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26. Sofferenti litigi

When the tears come streaming down your face / When you lose something you can't replace / When you love someone but it goes to waste / Could it be worse?
Fix you (Coldplay)

[Serena]

«Serena, dobbiamo parlare.»

Fisso per un istante Emir, che è appena sceso in giardino dopo essere tornato dalla passeggiata con Aethel. È stretto in una t-shirt verde in tessuto traspirante, che fascia perfettamente il suo fisico quasi scultoreo e fa risaltare ancora di più i suoi meravigliosi occhi. Però si muove a scatti e mi fissa con ansia, mentre tortura il collare di Aethel con la mano: perché è così agitato?
Chiudo il libro e rivolgo tutta la mia attenzione all'uomo che mi sta di fronte. «Che succede?»

«Mi posso sedere?» mormora Emir, impacciato come mai l'ho visto.

Io aggrotto le sopracciglia e scuoto per un istante la testa. «Emir, è casa tua. Me lo devi anche chiedere?»

«Hai ragione» risponde, poi toglie il collare ad Aethel, afferra una sedia e mi si pone davanti. Appoggia i gomiti sulle ginocchia e si sorregge il volto con le mani, mentre continua a guardarmi con un misto di angoscia e terrore nello sguardo.

«Che ti è successo, amore?» sussurro, allungando una mano per sfiorargli la guancia.

Lui però mi afferra il polso e la allontana. Ora inizio ad avere seriamente timore di ciò che sta succedendo: perché mi rifiuta?

«Ti prego, Serena. Lasciami parlare un secondo.»

Io annuisco, incapace di fare o pensare altro. Che cos'è cambiato da poche ore fa, quando mi ha salutata lasciandomi un dolcissimo bacio sul vetro della doccia?
Ho paura, tanta paura. Per qualche motivo sento che mi sta sfuggendo di mano, che si sta allontanando da me, e ciò mi fa terribilmente male. Vorrei alzarmi e sedermi sulle sue gambe, baciarlo e stringerlo a me per fargli capire che lo amo immensamente, ma mi costringo a stare qui, immobile, con le gambe accavallate e le mani posate in grembo. Sentirò cos'ha da dirmi.

«Non è una cosa facile da dire. O almeno, non è facile dirlo a te» comincia lui, lasciandosi freneticamente gli shorts da corsa sulle cosce. «So che riponi in me completa fiducia, so quanto hai dato e quanto dai ogni giorno per me e per il nostro rapporto, quindi credimi se ti dico che fin'ora te l'ho nascosto soltanto per non essere ancora più di peso.»

«Emir? Cosa... cosa mi hai nascosto?» farfuglio mentre l'ansia mi attanaglia la gola.

«Sto prendendo delle gocce per dormire. Me le ha prescritte Orsini e mi sono deciso a iniziare soltanto sabato scorso, dopo il Redentore. Non voglio perderti, Serena, e non voglio farti del male. Lo sai questo, vero?» sussurra tenero, tendendo una mano verso di me.

Sulle prime non so se afferrarla o meno, e alla fine decido di non farlo. Lui mi guarda triste, poi se la riporta sulle gambe.
Sono un po' stranita. Che motivo c'era di nascondermi un banale sonnifero? «Emir, ma perché non me lo hai detto prima? Non è una cosa così grave!»

Lui scuote la testa. «Serena. Non capisci?»

«Cosa?»
Cos'è che non capisco, amore mio? Cosa stai cercando di dirmi?

Il suo sguardo si scontra con il mio ed è uno sguardo freddo, glaciale, svuotato di ogni emozione, che mi terrorizza nel profondo. «Sono malato, Serena. Sono malato.»

