6. Sempre noi
My friends are so depressed / I feel the question / of your loneliness / confide...'cause I'll be on your side / you know I will, you know I will
My friends (Red Hot Chili Peppers)
[Serena]
Mi affaccio alla porta di casa sorridendo, e mi avvio verso Piazza San Marco. Sono appena le sette e mezza di sabato mattina, ma già i balconi iniziano ad aprirsi, e i turisti scendono nelle calli alla ricerca di un caffè.
Mi sono alzata presto, sebbene sia sabato, ma ho in programma di arrivare al lavoro in orario: devo sistemare alcuni dettagli per la mostra di Manuzio, e voglio prendermela con tutta calma. Normalmente nel weekend non lavoro, ma gli uffici del Muve sono sempre aperti, e a Leonardo non dispiace se ogni tanto ci portiamo avanti.
Sono ancora euforica dopo giovedì: la giornata passata con Emir mi ha divertita ed eccitata, e non vedo l'ora di continuare il nostro progetto. Nel frattempo mi sto buttando a pieno ritmo nel concludere gli incartamenti per l'apertura della mostra; il mio cervello sembra lavorare a tutto spiano, e non voglio certo sprecare tutta questa creatività.
Entro nelle Procuratie alle otto in punto, con un bicchierone di caffè americano in una mano e un sacchetto di brioche nell'altro. So già che troverò Michela alla sua scrivania, di fronte all'ufficio di Leonardo, come ogni sabato mattina, e ho pensato di portarle qualcosa per colazione. Ha il giorno libero di martedì, quindi oggi lavora.
«Ciao, Miche! Come va?» esclamo, affacciandomi alla porta.
«Ehi, Sere! Tutto bene. Tu invece? Come mai qui di sabato?» mi chiede, sorridendo.
«Ho saltato la giornata giovedì, e così ho pensato di recuperare stamattina. Ho preso delle brioche in pasticceria, ne vuoi una?» le chiedo.
«Oh sì, grazie mille! Prego, siediti» esclama, spostando qualche pila di fogli per farmi spazio sulla scrivania.
Appoggio il sacchetto sul ripiano, poi afferro la mia brioche alla marmellata e me la porto alla bocca. Inizio a sgranocchiarla, mentre Michela sceglie quella al burro e se la pone davanti su una salvietta.
«Allora, che mi racconti?» le chiedo, tra un boccone e l'altro.
«Mmh, un sacco di cose in realtà! I turisti aumentano, arriva l'alta stagione, aprono le mostre… Ma tu lo sai, questo. Qui stiamo impazzendo, ci sommergono di dati da analizzare!»
Michela lavora nel reparto Marketing, come me, ma si occupa delle previsioni, dei flussi e delle statistiche riguardanti il turismo. L'ho conosciuta appena ho messo piede qui dentro la prima volta: Leonardo mi aveva affidato a lei per una settimana, e sotto la sua guida esperta ho scoperto il grande mondo del Muve. Abbiamo fatto amicizia sin dal primo istante, accomunate da interessi museali, fotografici e culinari (adoriamo la cucina italiana), e la considero la mia migliore alleata in questo ufficio.
«Ah, questo ti interessa di sicuro» annuncia Michela, posando la brioche e scartabellando in un blocco di fogli. Ne estrae uno e lo sventola vittoriosa. «Ho ricevuto la denuncia numero cinquemilanovecentonovantanove per danni contro il ponte di Santiago! La prossima è la seimila!»
Scoppio inevitabilmente a ridere, anche se la questione è seria: il Ponte della Costituzione, costruito da Santiago Calatrava per collegare Piazzale Roma alla Stazione di Santa Lucia, sta dando da anni prova dell'inefficacia della scelta del vetro come materiale per i gradini. Il comune inoltra al nostro ufficio le proteste dei turisti per metterci a conoscenza delle loro difficoltà. Peccato che non possiamo farci nulla, noi del Muve! Intanto le persone continuano a scivolare e a rompere i gradini con le valigie, e il bilancio per le sistemazioni aumenta senza fermarsi mai.
«Ma vuoi che nessuno abbia qualche idea per mettere fine a questo strazio?» chiedo a Michela.
Lei scuote la testa. «Ma figurati, finché sta in piedi non si preoccupa nessuno.»
«Già, sempre in Italia siamo» constato con amarezza. «Beh, è ora di iniziare a lavorare!» esclamo, alzandomi dalla sedia.
