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46. (M) Venite assieme

La canzone è ESSENZIALE. Ascoltatela.

Alyna socchiude piano la porta, come se dovesse entrare in una casa sconosciuta.

La mia mano è ancora dentro la sua, che è tiepida e minuta come lei. Non ho ancora capito se stringendola cerca di tenermi vicino o di scacciare qualche paura.

In ogni caso, so che il mio desiderio di lei non è mai stato grande come in questo momento. Fatico a respirare, a credere che davvero sia tutto andato come inconsciamente speravo, a pensare che ora avrò la possibilità di sentirmi completamente parte di quel che lei è, della sua vita o anche solo di una manciata di ore, giorni, secondi, respiri che per me valgono più di ogni altra cosa. Sono eccitato tanto quanto intimorito, da tutto questo.

Eppure non mi sono mai sentito così vivo. Mai. Nemmeno quando ho iniziato a suonare, nemmeno quando ho trovato i ragazzi. Mai. La verità, pura e semplice, è che il sorriso e l'affetto di Alyna mi fanno sentire al sicuro, con lei. So di potermi fidare, so di potermi mostrare come sono, di poter dire quello che penso, fare ciò che voglio... E so che lei mi sorriderà sempre, che arrossirà e mi dirà che sono scemo ed eccessivo. Ma le piaccio così, mi vuole così. Come sono. Con lei. E come posso essere solo con lei.

Alyna mi trascina dentro casa, oltre la soglia, come se fossimo dei ladri, e io non riesco a smettere di ridacchiare sotto le sue occhiatacce: sono ubriaco, fatto di lei e di noi e delle nostre parole e della sua bocca e delle sue mani e di tutto ciò che lei è, che è fatto a posta per me. Non mi guardo nemmeno attorno, anche se è la prima volta che entro sul serio qui dentro: non ne ho tempo né desiderio. Mi serve solo Alyna.

«Ma c'è Rebekka?» chiedo.

Alyna scuote la testa. «No, è in vacanza coi suoi» sussurra.

«E allora perché camminiamo in punta di piedi?» mormoro.

Si ferma, si volta a guardarmi, sorride. «Non lo so.»

«Possiamo anche continuare, eh» sussurro, «ma prima dell'alba ti farò urlare. Sappilo.»

Alyna non riesce a rispondere, arrossisce soltanto. E io mi trovo a pensare che la vorrei avere qui, ora: basterebbe toglierle la cintura di cuoio, sfilare il bottone dei pantaloni dall'asola, tirare giù la cerniera della patta, far forza e spingere in basso la stoffa – portandosi dietro pure il pizzo delle mutande – e fare lo stesso coi miei jeans e sarebbe lì a portata di carne e in dieci secondi sarei perfettamente al mio posto.

E invece non esiste, che succeda così. Perché sì, stasera succederà. Ma non così. Magari sarà così tra un mese o due, magari anche solo tra tre ore o più, dopo il quinto orgasmo. Ma adesso lei merita che quel rossore le si levi dal viso. Merita spazio per toccarmi e scrutarmi, merita modo per sentirsi bene e avere le redini in mano. Merita una prima volta che spero voglia quanto la voglio io. Disperatamente. Da starci male. Da sentire tutto che pulsa e preme perché vuole solo lei.

E mentre penso queste cose mi trovo a riflettere sul fatto che in questi mesi le ho parlato così tanto e così apertamente, in quelle registrazioni che l'hanno riportata da me, che adesso nei miei occhi lei riesce perfettamente a leggere e vedere tutto. A leggere il desiderio quasi animale che ho, a vedere che lo tengo al guinzaglio perché voglio essere qualcosa di più per lei di un semplice uomo.

«Matt» sussurra, piegando la testa di lato. «Che ci facciamo qui fermi?»

«Aspetto di capire cosa sai di me, Alyna. Cosa capisci guardandomi»

Mi fissa negli occhi, stupita. «Co... Cosa dovrei sapere?»

Sorrido. «Sai tutto. Vediamo se lo capisci, adesso.»