Le sue parole mi colpiscono, ma non mi stupiscono per nulla, anzi, se possibile mi sollevano un attimo. Davvero pensava che io non avessi intuito il suo malessere, la sua sindrome post-traumatica? Dio, è così lampante! Non è nulla di così grave da giustificare l'ansia che mi ha messo addosso.
Ora che devo fare? Vorrei rassicurarlo e fargli capire che va tutto bene. Così mi alzo e vado a sedermi sulle sue gambe, afferrandogli il volto serio con le mani.
«So che soffri di sindrome post-traumatica. Emir, sono con te ogni giorno e ogni notte, era difficile non capirlo. Ma questo non significa nulla, per me. Sei sempre Emir, l'uomo che mi ha rubato il cuore. Okay?»
Lui annuisce, poco convinto, e così gli stampo un bacio sulla fronte e uno sulle labbra. «Ti amo con tutta me stessa.»

Ed eccolo che finalmente sorride, un po' più sereno. Com'è difficile relazionarsi con lui!

«Ascolta, me le fai vedere queste gocce?» chiedo con calma.

Emir mi guarda e annuisce, poi mi afferra il bacino per farmi scendere dal suo grembo. Io non gli lascio la mano, ma lo seguo silenziosamente lungo le scale e poi fino in bagno, osservandolo mentre sposta i barattoli fino a trovare quello delle gocce.
Era così terrorizzato dalla mia possibile reazione da costringersi a nasconderle?
Ma perché hai così tanta paura di me, amore?

«Eccole» sussurra, porgendomi la boccetta di vetro.

Io la afferro e gli sorrido, ma quando i miei occhi si posano sul contenitore che tengo in mano e leggo il nome del medicinale, sento un conato di vomito salirmi attraverso lo stomaco e per poco non rischio di rimettere tutto.
«Emir» boccheggio, «ma tu hai i-idea di co-cosa stai assumendo?»

Lui mi guarda, incerto sulla riposta. «Una specie di sonnifero, per dormire più tranquillo. Che succede, Sen?»

Non è possibile. Non può essere così meschino. Il mondo mi crolla addosso davanti alla consapevolezza che Emir, l'uomo di cui sono innamorata, l'uomo con cui condivido tutto, mi ha appena mentito su una cosa delicata e molto seria. Come ho potuto fidarmi di te fino ad adesso, Emir? Se menti anche su questioni così importanti, come posso continuare a darti la mia fiducia?
«Non mi chiamare così. Non osare chiamarmi Sen» sibilo.

Emir fa un passo indietro, tremando, e alza le mani verso di me. «Serena, mi puoi dire che diavolo sta succedendo?»

Ha gli occhi sbarrati e la bocca stretta, ma io so bene che mi ha mentito e non cederò. «Sono antidepressivi. Non è sonnifero, Emir. È un antidepressivo. La capisci la differenza? Perché mi hai mentito? Perché?» sussurro, al limite della sopportazione. Sento un nodo alla gola e so che presto inizierò a piangere, ma sono così delusa e arrabbiata con lui che vorrei non avergli mai chiesto di mostrarmi questa dannata boccetta.

«Antidepressivi?» sussurra, sconvolto. «No. No no no. È un sonnifero, ti sbagli» esclama, scuotendo la testa con forza. «Mi serve per dormire e basta.»

«Ma Emir, mi stai prendendo in giro? Perché vuoi farmi ancora più male di quanto già tu non abbia fatto?» chiedo sgomenta, poi poggio la boccetta sul lavandino e mi allontano verso la porta.

«Serena, ti prego, ascoltami» mormora Emir, avvicinandosi a me. «Non sapevo che fossero antidepressivi. Ti giuro che pensavo servissero solo per dormire. Ho capito male, credimi.»

«Come faccio a credere a una simile stronzata?» esclamo.

Emir allunga entrambe le braccia per afferrarmi, ma io le scosto e lo spingo indietro. «No! Non mi toccare!»
Lui ci riprova ma io rispondo dandogli dei pugni sul petto. «Lo sai che reazioni potrebbero causare? Lo sai? Io sì! Ci sono passata con mia madre, dopo la morte di Marco!» urlo, senza più riuscire a frenare la mia rabbia. «Possono darti nausea e vomito, reagire con altri farmaci, creare disturbi vari, dall'impotenza alla schizofrenia... e tu non mi dici niente? Non dici nulla alla donna che dorme al tuo fianco? Sei un meschino e un codardo, Emir!»

