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31. Ricominciare da zero (o meno)

I'm so lonely but that's okay
I shaved my head / And I'm not sad
And just maybe I'm to blame / for all I've heard
Lithium (Nirvana)

Cinque mesi dopo, Febbraio, Venezia

[Emma]

Questo maledetto venerdì che sembrava non finire mai è finalmente giunto al termine. Sono appena uscita dal Fortuny dopo aver staccato dall'ufficio e ora mi sto seriamente pentendo di non aver indossato una sciarpa, stamattina. Sono i primi di febbraio, la nebbia avvolge ogni angolo e il freddo rimane costante.
Dio, che giornata: sto iniziando a mandare le prime rendicontazioni riguardo la mostra su Picasso agli enti e alle aziende che hanno fatto da sponsor o collaborato in qualche modo alla messa in opera di tutta la macchina: tra PEC che non vanno, conti sbagliati, budget da rivedere, fatture da mettere in ordine, stavo letteralmente impazzendo.
Per fortuna ora sono le due del pomeriggio, la mia settimana lavorativa è finita e io sto correndo a casa a vedere come sta la mia Serena.

La mia dolcissima Sere, la mia migliore amica, un pezzo del mio cuore, che ormai da mesi vive in una sorta di limbo tra il riso e il pianto. Sono tremendamente preoccupata per lei, per quello che ha passato e che sta passando, e vivo ogni giorno con l'angoscia, pensando a cosa potrebbe succederle nelle poche ore in cui non ci vediamo, dal mattino a pranzo e da pranzo alla sera. Conosco Serena da tanto, ho vissuto con lei i momenti più importanti ed emozionanti della mia e della sua vita, perciò posso dire con assoluta certezza che il tempo che ha trascorso assieme a Emir è stato il periodo più intenso e felice della sua esistenza. Quindi è totalmente sensato che ora sia in difficoltà, ferita e addolorata come mai si è sentita prima. Lei però cerca di non darlo a vedere, di nascondersi dietro un sorriso enorme che non ha nulla di genuino, di non far capire quanto male sta. Ma a me, Pietro, Sofi ed Edo non la può dare a bere: sappiamo benissimo quanto stia soffrendo e per questo abbiamo cercato di risollevarla in ogni modo, passando dalla vacanza a Cuba di pochi mesi fa fino alle mostre che andiamo a vedere in ogni paese d'Italia, per non parlare delle serate che trascorriamo ormai sempre e soltanto tutti assieme. Serena sembra felice e rilassata, ma non è così: non stiamo riuscendo ad aiutarla e sembra che nemmeno la terapia con lo psicologo dia grandi frutti.

La prima cosa che ho fatto a inizio settembre, quando mi sono resa conto che la situazione stava solo peggiorando, è stata chiamare Micole: avevo bisogno di parlare con lei, che la conosce da sempre, di sentire che qualcuno era preoccupato per Serena proprio come me. Mì ha cercato di aiutarmi a trovare una soluzione, dato che era disperata esattamente quanto lo ero io, ma alla fine abbiamo dovuto rinunciare: non c'era rimedio per il dolore della nostra Sere.
«Dobbiamo soltanto starle vicino, Emma. Nun possiamo fa' altro» mi ha sussurrato quella sera, quasi sull'orlo del pianto.
Eh già, perché per me è tremendamente doloroso vedere Serena ridotta così, ma per Micole... per lei, che la ama alla follia ed è costretta a rimanere così distante, il dolore è ancora maggiore.
Ci siamo chiamate spesso, io e Mì, e abbiamo addirittura pensato di contattare Emir, ad un certo punto, per spiegargli come stanno le cose e per cercare di farli almeno tornare amici. Però ci siamo rese subito conto della sciocchezza che stavamo per fare: lui e Sere si amano ancora immensamente, ma ciò che si è messo tra loro è più grande di ogni tentativo di riappacificazione.

