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37. (A) Forse ci aspettava solo questo

Un soffio d'aria tiepida sul viso. Una mano mi sfiora i capelli, scende fino alla guancia, si posa sul labbro. Scindere sogno, realtà e ricordo si fa sempre più difficile, mentre il tocco di queste dita sulla mia pelle mi accende di speranza e convinzioni.

Socchiudo gli occhi piano piano, temendo quasi di trovarmi davanti il nulla, ma quando le palpebre si aprono emerge dal mio sonno il colore pallido delle guance di Matthew, la sua bocca curvata in un sorriso straordinario, gli occhi marroni cerchiati dalle occhiaie ma tremendamente perfetti.

«Buongiorno, Aktivist» sussurra, poi si siede sul letto e mi posa un bacio sulle labbra.

Si stacca presto, prima che – in barba all'alito da dormita e allo stato disperato in cui sarà la mia faccia – io possa avere ciò che desidero: lui, nient'altro che lui e il sapore caldo e morbido della sua bocca.

«Ciao, Matt» borbotto, mentre la sua mano mi accarezza una spalla.

Lo guardo, qui al mio fianco, con una t-shirt rosso scuro e i jeans già infilati, le dita su di me, gli occhi dentro i miei, mentre il silenzio precipita tra noi. Lo osservo e mi viene spontaneo sorridere, senza staccare lo sguardo dal suo. Cosa mi hai fatto, Matt? Com'è che sono nuda nel tuo letto e tu mi accarezzi e mi guardi così?

Le sue dita continuano a correre e suonare tasti invisibili, finché non me le ritrovo sul bordo delle mutande e scoppio a ridere.

«Proprio non ci riesci, eh?»

Ammicca, gli occhi che fuggono via. «A fare che?»

«A non toccarmi.»

Matt abbassa il volto, ritira la mano. «Scusami, Alyna. Non volevo eccedere.»

Eccedere? Matt?

Faccio leva sul braccio e mi tiro a sedere, raggomitolandomi dentro le lenzuola. «Matt, che succede?» mormoro, sfilandogli una ciocca di capelli da dietro l'orecchio.

Quando alza la testa sembra tutto tornato normale, nel suo sguardo: mi sorride e scuote il capo. «Niente, tranquilla. Facciamo colazione, meraviglia? Di là è già tutto pronto.»

No. Qualcosa non va. E tutta la felicità e la gioia e il desiderio di rimanere con lui dentro questa stanza per il resto dei miei giorni mi si levano di dosso all'improvviso, lasciandomi muta e gelata, immobile, spenta.

«Certo» rispondo, cercando di celare quel che sento. «C'è anche Theo?»

Matthew annuisce. «Mi ha detto che l'hai visto, stanotte» mormora. «Spero non ti sia imbarazzata... mi spiace.»

Come potevo imbarazzarmi di fronte al suo grazie, all'affetto che mostrava per te anche solo guardando me?

Afferro le mani di Matt con forza, portandomele attorno alla vita, e mi spingo verso di lui alla ricerca della bocca. La trovo, ci affondo dentro, a cercare quella lussuria e quel disperato bisogno di avermi che fino a stamattina mi avevano portata su un altro pianeta. E ce li sento ancora, dentro questo bacio bollente e infinito, dentro le sue dita che mi premono sulle cosce e sfiorano ogni cosa.

«Matthew, è tutto perfetto così com'è. Voglio solo che tu sia felice come lo sono io» sussurro.

Matt strofina la fronte sulla mia. «Sono molto più che felice, Alyna.»

E poi mi prende per mano e mi fa alzare. Recupera il mio vestito da una sedia, me lo infila addosso con dedizione e un pizzico di malizia – mi strizza un capezzolo, mi pizzica un fianco – e io avvampo, di nuovo in imbarazzo e di nuovo immensamente presa da tutto questo gioco infinito.

Quando raggiungiamo la cucina, Theo ci sta aspettando sul tavolo ben apparecchiato con marmellata, Nutella, pane e biscotti, una caraffa di tè e il caffè pronto nella... moka – mi pare che Luciano la chiami così.

«Ben svegliata» dice Theo, poi fissa la mia mano, incastrata nelle dita di Matthew, e sorride come ha fatto stanotte.