Gli occhi verdi dell'uomo che ho di fronte sono diventati spenti e slavati, come se dentro ci fosse passato un uragano e avesse spazzato via ogni briciolo di gioia e di ragionevolezza.
«Okay. Okay, sono uno depresso del cazzo a cui si è fritto il cervello, è evidente. Ma ti giuro che non sapevo fossero antidepressivi. Altrimenti te lo avrei detto, Serena. Lo sai.»

«Non penso che ti crederò.»

«Ti prego, Serena!» esclama Emir, afferrandomi un braccio. «Credimi! È la verità!»

«Sei solo un bugiardo del cavolo, Emir!» urlo io, scostandomi dalla sua stretta. «Ti odio, in questo istante ti odio da morire!»

Lui fa due passi indietro e incrocia le braccia al petto. Vedo che muove le labbra ma non emette suoni, come se non sapesse cosa dire. «Mi... odi?» mormora sconvolto.

Io annuisco e lui in risposta si avvicina velocemente a me: prima che io possa fermarlo mi oltrepassa, spalanca la porta del bagno ed esce.
Si volta un attimo, mi fissa con astio e digrigna i denti. «Vaffanculo. Pensavo fossi migliore degli altri» dice, poi mi volta le spalle e si allontana.

Ed è ora che lascio andare le lacrime: lascio che mi bagnino le guance e mi scendano lungo il mento, fredde contro la mia pelle bruciata dalla rabbia.
È vero, sono uguale a tutti gli altri. L'ho attaccato senza provare a credergli, ma sono convinta che mi abbia mentito e il dolore e il rancore che ho provato sentendo le sue parole sono ancora profondamente vivi dentro di me.
Mi accuccio a terra, qui, sulle fredde mattonelle del pavimento, e guardo il corridoio, chiedendomi dove Emir sia andato e cosa succederà ora. Mi ha appena ferito in modo atroce e non sarà facile rimarginare questo taglio. Mi ha mentito, mi ha fatta sentire inutile e poi mi ha rivolto parole che mai nessuno ha osato rivolgermi. Quel vaffanculo brucia come una tremenda scottatura, ma sicuramente non merita le lacrime che sto versando.
Tuttavia non riesco a frenarle. Perché dopotutto non posso smettere di amare l'uomo con cui ho appena litigato. Posso odiarlo per la sua bugia, sì, ma non posso smettere di amarlo.

Mi rialzo in piedi, asciugandomi le lacrime con gesti stizziti, sistemo il vestito sulle gambe e mi dirigo lentamente verso la cucina. Mi guardo attorno, ma non c'è traccia di Emir. Allora lo cerco in giardino, in salotto, in biblioteca, nelle camere degli ospiti che non sono mai state usate da quando sono qui. Non c'è.

È uscito, se n'è andato, e mi ha lasciata qui da sola. Ed è da sola che mi spoglio, nella nostra camera, infilando la maglia dei Red Hot per dormire. È da sola che mi infilo sotto il lenzuolo di cotone, è da sola che abbraccio il suo cuscino, inspirando a fondo per sentirlo qui con me, è da sola che mi lascio andare a lacrime silenziose e strazianti, è da sola che mi addormento, ore dopo, mentre il buio avvolge ogni cosa.

***

[Emir]

Quando riesco a infilare la chiave nella serratura mi lascio andare a un'euforica risata. Mi appoggio alla porta e la spingo con la spalla, poi entro e me la chiudo dietro. Salgo le scale due scalini alla volta, scalcio le scarpe e le lascio in salotto.
La testa mi gira e faccio fatica a camminare diritto, ma mi affretto a raggiungere la camera da letto.