Insomma, cosa può esserci di più tremendo per una coppia del fantasma di una morte scampata che la perseguita ogni giorno? Emir è sfuggito ad un massacro ed è tornato tra le braccia di Serena, a casa sua, ma non sono serviti i mesi di tentativi, i sorrisi e gli abbracci, l'amore infinito che provano l'uno per l'altra a scacciare quelle ombre che incombono sul loro rapporto. Sono stati divisi da un dolore atroce e disumano, che li ha fatti rinchiudere in se stessi e li ha allontanati piano piano.

Io non so cos'avrei fatto, quella notte, al posto di Serena: sarei riuscita ad andarmene come ha fatto lei, per salvare me stessa e l'uomo che amo da un dolore troppo difficile da affrontare? Penso di no. Non avrei avuto il suo coraggio né la forza d'animo che l'ha spinta a troncare il loro rapporto per cercare di uscire dalla trappola in cui erano caduti. Io probabilmente sarei rimasta e alla fine avrei dovuto stare a guardare mentre l'uomo della mia vita moriva lentamente.
Serena invece lo ha fatto, se ne è andata: lei è forte, ma Emir le manca così tanto che questa distanza e questa separazione la rendono infinitamente debole.
Spero soltanto che riuscirà a sollevarsi, un giorno.
Spero che potrai rinascere dalle tue ceneri, dolce Sere, come una piccola e luminosa fenice.

Quando entro nell'appartamento per un istante sono colta da un timore assurdo, quello che Serena non ci sia, che sia scappata, fuggita per andarsene chissà dove, ma poi sento la porta della lavanderia chiudersi e capisco che non ho visto Sere semplicemente perché è lì, dall'altra parte della casa. Mi affretto a raggiungerla e la trovo mentre sta facendo una lavatrice.
«Ciao Sere!» esclamo, abbracciandola immediatamente con enorme sollievo.

Lei si volta e mi sorride. «Ciao Em. Com'è andata in ufficio?»

«Uff, un macello. Ma ora è iniziato il weekend, basta casini per due giorni. Che dici se dopo pranzo ti aiuto a sistemare? Potrei stirare quelle camicie che implorano pietà da una settimana!»

Serena mi sorride ancora una volta e io continuo a percepire la falsità di quella sua dimostrazione di felicità. «Non serve Em. Ho stirato tutto io stamattina prima di andare al Muve e questa è l'ultima lavatrice. Ho anche lavato dappertutto appena sono tornata. È tutto sistemato. Ah, in cucina c'è il pranzo pronto, se vuoi: riso thai con carote, uvetta e pollo.»

Il sorriso che mi ero imposta di mostrare svanisce in un istante dalle mie labbra. «Sere, non dovevi fare tutto da sola» sussurro, sgomenta.

«Ma va! Ci ho messo pochissimo! Su, vai a mangiare! Io devo andare da Orsini, ci vediamo all'inaugurazione» esclama, cacciandomi fuori dalla stanza.

Io vado in cucina, mi scaldo il piatto che mi ha lasciato e rimugino su quello che sta succedendo. Serena impiega tutte le sue ore libere (a volte anche parte della notte) tra pulizie di casa, lavanderia e progetti lavorativi. Non dorme più di cinque ore per notte, cerca sempre di tenersi occupata e di fare qualcosa; se io e Sofi poi le proponiamo di aiutarla, inizia a strepitare e urlare come un'ossessa, finché noi non le diciamo che va tutto bene e che può arrangiarsi da sola. So benissimo che è una reazione come un altra a ciò che le è successo, è un modo per non pensare al dolore che prova, ma mi spaventa da morire. Serena sta perdendo la sua lucidità e la sua energia, mentre la gioia che l'ha sempre animata sta pian piano scomparendo non solo dal suo volto, ma anche dalla sua anima.

Ho paura, una paura infinita e irrazionale: temo che la mia migliore amica stia diventando l'ombra di ciò che era e non ho idea di come poterla aiutare.

[Serena]

«Allora Serena, ti va di parlarmi di quella notte?»