Fa un passo indietro, scuote la testa. «Matt, non ci arrivo. Spiegami, ti prego.»

Alzo le spalle.

Lei si spazientisce: ha quella faccia mezza delusa e mezza incavolata – con sottofondo di dolcezza – che sempre le esce quando non capisce le mie allusioni. «Non ce la faccio con questa tensione, ti scongiuro» sibila.

E stavolta cedo, perché mi sento come se mi stesse per scoppiare il cuore e ho la necessità fisica, spirituale, mentale, tattile, di toccarla e baciarla e averla. Allora la raggiungo, e me la stringo contro. Forte. Per farmi sentire. «Cosa ci faccio qui, secondo te?»

«Hai detto che volevi vedere se ti so amare come voglio» mormora, il viso già contro il mio sterno dove trova sempre il suo posto.

«Perciò...»

Tira indietro la testa, mi guarda nelle pupille. «Ci provo. Ma aiutami.»

«Sono qui per questo.»

Mi prende per mano di nuovo, Alyna, e mi trascina oltre la cucina, verso il corridoio. Non ho la forza di guardare altro che sia lei. Mi sento innaturale e sbagliato, qui, di troppo. Eppure non posso fare altro che seguirla, e adorarla ogni passo di più.

Sulla porta di una camera che penso – spero – sia la sua Alyna si volta, e mi trafigge con uno sguardo che mai ha mostrato. «Matthew, io... Ti voglio amare come vuoi tu, ma non so cosa sia ciò che vuoi.»

«Te» dico, subito, senza pensare. Chi se ne frega se sarà sesso o no, se sarà orgasmo o no, se sarà oggi o domani. Voglio solo e soltanto guardarla e sentirmi bene. Glielo ripeto. «Te. Alyna, voglio solo stare con te. Muoio di voglia di stare con te.»

Sorride, scuote la testa, una ciocca di capelli le scende tra le labbra. La sputa fuori, ridacchia, spalanca gli occhi e mi poggia entrambe le mani sul petto. «Io non ho paura» sussurra piano. «Non di te. Non di quel che potremo fare stanotte. Non di ciò che succederà domani.»

«E allora?»

«E allora guidami. Dimmi cosa vuoi. Prenditelo. Sono qui per te e con te, e voglio che tu ti senta nel posto che vuoi, libero, te stesso, come desideri. Anche io voglio solo te, Matthew.»

«Che ne dici se invece di lasciarci campo libero a vicenda e giocare a rimpiattino...»

«Cosa?» mormora Alyna, interrompendo le mie parole.

Sei in ansia anche tu. Mi vuoi disperatamente anche tu. E allora basta titubare.

«Hai uno stereo?»

«In salotto, perché?»

«Casse?»

«No, ma perché?»

«Cellulare, lo vado a prendere.»

«Matthew» esclama Alyna. «Dimmi perché!»

Le sorrido, mi allungo a lasciarle un bacio sul bordo del collo, sotto l'orecchio. «Ascoltiamo una canzone.»

Pochi istanti, e sono già tornato. Il cellulare tra le mani, smanetto alla ricerca di un paio di pezzi che ci lascino respirare e non pensare, che ci mandino altrove e allo stesso tempo facciano sparire tutto ciò che non è qui tra noi.

La nota di basso lenta e ridondante di "Come Together" esce dalle minuscole casse del mio smartphone, inondando l'aria di quel suono eccitante e denso che solo i Beatles sono riusciti ad avere. Noi inglesi ce l'abbiamo nel sangue, la musica.

Here come old flat top
He come groovin' up slowly
He got joo joo eyeballs
He one holy roller
He got hair down to his knee
Got to be a joker
He just do what he please

Con il cellulare ancora in mano, faccio un passo verso Alyna. Lei mi guarda negli occhi, vedo che è concentrata sulla canzone e non – almeno non troppo – su di me. Avanzo ancora, mi appoggio contro di lei, bacino e gambe tutto addosso alle sue.

Io faccio semplicemente quello che mi fa piacere.

