diana sembrò divertita. «Quanti anni ha?»
«Venti.»
«Ed è carino?»
La guardai e involontariamente sentii un sorriso formarsi sulle mie labbra. «Devo ammetterlo, lo è.»
«Forse non è invadente, oppure lo è ma in realtà gli piaci e vuole conoscerti.»
«Cosa? No!» Arrossii e nel frattempo uscii con lei dal bagno andando alle macchinette. «Non gli piaccio, non in quel senso almeno. Poi sarebbe sconveniente.»
«Se lo dici tu.» Fece spallucce prendendo qualcosa alla macchinetta accanto alla mia. «Quindi a te non piace?»
Ma perché mi faceva queste domande? O meglio, perché tutti pensavano ci fosse qualcosa? «No, è solo un amico...»
«Chiedevo perché prima, sembravi esserti illuminata quando ti ho chiesto se fosse carino.» Rise e sentii le guance scaldarsi di nuovo.
«Siamo solo amici... credo. Abbiamo avuto una piccola discussione stamattina.» Ammisi.
«Oh, mi spiace. Come mai?»
«Perché come ti dicevo prima, è invadente e parla a sproposito.» Sospirai e lei rise di nuovo. Non capivo cosa ci trovasse di tanto divertente, ad ogni modo fece poi ridere anche me.
•••
«Andrew vincerà, ha fatto il suo discorso per primo e ha parlato della festa di Halloween che vuole organizzare in palestra. Sarà una bomba.» Megan era entusiasta e continuava a fissare Matt che praticamente era il braccio destro di Andrew.
«Ovvio che avrebbe parlato di qualche festa. Infatti ha conquistato molte persone a quanto pare.» Guardai l'ora e Megan poggiò la mano sulla mia spalla.
«Ho visto che hai di nuovo la Rolls Royce. Potremmo farci un giro invece di tornare a casa.»
«Si potrebbe fare, chiedo a Diana se vuole venire.»
Sbloccai il cellulare ma Megan me lo levò subito dalle mani. «Ma che ti prende Bella? Quella ragazza non può uscire con noi... è una novellina sfigata. Non è al nostro livello.»
Ripresi il cellulare e la guardai diversi secondi chiedendomi se sarebbe mai cambiata. Che era vanitosa, leader e un po' viziata lo sapevo. Ma forse era peggiorata nell'ultimo periodo. «Io invece penso di sì.»
«Beh sì... se intendi usarla come assistente o come quella che svolge i tuoi compiti e le ricerche.» Sembrò illuminarsi e schioccò le dita. «Ma certo! Questa è un'idea fantastica!»
«Megan, no.» Sospirai incrociando le braccia. Era un caso perso.
«Ehi ragazze.» Andrew e Matt ci affiancarono sorridenti e Megan si perse a guardare la sua cotta rigirandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita. «Io e Matt pensavamo di andare al Luxury dopo scuola, che ne dite?»
«Mi sembra un'idea fantastica, ci vediamo direttamente la!» Rispose subito Megan trascinandomi via, senza avere la possibilità di dire nulla.
«Meg, io non volevo andare.»
«Fallo per me, dai! Lo sai che sto cercando di conquistare quella meraviglia.» Lanciò uno sguardo veloce a Matt prendendo un quadernino e aprendolo lessi una lista di nomi.
«Che cos'è?» Mi avvicinai per leggere meglio e notai che c'erano solo nomi di ragazzi.
«Io ed Alison qualche giorno fa, durante l'ora di supplenza abbiamo buttato giù una lista.» Passò un dito sui nomi, tra cui c'era anche quello di Andrew. «I ragazzi con cui faremmo volentieri qualcosa.»
Sono sicura che la mia espressione in quel momento sarebbe risultata disgustata, cercai di trattenere la smorfia e presi il quadernino. Tutto questo mi sembrava un film trash per teenager e Meg mi ricordava sempre di più Regina George di "Mean Girls", ed effettivamente d'aspetto ci assomigliava pure. «Per quello stai dietro a Matt? Si tratta di una specie di gara a chi si fa più ragazzi belli e popolari?»
«Non proprio. Matt mi piace davvero.» Si riprese il quaderno cerchiando il suo nome e mise tutto nella borsa. «Ci porta il tuo autista al Luxury? Ehi! Potremmo dire ai ragazzi di venire con noi!» Fece per tornare dai ragazzi ma la bloccai scuotendo la testa. A volte le partiva questo schizzo di decidere tutto lei, anche se i mezzi non erano suoi.
Quando finalmente arrivò l'ora di uscire, andai con Megan al parcheggio ma Jason stranamente non c'era. Eppure solitamente era puntuale o in anticipo, forse era successo qualcosa o era bloccato nel traffico. Presi il cellulare ma in quel momento arrivò e scendendo, corse ad aprirci la portiera. Megan entrò per prima, come se l'auto fosse sua e io guardai di sfuggita Jason prima di salire. Lui tornò al suo posto e Megan schioccò le dita per attirare la sua attenzione. «Portaci al Luxury.»
Ok, ora stava esagerando. Jason la guardò dallo specchietto mettendo in moto. «La parola magica?»
«Come dici?» Megan abbassò lo specchietto con cui si stava guardando e con aria scioccata guardò Jason mentre io trattenevo un sorriso.
«Non sono il tuo autista e dovresti imparare a portare rispetto alle persone. Un "per favore" come minimo sarebbe gradito.» Rispose calmo e fermo partendo subito dopo per il Luxury. Ero colpita, non mi aspettavo quella risposta da lui.
«Ma l'hai sentito? Dovresti dirgli qualcosa.» Megan mi guardò sbigottita.
«Cosa dovrei dirgli? Che ha ragione?» Lo guardai e potei notare le sue labbra curvarsi in un piccolo sorriso.