«Sì, hai ragione! Grazie mille per la brioche, la prossima volta offro io» mi dice Michela, poi ci salutiamo e mi avvio verso la mia scrivania.
Appena seduta accendo subito il Pc, e mentre aspetto che carichi il programma finisco il mio amato caffè. Quando si avvia inserisco la password e accedo alla cartella in cui ho salvato tutti i documenti da compilare e firmare - le solite trafile burocratiche. Mi metto di lena a inserire i dati, poi inizio a stampare i fogli che dovrò far firmare a Leonardo e inoltrare per mail ai vari partner della mostra e agli uffici amministrativi degli enti coinvolti.
Dopo quattro ore mi sembra di impazzire: ho un cerchio enorme intorno alla testa, gli occhi che bruciano e il cervello fuso, ma ho finito la prima tranche di scartoffie, e sono soddisfatta.
È ora di andare, così spengo il computer e racimolo le mie cose. Passando per i corridoi saluto Michela, poi mi affretto giù dalle scale e verso casa.
Em e Sofi mi stanno aspettando, e mi accolgono nel nostro appartamento con un delizioso piatto di pasta con le vongole.
Pranziamo in fretta, poi sparecchiamo e ci dedichiamo a pulire un po' il macello che abbiamo accumulato in casa durante la settimana.
Alle sei abbiamo finito, e Sofi si fa una doccia prima di uscire con le sue compagne di corso.
«Noi che si fa?» mi chiede Emma.
«Boh» rispondo, alzando le spalle. Sono un po' stanca, e non ho molte idee.
«Pizza, film e pop-corn?» mi propone Em.
«Ma sì, perché no?» esclamo sorridendo.
«Bene, chiamo Stefano e le ordino. Tu scegli il film» tuona imperiosa.
«Genere? Commedia, action, Marvel, thriller, romantico…»
«Mmh, che ne dici di qualcosa di già visto? Anni ottanta o novanta.»
«Commedia romantica?» butto lì.
Siamo due fanatiche dei filmini spassosi e simpatici con Julia Roberts, Hugh Grant, Richard Gere e chi più ne ha più ne metta, quindi so per certo di andare a colpo sicuro.
«Sì! Perfetto» esclama infatti Em, contenta.
«Ok, la scelta cade inevitabilmente su Pretty Woman: è da troppo che lo snobbiamo!»
Em mi mostra un pollice alzato, poi digita un numero sul cellulare e ordina le nostre pizze.
Mentre aspettiamo che Stefano ci porti la cena salutiamo Sofi, che si è messa un bellissimo vestitino verde e sta scendendo per raggiungere le sue amiche a Rialto.
«Un bacio piccina. Mi raccomando, non tornare troppo tardi» le ricorda Emma.
Io sorrido, divertita dalla smorfia di Sofi. «Lasciala perdere, fa sempre la mammina, la conosci!» esclamo, scoccandole un bacio sulla guancia. «A domani, Sofi.»
«Buonanotte ragazze, divertitevi» ci dice lei, poi chiude la porta e se ne va.
Quando arrivano le pizze io ed Emma ci spaparanziamo sul divano. Mentre partono i titoli di testa del film, Em si volta verso di me. «Dici che sono troppo dura con lei, Sere?» mi chiede.
Metto in pausa il DVD, così possiamo parlare liberamente, poi la guardo e sorrido. So che sta pensando a Sofia.
L’abbiamo accolta in casa nostra due anni fa, quando era ancora una matricola e cercava un posto dove vivere. Avevamo appena salutato la nostra precedente coinquilina, che si era trasferita a Bologna per un master, e avevamo messo in giro la voce che cercavamo una ragazza con cui dividere l’affitto. Sofia si era presentata alla nostra porta tutta vestita di nero, con i capelli rossi metà rasati e metà stretti in piccoli rasta. Io ed Emma avevamo capito subito che era una facciata: i suoi occhi verde mare dimostravano che sotto quella corazza era una ragazza dolce, in cerca di affetto. Avevamo accettato che vivesse con noi senza pensarci nemmeno un attimo, e poco a poco si era aperta, lasciandoci intravedere le ferite che il passato le aveva inferto. Una brutta storia di bullismo le gravava sulle spalle, ma se l’era cavata da sola, e cercava di riemergere.
In questi due anni si è rilassata, diventando via via più loquace e solare, ma io ed Emma siamo ancora un po’ protettive nei suoi confronti: per noi è una sorella, ormai.
