35. (M) E lasciati andare
«Come stai?» mormoro, la mano ancora contro la curva delle natiche di Alyna.
Lei sospira. «Bene. Sto bene, qui con te.»
«È finito il ciclo?»
Alyna sbuffa, si tira indietro e mi dà una pacca sul fianco. «Quasi. Sono al quarto giorno... Ma smettiamola di parlarne, Matt.»
La mia mano ha perso il contatto con lei, e ora gela qui da sola. «Ma perché? Perché? È una cosa normale.»
«Ma non ne dobbiamo parlare!» si agita Alyna.
«E perché no? Perché non possiamo parlarne come faremmo riguardo a qualsiasi cosa?»
«Tipo cosa?»
Oh tesoro, non sai cosa mi stai chiedendo. «Tipo la mia erezione mattutina.»
«Matthew!» esclama, soffiando fuori la frustrazione. «Non parleremo nemmeno di quello!»
«Oh, con calma. Io ne voglio parlare». Eccome se ne voglio parlare.
«E io no.»
«E puoi fingere di non ascoltare, allora. Ma sai di cosa si tratta?»
Alyna non risponde. Sta in silenzio, mi guarda dritta negli occhi come a implorarmi di tacere, di non infrangere anche oggi una nuova barriera, ma io ho bisogno soltanto di lei, di lei ancora, di sentire che le posso dire tutto, che lei ci sarà pure se la offendo. «Alyna, dai. È un discorso serio.»
«No, non lo so. Non sono mai stata a letto con un uomo, lo sai già.»
Circa. Non ne ero sicuro, non finora. E adesso un po' di irrequietezza mi avvolge: non sono geloso, no, ma pensare che potrei – vorrei – essere il primo ad averla totalmente per me mi mette in soggezione... e mi fa ribollire d'eccitazione allo stesso tempo.
«In realtà sapevo solo che non hai mai avuto un rapporto completo» rispondo, sentendo le mani che tremano mentre immagino come sarebbe lei dentro le lenzuola, il suo corpo ambrato su una coperta pallida, i capezzoli scuri e gli occhi viola che mi fissano e mi invitano. «Ma mi hai detto che qualcosa hai fatto... Non potevo sapere...»
«Comunque no, non so cos'è» mi interrompe.
«Okay. Beh, praticamente durante il giorno il nostro cervello – di noi maschietti – rilascia una sostanza che blocca l'erezione. Insomma, ci permette di camminare con le gambe più strette e di non stare sempre con un palo in mezzo.»
«Matthew, ti prego...»
«Dai, lasciami parlare». Accettami, Alyna, accettami e prendimi come sono. «Questa sostanza di notte viene rilasciata meno, e quindi ci sono più probabilità di avere un'erezione. Perciò spesso ne abbiamo più di una a notte, che contribuisce anche a far star meglio i tessuti – non mi chiedere come. Capito?»
«E questo cosa dovrebbe dire, a me?»
«Dovrebbe insegnarti che alla mattina mi sveglierò quasi sempre in ottima forma, e tu dovresti approfittarne.»
«Matthew!» esclama, il velo di una risata che finalmente le compare sulle labbra.
Eccola, un'altra resistenza vinta, un altro passo compiuto. Sono sempre più io, con lei. E anche se adesso mi picchia, Alyna, con il volto aperto e rosso e le mani che cercano di colpirmi lo sterno e farmi male, io non smetto di guardarla e di sorridere, e di sentirmi perfettamente a mio agio e perfettamente esatto in questo posto e in questo istante.
«Tu dovresti approfittare di me, esattamente come io approfitterò di ogni secondo in cui non avrai il ciclo per mostrarti un'infinità di cose» sussurro, bloccandole le mani e sfiorandole il naso con le labbra.
«Ora però ce l'ho» risponde lei.
«Ma ci sono tantissimi modi per farti godere anche senza toccarti le mutandine» ribatto, sfiorando con le dita la sua pancia. «Basta solo che mi lasci provare» mormoro, e con la mano mi infilo sotto la gonna, e senza che lei capisca nulla risalgo la sua pancia liscia fino alle costole. Ci poso i polpastrelli e sento il cuore batterci contro con forza, come se volesse sfiorarli, sentirli addosso come io addosso voglio sentire lei.
«Ma non è oggi il caso. È ora di andare a casa» dice.
La guardo negli occhi, il calore delle sue cosce nude contro i miei pantaloni che mi dà al cervello, e capisco che ha solo paura di ciò che non conosce, come sempre. Ma adesso io desidero, adesso io voglio, e so che vuole e desidera anche lei. Lo so.
«Rimani a dormire da me, Alyna» le dico, toccando con le dita il bordo del suo seno scoperto – e dentro tremo e vaneggio perché lo voglio vedere, sentire, annusare, assaggiare, mordere e mordere ancora. «Giuro, voglio solo dormire» mento invece.
