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25. La mia scelta è anche per te

Avrai forza per lottare / sarai saggio per decidere / quando il tuo momento arriverà / Perché è in questo tuo vagare / che risposte troverai / Sarai tu sulla montagna / e tu che in cima andrai
In tuo figlio (Phil Collins, Tarzan)

[Serena]

Mi desto dal sonno di scatto, sudata e accaldata. Guardo la sveglia: sono le sei del mattino, ma per fortuna è sabato, quindi né io né Emir dobbiamo svegliarci presto. Che bello, potrò dormire un altro po'.
Mi volto verso l'altro lato del letto in cerca di Emir, ma non lo trovo. Le lenzuola sono state spostate e la figura alta e possente dell'uomo con cui mi sono addormentata poche ore fa non c'è.

Emir, amore mio, perché continui a fuggire da me? Ultimamente il suo atteggiamento mi spaventa e inizio davvero a pensare che stia diventando una patologia, la sua. Spesso non mi parla per ore intere, anche a lavoro, oppure si dimostra scontroso con tutti e quando mi vede girare per l'ufficio fa di tutto per evitarmi. Altre volte invece è il mio solito amato Emir, che mi sorride sornione e approfitta di ogni secondo per lasciarmi fugaci baci sulla guancia o pizzicotti sulle braccia. Questi suoi sbalzi d'umore e di comportamento non fanno che peggiorare la situazione: è così difficile convivere con tutto ciò che ci è capitato.

Mi alzo velocemente dal letto e vago per la casa cercando Emir. Lo trovo in salotto, profondamente addormentato sul divano, con Aethel che russa al suo fianco. Dai balconi aperti entra una brezza fresca e leggera, profumata di fiori e di foglie, che mi fa rabbrividire sebbene io abbia indossato una maglia prima di spostarmi dalla camera. Ovviamente la maglia è quella dei Red Hot, quella di Emir: mi sono innamorata del profumo che sapeva la prima volta che l'ho indossata, in quella che è stata la mia primissima notte qui, e ora amo ancora di più l'odore che ha, perché sa di me e di Emir allo stesso tempo, sa delle nostre lenzuola e dei nostri abbracci. È perfetta.

Mi siedo a terra davanti al divano, di fianco alla testa di Emir, e lo osservo mentre sospira lentamente, perso nel mondo dei sogni, con la fronte corrucciata e le labbra socchiuse. Ha i capelli scompigliati e gli occhi rossi, per cui immagino che abbia avuto un altro incubo e si sia alzato per non svegliarmi. Gli accarezzo dolcemente il capo, lasciandogli un bacio sulla fronte.
Rimango qui, non so per quanto tempo, a bearmi del suo sonno apparentemente tranquillo, mentre ripenso alla nottata che abbiamo passato assieme, alla necessità che Emir ha di farmi capire quanto mi ami, al suo desiderio insopprimibile di avermi, che si rispecchia nella mia infinita brama di lui. Abbiamo fatto l'amore con dolcezza e passione, come sempre, e sono riuscita per qualche ora a non pensare più al dolore che impregna le nostre giornate: i momenti in cui diventiamo un solo corpo stanno ormai rimanendo gli unici in cui sento davvero che siamo ancora uniti e innamorati.

Mi coglie un'ondata di sonno, quindi mi sporgo a baciare la cicatrice sulla guancia di Emir - quel segno sottile e chiaro che ha cambiato la nostra esistenza - e mi alzo, diretta in camera.

«Serena, aspetta» lo sento sussurrare.

Mi volto di scatto e vedo che ha aperto gli occhi. Ora mi sta guardando in modo strano, sorpreso e quasi in imbarazzo.

«Ciao, amore. Mi sono svegliata e così sono venuta a cercarti. Tutto bene? Altri incubi?»

Scuote la testa. «Sì, ma non preoccuparti, sto bene. Torni a letto?»

Non rispondo, ma rimango lì in piedi a fissarlo. «Emir, cosa mi stai nascondendo? Se va tutto bene perché te ne sei andato? Non ti allontani mai da me mentre dormiamo.»

Lui si tira lentamente a sedere, appoggiando la schiena al divano. «Ho fatto un sogno molto reale, tesoro, e non volevo rischiare di svegliarti rimanendo a dormire con te. Perdonami.»

«Non ti scusare. Non voglio che tu ti senta in dovere di scusarti per ciò che sogni. Non è giusto né nei miei né nei tuoi confronti. Per favore, la prossima volta svegliami. Voglio aiutarti, Emir, lasciami farlo.»