«Vuoi anche del succo?» chiede Matt, e al mio cenno di diniego si siede al mio fianco.

Mangiamo in silenzio, tra occhiate che volano e sospiri malcelati. Mi sento in più, come se fossi il terzo componente di un duo affiatato, e so che lo sono: Matthew e Theo sono abituati a vivere da soli, a fare colazione assieme, a cenare e lavare i vestiti e guardare la tv in due, o al massimo con Yuri e Luciano. Io non c'entro nulla. Una donna non c'entra nulla, qui dentro.

E poi mi ricordo di Bella, e mi si stringe la gola nella certezza che lei qui dentro fosse sempre la benvenuta, sempre a suo agio, sempre perfetta come io non so essere. Nemmeno la conosco, nemmeno l'ho mai vista, ma brucio all'idea di lei, qui su questa sedia, mezza nuda, che mangia un toast assieme a Matt e gli fa gli occhi lucidi aspettando il momento di rifugiarsi tra le sue mani.

Matt sbatte la tazza sulla tovaglia, mi afferra la mano e la stringe con forza. Mi giro di scatto, cercando di capire cosa mi sono persa, ma lo trovo soltanto intento a guardarmi fisso, con una luce nelle pupille che sa di desiderio e rimpianto assieme.

«Hai da fare, oggi?» mi chiede.

Scuoto la testa. «No.»

«Allora ti porto a fare un giro.»

«Bella idea» interviene Theo. «Sei mai stata al museo ebraico?»

Io faccio cenno di no, ancora, ma continuo a fissare incantata gli occhi di Matt, che mi promettono baci e carezze come quelle di stanotte, mi promettono abbracci e mani giunte e una felicità tutta nostra che io non ho mai trovato altrove.

«Portacela, Matt» dice Theo, poi si alza e sparecchia il suo lato del tavolo. «E divertitevi anche per me, mentre io lavoro.»

Mentre Theo si prepara e se ne va, io e Matthew finiamo di mangiare. Aleggia una strana cappa di apatica calma, qui dentro, ma do la colpa al mattino grigio che ci scruta da dietro i vetri delle finestre, alla notte brava che ha portato via il sonno a tutti, al placido languore che mi porto dentro – e spero lo senta anche Matt.

«Alyna» mormora lui, improvvisamente, mentre sistemiamo la cucina assieme. «Mi spiace per prima.»

Mi si avvicina e mi abbraccia il torace, sfiorandomi la schiena con il suo petto. Il suo respiro è tiepido contro la mia nuca, e mi fa rabbrividire come se fosse la prima volta. Mi lascia un bacio sull'orecchio destro, strofina le mani contro la mia pancia, imprime i polpastrelli sul mio ombelico, mi accende ancora – sempre – di desiderio.

«Scusami, davvero. Ma averti qui a casa, alzarmi dal letto con te accanto, prepararti la colazione e venirti a svegliare... per me è stato necessario, lo sentivo dentro, ma è anormale. Nel senso che non m'è mai capitato, e non lo so gestire.»

Mi volto tra le sue braccia, e con il cuore sconvolto e le guance che prudono mi alzo a dargli un bacio. Non mi trattengo, non ce la faccio, gli sfioro le clavicole con le labbra e mi lascio andare contro di lui, lo sento addosso, lo vorrei di nuovo nel suo letto, caldo e vibrante com'era ieri.

«Non so che dirti. Io... mi sembra tutto irreale, troppo giusto, troppo. Ti vorrei... vorrei sentirmi così sempre» mormoro.

Il suo abbraccio si fa più forte, e rimaniamo così, in silenzio, a tentare di capire quel che l'altro prova, a tentare di misurare la quantità di gioia che pervade entrambi, e la paura che irrimediabilmente ci sguscia dentro – viscida – al pensiero che sia troppo presto, per sentire tutto questo.

Due ore dopo, un altro caffè racimolato per strada e gli occhi pieni di sorrisi, io e Matt entriamo nel museo ebraico.

Matthew mi guida nell'edifico contorto e grigio di cemento, mi si ferma dietro mentre io osservo le vetrine, leggo le storie, immagino le persone che qui sono rappresentate da fogli di carta e cianfrusaglie ma erano immensamente di più e immensamente altro dalla semplice statuetta che tenevano sopra il comò.