«Mi spieghi cosa ti prende in questo periodo? Ti comporti da vera stronza.» Chiuse di forza lo specchietto mettendolo nella sua borsa.
«Sono stanca Meg. Sono solo stanca di tutto.» Sospirai e guardai verso il finestrino aspettando di arrivare al bar. Era calato il silenzio in auto, ma era meglio così, non volevo conversare e rischiare di dire cose poco educate.
Non impiegammo molto tempo per arrivare a destinazione. Jason parcheggiò nella zona riservata e dopo essere scesa, Megan entrò subito nel bar mentre io restai in piedi fuori dall'auto. Avevo l'istinto di abbandonare la mia amica li dentro e scappare, ma non potevo farlo. Jason mi guardò stando in piedi vicino all'auto, aspettando forse qualche mia parola. «Credo sarò bloccata qui per una mezz'oretta.»
«Certo, vuoi chiedere alla tua amica per sicurezza?» Domandò in un tono sarcastico che mi infastidì leggermente. «No sai, perché avevo già notato il tuo disinteresse nel venire qui. Ma ovviamente tu fai quello che dicono gli altri, come sempre... perché non sai prendere una decisione, non sai rischiare e non sai dire "no".»
«Sbaglio o parlavi di rispetto in auto? Perché qui, io non lo vedo.» Strinsi leggermente i pugni guardandolo ad occhi stretti. Stava testando la mia pazienza in queste ore e non sapevo quanto avrei resistito.
«Isabel, vieni. Abbiamo già preso i posti.» Andrew si avvicinò poggiandomi una mano sulla spalla e guardando Jason, lo fulminò. «Lui può anche andarsene, se vuoi ti porto io a casa dopo.»
Poteva sembrare assurdo, ma riflettei sulla proposta di Andrew. In quel momento ero arrabbiata e avevo l'impressione che se avessi accettato, la cosa avrebbe infastidito Jason. «Va bene... Jason puoi andare, se ho bisogno ti chiamo io.» Lo avevo detto e da un lato me ne ero già pentita. Il suo sguardo ora era freddo come il ghiaccio e facendo un piccolo cenno con la testa rientrò in auto partendo. Non sapevo perché, ma improvvisamente sentii un'ondata di tristezza. Andrew al contrario si fece sfuggire una risata e mi accompagnò dentro ai nostri posti.
•••
Più tardi eravamo rimasti solo io e il giovane Larson al tavolo. Megan era andata via con Matt, che si era gentilmente offerto di accompagnarla a casa. Me ne sarei andata anche io, se non fosse stato per il fatto che avevo mandato via il mio autista.
«Ascolta Bella...» Andrew sospirò poggiando la mano sulla mia ma io la sfilai. «Mi dispiace per come ti ho trattata, non lo meritavi.»
«Già.» Ero confusa, Andrew Larson si stava scusando con me. Perché si stava scusando? C'era qualcosa che non andava, non credevo alle sue parole e sembrò capirlo.
«So che fai fatica a credermi, dopotutto sono stato uno stronzo con te. Non so nemmeno come fare per dimostrarti che sono sincero, suppongo ci vorrà del tempo e lo capisco.»
«Come hai detto tu, faccio un po' fatica a crederti se devo essere sincera.»
«Non ti biasimo, ma ho passato un periodo difficile... mio padre mi ha messo addosso più pressioni del solito e credo di essermela presa con le persone sbagliate. Anche se non mi credi... ti chiedo scusa.» Sospirò passandosi una mano tra i capelli e i suoi occhi verdi sembrarono diventare leggermente lucidi, ma il secondo dopo si ricompose. Alzandosi, andò al bancone e lo guardai iniziando a pensare a ciò che mi aveva detto. Il fatto che il padre lo caricava di pressioni poteva essere vero, alla fine non sapevo quanto potessero essere diversi i nostri genitori, questo ad ogni modo non poteva giustificare il suo comportamento. Anche io avevo i miei periodi difficili, ma non credo di aver mai trattato male qualcuno... beh, a parte Jason una volta. Andrew tornò dopo aver pagato e lasciato la mancia, per poi guardare l'ora. «Vuoi che ti riporti a casa?»
«Sì grazie.» Mi alzai prendendo la borsa mentre Andrew faceva uno squillo al suo autista.
«Ok, sta arrivando. Ha parcheggiato la dietro.» Indicò un punto in fondo e tornò a guardarmi. «Non volevi venire al Luxury con noi, vero?» Accennò un sorriso a quella che più che una domanda, sembrava un'affermazione.
«In verità, no. Però Megan mi ha trascinata.» Feci spallucce e quando l'auto si fermò davanti a noi, Andrew aprì facendo entrare prima me.
«Immaginavo. Ad ogni modo volevo parlarti di una cosa...» lo guardai e lui mise subito le mani avanti. «Non è un favore, tranquilla. Volevo parlarti delle elezioni a scuola.» Mi mostrò la lista dei candidati e un foglio con altri nomi. «Teoricamente sono in lista con Matt, lui sarebbe il mio braccio destro se vinco. Ho pensato però che anche tu forse potresti essere interessata, se vuoi posso inserirti con me. Alla fine a Matt non dispiacerebbe, anzi, l'ho praticamente corrotto per farmi da supporto.» Presi il foglio e spostai lo sguardo dai nomi a Andrew.
«Ma non ti ho aiutato e non ho fatto un discorso, non sarebbe giusto.»
«Isabel, so che questa cosa può interessarti e i tuoi ne sarebbero fieri. Per non parlare del fatto che avresti crediti extra...»