Serena è sdraiata nel suo lato del materasso, scoperta e raggomitolata su se stessa. Stringe tra le braccia il mio cuscino e indossa la solita maglia dei Red Hot, che le è salita oltre la vita e lascia scoperte le cosce tornite e il morbido fondoschiena. Ancora una volta, sebbene io sia ubriaco marcio, mi ritrovo a pensare a quanto meravigliosa sia la mia Sen.

Vorrei stendermi qui con lei, adesso, abbracciarla e stringerla a me. Ma non lo farò. Non dopo la litigata che abbiamo avuto stasera.
Lo giuro, non avevo idea che quelli fossero antidepressivi. Dopo che Serena me lo ha detto mi sono visto il mondo crollare addosso: la consapevolezza di non aver ascoltato Orsini, quando mi spiegava perché dovevo prendere le gocce, non ha fatto altro che acuire il mio immenso dolore. Non l'ho ascoltato perché non lo volevo fare, non volevo ammettere di avere dei problemi seri, nemmeno con me stesso.
E Serena? Lei non ha voluto credere alle mie parole e questa forse è la cosa che fa più male. Evidentemente non mi ritiene più degno della sua fiducia e ciò mi spaventa a morte: come farò a tenerla con me se non crede nemmeno a ciò che dico? So di averle dato io stesso il motivo per dubitare di me, con i miei sbalzi d'umore e le mie mezze bugie, ma sono state bugie dette a fin di bene, o addirittura inconsapevolmente.
Tuttavia lei non mi crede, non si fida di me, e ciò mi distrugge. Non so più nemmeno se mi vorrà a letto con se, da questo giorno in poi.

L'alcool che ho ingurgitato al bar per due ore di fila torna a farsi sentire, prepotente, causandomi un rigurgito di bile che mi affretto a ricacciare giù. Quando mi sono lasciato sfuggire quel vaffanculo con Serena mi sono sentito soffocare e sono scappato,  rifugiandomi nell'unico posto in Giudecca in cui so di poter trovare il mio whisky preferito. Ci sono andato giù pesante, tra Talisker liscio e qualche Mojito nel mezzo per sciacquarmi il palato e ricominciare di nuovo. Il fatto di non aver cenato, prima di uscire, non ha fatto altro che rendere estremamente più forte l'effetto di tutto questo alcool che mi gira nelle vene.

E ora eccomi qui, sbronzo come una spugna, che barcollo verso la camera degli ospiti. Il tempo di togliermi i jeans e sono già a letto. Non voglio pensare a niente, voglio soltanto riposarmi un po'. Domani si vedrà. Per ora, sono arrabbiato e ubriaco. Non posso pensare lucidamente preso così. Ora è solo tempo di dormire.

E anche se mi manca Serena, anche se sono qui da solo, senza il suo corpo stretto al mio, senza il suo profumo nelle narici, anche se sono qui da solo in un letto non mio, mi addormento, vinto dal sonno.

*Autrice*

Ciao ciao!! Come state?? Spero bene, anche se è arrivato settembre e ormai l'estate è finita😱

Che dite del capitolo? Ha ragione Serena ad essere arrabbiata? Ed Emir? Ha reagito male anche lui no? Le cose qui non ne vogliono sapere di andare bene😢

Fatemi sapere che ne pensate💚💚

Nel frattempo, mentre voi decidete se uccidere Emir, io mi prendo un secondo per ringraziarvi: grazie, grazie a tutti, grazie a chi è con Seremir dall'inizio, grazie a chi si è aggiunto nel mezzo, grazie a chi è appena arrivato! Abbiamo appena raggiunto le 1k views e io quasi volo per la felicità😍 Non volevo crederci quando l'ho visto, ma è vero!! Non immaginate la mia gioia: il vostro sostegno è essenziale e magnifico💙 quindi grazie, vi devo tantissimo e spero continuerete a vivere questa avventura assieme a me❤

Un bacio, buona serata e una dolce buonanotte😘😘
Vi lascio con una splendida foto di Venezia, oggi c'è stata la regata storica e vi assicuro che era favolosa, mi sono divertita da morire💙

Kisses 💚
Elly

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