Lei respira forte, mi fissa e sta immobile. Mi chino a terra, poggio il telefono sul pavimento, alzo le braccia e le sfilo pantaloni e mutande in un solo gesto.

Alyna emette un respiro mozzo, sfiancante, e quando alzo gli occhi per guardare nei suoi – e in mezzo allo sguardo c'è tutta lei, tutta carne e curve e colori scuri e Dio come potrò resistere ancora un istante solo – ci vedo terrore e imbarazzo e una dose massiccia di quel desiderio nero che amo leggerci dentro.

He wear no shoeshine
He got toe jam football
He got monkey finger
He shoot Coca-Cola
He say I know you, you know me
One thing I can tell you is
You got to be free
Come together, right now
Over me

Improvvisamente Alyna mi afferra il capo, affondando le dita nei miei capelli. «Matthew» mormora, una mezza agonia di sillabe che mi elettrizza ancora di più.

Io conosco lei, lei conosce me. E le ho detto che dobbiamo essere liberi.
Ora vieni sopra di me, Alyna.

Non aspetto nemmeno un istante e, con una decisione che mi appartiene completamente e una dedizione che non avevo invece mai sentito dentro, avvicino la bocca alle pieghe di quel suo limbo che ho percorso solo con le dita. Infilo le labbra tra le sue gambe, cerco di darle il piacere che provo soltanto ad averla per me.

Alyna sussulta, borbotta qualcosa, cerca di sfuggirmi, ma io le afferro le cosce e la tengo stretta a me. E la suono tutta, con le labbra e le dita e la punta della lingua. E lei geme e mi chiama e mi tira i capelli e canta un canto che non ho mai ascoltato prima, che sa di amore e desiderio e libertà, che le esce da dentro e riesce a riverberare in ogni mia singola cellula confondendo ogni pensiero e ogni ricordo.

He bad production
He got walrus gumboot
He got Ono sideboard
He one spinal cracker
He got feet down below his knee
Hold you in his armchair
You can feel his disease
Come together, right now
Over me

Mi alzo – basta piedi sotto il ginocchio, è ora di fare sul serio -–e Alyna sorride e scuote la testa e mi bacia con tanta voglia. «Sei pazzo» mormora, passandosi la lingua sulle labbra – è di te quel sapore, amore mio – e facendo una faccia strana.

Rido, ma non le lascio dire nulla: le levo la maglia e il reggiseno, mi spoglio da cima a fondo e mi godo il suo sguardo timido e arrossito, la sua bocca gonfia e quel seno tornito che sale e scende a ritmo del suo piacere.

I suoi occhi puntano al mio amico ai piani bassi, e io scoppio a ridere pensando a quanto ci abbiamo girato in tondo nei nostri battibecchi. Alyna si copre il volto con le mani, ma io mi avvicino e le tolgo subito.

«No, ti prego. Guardami. Sii vera» le chiedo, improvvisamente consapevole che ho bisogno di averla davvero tutta per me, così come è, senza veli e senza perderla di vista mai.

Nei suoi occhi passa un lampo di comprensione. Annuisce, forse ha capito. Si alza in punta di piedi e mi bacia, le mani che si appoggiano contro le scapole e mi tirano verso di lei.

Impattiamo in modo confuso e caloroso, e la mia erezione finisce per appoggiarsi contro la sua pancia. Alyna respira forte nella mia bocca, ma sento che sta già sorridendo.
«Eccolo... il cazzone» sussurra, maliziosa e imbarazzata assieme.

E io penso che ora non ce la posso fare più a trattenermi: è lei quello che voglio. Tutto ciò che serve. Lei che arrossisce e ride e mi dice cavolate. La mia Alyna.

È lei a fare un passo indietro, a sdraiarsi sul letto e ad accompagnarmi sopra il suo corpo. La bacio, prendo tempo, cerco di calmare il mio respiro. Mi rialzo, prendo il preservativo dalla tasca dei jeans – sì, ce l'ho lì da stamattina. Sì, sono un deficiente. Sì, sono un uomo come tutti – e me lo metto addosso. Ritorno da lei, sorrido, le bacio lo sterno.