«E lavoro extra.» Dissi interrompendolo. «So come funziona, ma preferisco concentrarmi sullo studio.» Porsi indietro i fogli scusandomi. Da un lato quella proposta mi allettava ma, non potevo rischiare di ritrovarmi con troppi incarichi, era l'ultimo anno e volevo restare tranquilla. Un'altra ragione era che avevo paura di perdere e se avessi perso, i miei me lo avrebbero rinfacciato a lungo portandomi all'esasperazione e ricordandomi che sono una fallita.
«Come vuoi Isabel, ovviamente la decisione spetta a te e non voglio stressarti. Pensavo solo che per questo ruolo saresti stata adatta.»
«Grazie Andrew, sei stato gentile ma come ho detto, preferisco non caricarmi di impegni.»
«Nessun problema. Posso almeno avere il tuo supporto questa settimana?» Mi pregò con lo sguardo e accennai un sorriso.
«Questo sembra un favore.»
«Hai ragione, dimenticalo.» Rise passandosi una mano dietro il collo.
«Tranquillo, è ok. Vedrò cosa posso fare.» Alzai leggermente le spalle e lui sgranò gli occhi non aspettandoselo.
«Wow grazie! Davvero, è più di quanto mi aspettassi. Sei fantastica.» Sorrise abbracciandomi e ne rimasi alquanto sorpresa, sia per il sorriso che per l'abbraccio. Sembrava che in quelle ore, un'anima buona e gentile si fosse impossessata del suo corpo. L'autista si fermò davanti al cancello di casa mia e Andrew scese per farmi uscire dal lato giusto.
«Grazie del passaggio.»
«Figurati, è stato un piacere. Ci si vede a scuola allora.» Sorrise e annuii salutandolo con un cenno per poi suonare e aspettare che aprissero. Andrew nel frattempo se ne andò e io entrai subito dopo, andando verso il garage per vedere se Jason era li. La Rolls Royce era parcheggiata ma lui non c'era, così entrai in casa e passando dalla cucina notai Gloria di spalle che puliva un ripiano mentre Marisol beveva un bicchiere d'acqua seduta in compagnia di un ragazzo, Jason.
«Signorina, è tornata.» Si alzò sorridendo e mi guardò poi con aria pensierosa. «Come mai è entrata da li e non dalla porta principale?»
«Mm...» pensai in fretta qualcosa passando lo sguardo da lei a Jason. «Pensavo di aver dimenticato una cosa in auto ed ero andata a controllare.» Marisol mi credette tranquillamente, al contrario di Jason che mi fissò a lungo con un sopracciglio inarcato e la sua espressione sembrava dire "inventatene un'altra".
«Vuole mangiare qualcosa?»
«No grazie, sono stata al Luxury e ho preso qualcosa lì.»
«Gloria, mi aiuti con i panni fuori?» Marisol si girò velocemente verso la collega che la guardò confusa.
«Di cosa parli? Li abbiamo già presi...» si portò una mano sotto il mento cercando di ricordare.
«No Gloria, abbiamo fatto due lavatrici oggi. Vamos.» Le ricordò Marisol trascinandola fuori dalla cucina e allontanandosi le sentii discutere in spagnolo. In tutto ciò, ero forse più confusa io di quanto potesse esserlo Gloria.
«Ti sei divertita?» Jason era ancora seduto, stravaccato sulla sedia che mi fissava.
«Tantissimo.» Incrociai le braccia e per qualche ragione, invece di andare in camera, restai lì.
«Bene. Sono felice che tu stia iniziando ad andare d'accordo con "Andrew".» Disse il suo nome con disprezzo calcandolo leggermente.
«Già, è stato gentile e si è scusato... perché sai, lui si è reso conto di aver sbagliato.» Stavo lanciando frecciatine? Sì. Volevo che Jason si scusasse? Sì. Se credevo lo avrebbe fatto? Sinceramente, non avevo aspettative molto alte.
«Come no, cosa vuole da te? Sentiamo. Cosa ti ha chiesto?» Si alzò avvicinandosi con aria di chi sapeva di aver la vittoria in tasca, ma no. Non gli avrei lasciato vincere questa discussione.
«Proprio niente. Anzi...» risi incrociando le braccia e mi avvicinai di più a lui guardandolo negli occhi dopo aver abbassato gli occhiali. «Mi ha proposto di entrare nella sua lista di candidati e ha detto che sarei perfetta. Potrei aiutarlo nel ruolo di rappresentante.»
Alle mie parole, Jason scoppiò a ridere e io non capii il perché. «Ecco cosa vuole.»
«Di che parli?» Sospirai già stanca della conversazione.
«Vuole te così finirai per fare tutto il lavoro, mentre lui ci metterà la faccia e si prederà il merito. Per non parlare del fatto che così avrebbe sicuramente la vittoria in pugno. Sei una studentessa modello e se ti presenti al suo fianco, saranno tutti più inclini a dare il voto alla vostra lista.» Rise squadrandomi vittorioso per la sua teoria e anche se mi costava ammetterlo, aveva senso. «Guarda caso inizia a comportarsi bene proprio ora. Secondo te sarebbe gentile e dolce nei tuoi confronti se non fosse per i voti? Ti sta usando, ma sei troppo ingenua per capirlo.»
Lo ascoltai e dopo un po' lo superai velocemente dandogli una spallata. Corsi di sopra in camera sbattendo la porta e passai una mano tra i capelli. Ero furiosa, avrei voluto rompere qualsiasi cosa intorno a me, volevo tirare pugni al muro, avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo. Odiavo questa situazione e odiavo il fatto che probabilmente Jason avesse ragione. Lanciai gli occhiali, chiusi gli occhi e iniziai a contate lentamente fino a dieci. Inspirai e trattenni il fiato qualche secondo per poi lasciarlo uscire. Asciugai la lacrima che stava scivolando lungo la mia guancia e mi coricai a letto stringendo forte il cuscino. In quel momento bussarono alla porta, ma non avevo voglia di alzarmi o di vedere qualcuno. Non risposi sperando mi lasciassero stare, ma non fu così. «Sto studiando.» Sentii la porta aprirsi e sbuffai restando di spalle.