Con calma, in silenzio assoluto, Matt mi conduce nella parte del museo più famosa, quella progettata dall'architetto Libeskind – me ne ha parlato, mentre venivamo qui in metro, e sono rimasta sconvolta dal modo in cui ricordava le cose, le metteva in riga, le snocciolava quasi fosse uno studioso d'architettura – quella che mette in confusione vista e cervello e stomaco.

Ci infiliamo giù per una scala buia, a calpestare volti urlanti sagomati nel metallo che sotto i nostri piedi emettono un suono rauco e devastante, pieno di echi che nella mia mente prendono le forme più diverse – quanto male c'è stato e continuerà sempre a stare nel mondo.

Risaliamo, i volti contratti e le labbra immobili, senza tenerci per mano, senza sfiorarci, capaci solo di mettere un passo di fronte all'altro. Ci avviciniamo al cortile, dove colonne di cemento storte e pendenti si affastellano una sull'altra, e passandoci in mezzo – col pavimento lastricato che sale e scende e si inclina – mi monta addosso un senso di nausea profondo, destabilizzante.

Ritorno indietro, attendo Matthew che si fa avanti a piccoli passi, curvo, gli occhi socchiusi. Poi mi porta nell'ultima stanza, un bugigattolo buio e terribile, in cui solo una lama di luce dall'alto illumina le dimensioni di un ambiente che potrebbe essere enorme o microscopico, da quanto ne capisco. Però è freddo, qui dentro, freddo e umido, e solitario, e immane dolore.

Mi volto, improvvisamente colta da un senso di oppressione così forte da impedirmi il respiro, ed esco quasi di corsa, abbandonando Matt per cercare una via di fuga.

Quando lui mi segue, millesimi di secondi dopo che a me invece paiono infiniti, mi prende per mano e mi porta fuori, nel giardino coi pergolati e le sdraio che stona e fa a pugni con tutto quello che ho provato e ingurgitato finora.

«Perché?» sussurro, guardandolo mentre mi fa sedere su una sedia bianca, lucida, mansueta nel verde dell'erba.

Si accoscia, Matt, posando le mani sulle mie ginocchia. «Perché cosa, Alyna?»

«Perché mi hai portata qui, oggi.»

«È una parte importante di Berlino, questa. Dovevi vederla, prima o poi.»

«Ma perché oggi, Matthew?» Voglio capire, voglio sapere: stavo bene, eravamo felici, perché non rimanere a casa a rotolarci nelle lenzuola o andare a fare un pic-nic al parco, invece di... «Perché questo dolore dopo la... la notte di... dopo quanto sono stata bene con te?»

Matt strofina le mani sulle mie ginocchia, scuote la testa e quando la solleva vedo una tristezza che nulla ha a che fare con questo posto. «La vita non è solo bella, no?»

«Matthew» sussurro, ed è quasi una preghiera. No, Matt, no. Cosa stai facendo, qui quasi inginocchiato davanti a me, mentre un grumo di lacrime minaccia di oscurarmi la vista? Perché non può essere tutto bello?

«Io» dice, «devo parlarti di una cosa. Che è successa sabato, o domenica, insomma, sabato notte.»

Ammutolisco. Mentre metà della mia mente viaggia per conto suo e inizia a pensare a cose atroci, cose che mi mangeranno viva, che mi leveranno la fame e la sete e mi uccideranno, l'altra metà rimane in silenzio, assorta, afona.

Matt si china e mi bacia lievemente un ginocchio. Io non mi ritraggo, sto ferma, lo guardo.

«Ho incontrato Bella.»

Okay. Bella, Bella, Bella. Quant'ho sentito dentro di me questo nome, pur non avendola conosciuta, pur non avendo nulla a che fare con lei... no, non è vero, ho tutto a che fare con lei. Chissà quante volte Matt l'ha fatta sussultare e godere come ha fatto con me. Chissà quante volte è andato oltre, facendo ciò che con me ancora non ha fatto. Chissà quante volte è stato suo più di quanto sia mio. Chissà quanti pezzi di lui – corpo e anima – condividiamo o meno, io e Bella.

«Alyna, mi ascolti? Ti prego.»