Lui annuisce, anche se con poca sicurezza.
Sorrido, tentando di rasserenarlo, e gli tendo una mano. «Torna a letto con me, amore mio» sussurro.

Emir afferra in fretta la mia mano e si alza, togliendosi di dosso la coperta e cingendomi con le sue braccia. Il nostro abbraccio, caldo e accogliente, mi trasmette quell'unione e quella forza, quell'amore e quel coraggio che ultimamente fatico a riconoscere nel nostro rapporto. Ora invece mi sembra che per un attimo ci siamo amalgamati, nel corpo e nell'anima, diventando una cosa sola. Mi sembra quasi di non toccare terra: sono aggrappata a lui, a sostenerci tutto l'amore che ci unisce e niente altro.

Perché forse ci basta questo, ci bastiamo solo noi per continuare a sopravvivere al dolore e all'ansia, alle incomprensioni e agli incubi.
Oh, lo spero, lo spero con tutto il cuore.

«Lo senti anche tu, amore? Siamo perfetti uno per l'altra. Ci completiamo a vicenda, come pezzi di un puzzle» mi sussurra Emir, affondando il volto tra i miei capelli.

Lo stringo più forte, avvolgendogli il torace con le braccia e accarezzandogli i muscoli forti della schiena. «Ti amo» dico, baciandogli un pettorale con venerazione.

Lui si stacca di pochi centimetri, quel tanto che basta per guardarmi negli occhi. Sorride, mentre il suo sguardo color smeraldo si illumina. «Anche io ti amo. Da morire, e senza via d'uscita. Alla follia, per sempre.»

In questo momento, esattamente in questo preciso istante, qualcosa dentro di me fiorisce e si allarga nel petto, cingendomi i polmoni e il cuore, scaldandomi in ogni angolo. Non saprei dargli un nome, ma sono certa che sia qualcosa di puro, di caldo, di vero, che non finirà mai. La mia unica certezza, in questo istante, è che non potrei vivere senza incontrare ogni giorno questo sguardo cristallino e magnetico, che non smetterò mai di amare Emir con tutta me stessa. Qualsiasi ostacolo ci si porrà ancora davanti, troveremo il modo per superarlo. Perché sono certa che non sapremmo vivere l'uno senza l'altra. Al diavolo gli sbalzi d'umore e le litigate, gli sguardi sofferenti e i musi lunghi: ci amiamo e prima o poi torneremo a vivere normalmente. Assieme.

***

[Emir]

«Ora saluto la mamma e poi andiamo, okay?» sussurro ad Aethel, mentre mi avvicino alla porta del bagno.
È ora della sua passeggiata serale e, dato che ultimamente lo sto un po' trascurando, oggi ho deciso di dedicargli del tempo in più rispetto alla solita mezz'oretta. Prenderemo il battello e andremo a farci una corsa sulla spiaggia del Lido, io e lui da soli, due uomini nel mezzo del fresco tramonto estivo.

Entro nel bagno e osservo il meraviglioso spettacolo che mi si pone davanti: Serena sta facendo la doccia e canticchia sottovoce qualcuna delle sue canzoni preferite. Ha il viso rivolto verso il getto d'acqua, gli occhi serrati e la bocca semiaperta. I capelli scuri, che sono notevolmente cresciuti rispetto al giorno in cui l'ho conosciuta, scendono fino a metà della schiena e indirizzano un rivolo d'acqua lungo il solco tra le sue natiche. La sua pelle è bellissima, liscia e luccicante sotto il velo di goccioline che la ricopre come il manto di una ninfa. La mia dolce e stupenda Sen. Una visione.

«Amore, io vado al Lido con Aethel» le dico.

Lei rabbrividisce e si volta subito verso di me: spalanca gli occhi e la bocca, spaventata, ma poi mi sorride. «Non ti avevo sentito entrare!» esclama ridendo.

Io mi avvicino al box doccia e lascio un piccolo bacio sul vetro. «Torneremo prima di cena, piccola. Okay?»

Serena annuisce, poi si alza in punta di piedi e bacia la superficie di vetro nello stesso identico punto in cui l'ho appena fatto io. «Certo. Stai attento.»

«Come se fuori ci fossero mille killer pronti a uccidermi? Dai, Sen, stai tranquilla okay? Non morirò. Non stasera» la prendo in giro, facendole la linguaccia.