«C'è una volta in cui dici la verità?»
«Sparisci.» Non volevo sentire la sua voce e tanto meno vederlo al momento.
«Scortese.» Sentii i suoi passi avvicinarsi e chiusi gli occhi, come se avessi potuto farlo sparire con il potere della mente.
«Jason vattene. Non ti ho dato il permesso di entrare.» Strinsi il cuscino dalla rabbia ma poco dopo mi fu tirato via.Mi misi di scatto seduta e fulminai Jason, mi stava irritando. «Si può sapere cosa vuoi?!» Mi alzai stringendo i pugni sentendo la rabbia salire di nuovo. «Vuoi prendermi ancora un po' in giro?! Vuoi dirmi quanto sono ingenua o incapace di difendermi?!» Ero frustrata e guardandolo con gli occhi lucidi aspettai, ma lui non disse nulla. Restò semplicemente li a fissarmi. «Sono stanca, quindi te lo chiedo per favore... vattene.» Alzò le mani in segno di resa indietreggiando e guardandomi un'ultima volta, uscì.
•••
A tavola c'era il solito silenzio, mio padre ogni tanto mi guardava e sapevo che voleva dire qualcosa. Infatti non lasciò passare molto tempo e interruppe quel silenzio che a me in realtà era gradito. «Oggi sono passato dai Larson e ho visto Andrew mentre rientrava. Mi ha detto che siete usciti.» Il suo tono non era arrabbiato, anzi, sembrava soddisfatto.
«Sì, dopo scuola aveva proposto a me e a Megan di andare al Luxury, poi si è offerto di accompagnarmi a casa.» Spiegai riprendendo poi a mangiare.
«Bene, è stato gentile da parte sua. Mi ha anche accennato della proposta che ti ha fatto... spero accetterai.» Entrambi i miei genitori mi guardarono e io sospirai lasciando la forchetta nel piatto.
«Non penso di accettare. Preferisco concentrarmi sullo studio.»
«Sciocchezze, puoi fare benissimo entrambe le cose. Poi non ti stai candidando come rappresentante, faresti solo dal spalla ad Andrew.» Sembrava parlarne come se quello non fosse un lavoro che richiedesse impegno.
«Io davvero non capisco, sembra che tu non voglia mai fare nulla. Sei proprio una ragazza incapace e pigra.» Mia madre scosse la testa guardandomi con disappunto. «Sai cosa le manca? La grinta. Non so da chi abbia preso.» Continuò rivolta a mio padre e posando il tovagliolo sul tavolo mi alzai.
«Vado in camera, non mi sento bene.» Mi allontanai sorpresa ma allo stesso tempo sollevata dal fatto che non mi avessero trattenuta. Salii le scale e qualcuno mi seguì fino al corridoio abbracciandomi.
«Signorina Isabel, lei è una ragazza fantastica e si impegna sempre tanto.» Marisol mi strinse a se e prendendomi il viso tra le mani mi accarezzò le guance. «E sa cosa le dico anche? Su una cosa hanno avuto ragione.» Pressai le labbra abbassando lo sguardo, non pensavo che Marisol avrebbe mai dato ragione ai miei. «Lei non assomiglia a nessuno di loro. Perché lei è unica, vale mille volte più dei suoi genitori.»
Accennai un sorriso e sollevai lo sguardo felice abbracciandola di nuovo. «Grazie Marisol.» Restai così per alcuni secondi, sollevata dalle parole che mi aveva detto. Ero fortunata ad avere lei, altrimenti sopravvivere qui dentro sarebbe stato impossibile.
«Ora devo tornare in cucina, ma lei non si butti giù d'accordo?» Disse e io annuii subito ricevendo da parte sua un sorriso che ricambiai.
Entrai nella mia stanza e chiusi a chiave la porta, poi prendendo una coperta uscii sul balcone sedendomi a terra. Alzai lo sguardo per vedere le stelle, fortunatamente non faceva esageratamente freddo e con la coperta addosso si stava bene. Guardando le stelle iniziai a contarle a gruppi, come facevo da piccola, per poi unirle creando mentalmente delle forme. E dato che non conoscevo le costellazioni, a parte il grande carro, ne creavo delle mie. Agli occhi degli altri poteva sembrare qualcosa di stupido, ma a me piaceva semplicemente giocare con le stelle. Mi strinsi nella coperta e sospirai sentendo il cellulare suonare. Alzandomi rientrai a recuperarlo e guardando il nome, mi misi seduta pensando se rispondere o meno alla chiamata. Aspettai e il cellulare smise di squillare, cinque secondi dopo però riprese nuovamente. Lasciai ancora che squillasse a vuoto guardando lo schermo e dopo quella chiamata smise.
Pensavo si fosse arreso, ma mezz'ora dopo il cellulare si illuminò e il suo nome riapparve sullo schermo. Stavolta accettai la chiamata e portai il cellulare all'orecchio restando però in silenzio, volevo solo ascoltare.