He roller coaster
He got early warning
He got muddy water
He one Mojo filter
He say one and one and one is three
Got to be good looking
'Cause he's so hard to see

Dio, com'è bella. Com'è scura e tesa e calda e palpitante. Com'è densa nei movimenti e negli occhi e nel respiro.

«Matthew» sussurra, piano.

Rispondo di getto, lasciandole un bacio sulla clavicola. «Non aver paura.»

«Non... Non ho paura...»

«Non farà male come pensi.»

Lei annuisce, io la guardo e... piccola, com'è che ti posso far capire quanto sarà bello?

E mentre John Lennon scandisce il suo ultimo «come together, right now, over me», mi chino su di Alyna e baciandola mi infilo dentro di lei.

Sussulta, si scuote, fa un verso dolorante che mi dilania il cuore mentre stringe i denti sul mio labbro. Ma non smette di abbracciarmi e di premere forte le dita contro la mia schiena, non smette di guardarmi con i suoi occhi scuri che mi dicono che va tutto bene, e che da qui in poi sarà solo un tornado di meraviglie.

E lo è. Il telefono riprende con una nuova canzone – mi pare siano i Doors, ma chi lo sa – e nessuno qui se ne cura: Alyna si sposta e muove contro e lontano da me, trova un suo modo per stare al ritmo e spinge il bacino su di me, come volesse essere lei a entrarmi dentro e non il contrario.

Geme, mugola, mi chiama continuamente, e il mio nome diventa per me garanzia di essere davvero qui. Solo sentendo lei che mi invoca riesco a percepire il presente, altrimenti sarei perso in un limbo privo di sostanza e ricolmo solo di Alyna e dei suoi occhi neri.

C'è qualcosa di naturalissimo, in tutto questo, nell'istinto primordiale al piacere e alla soddisfazione di sé, ma c'è pure qualcosa di mai provato: mi sembra di essere altro da me, di essere un'entità differente. Alyna è con me ma è pure attorno a me, ci sono dentro di lei, non solo assieme. E questo ci rende una cosa differente. Non è darle piacere o riceverne. È darsene a vicenda con lo stesso movimento, è guardarsi in faccia e vedere sé stessi e i propri spasmi riflessi nel volto dell'altro, è sentire il proprio nome e rispondere con un «sì» che significa "sì sono qui, lo sento anche io, e anche io non so più parlare, so solo che tu sei qui su di me e io sono su di te e ricordo, penso, vedo, sento solo te".

«Matthew... Io... Non riesco a stare ferma» geme forte Alyna, la schiena che si inarca e ricade, i muscoli che si stringono attorno alla mia erezione affondata dentro di lei, le mani che scivolano dalla schiena al mio sedere e se lo tirano contro, più vicino, ché non è mai abbastanza.

«È normale, Alyna» rispondo, l'affanno nella voce e nella testa solo sangue che pulsa.

«Sei... sicuro?»

Sorrido, mi lascio sfuggire un gemito di appagamento. «Sì. Se ti piace, è normale.»

«Mi piaci tu» dice. Il collo si tende, la testa si spinge contro il cuscino, i denti le escono dalle labbra. «E questo... oh, questo» geme, tirandosi su col busto per raggiungere il mio viso. «Questo è la cosa più bella del mondo.»

Mi stampa un bacio irruento e veloce, poi affonda il volto contro il mio collo. La avvolgo con le braccia, mi siedo e me la tiro sopra.

«Muoviti con me» sussurro contro il suo orecchio.

Alyna annuisce, sposta il bacino avanti e indietro e io non so più se il piacere viene dalle sue spinte su di me o dalle mie mani che le stringono i muscoli tesi della schiena o dai suoi seni che si strusciano su e giù sui miei capezzoli.

Alla fine non mi so trattenere, e lascio che le sue contrazioni mi portino via assieme a lei.