«Quale?»

«Quella in cui te ne sei andata da casa di Emir.»

«Casa nostra

«Scusami?»

«Era casa nostra

«Oh sì, certamente, perdonami.»

Guardo il volto di Orsini farsi serio per un istante, per poi riprendere a sorridere amabilmente, come sempre. Quest'uomo è davvero strano: parla sempre, sorride sempre, annuisce sempre. Dopo un po' ti manda in confusione, soprattutto le prime volte in cui fai le sedute. Ma poi ti ci abitui. Io mi ci sono abituata, in questi cinque lunghi mesi.
Quei suoi occhi grigi che sorridono dietro gli occhiali fanno da pendant ai folti capelli brizzolati e gli danno un'aria buona e simpatica che mette chiunque a suo agio: alla fine ho imparato a sentirmi bene anche io, qui dentro.

«Allora, ne parliamo?»

Annuisco e mi guardo un po' attorno, cercando conforto nello studio serio e ligio del mio psicologo, con la sua scrivania semplice e le cartelline allineate con cura lungo gli scaffali. Non mi ricordo se abbiamo già parlato di quella sera, in questi cinque mesi di sedute. Forse le prime volte, ma non ne sono certa: ero così frastornata e impaurita, in quelle iniziali visite da Orsini, che faticavo a rispondere anche alle domande più semplici. Come ti chiami? Dove lavori? Che poi, dov'è che lavoravo al tempo? Non lo sapevo nemmeno io. Ero persa. Lo sono ancora.

«Serena? Tutto bene?» chiede Orsini, con la sua voce tenue e delicata.

Io gli rivolgo nuovamente la mia attenzione, sorrido e annuisco, poi inizio a raccontare.

Gli racconto di quella notte, quando sono scappata in lacrime dalla casa mia e di Emir con un'insufficiente valigia nelle mani, per gettarmi affranta tra le braccia delle mie amiche. Emma e Sofia mi hanno coccolata e rassicurata fino al mattino, si sono prese un giorno di ferie e mi hanno abbracciata anche tutto la giornata seguente, ma non è bastato. Oh no, non è bastato il loro conforto a risollevarmi. Ho passato due giorni in completo stato di trance, poi mi sono dovuta riavere: tutte le mie cose erano da Emir, che mi aveva continuato a chiamare ininterrottamente per tutto quel tempo, e dovevo trovare la forza per andarle a recuperare.
Alla fine sono riuscita soltanto a mandargli un messaggio e lui si è offerto di lasciarmi casa libera così che potessi inscatolare le mie cose senza angoscia. Il mio cuore ha sanguinato nel comprendere che anche per lui la nostra storia era finita, a quel punto, ma mi sono fatta forza e ho accettato. Da sola però non me la sono sentita di andare, così ho chiamato Pietro, l'unica persona che volevo avere intorno nelle stanze che avevano visto nascere e appassire la storia più bella della mia vita. Dio, com'è stato tenero e dolce Piè con me. Mi ha fatta parlare, mi ha fatto uscire fuori tutto il dolore che provavo e tutte le lacrime che ancora avevo negli occhi, poi mi ha abbracciata, mi ha spinta in doccia, mi ha vestita e truccata, con pazienza e premura, e mi ha portata in Giudecca. Abbiamo recuperato i miei vestiti e il mio pc, orecchini e scarpe, biancheria e borse, poi abbiamo caricato tutto su una chiatta da trasloco che aveva noleggiato Emir per me e l'abbiamo lasciata partire. Piè mi ha presa per mano e mi ha trascinata a fare una passeggiata. Io ero stranita, accecata dalla luce e abbattuta dal caldo torrido di fine agosto, ma poi lui mi ha portata al Fortuny, il nostro posto preferito, a vedere una mostra sull'inconscio.

«Serena, torna te stessa. Sorridi, piccola. Il tuo mondo è questo ed è stato qui ad aspettarti. Abbraccialo e ricomincia» ha detto.