«Sono fuori da casa tua...» disse per poi fare una pausa. Io a quelle parole mi alzai e lasciando la coperta, tornai sul balcone. «Ti aspetto fuori dal cancello. So che sei arrabbiata con me e non ti sto obbligando a raggiungermi, è una tua scelta. Pensaci su, io non mi muovo.» Staccò e guardando l'ora pressai le labbra. Era quasi mezzanotte, il personale era già andato via da un po' e i miei dormivano. Non sapevo cosa avesse in mente quel ragazzo e non sapevo se sarebbe stata una buona idea raggiungerlo. Se uscivo e mi beccavano, avrei passato dei guai seri con i miei genitori. Ma alla fine, pensandoci, bastava fare molto silenzio e non passare dall'ingresso principale. Mi cambiai velocemente mettendo un paio di jeans e una maglia a maniche lunghe. Infilai le converse che avevo indossato anche l'ultima volta e mi guardai allo specchio per vedere se ero presentabile, non che mi importasse... ok, forse un po'. Prendendo il cellulare uscii silenziosamente dalla stanza, lasciai tutte le luci spente e cercando di non far danni, arrivai in fondo al corridoio, dopodiché scesi le scale fino ad arrivare all'ingresso dove iniziai a cercare le chiavi della porta dietro. Accesi la torcia del cellulare e iniziai a leggere le targhette attaccate alle chiavi, ed erano davvero tante. Trovata quella che mi serviva, andai sul retro e aprii delicatamente la porta. Una volta fuori, mi sentivo già più sollevata. Corsi al cancello e uscendo mi guardai intorno avvicinandomi poi ad un pick-up parcheggiato poco distante, dove un ragazzo incappucciato era fuori appoggiato alla portiera e fumava una sigaretta. Nonostante mi facesse arrabbiare, qualcosa mi spingeva sempre da lui, era costantemente nella mia testa. Alzando il viso mi squadrò prima di gettare la sigaretta a terra e avvicinarsi con un sorrisino divertito stampato in faccia. Cosa aveva da ridere? Evidentemente ci provava gusto ad irritarmi. «Non pensavo lo avresti fatto davvero, mi sorprendi.»
«Cosa vuoi Jason?» Incrociai le braccia al petto e lo squadrai. Aveva un chiodo nero, dei pantaloni sempre neri, scarpe e felpa bianca. Tutto abbinato, a quanto pare stava bene con qualsiasi cosa indossasse.
«Ti porto in un posto, sali.» Fece un cenno con la testa verso il suo pick-up nero dall'aspetto un po' vecchio.
«Non posso rientrare tardi... se hai qualcosa da dirmi fallo qui, ora.» Sospirai passandomi una mano tra i capelli. «Non dovrei nemmeno esserci qui.»
«Però ci sei, hai deciso di venire e non ti ho obbligata.» Accennò un sorriso mettendo le mani in tasca. «Ti fidi di me?» Domandò e lo guardai per dei lunghi istanti. Certo che mi fidavo e volevo pure accettare, ma da un lato avevo paura... e non di lui, ma di me. Stava succedendo qualcosa e volevo levarmelo dalla testa, così però complicava tutto. Annuii e salendo sul pick-up mi guardai intorno, era pulito e tenuto bene per essere vecchio. Attaccati al cruscotto c'erano alcuni adesivi un po' rovinati provenienti da diversi luoghi, o almeno così sembrava, erano sbiaditi e si riusciva a leggere solo il nome di alcune città.
«Dove stiamo andando?»
«Lo vedrai.» Partì mettendosi in strada e lo guardai di sfuggita mentre si abbassava il cappuccio. C'era un silenzio leggermente fastidioso, ma non volevo essere io a rompere il ghiaccio, non sapevo cosa dire. «Nervosa?»
«Mh?» Lo guardai e mi resi conto di star muovendo su e giù la gamba velocemente. «No.» Sospirai accavallando le gambe e guardai la strada. «Stiamo andando da Jane?»
«No.»
«In città?»
«No. Comunque non te lo dico e non indovinerai mai, puoi arrenderti subito.»
«Giusto, sono troppo ingenua per arrivarci.» Dissi in tono annoiato guardando verso il finestrino mentre lo sentivo sospirare.
«So che non sei ingenua, ero solo arrabbiato quando l'ho detto.»
«Se lo hai detto, è perché lo pensi davvero.»
«Vuoi sapere cosa penso? Che sei intelligente, davvero tanto... ma in certi momenti sembra che tu metta una benda sugli occhi, come se non volessi accettare la realtà. Tu sai com'è fatto Andrew, non serve che te lo dica io.»
Per il resto del viaggio restai in silenzio guardando la strada. Eravamo usciti dal centro della città e stavamo girando per delle strade deserte. Guardai in basso e notai al lato della portiera alcune vecchie cassette, le presi guardandole e sorrisi ricordando alcuni episodi di quando ero piccola. «Molte di quelle sono rovinate ormai.»
«Quando ero piccola, stavo di più con il personale visto che i miei non c'erano mai e io non andavo all'asilo. Così mettevano spesso le cassette e ascoltavano la musica mentre lavoravano.» Sorrisi ricordando i balli in mezzo alla cucina o all'ingresso. «Marisol mi prendeva per mano e ballavamo insieme in giro per la casa. Un giorno però, mio padre tornò prima dal lavoro e vedendoci ci vietò di ascoltare la musica. Secondo lui era una distrazione.» Misi a posto le cassette e guardai Jason. «Avevo quasi cinque anni, ma mio padre decise che per me era giunto il momento di iniziare a studiare le cose basilari... come l'alfabeto, i numeri e le semplici addizioni.» Jason mi guardò qualche istante prima di girare verso una stradina più piccola che si interrompeva all'improvviso, lasciandoci in mezzo all'erba e a qualche albero. Accese gli abbaglianti e fece una serie di giri, poi iniziò a rallentare.
«Chiudi gli occhi.»
«Perché?»
«Fidati.» Mi fece l'occhiolino e poco dopo chiusi gli occhi come aveva detto coprendo anche il viso con le mani. Sentii l'auto fermarsi e la portiera aprirsi e chiudersi subito dopo, segno che Jason era sceso. Subito dopo aprì la portiera dal mio lato e prendendomi la mano mi fece scendere. «Ok, ora puoi aprirli.» Lo sentii spingermi poco più avanti e nel frattempo aprii gli occhi.