«Dopo quello che mi hai detto finora?»
La ragazza è astuta, e io godo a sapere che capisce perfettamente quello che sento, perché significa che lo sente anche lei, il peso denso e appiccicoso e irresistibile di questo desiderio che vuole solo trovare finalmente il suo posto. «Alyna... ti prego.»
Mi guarda, mi sorride, posa la sua mano sopra la mia, divisi solo dalla stoffa. «Matt, anche io vorrei...» Deglutisce, sbatte le palpebre, mi si poggia addosso. «Abbracciami. Per favore, ne ho bisogno.»
E lo faccio subito, levo la mano e la stringo immediatamente, premendo le dita contro di lei, a segnarla e segnarmi, ché quel che ci serve è solo superare paure – e non detti e incomprensioni – per darci uno all'altra, senza fermarci.
«Mi sei mancata. Mi sei mancata tanto che non te lo so spiegare. Mi mancavano i tuoi occhi, il tuo sorriso, il modo in cui ridi e le mosse che fai quando balli. Mi mancava vederti arrossire o sentirti calda e morbida contro di me quando mi abbracci. Ti prego, Alyna, rimani. Rimani qui con me e lascia che ti mostri quel che sento.»
Alyna alza il volto, mi guarda con pupille grandi e calde, scure, dense come noi e come quello che ci stiamo dicendo in questo corridoio stretto e sicuro. «Giurami che non avrò paura.»
Le bacio le labbra con una dolcezza che non mi riconosco, come se volessi soltanto assaggiarne un pezzetto, gustarmi il suo sapore prima di tutto il resto. «Non devi mai averne. Non con me. Non c'è nulla che possiamo perdere, da tutto questo. Possiamo solo essere felici, eccitati, pieni di vita. Credimi. Lo voglio, ti voglio, per tutto ciò che sei. Facciamo questo passo, Alyna, smettiamola di essere confusi e a metà.»
«Mi sono fidata di te dal primo istante. Non smetto di farlo ora.»
«E quindi?»
Alyna rimane in silenzio per un attimo, e io ritorno cosciente della canzone che esce dalle casse: è "Dosed", mi sa che il CD è quello dei Red Hot. E mentre la piccola Aktivist che tengo tra le braccia mi guarda e cerca di argomentare quel che sente, io sorrido perché questa canzone ha dell'inspiegabile, ed è atrocemente bella.
I got dosed by you
Closer than most to you
What am I supposed to do
Take it away I never had it anyway
Take it away and everything will be okay
Alyna ha spalancato gli occhi, ascolta le parole. Sorride. «Sembra che tu faccia apposta, stasera, a mettere canzoni che mi fanno arrossire.»
«Niente più sera. Ormai è notte.»
Si volta verso le finestre, e scruta nel buio come a cercare una soluzione. Torna a osservarmi, stringe le labbra. «Rimango, Matt. Rimango qui.»
In you a star is born and
You cut a perfect form and
Someone forever warm
Lay on, lay on, lay on, lay on
Lay on, lay on, lay on, lay on
E come vorrei che lei si sdraiasse, ora e subito, qui o sul divano o sul tavolo o dove volesse, basterebbe averla davanti e poterla guardare, sfiorare, baciare e sentirla tremare e mugolare mentre cerca di capirsi e di capirmi.
Invece deglutisco, la abbraccio stretta, le poso un bacio sulla tempia. «Grazie.»
Poi non mi trattengo più, e canto, con la mia voce più acuta di quanto vorrei, un po' incerta e tremendamente sgraziata rispetto a quella di Anthony. Ma canto, perché queste parole mi suonano dentro e le voglio dire anche io.
«Way upon the mountain where she died
All I ever wanted was your love.»
E spero lo senta, Alyna, che mentre Anthony dice "life" io dico "love". Perché questa canzone l'ho sempre cantata così, perché il mio senso ce l'ho sempre trovato così. "Tutto ciò che volevo era il tuo amore", perché lui quello desiderava e io questo cerco da una vita: amore, qualcuno con cui so che posso essere me, qualcuno che sia come una droga, irrinunciabile, vicino come nient'altro è.
«Deep inside the canyon I can't hide
All I ever wanted was your love.»
E questo "love" mi esce roco e tremolante, e quando Alyna mi guarda so che ha capito, so che ha sentito la differenza di parole e so che ha percepito la paura con cui l'ho detto. Ma non risponde, semplicemente mi sorride e mi stringe più forte attorno al torace, incastra le gambe sulle mie e mi fa sentire tutta questa sua pelle calda e morbida.
«Show love with no remorse
Climb onto your seahorse.»