«Tesoro, non sei dura. E Sofi lo sa che tutto ciò che fai lo fai perché la ami, esattamente come la amo io, e lei ama noi. Ormai siamo una cosa unica, noi tre, ed è normale che proviamo apprensione le une per le altre. Non ti preoccupare.»
Emma annuisce, poi mi sorride. «Sai, Sere, mi sei mancata tanto in questo periodo» mi dice.
Io sospiro, poi mi avvicino a lei e la abbraccio. «Anche tu, Em, tantissimo. Ma con la tesi, il lavoro e tutto il resto era inevitabile che succedesse. Lo avevamo messo in conto.»
Sento che annuisce, strofinando la testa contro la mia. «Mi sono mancate le nostre serate tutte assieme, le nostre gite ai musei, le scampagnate in terraferma» sussurra piano.
«Lo so, e sono mancate di sicuro anche a Sofi. Ma ora guarda le cose dal lato giusto» esclamo, staccandomi dal nostro abbraccio e guardandola negli occhi. «Ci siamo laureate, Sofi ha quasi finito la sessione e tra poco arriva l’estate: abbiamo tutto il tempo per rimediare spassandocela!»
Emma torna finalmente a sorridere, poi mi ruba il telecomando e schiaccia il tasto Play. «Hai ragione, Sere. Ora però guardiamoci ‘sto film!» esclama, felice.
Mentre il film comincia, penso a quanto sono contenta davanti alla prospettiva di poter passare nuovamente del tempo assieme. Emma e Sofia sono le mie àncore, il mio porto sicuro in cui rifugiarmi quando fuori imperversa la tempesta. Mi hanno affiancata e sorretta in tutti questi anni, e non potrei mai rinunciare alla loro vicinanza. Le adoro, è semplice.
Quando Richard Gere arriva finalmente in auto sotto l’appartamento di Julia Roberts io ed Emma sospiriamo felici. Il film finisce, così sparecchiamo un po’ il nostro casino e andiamo a letto, salutandoci con un abbraccio.
***
P
oche ore dopo un rumore mi sveglia. Sento un tacchettìo in corridoio e sorrido, capendo che Sofi è tornata a casa. Aspetto che vada in camera sua per ricominciare a dormire, ma invece il suono dei suoi tacchi si avvicina alla mia stanza, così mi alzo a sedere.
«Sere, sei sveglia?» sussurra Sofia, scostando leggermente la porta.
«Sì, ti ho sentita arrivare. Tutto bene?»
Sofia scuote la testa. «Io…» inizia a dire, poi si ferma e singhiozza.
Mi alzo in piedi e la faccio sedere al mio fianco sul letto. «Che succede, tesoro?»
Si tiene la testa tra le mani, scuotendola ripetutamente. «Voi ve ne andrete, e io rimarrò qui da sola» sussurra.
«Ma che dici?» esclamo. «Non andremo mai via, Sofia!»
«Sì invece. Ora vi siete laureate e andrete a cercare fortuna da qualche altra parte, mentre io rimarrò qui a studiare da sola.»
«Sofi, abbiamo un lavoro che amiamo, qui a Venezia. Questa città ci ha dato tutto, e non la lasceremo mai. E lo stesso vale per te: ti amiamo, e rimarremo sempre assieme.»
Nel frattempo Emma ci ha raggiunte, svegliata dalle nostre voci. Si inginocchia di fronte a Sofi, e posa la testa sulle sue gambe. «Sofi, noi tre siamo inseparabili. Vivremo qui finché la vecchiaia non ci costringerà ad affittare un appartamento al piano terra per non dover fare le scale, te lo giuro.»
Io sorrido, e vedo che Sofia alza piano il capo. «Davvero? Promettetemelo che non ve ne andate» sussurra.
Noi annuiamo, e lei sorride. È così debole e fragile, ogni tanto, che temo faccia qualcosa di insensato o pericoloso. Ho fiducia in lei, una fiducia enorme, ma ad accompagnarla c’è sempre un sottile strato d’ansia che non mi abbandona mai.
«Che ne dite di dormire tutte nel lettone?» propone Emma.
Quando le cose vanno male, qualcuna ha la febbre o è giù di morale, ci rifugiamo tutte nel letto di Emma, che è un due posti matrimoniale, e ci stringiamo forte per scacciare i nostri incubi.
Anche questa sera va così, e pochi minuti dopo, abbracciate sotto le lenzuola arancioni del letto di Em, sento che siamo davvero unite. Questa è la nostra casa, la nostra vita, e non potremmo mai viverla separate: siamo imperfette e insicure, ma insieme niente può farci male.
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