«Oh mio dio...» questo fu tutto quello che riuscii a dire, o meglio, a sussurrare. Sulle mie labbra si formò un sorriso nel vedere una graziosa casetta sull'albero. C'erano alcune lanterne ad olio accese che la illuminavano e di lato c'era un'altalena. Mi avvicinai alla scaletta di legno e guardai la piccola insegna di lato su cui c'era scritto un po' sbiadito: "Only boys allowed".
«Ti piace?» Jason si avvicinò poggiando una mano sulla scaletta.
«Se mi piace? Jason, è bellissima!» Sorrisi andando a sfiorare l'altalena. Non avevo mai visto una casetta sull'albero dal vivo e da piccola ne avevo sempre sognata una. Credo come tutti i bambini... chi non voleva un rifugio per stare lontano dai grandi?
«Seguimi.» Salì la scaletta arrivando di sopra e aprì la porta dalla piccola casa. Era alta giusto quanto lui che sfiorava quasi il soffitto. Seguii Jason che accese un'altra lampada e mi guardai intorno, notando molti disegni appesi. C'era un tappeto morbido che ricopriva una parte del pavimento proprio davanti ad un telo bianco appeso alla parete, mentre in un angolo c'era un baule chiuso pieno di adesivi.
«Questo posto è tuo?» Domandai guardando i disegni coloratissimi appesi.
«Sì, io e mio padre lo abbiamo costruito quando ero piccolo.» Si guardò intorno e mi sembrò quasi di vedere la nostalgia nei suoi occhi.
«E non ci siete più venuti?»
«No, credo di aver smesso di venirci quando avevo undici anni. Mio padre però passava ogni tanto per tenere il posto pulito. Oggi invece ho deciso di venirci io.»
Passai un dito sul bordo della finestra e annuii sorpresa. «Effettivamente è tenuta bene.» Sorrisi e Jason si sedette sul tappeto facendomi cenno di accomodarmi accanto a lui. «Perché c'è il telo bianco appeso?» Domandai mettendomi seduta.
«Guardavamo i film con il proiettore.» Indicò un vecchio proiettore sul tavolino ma sembrava ormai fuori uso.
«Dovete avere un bel legame.» Sorrisi e lui ricambiò.
«Credo di sì. Ovviamente anche noi litighiamo a volte, ma è normale.» Fece spallucce guardandomi. «Le litigate più brutte le abbiamo fatte quando tornavo a casa dalle risse. Ora però sono un bravo ragazzo.» Risi senza volere e Jason mi fulminò scherzosamente.
«E tua madre invece? I tuoi stanno insieme, giusto?»
«Sì. Lei comunque è una donna fantastica e paziente.» Si coricò mettendo le braccia dietro la testa e continuò a guardarmi.
«Sembrano entrambi fantastici, mi piacerebbe conoscerli un giorno.»
«Non credo che ai tuoi genitori farebbe piacere.» Si mise di nuovo seduto per poi alzarsi qualche secondo dopo.
«Parlavo di me. Loro non sono obbligati.» Feci spallucce e Jason sorrise prendendomi la mano per farmi alzare. «Cosa facciamo?» Domandai confusa ma lui non rispose, facendomi semplicemente cenno di seguirlo. Andai alla scaletta e scesi dall'albero avvicinandomi al pick-up con Jason che andando davanti, prese due coperte facendo poi il giro verso il cassone aprendolo. Stese la prima coperta e allungò la mano per farmi salire ma scossi la testa ridendo. «Cosa stai facendo?»
«Dai fidati e basta, non fermarti a pensare.» Tenne la mano tesa e quando gliela strinsi, mi tirò su facendomi poi sedere accanto a lui. Aprì il borsone che aveva accanto e tirò fuori due piccoli cuscini, posizionandoli dietro. Stavolta non feci domande e quando Jason avvolse la coperta attorno alle nostre spalle, mi coricai con lui. Guardando il cielo socchiusi le labbra nel vedere tutte quelle stelle.
«Questo è stato forse tutto un modo per farti perdonare?» Non riuscivo a staccare gli occhi dal cielo e senza pensarci mi strinsi a Jason per scaldarmi.
«Anche.» Mi strinse a se facendomi appoggiare la testa alla spalla. «Ha funzionato?» Non riuscii a trattenere la risata e non risposi nemmeno a quella domanda dalla risposta scontata.
«Jason...» sollevai lo sguardo seria e improvvisamente pensierosa. «Perché mi hai portata proprio qui?» Mettendomi piano seduta lo guardai e lui si tirò su con me coprendomi di nuovo.
«Ho pensato ti sarebbe piaciuto, la casa sull'albero può ricordare un po' quella dei...»
«Bimbi sperduti.» Quelle parole uscirono all'unisono dalle nostre labbra. «Sì, è vero...» Confermai con un sorriso guardandolo.
«Poi è un posto tranquillo, sai... a volte fa bene staccare un po'.»
Annuii e guardai alcuni degli alberi sparsi li intorno. «C'è un bel po' di terreno qui, è tutto di tuo padre?»
Lasciò passare qualche secondo prima di rispondere, come se per un momento si fosse perso. «Lo era, poi ha deciso di venderlo. Ma come vedi, è praticamente rimasto incustodito.»
«Almeno puoi venirci indisturbato, anche se non capisco il motivo di comprare un terreno se poi non viene utilizzato.»
«Una volta poteva essere considerato un frutteto. Qualche albero è rimasto ancora.» Indicò due alberi sulla nostra sinistra e altri tre a destra, mentre gli altri erano oltre a tutti i sempreverde che ci circondavano.