E lì sono rinata. Ero di nuovo capace di sorridere e di parlare, finalmente tornavo a vivere, anche se ammaccata e dolorante.

Poi i miei amici sono partiti per una vacanza che avevano prenotato da tempo e io li ho spinti fuori di casa, non curandomi delle loro suppliche: non volevo andare con loro e non volevo nemmeno che rinunciassero a quel viaggio. E poi avevo bisogno di stare da sola.
Ho esplorato di nuovo tutti i luoghi che amo di Venezia, mi sono lasciata cullare dal caldo e dalla brezza, dal sole e dall'aria intrisa del dolce odore di sale. Ho visitato nuovamente Torcello, Sant'Erasmo, San Giorgio, Palazzo Ducale, la Basilica dei Frari, Ca' Pesaro...
Ho riscoperto tante facce di questa città che non mi ricordavano Emir, mi sono lasciata abbagliare dell'oro e dal marmo, dalle sarde in saòr e dalla frittura di calamari, ho fotografato angoli conosciuti e nuovi scorci, persone di passaggio e anziani che vivono qui da sempre. Ho lasciato che l'anima della mia città entrasse in me e danzasse assieme alla mia: Venezia mi ha cullata tra le sue braccia come una madre, guarendo le mie ferite.

Poi una mattina mi sono svegliata con il sorriso sulle labbra, ho buttato quattro cose in valigia e sono corsa a prendere il primo treno per Napoli. Ho accettato la proposta che Raf mi aveva fatto quasi quotidianamente da quando gli avevo detto che io ed Emir avevamo chiuso, e così ho passato quindici giorni nella sua terra. Ho finalmente conosciuto il suo ragazzo, Giulio, e assieme mi hanno guidata nella loro caotica e meravigliosa città, che mi ha fatta innamorare di sé con le sue splendide chiese nascoste, il tesoro di San Gennaro, la pizza e i babbà, Piazza del Plebiscito e il Palazzo Reale. Mi hanno portata a Pompei, dove mi sono presa un'insolazione (dato che abbiamo passato undici ore sotto al sole) ma sono rimasta folgorata dalla meraviglia di una città persa nel tempo; mi hanno trascinata a Ischia per tre giorni, facendomi godere il mare di settembre e le terme più belle che abbia mai visto. Ho lasciato un pezzo di cuore in Campania, ma poi ho salutato tutti e ho rifatto le valigie.
Tornando a casa mi sono fermata a Roma, capitando tra capo e collo alla mia amata Micole, ma sia lei che Mattia sono stati meravigliosi: mia cugina mi ha portata a visitare una bellissima mostra sull'epoca imperiale (anche se so bene che odia quel periodo!), mi ha coccolata e viziata ogni pranzo e cena, mi ha scarrozzata ovunque volessi, mi ha lasciato tenere Riccardo sempre con me e mi ha costretta ad una seduta dalla parrucchiera per sistemare i miei capelli (ne sono uscita con 15 cm di chioma in meno, ma tanta felicità in più). Mattia pure è stato dolcissimo: mi ha portata con lui in studio per farmi assistere alle registrazioni ed è riuscito a farmi entrare come ospite ad una conferenza tenuta dal direttore dei Musei Capitolini.

Quando sono tornata a casa, a Venezia, Em, Sofi, Pietro ed Edo non credevano ai loro occhi: capelli più corti e sguardo sbarazzino, accento campano/romano ormai perfetto e sorriso sulle labbra, ma ero di nuovo io.