Lei sorride, ma non è un sorriso di felicità il suo: è il sorriso tenue e tirato di chi teme per la vita di qualcuno, e io so che lei teme per la mia. Però a Venezia mi sento al sicuro, non ho paura, e mi auguro che un giorno entrambi impareremo a non tremare più quando sentiamo un rumore troppo forte, a non guardarci intorno con circospezione quando saliamo sui battelli affollati, a fidarci del prossimo come abbiamo sempre fatto.

Con un ultimo bacio schioccato per aria lascio la stanza e mi affretto a uscire di casa con il mio amato cagnolone. Prendiamo il battello e dopo meno di mezz'ora siamo al Lido. Una breve camminata ci porta fino alla spiaggia, dove entrambi rimaniamo fermi per qualche istante, ad annusare il profumo di mare e a osservare i riflessi aranciati del sole che tra qualche decina di minuti scomparirà dietro l'orizzonte.

Appena muovo un passo sul bagnasciuga Aethel inizia a correre e dopo qualche metro si volta: mi abbaia felice, invitandomi a seguirlo. Io sorrido e gli corro incontro, abbandonando i pensieri per il tempo di una bella corsa lungo il litorale.
Quando arriva all'ultima cabina della spiaggia Aethel si ferma e si siede a pelo d'acqua. Io lo raggiungo e mi sdraio di fianco a lui, alzandomi sui gomiti per osservare il sole che ormai sta colando a picco nel mare. È la mia ora preferita del giorno, questa, e adoro correre qui, tra le strida dei gabbiani e la risacca delle onde: mi aiutano a rilassarmi e a mettere in ordine i miei pensieri.

Di questo avevo bisogno oggi, di dare un senso alle mie paure e alle mie preoccupazioni.
È una settimana, ormai, che prendo ogni sera le gocce che mi ha prescritto Orsini, e anche se non vedo grandi cambiamenti so bene di dover affrontare la questione con Serena. So anche di doverlo fare il prima possibile, ma non riesco a trovare il coraggio per mettere a nudo le mie difficoltà di fronte a lei, che già fa così tanto per me.

Aethel uggiola piano, poggiando il muso sulla mia gamba e piegandolo per osservarmi. I suoi occhioni profondi e scuri mi guardano placidi e rassicuranti.

«Che c'è Eth?» gli chiedo, strofinandogli il pelo. «Sei già stanco? Ahi ahi ahi! Mi sa che stiamo diventando vecchi eh, amico mio?»
Se Tareq fosse qui, ora, sono sicuro che mi aiuterebbe a prendere in braccio Aethel e insieme lo porteremmo a zonzo reggendolo come un maiale pronto per lo spiedo, esattamente come facevamo con i grossi alani di mio padre quando eravamo piccoli e volevamo divertirci con qualche marachella.

Tareq. Il mio migliore amico. Mi manca spesso, soprattutto ora che dopo qualche anno di lontananza sembriamo essere finalmente tornati affiatati come un tempo. So che è merito anche di Serena e della felicità che il suo amore infonde in me, ma sono altrettanto convinto che parte della ragione per cui ho così tanto bisogno di Tareq ora stia nel fatto che lui ha vissuto con me le parti più importanti della mia vita, non da ultimi il giorno e la notte dopo l'attentato.

In un attimo di impeto afferro il cellulare e compongo il suo numero: ho bisogno di sentire la sua voce, di parlare con lui.

«Kardeş! Ti manco di già?» esclama il mio amico nella cornetta.

«Ciao anche a te, fratello! No, non mi manchi, non sono mica una femminuccia eh!»

«Bah, questo lo dici tu! Sei tu quello che piangeva al Sinema di Beşiktaş da piccolo, o mi sbaglio?»

Sorrido, ricordando la vecchia sala polverosa, che odorava di muffa e aveva l'intonaco delle pareti completamente scrostato, in cui io è Tareq a otto anni ci infilavamo durante le afose mattine di inizio estate. Sfuggivamo agli ultimi giorni di scuola per vivere qualche ora in un mondo lontano, popolato da aviatori, alieni, soldati...
Tareq ha ragione, ero sempre molto emotivo quando guardavamo quei film: la sala buia, la puzza di stantio, le file di seggiole praticamente vuote mi permettevano di lasciarmi andare e così spesso liberavo le mie emozioni. La prima volta che avevo pianto era stato per Top Gun: quando Goose era morto in volo io non avevo potuto evitare di pensare a me e a Tareq, a come mi sarei sentito se lo avessi perso. Ero scoppiato a piangere e lui prima mi aveva guardato sconvolto, poi mi aveva abbracciato e aveva evitato con cura l'argomento per qualche giorno.
La storia era poi diventata motivo di scherno e di risa da parte di entrambi, ma alla fine la realtà mi era crollata addosso con la morte di mio padre, l'anno successivo, che aveva allontanato me e la mia seconda madre da Istanbul e dai miei amici.
Avevo perso Tareq, proprio come Maverick aveva perso Goose in Top Gun, e mi ci erano voluti mesi per superare almeno un po' la cosa.
Quando Tareq mi aveva raggiunto in Italia, all'epoca dell'università, per frequentare con me la Bocconi, avevo riscoperto un fratello che in realtà non mi aveva mai abbandonato, continuando a stare con me sia nei miei brevi soggiorni a casa per rivedere la mia famiglia sia nelle lunghe telefonate che ci scambiavamo ogni sera quando eravamo lontani.