«Mi spiace abbia deciso di vendere tutto, è un così bel posto.» Guardando il cellulare sgranai gli occhi nel notare che era già l'una di notte. «Non pensavo fosse già così tardi...»
«Non preoccuparti, non ti scopriranno se è quello di cui hai paura.»
«Non lo so... forse è meglio che torni a casa.» Anche se avrei voluto, sapevo di non poter restare ancora.
«Oppure potresti tornare al mattino. Hai mai dormito sotto le stelle?» Chiese accennando un sorriso e alla sua domanda risi.
«Dormire sotto le stelle? Dici sul serio?» Sapevo che voleva farsi perdonare, ma così era troppo. Anche se l'idea mi elettrizzava e sentivo il cuore battere forte dall'emozione. In quel momento mi sentivo proprio una bambina.
«Le coperte le abbiamo, i cuscini pure... direi che si può fare.» Aspettò la mia risposta, anche se sembrava saperla già. «Ci stai?»
Non potei trattenere il mio sorriso e la mia eccitazione. «Ci sto.» Avrei dormito sotto le stelle, in un luogo tranquillo accanto ad una casetta sull'albero. Sembrava quasi la scena di un libro o di un film. «Jason?»
«Sì?» Si coricò e io feci lo stesso guardando le stelle.
«Sai che ti ho già perdonato, vero? Non serviva anche questo.»
Rise mettendo le braccia dietro la testa. «Lo so. So anche che ti sarebbero bastate delle scuse dette a voce, ma volevo portarti qui e l'ho fatto.»
«Così però mi fai sentire in colpa per come ti ho trattato...» alzai gli occhi verso di lui che incrociò il mio sguardo.
«Tranquilla, ma se vuoi puoi farti perdonare.»
«Come?» Domandai e lui si avvicinò subito guardandomi. Sembrava immerso nei suoi pensieri, c'era ma non c'era allo stesso tempo. Era un ragazzo misterioso, ogni tanto mi sembrava di conoscerlo abbastanza e il momento dopo pensavo di sapere solo un decimo della sua vita. Probabilmente sapevo ancora meno, alla fine lo conoscevo da poco quindi era normale. Mi sfiorò la guancia con le dita e si coricò di nuovo tirando fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette.
«Potresti venire a mangiare con me e i miei amici una sera. Ma ti avviso già che staremo fuori fino a tardi.» Si portò la sigaretta alle labbra e l'accese facendo qualche tiro.
«Mm... va bene.» Allungai la mano verso il cielo e tracciai linee immaginarie unendo le stelle come si faceva con i puntini.
«Cosa fai?» Domandò Jason in un sussurro, come se volesse evitare di disturbarmi.
«Unisco le stelle. Da piccola davo loro dei nomi a volte.» Spiegai girandomi poi di lato per guardarlo. «Se ne vedevo tre, davo loro il mio nome e quello dei miei.» Risi sarcastica al ricordo, se dovessi pensarci ora, non darei mai a loro delle stelle. «Successivamente ho reso quelle stelle libere dal loro nome.»
«Perché?» Si tirò su stando appoggiato con un gomito e prese la sigaretta tra le dita.
«Non meritano delle stelle. In effetti ho conosciuto poche persone che le meritassero.»
«Ad esempio? Chi le meriterebbe?» Fece un ultimo tiro gettando la sigaretta e soffiò lentamente via il fumo dalle labbra.
«Marisol, Gloria... Jane...»
«Jane?» Mi guardò con espressione confusa.
«Sì, Jane del Maple Leaf. Mi sembra una brava persona. Non la conosco bene è vero, ma qualcosa mi dice che se la meriterebbe una stella.»
«Credo di sì.» Accennò un sorriso e alzandosi, saltò giù dal cassone. «Hai fame?»
Ci pensai su ed effettivamente avrei volentieri mangiato qualcosa. «Un po' sì in realtà.»
«Bene, perché ho portato qualche snack.» Sparì tornando qualche secondo dopo con un sacchetto del supermercato. Saltò di nuovo su e si sedette accanto a me tirando fuori qualche pacchetto di patatine e qualcosa da bere.
«Tu sapevi sarei venuta con te stasera. Non è così?» I miei occhi si strinsero leggermente mentre lo scrutavo aspettando la sua risposta.
«Forse.» Il suo sorrisino diceva già tutto e ridendo gli diedi una leggera spinta con la spalla. Mangiai le patatine e nel frattempo Jason aprì il pacchetto di popcorn tirandomi un chicco.
«Ma cosa...?» Lo fulminai e prendendo un popcorn glielo lanciai addosso facendolo ridere.
«Lancialo bene e io provo a prenderlo.» Ne lanciai un altro e aprendo la bocca, lo prese al volo riprendendosi poi il pacchetto. «Prova tu.»
«Ma non sono capace...»
«Tu prova!» Prese un popcorn e mi preparai guardandolo. Quando lo lanciò provai a prenderlo ma mi arrivò in fronte, cosa che fece ridere Jason di gusto. «Sei proprio una frana!»
«Sei tu che lanci male!» Presi una manciata di popcorn e gliela lanciai addosso. Lui mi guardò a bocca aperta e si fiondò su di me facendomi il solletico. «Il solletico no!» Iniziai a dimenarmi e a ridere mentre lui continuava divertito.
«Ritira quello che hai detto!» Mi solleticò i fianchi stando sopra di me.
«No!» Mi bloccò i polsi e iniziai a prendere fiato.
«Io non lancio male. Ero il miglior giocatore di basket al liceo e lo sono ancora.» Disse in tono fiero.
«Quel lancio diceva altro.» Feci notare e riprese a farmi il solletico. «No, no! Ok!» Risi e lui si bloccò di nuovo. «Ritiro quello che ho detto! In effetti non posso giudicare se non ti vedo giocare sul serio.»