Annuisco. «Parla.»

«L'ho... l'ho baciata, Alyna.»

Rimane muto, fermo, a fissarmi con occhi grandi e spaventati. E io? Io che dico? Che faccio? Che penso? Fatico a sentirmi il cuore, fatico a sentire qualsiasi cosa che non sia il tempo procedere, le lancette correre, la sabbia della clessidra esaurirsi. Ecco. Stop. Andato. Ciao ciao.

«Quindi lo spazio per me è finito» dico, e la mia voce non trema, è dura e composta. Sarei quasi orgogliosa di me, se riuscissi a pensare sul serio, a ragionare davvero.

«Cosa?»

«Ti avevo chiesto di dirmi quando sarebbe finito lo spazio per me, nella tua vita. Se hai baciato Bella... lo spazio per me è finito.»

Matt spinge avanti le mani, mi afferra le cosce con una morsa possessiva che però sa soltanto di disperazione. Il modo in cui mi graffia, mi segna, mi preme addosso, ha dell'incredibile: lo sento ancora – completamente – perfetto qui dov'è, qui su di me.

«No» sussurra. «Lo spazio per te era piccolo, e si è ingrandito giorno dopo giorno. Ora temo che non ci sia nemmeno spazio per me, nella mia vita. Perché è tutto tuo, lo spazio, sei un grande, enorme elefante che m'ha riempito ogni angolo.»

Come si risponde a uno che con le parole ci crea le canzoni? Come si fa? «Ma hai baciato Bella. Dopo aver baciato me, dopo aver toccato me. E prima di fare... di invitarmi a casa tua e farmi restare e...»

Scuote la testa come un invasato. «No. Cioè, sì. L'ho fatto. Ho fatto tutto questo. Ma sono qui a dirtelo proprio perché occupi uno spazio troppo grande per nascondertelo. Alyna, io volevo solo avere te, nella vita.»

Scoppio a ridere, una risata amara e quasi inquietante che mi sprofonda nel rancore. «Davvero? Matt, non dire cose sdolcinate. Non è da te.»

«Aspettavo solo qualcuno che mi capisse come tu fai. Che mi portasse oltre i miei limiti, che mi facesse valicare i suoi, che mi restituisse la musica e la vita e la felicità che avevo.»

«Non lo dovevi fare, Matthew. Non la dovevi baciare.»

«Lo so.»

Abbassa la testa, la poggia tra le mie ginocchia, e io come un automa infilo le mani tra i suoi capelli, me lo stringo addosso, accarezzo e conforto lui che mi ha fatto così male, adesso, senza averne mai fatto prima.

«Mi spiace, Matthew. Mi spiace tantissimo» sussurro, quasi a trovare calore nelle mie stesse parole, sia per me che per lui.

Mi bacia le cosce, una, due, tre, infinite volte, e io lo lascio fare, perché mi serve questo, mi serve lui, non so che succederà da ora in poi e finché è qui, finché ancora siamo entrambi assieme, lo voglio tenere stretto, tutto per me.

«Anche io dovevo dirti una cosa» mormoro, quasi il mio cervello ragionasse da sé.

Il cuore sobbalza mentre lui leva il capo. «Dimmi.»

«Non c'è un modo facile, ma tanto sento come se tutto stesse crollando. Quindi poco male farà, il mio errore, nel computo complessivo di tutti quelli che ci siamo lasciati dietro.»

«Alyna, ti prego, non dire così» ribatte, ma io non lo ascolto.

«Ho lasciato la mia casa e la mia famiglia perché l'uomo cui sono stata promessa sposa mi ha rifiutata due volte per la donna che ama. I miei genitori sono ricchi, mio padre è un imprenditore petrolifero, Emir – il mio promesso – è il figlio di un'altra grande famiglia. Sono nata tra giardini colorati e tate. Sono tutto questo, Matthew, e né tu né nessun altro di coloro che ho conosciuto qui meritava che io mi nascondessi. Ma volevo ricominciare di nuovo, vedere se valgo oltre il mio cognome. Avrebbe funzionato. Ha funzionato. E ora che ero decisa a parlartene, a tenerti stretto mentre lo facevo per non farti fuggire... Ora... mi sa che forse ci aspettava solo questo, no?»