«Allora, bimba, perché mi avresti chiamato?»

«Dove sei?» gli chiedo, cercando di sviarlo per un minuto. Ho bisogno di pensare, di capire come dirgli ciò che gli devo dire.

«A Istanbul. Per una settimana.»

Vorrei rispondergli, ma mi manca il fiato. Il respiro mi si è mozzato nell'istante in cui ho pensato alla mia città, che mi manca tantissimo. Mi manca la sua gente, mi manca la sua confusione, mi manca la mia lingua natale.
Però ho deciso di non tornare in Turchia. Per ora non me la sento di rivivere tutto ciò che mi è capitato ad Ankara, e so che rimanendo qui in Italia almeno parte del dolore rimarrà sopita. So anche che non è così che sfuggirò ai miei fratelli o ad Alyna, ma non voglio pensarci per ora.

«Il padre di Alyna è piombato a casa mia, ieri. Vuole che tu torni e la sposi» mormora Tareq, quasi leggendomi nel pensiero.

«Gli hai spiegato che non lo farò, vero?»

«Sì, Emir. Ma prima o poi dovrai parlarci tu. E anche con i tuoi fratelli. Massud è preoccupato.»

«Gli altri no, vero? Gli altri miei fratelli non mi considerano, giusto?» domando. La mia voce è piena di sarcasmo e di risentimento, ma non me ne preoccupo.

«Lo sai come sono fatti. Se ne fregano. Ma Massud... Emir, lui ti vuole bene. Come un vero fratello, come quello che è.»

Scuoto la testa, irritato, mentre osservo le mie Nike che torturano la sabbia. «Sei tu mio fratello, Tareq. L'unico

«Emir, smettila di fare il bambino! Massud ti vuole bene e tu gli devi delle spiegazioni!»

Ha ragione. Tareq ha perfettamente ragione. Massud è il più giovane dei miei fratelli, forse il solo a provare del vero affetto per me, e perciò è vero che gli devo parlare. Si merita che io gli spieghi il motivo per cui non voglio tornare in Turchia e il motivo per cui non sposerò Alyna. Il problema è che il primo è una tremenda ed irrazionale paura, mentre il secondo... è una donna, e lui non potrà capire senza conoscerla. Serena non si può capire se non la si conosce, se non la si vede, se non la si sente parlare. La mia Sen si ama al completo, oppure non si riesce nemmeno a comprenderla.
«E come faccio a spiegarglielo?»

«Gli dici la verità! Che hai paura di tornare in Turchia e che ami Serena! Che sposerai lei!»

«La sposerò?» sussurro, rivolgendo la domanda non so bene se a me o a Tareq. Ma che diavolo sta dicendo? Matrimonio? Che idee gli sono venute?
Sposerò Sen? Sono pronto a questo passo? E lei è pronta?

«Cristo, oggi proprio non ce la fai. Lo capirai da solo che lei è quella giusta da sposare, quando sarà tempo. Ora però dimmi perché mi hai chiamato.»

«Avevo bisogno di parlare con te, fratello» rispondo sincero.

La voce di Tareq si fa seria e meno squillante. «Che succede, Emir? Tutto bene?»

«Sì. Cioè, no. Non lo so» dico confuso. Come stai? Che succede? Sono domande a cui ormai non so più dare risposta.

«Parlami. Dimmi tutto.»

«Io... Va bene, cominciamo tutto dal principio. È da fine giugno che sto andando da uno psicologo, per -»

«Sì, lo so» mi interrompe lui. «Me lo ha detto Serena al Redentore.»

«Serena ti ha detto questo? Perché?» chiedo, incredulo. Ecco di cosa stavano parlando quei due, allora! Di me!