Sono ritornata a lavorare al Muve terminando la mia aspettativa, ho ripreso la mia routine tra amici e colleghi, tra serate in casa e giornate intense in ufficio, ma dopo un mese, ad ottobre, mi sono svegliata in una casa in subbuglio e piena di valigie. Non ho potuto oppormi ad Em e Sofi, che mi hanno trascinata in aeroporto, bendata e fatta salire con loro su un aereo. Siamo atterrate chissà dove, poi siamo ripartite. Dopo dieci ore di viaggio siamo uscite dall'ennesimo aeroporto e io ho sentito sulla pelle un sole abbacinante e un caldo secco e torrido: Emma mi ha tolto la benda e ha urlato insieme a Sofi: «Benvenuta a Cuba, chica!»
Cuba! Il sogno di una vita. Avevamo sempre desiderato fare una vacanza lì ed io mi sentivo di nuovo dieci metri sopra il terreno: ero felice. Abbiamo passato sull'isola venti giorni, tra esplorazioni di sperdute cittadine, nuotate nel mare più bello che io abbia mai visto, feste in locali sulla spiaggia, corse in motocicletta tra case coloratissime e bimbi che giocavano a calcio. Sono tornata super abbronzata, super felice e super entusiasta.

«Il resto lo sa» dico ad Orsini. «Sono venuta da lei a ottobre, perché ho passato dei mesi meravigliosi a fine estate, mi sono risollevata, ma non voglio ricadere nel baratro e lei in questo può aiutarmi.»

Orsini annuisce. «Proprio così.»

«Emir?» gli chiedo, cambiando repentinamente discorso e provando a ottenere risposta.

«Serena, sai bene che non posso dirti nulla!» mi ammonisce lui, per quella che sarà la centesima volta.

«Almeno mi dica se continua a venire qui» lo imploro.

Orsini sta in silenzio e abbassa la testa, mentre io accetto la sua inesistente risposta. Da quando ho iniziato a venire qui non faccio altro che chiedergli di Emir. Ovviamente non l'ho dimenticato, anzi, vivo con il costante timore che si sia lasciato sopraffare dai suoi incubi e dalle sue paure. Ma so che se gli fosse successo qualcosa Orsini me lo avrebbe detto, quindi ogni volta che non mi risponde mi rassereno un po': è ancora in buone mani. A volte mi manca così tanto che faccio fatica a respirare, ma poi penso che sto iniziando a vivere anche senza di lui e che probabilmente quando me ne sono andata l'ho messo davanti ai suoi errori, così anche lui ha capito che deve continuare a lottare.
Non so se sia stato giusto abbandonarlo e non rispondere alle sue chiamate per due settimane, ma alla fine ha smesso di cercarmi. Forse il fatto di aver vissuto assieme il periodo post-trauma ha collegato la nostra relazione al dolore patito da entrambi e quindi, ora che quel legame è cessato, ci sentiamo meglio.
No, non è vero, sto molto peggio di come stavo con lui. Però mi sento più libera, a volte più leggera. Spero che sia così anche per lui. Ovunque Emir sia e qualsiasi cosa stia facendo, mi auguro soltanto che sia felice.

«Bene» dice Orsini, «la seduta sarebbe finita, ma se vuoi rimanere...»

«Oh no grazie, ho un impegno» esclamo, alzandomi dal lettino.

«Dove ti aspettano?» mi chiede lui, curioso come sempre.

«Al vernissage della mostra su Bellini a Palazzo Ducale, non posso mancare.»

«Certamente. Buona serata Serena. Ci vediamo martedì?»

Afferro la borsa, infilo il cappotto di panno e annuisco. «A martedì» dico, poi corro fuori e raggiungo la mostra che mi attende.

*Autrice*
Buonasera dolcezze, come va?? Ormai mi sa che siamo tutti tornati alla routine: nuovamente a scuola/lavoro/università... però mancano solo 82 giorni a Natale dai, facciamoci forza🤘🤘

Spero che voi stiate bene: io invece sono mezza influenzata, con un gran mal di gola, mal di testa, raffreddore... Quindi per combattere questa brutta giornata ho deciso di scrivere ahah💜

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo: Serena ha passato dei brutti mesi ma sembra stare meglio, anche se Em non la pensa proprio così... Capitolo di passaggio, lo so, preparatevi al prossimo😉😘

Un bacione grande 💜
Elly

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