Matt è fermo, quasi non respira. «Questo cosa?» chiede piano.

Gli sorrido, come vorrei continuare a fare ma temo non potrò fare più. «Delusione. Ci siamo delusi. Io dall'inizio, tu alla fine.»

«Non c'è nessuna fine, Alyna» dice, ed è serio mentre lo fa.

«Tu credi? Davvero?»

Ha ancora le mani poggiate su di me, ma a un tratto le ritira. «Forse non c'è mai stato un inizio vero.»

Lo capisco. Lo capisco, sul serio lo capisco. Ma fa male più di qualsiasi cosa io abbia mai provato, sentirsi strappare via un amore mai nato su cui però si aveva puntato tutto. Fa un male atroce, vedere sotto i propri occhi sbriciolarsi una realtà che era diventata la propria. Dilania. Distrugge.

«Posso solo dire che tutto ciò che ti ho detto e non nascosto è vero.»

«Sul serio?» sibila lui, irriconoscibile nella voce acuta e nel dolore che c'è dentro, nascosto, ma per me chiaro e lampante come un quadro bianco ottico. «Davvero non sei mai stata con un uomo, non hai mai ascoltato musica?»

Annuisco. «Tutto ciò che so l'ho imparato da te. Da te, che sei corpo e musica. Ho imparato e amato tutto ciò che hai detto, fatto, mostrato. Lo amo ancora. Non cambierà nulla, in me. Vorrei poter rimediare ai nostri sbagli, Matthew. Lo vorrei così tanto.»

«Temo non si possa» mormora lui, il capo chino e le mani strette alla t-shirt. «Hai ragione. Forse eravamo destinati solo a questo.»

E io – che l'ho detto per prima, ma mai l'ho pensato per davvero – ora che lo sento uscire dalle sue labbra mi rendo conto del rimpianto che queste parole tengono dentro di sé.

Rimpianto mio, per non aver detto il vero, per aver voluto fare una vita che eliminasse quella precedente, per aver mostrato a Matt solo quello di cui mi sentivo sicura, cancellando errori e problemi e malignità dal mio passato.

Rimpianto suo, per aver dato a me tutto quello che aveva, per aver baciato Bella nonostante me, probabilmente anche per avermi dato una fiducia che ora non sente meritata.

Forse è vero. Forse ciò che ci rimane sarà solo il rimpianto.

«Ti accompagno a casa.»

Guardo Matt, i suoi occhi stanchi, le spalle curve di pensieri e indecisioni come curvo è il mio cuore. Annuisco, mi lascio portar via.

A notte fonda, dopo aver parlato con Becky – che mi ha ascoltata e compresa e asciugato le lacrime che inevitabili hanno inzuppato il mio vestito, che mi ha rassicurata e mi ha detto di pensare, di pensare tanto, e poi di andare da lui e provarci ancora, a renderlo e rendermi felice – mi siedo sul letto.

Mi levo il vestito, lo getto via come si fa con qualcosa che fa troppo male. Mi chino sulle ginocchia, ci cerco i baci di Matthew con le labbra, ma non li trovo, non lo trovo.

Chissà dov'è, chissà cosa fa, chissà a cosa sta pensando e se potremo mai trovare una soluzione a tutto questo.

Mi sporgo a prendere il cellulare, e con le dita colte da spasmi compongo un numero che da settimane non mi chiama più.

«Anne» sussurro alla voce assonata che mi risponde – perché se una figlia fa il tuo numero in piena notte non c'è risentimento che tenga. Perché una mamma i figli li ama come se fossero una parte di sé, una mamma non spegne mai il cellulare, unna mamma c'è e basta.

«Mio piccolo dolcissimo fiore del deserto. Stai bene, hayatım

Scoppio a piangere, ancora, perché quanto mamma mi chiama "vita mia" significa che le manco, che sta male, che mi vuole.

«Tatlı anne... puoi parlare con me un po'? Sto tanto male.»

«Che è successo, Alyna?» sussurra, spaventata.

«Mi si è spezzato il cuore di nuovo, anne. E non so che fare.»

«Il cuore si aggiusta sempre. Basta sapere come. Parlami, piccola mia. Parla con la tua anne. Troveremo una soluzione, lo prometto.»

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