Alyna ride, ché già ha capito il doppio senso – fin troppo perfetto per questo momento, in cui il suo bacino e il mio distano solo centimetri – ma io continuo a cantare.
«This ride is right on course
This is the way I wanted it to be with you
This is the way I knew that it would be with you.»
Alyna solleva gli occhi, mi bacia all'improvviso con un'urgenza mai mostrata, e io sulla guancia sento una scia di bagnato.
E a questo punto non so nemmeno più se sia mia o sua, questa lacrima, ma non importa: siamo entrambi sconvolti dalla potenza di queste emozioni e dalla forza con cui desideriamo ardentemente che sia davvero questo, il modo perfetto e giusto in cui essere noi stessi.
La canzone prosegue per la sua strada, ma noi non ce ne accorgiamo: continuiamo a baciarci, a sfiorarci braccia e toraci e fianchi, come se volessimo qualcosa che non conosciamo ma sappiamo sarebbe così intensa da metterci al tappeto.
«Matt» sussurra Alyna, sfiorandomi il mento con le dita che tremano. «Quando torneranno gli altri?»
«Non lo so.»
«Andiamo a... no, allora. Io devo... posso farti vedere una cosa?»
Cosa mi stai chiedendo, bimba? «Alyna...»
Scuote la testa, mentre il labbro le trema e gli occhi si posano incerti un po' ovunque. Poi si alza in punta di piedi, mi bacia il labbro inferiore, lo succhia e mi fa impazzire, mentre in me si affastellano mille domande diverse. Che succede? Chi sei? Come faccio a resisterti?
«C'è... ho... Tu sai dov'è Istanbul, no?»
Annuisco. «Sì. Perché?»
«Sai che si affaccia su un canale, il Bosforo, no?»
«Sì. Alyna, ma che vuoi chiedermi?»
Alza un dito, mi sfiora le labbra per indurmi al silenzio. «Il nome Bosforo viene dal greco, significa "passaggio della vacca", o "della giovenca". Zeus, sotto incantesimo, si innamorò di Io: quando riusciva a incontrarla la occultava trasformandosi in nuvola dorata, per proteggerla dall'ira di Era. Ma Era la scoprì comunque, e Zeus la trasformò in giovenca per nasconderla; Era la riconobbe nuovamente e se ne impadronì; quando il marito riuscì a liberare Io, ancora con le sembianze di vacca, Era – irrimediabilmente gelosa – mandò un tafano a pungerla. Io vagò per il mondo tentando di sfuggirgli, e per farlo attraversò a nuoto il Bosforo – che da questo evento prende il nome – per arrivare in Egitto e partorire Epafo, figlio illegittimo di Zeus, tornando umana.»
«Bella storia» dico, anche se mica ho capito tutto. «Ma perché me lo dici?»
«Perché io sono nata sul Bosforo, Matt, e da quella storia provengo. Ce l'ho dentro, lo capisci? Sono turca» mormora, abbassando lo sguardo.
«Certo che lo capisco. Ma perché me lo ricordi?»
Alyna mi sfiora la mascella con un bacio. «Perché non devi dimenticare che sono venuta da lontano. Che sono figlia del Bosforo e della mia gente. E... porto dentro, addosso, il paese in cui sono nata.»
«Lo so». Com'è che lo dimentico, quando tutto in te mi ricorda che sei profondamente diversa da me?
«Ho il nome di Io...» sussurra Alyna al mio orecchio.
Non capisco. «Cosa?»
Mi sfiora il lobo con le labbra. «L'ho scritto con l'henné, sulla mia pelle. Se vorrai, lo potrai cercare.»
Tiro indietro la testa, sbarro gli occhi e cerco di recuperare il filo della ragione, perché questa cosa è tanto strana e misteriosa da rendermi incapace di pensare. «Tu... tu mi stai chiedendo di trovare il nome di Io che... hai su di te?»
Alyna sorride, e io in quel sorriso vedo qualcosa di nuovo: profondo, amalgamante desiderio. Schermato da infiniti veli di pudore e timore, ma c'è. «Se vorrai.»
Ammutolisco, perché io proprio quello vorrei fare, guardarla all'infinito e scoprire tutto quello che lei è.
«Non pensare, Matthew» mi sussurra. «Per una volta fai quello che vuoi, senza porti domande. Okay?»
Sembra la mia coscienza, a parlare, invece è lei e io sono sconvolto. Così sconvolto che le prendo la mano e la trascino in camera mia, manco guardo se è in ordine – impossibile – ma chiudo la porta, accendo la luce, la faccio sedere sul letto e mi sfilo le scarpe, le calze.
Alyna mi guarda, gli occhi grandi e le mani strette tra loro in grembo. Piccola.