Per un istante, profondo e infinito, ho solo il suo sguardo violaceo nella mente, ho solo il suo urlo nelle orecchie, soltanto la sua pelle piena di brividi sulle mani, solo il suo calore di donna su di me. Per un istante, sono solo lei e io e questo. Per un istante, la mia vita è completamente piena soltanto di Alyna.

Non riesco a dire nulla, quando il mio seme si svuota nel preservativo, tra le maglie della sua carne che ancora stringono e stritolano e non mi lasciano andare. Non riesco a dire nulla, quando lei mi bacia forte e mi fa sentire la sua lingua calda contro il collo. Non so parlare, non so pensare.

Soltanto, non mi era mai successo qualcosa di simile. Di così giusto e denso e dolce e arrogante allo stesso tempo. Non ero mai riuscito a essere così presente e assente insieme. Nemmeno con la musica, nemmeno con la marijuana, nemmeno con qualcosa di più forte che ogni tanto ho provato.

Alyna si adagia su di me, con le ultime stilettate di piacere che ci stringono ancora uno all'altra. Sorride, mi bacia il naso, sospira forte.

«Mi ami» mormoro.

Ed è una dichiarazione al contrario, ma qui niente è mai andato nella direzione normale. È un pensiero che emerge da sé, che si fa strada da solo, che prende forza dai suoi gemiti e dal suo piacere e dal modo in cui urlava il mio nome.

«Mi ami anche tu» risponde Alyna, poi ride. «Che strano modo di dirlo.»

«È il modo più sincero per farlo: non mento, parlando di ciò che capisco in te. Non menti, dicendo ciò che hai compreso da me.»

Alyna annuisce, mi infila le mani tra i capelli. «Ci amiamo, Matt. E non l'avrei mai pensato possibile.»

«Cosa? Amare me?»

«Amare in generale.»

Sorrido. Quant'è tenera. «E invece ce l'hai fatta.»

«L'ho realizzato solo perché me l'hai detto tu. L'hai capito tu, che ti amo.»

«Chiunque può amare qualcuno, Alyna. Puoi amare chi vuoi.»

Scuote la testa, piano, poi mi bacia il labbro. «È perché sei tu, che ti amo. Non potrei amare qualcun altro. Non così. Amo te e le tue mani dure e la tua musica e la tua chitarra e la tua voce e la tua pelle. Potrei amare qualcun altro, sì, ma non come amo te. Qualsiasi altro sarebbe diverso da te.»

Non so rispondere. La guardo soltanto, mi lascio sfuggire un ghigno sbilenco che lei afferra con i denti e risucchia con la lingua.

«Stai diventando tremenda» mormoro.

Alyna ride, posa la testa sul mio petto. «È colpa tua.»

«Ah sì? E perché?»

«Sei... Sei ancora dentro di me, quindi mi influenzi.»

Le bacio i capelli, umidi di sudore e meravigliosamente pieni di lei e di noi. «Me ne vado subito.»

Alyna alza la testa di scatto, fa cenno di no, mi guarda con una sorta di terrore che non comprendo. «Aspetta un minuto» sussurra. «Io... non vuoi rimanere qui, con me, ancora un po'?»

Piccola, tenera Alyna. Quanto timore hai ancora, di te stessa? «Non intendevo andare via da qui, piccina. Solo da dentro di te.»

Arrossisce vistosamente, china lo sguardo. «Oh, sì, certo... giusto, ora sì... è il momento di... diventa meno... duro, no?»

Scoppio a ridere, perché non potrò mai smettere di amare questo modo timido e impacciato che ha di parlare del sesso. «Lo dovresti sentire.»

Annuisce. «Lo sento.»

«E quindi?»

«Non... non capisco.»

Mi avvicino e la bacio, tirandomi contro le sue natiche perché mi percepisca mentre mi muovo, perché capisca me e sé è riesca a comprendere come funzioniamo assieme.

«Possiamo farlo altre diecimila volte, Alyna. Finché vorrai» sussurro, strofinandomi dentro di lei mentre l'eccitazione mi pervade di nuovo.

«Voglio. Ti voglio.»

«E allora mi avrai.»

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