«Perché ti ama, Emir, e aveva bisogno di rassicurazioni. Come me, d'altronde. Ma vai avanti ora, continua.»

Devo ancora digerire questa cosa, ma intanto proseguo con la mia confessione. Gli dico tutto, ogni paura, ogni incubo, ogni seduta, e gli parlo anche delle goccette che sto prendendo, dell'angoscia che provo sapendo che lo dovrò dire a Serena.

«Lo devi fare, fratello. Devi parlarne con lei. È lei che dorme con te la notte, lei che vive con te, lei che sopporta le tue crisi e ti sorregge quando non ce la fai. Diavolo, Emir, quella donna si è trasferita da te nel giro di due giorni per non lasciarti solo con le tue paure! Non penso proprio che rivelandole che stai assumendo dei farmaci la farai scappare! Lo sa benissimo che sei affetto da una sindrome post-traumatica, non serve mica specificarlo con carta bollata! E poi lo fai anche per lei, no? Questa tua scelta è fatta anche perché lei si senta più al sicuro. E allora sii uomo fino in fondo, cazzo! Tira fuori le palle e parlale.»

«Sei sempre così diretto, kardeş!» esclamo ridendo.
A me però non dispiace: Tareq è fatto così, irruento e senza filtri, ed è anche per questo che ci siamo sempre trovati bene assieme. Entrambi con tanta voglia di fare a pugni, soltanto che lui reagisce d'impeto, mentre io so quando è tempo di ragionare. Ci bilanciamo perfettamente, come due piatti vuoti di una stessa bilancia.

«Fallo, Emir. Fallo oggi. Fallo ora. Non puoi più rimandare.»

«Lo so. Lo farò, Tareq, promesso.»

«Bene. Allora alza quel tuo culo dalla spiaggia e corri dalla tua donna, scemo. Salutami Aethel eh!»

«Ma come diavolo fai a sapere dove e con chi sono?»

Tareq sbuffa. «Sei uguale a come eri da piccolo. Un genio super intelligente ma assolutamente negato per l'osservazione! Si sentono i gabbiani e le onde in sottofondo e io so che vai a correre al Lido solo con Aethel. Ora smettila di fare il bambino e corri a casa!» esclama, chiudendo la telefonata.

Io scuoto la testa, ridendo, poi infilo il cellulare in tasca e mi alzo. Subito Aethel mi imita, per poi seguirmi come un'ombra mentre torno al vaporetto e mi incammino verso casa. Mi muovo veloce nel buio, attraversando la città che amo illuminata solo da sparuti lampioncini: tuttavia non bado a Venezia, né alle meravigliose luci che si riflettono nei canali.

Riesco soltanto a pensare a ciò che sto per fare.
Ti prego, fa che Sen possa capire. Fa che non fugga da me. Ti prego Allah, ti prego.

***

Quando mi affaccio titubante al balcone, scorgo Serena seduta nel tavolo del giardino, intenta a leggere un libro al lume di una decina di candele. Attorno a lei le stoviglie e le pentole sono già tutte pronte per la cena, che si prospetta assolutamente romantica.

Inizio a scendere le scale, mentre dentro di me il cuore sembra scoppiarmi nel petto da quanto forte batte.
Mi fermo davanti al tavolo e Serena si volta verso di me: mi regala uno dei suoi più fantastici sorrisi, che ha il solo effetto di aumentare a dismisura la mia ansia.

«Serena» sussurro, «dobbiamo parlare.»

*Autrice*
Ciaooo!! Scusate il ritardo nel pubblicare, ma ho fatto le mie vacanze "culturali" e quindi sono stata via parecchi giorni: ho visitato tra le altre cose anche Ravenna, che non avevo mai visto, e me ne sono innamorata😍 se qualcuna/o di voi è da quelle parti è davvero fortunata/o!!
Ecco, quindi ho avuto poco tempo per scrivere, ma ora ci sono!

Che dite? Quale sarà la reazione della nostra Serena alle cose che Emir ha da dirle😱?

Fatemi sapere che ne pensate!
Baci baci 😘😘

Elly

Ps: la foto in copertina è mia! L'ho fatta una sera di inizio primavera in cui faceva un freddo cane e io avevo soltanto voglia di correre a casa dopo la lezione finita alle 19!! È molto molto sfocata, lo so, ho mosso il telefono ahah, ma ci stava bene con questo capitolo, secondo me! E poi una bellissima Venezia non si nega mai a nessuno😘

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