Mi fermo, le sorrido come so la fa impazzire, mi avvicino e la tiro in piedi. «Vuoi provare tu?»
«A...?» risponde, gli occhi che vagano nei miei alla ricerca di una sicurezza che non so come darle.
«A spogliarmi.»
Alyna espira forte. «Perché?»
«Se dobbiamo giocare a trovare quel nome sulla tua pelle, ho tutte le intenzioni di farlo alla pari. Pelle tua scoperta, pelle mia scoperta.»
Mi guarda, poggia le mani tremanti sul collo della mia camicia. «Aiutami.»
«Passo passo, mano nella mano» dico, poi le afferro le dita e me le tiro sul petto.
Alyna srotola i bottoni fuori dalle loro asole, e mentre scende i suoi occhi tornano sempre ai miei, così scuri da essere quasi neri. E il nero, ora come ora, mi sembra il colore più bello del mondo, perché è il colore di quando lei è eccitata, e io sto letteralmente uscendo fuori di testa.
Tolta la camicia, mi do da fare da solo con i pantaloni, una mano perennemente serrata attorno a quella di Alyna, che mi guarda e mi stringe come a difendersi da qualcosa che non capisce.
«Posso... rimanere così?» le chiedo.
Lei mi guarda, lascia correre lo sguardo sul petto e si sofferma un istante in più sui miei boxer – e non posso nascondere niente, nessun rigonfiamento nessuna dimensione – poi annuisce. «Certo.»
«Tu... vuoi... lo fai tu o io?» E alla fine quello imbarazzato più di tutti sono io, perché trattare una cosa così delicata e importante com'è Alyna e com'è il suo rapporto con me lo sento troppo difficile per il cervello obnubilato che mi sta nel cranio.
«Tu. In fin dei conti sei tu che devi trovare un nome.»
Cristo santissimo.
«Non aver paura» ripeto, ancora, davanti al suo viso corrucciato e agli occhi color petrolio che mi fissano. «Non ti faccio male, non ti prenderò in giro, non farò altro che baciarti e abbracciarti. Come sempre. Anche se... ci sarà decisamente più carne del solito.»
Alyna ride, tesa. «Così mi fai cambiare idea, però.»
«No, ci mancherebbe. No, non cambiare» metto le mani avanti, pazzo. Pazzo di lei e me e noi, qui.
«Matthew!» esclama. «Vuoi forse vedermi le gambe?»
«Oh, tesoro, vorrei fare molto di più che vederle. E chissà dove lo nascondi, poi, quel nome.»
«Matthew...» sospira.
«Sì?»
«No, io... niente. È che non so che dire, queste cose che mi fai e mostri e dici mi prendono alla testa e alla pancia.»
Sorrido, perché confessioni così non ne ha fatte mai, e sono così terribilmente vere che mi sento scoppiare il cuore. «Sento lo stesso anche solo a vederti».
Alyna abbassa lo sguardo, annuisce. «L'ho capito.»
Scoppio a ridere, me la tiro contro e me la stringo fortissimo. «Alyna, sei meravigliosa.»
E poi la guardo negli occhi, le sussurro quello che voglio fare, e mentre lei mi da il via libera le sfilo il vestito. Ora che l'ho davanti, le braccia sciolte lungo i fianchi, i capelli scostati, la pelle che rabbrividisce ma è ferma, scoperta, tutta mia, me la succhio con occhi e mente, come se fosse ciò che mi permette di vivere, come se fosse aria e acqua e cibo e sole. Mi incido sulla pelle ogni sua piega e ogni suo colore, le forme delle braccia e delle gambe e dei seni piccoli e tondi.
Non mi sono mai sentito così. Mai in vita. Così eccitato e allo stesso tempo timoroso, imbarazzato, pieno di cose che voglio fare e triste delle bugie che trattengo dentro e so che dovrò trattenere ancora, almeno per non farmi sfuggire dalle mani questa notte perfetta.
Scorro con gli occhi ogni centimetro, ma il nome non lo trovo, non lo vedo. La faccio voltare, mi avvicino e allontano, ma ho le pupille strette dal desiderio e le mani che tremano, e non riesco a scovare ciò che cerco.
«Dove l'hai messo, eh?»
Alyna arrossisce, mi guarda e scuote la testa. «Sei tu a doverlo trovare.»
Sorrido. «Lo farò. Dovessi percorrere ogni centimetro della tua pelle con le dita e la bocca.»
«Matthew» mormora Alyna, afferrandomi una mano. «Voglio...». Tentenna, è sempre più agitata, scuote piano la testa. «Non riesco nemmeno a dirlo. Non voglio solo che trovi quel nome... io...»
Lei sta in silenzio, ma io ho capito, e allungo una mano a sfiorarle la clavicola. «Non serve dirlo. Io lo so già.»
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