Jason si spostò da sopra di me soddisfatto e sorrise. «Stai dicendo che vuoi vedermi giocare?»
«Perché no?» Alzai le spalle pensando.
«Ok, si può fare. Poi ti dirò quando.»
«Perfetto.»
Finiti gli snack, ci coricammo e Jason mi sfiorò la spalla per richiamare la mia attenzione. «Ora cerca di dormire, è già tardi e dobbiamo svegliarci molto presto.»
«Ci provo.» Mi coprii bene guardando il cielo e iniziai a contare sottovoce. Jason mi abbracciò inaspettatamente e iniziò a contare anche lui guardando il cielo. Sorrisi e nel mentre iniziò a giocare con i miei capelli facendomi rilassare.
Minuti dopo, doveva aver pensato che mi fossi addormentata perché lo senti sussurrare qualcosa che mi fece sorridere. «Buonanotte Wendy.» Avrei voluto rispondere, ma decisi di restare in silenzio per evitare di rovinare un momento già così perfetto.
•••
In quel momento ero comoda al caldo e anche se stavo per svegliarmi, non volevo muovermi. I miei occhi erano ancora chiusi ma sentivo la luce del sole e qualche uccellino cantare. Non sapevo come e quando mi fossi addormentata, ricordavo solo che io e Jason stavamo contando le stelle. Ricordavo anche quello che mi aveva sussurrato, era stato incredibilmente dolce. La cosa buffa era che, da quando era venuto a trovarmi passando dalla finestra, avevo iniziato ad associarlo a Peter Pan e ogni volta che guardavo verso la finestra, pensavo a lui. Una mano iniziò a giocare con i miei capelli come la sera prima e sospirai rilassata sotto quel tocco.
Quando aprii gli occhi doveva essere passato un po', perché accanto a me non c'era nessuno ed io ero tutta coperta. Mettendomi piano seduta mi stiracchiai e presi il cellulare guardando l'ora, erano le sette. Scesi dal pick-up e mi guardai intorno cercando Jason. Sentendo un rumore provenire dalla casetta, alzai lo sguardo e salii su. «Jason?» Lo chiamai e uscì subito accennando un sorriso.
«Buongiorno, pronta a tornare in città?» Aveva i capelli scompigliati ed era in maniche corte, non capivo come riuscisse a stare così, io sentivo freddo.
«Credo di sì. Spero che nessuno entri nella mia stanza prima del mio arrivo.» Mi strinsi nelle spalle scendendo poi giù con Jason dalla scaletta.
«Sicura di non voler andare a fare colazione prima?»
«Meglio non rischiare.» Sospirai e Jason annuì.
Dopo aver piegato le coperte, lo aiutai a raccogliere i pacchetti vuoti di patatine e le bottigliette, infilandole in un sacchetto. Mi sfregai le braccia scaldandole e subito dopo notai Jason prendere la sua felpa dal sedile, si avvicinò e la mise sulle mie spalle. «Andiamo.»
Qualche minuto dopo eravamo già di ritorno verso la città, c'eravamo solo noi in strada a quell'ora. Pensavo di dover prendere un'aereo e andarmene lontano per staccare un po' e rilassarmi. Invece mi era bastata una notte fuori dal caos della città, guardando le stelle con un amico, coricati su un vecchio pick-up con delle coperte per scaldarci e qualche snack per saziarci. «Che film guardavate tu e tuo padre nella casa?»
«Solitamente guardavamo i film della Marvel e della DC. Li hai visti, vero?» Mi lanciò uno sguardo veloce prima di riportare l'attenzione sulla strada.
«Ho visto il primo film di Batman e... Spider-man.»
«E gli altri? Che infanzia hai avuto? Anche se posso immaginare quali siano i tuoi film preferiti.» Rise e incrociando le braccia al petto lo guardai ascoltando. «Vediamo... I cartoni Disney sicuramente, poi...» ci pensò su schioccando le dita. «Quei film vecchi con Marilyn Monroe e l'altra attrice, quella di "Colazione da Tiffany".»
«Oddio, "quella" si chiama Audrey Hepburn.» Alzai gli occhi al cielo e mi portai una mano al cuore sconvolta. «Audrey è stata una grande attrice, come puoi non sapere il suo nome? Ha recitato anche in "Sabrina", "Cenerentola a Parigi", "Vacanze Romane" e in molti altri film.»
«Ecco appunto.» Rise mentre io restai a guardarlo sbigottita.
«Ok, io guarderò i film che mi consigli e viceversa. Ci stai Davies?»
«Ci sto, Evans.» Sorrise e arrivati vicino al centro ci ritrovammo bloccati nel traffico. Le strade erano bloccate e c'era molta gente in giro con dei volantini in mano. Abbassai il finestrino e guardai un cartellone appeso che mi fece socchiudere le labbra. Volantini e cartelli con l'immagine di Bart Larson venivano appesi in giro con la scritta: "Vota per Larson".
«Oddio, hanno già iniziato la guerra per la candidatura, me ne ero scordata.»
«Staranno preparando per il dibattito, è ancora presto. Anche se c'è molta gente devo dire...» Jason prese un'altra strada e dopo diversi giri si fermò dietro casa mia. «Quindi... per sicurezza,» chiese mettendo le mani avanti, «non sei più arrabbiata?»
Risi colpendolo piano al braccio. «No che non lo sono! E lo sai.»
«Allora ci vediamo principessa.» Mi fece l'occhiolino e intanto aprii la portiera.
«Ciao,» ridacchiai scendendo dopo aver lasciato la felpa, «Peter Pan...» sussurrai. E salutandolo con un cenno della mano, corsi divertita verso casa sotto il suo sguardo spiazzato.
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