Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

24 (1/2). Redentore che magia

Just a perfect day / problems all left alone / weekenders on our own / it's such fun
Perfect Day (Lou Reed)

L'acqua sciaborda quietamente sotto i miei piedi, esibendosi in un languido tripudio di blu. Le piccole onde sollevate dalla brezza calda sfiorano delicatamente le cozze attaccate alla banchina, per poi tornare indietro con placida lentezza. Il livello della marea si sta alzando e il picco massimo è previsto per le undici di sera: non sfiorerà nemmeno i settanta centimetri, quindi non ci sarà il fenomeno dell'acqua alta che tanto piace ai turisti e poco ai veneziani - anche perché saremmo comunque fuori stagione.

Sto rimuginando sull'altezza delle maree mentre aspetto che Emir arrivi al pontile sotto casa sua con la barca. In realtà riesco solo a pensare alla notte passata: Emir ha fatto un altro brutto sogno e si risvegliato urlando il mio nome, cosa che non era mai successa. Il mio timore di perderlo diventa ogni giorno più grande e non riesco a togliermi dalla testa la paura del suo abbandono, anche se lui tenta in ogni modo di rassicurarmi. È così difficile amare davvero? Dio, inizio a pensare che faccia quasi più male che bene.

Passo una mano sul vestito di sangallo verde acqua che indosso, lisciando pieghe invisibili, poi mi sistemo il bordo del corpetto senza maniche. Do una carezza ad Aethel, che è seduto al mio fianco: verrà con noi stasera, dato che ha paura dei botti e temiamo che si spaventi rimanendo solo.

Mi accorgo che Emir è arrivato perché il cagnolone mugola felice: un piccolo jacht sta attraccando alla banchina su cui stiamo seduti, sbattendo pigramente contro il legname. Alzo lo sguardo mentre il motore di spegne ed Emir esce dalla cabina di comando sorridendomi felice. Indossa un paio di jeans color crema, delle scarpe da barca in cuoio scuro e una camicia bianca di lino: sembra l'immagine perfetta di un divo da copertina patinata. Si sfila gli occhiali da vista e li mette in tasca, poi spicca un balzo e mi raggiunge sulla terraferma.

«Eccola qui, la mia principessa» dice allegro.

«Sì, è davvero bella» esclamo.

«Ma no, scema, parlavo di te» sussurra lui, stampandomi un tenero bacio sulle labbra. «Ciao piccolino, la mamma ha fatto la brava vero?» chiede poi ad Aethel, sorridendogli.

È tutto il giorno che fa lo sdolcinato e mi riempie di attenzioni; io sto cercando di non pensare che si stia comportando così soltanto per farmi dimenticare stanotte. In ogni caso non ci riuscirà: non smetterò di credere che lui stia male, non smetterò di preoccuparmi per l'uomo che amo.

«Mmmh, sì, sono stata una brava mamma. Mio principe, dove ci porti stasera?» chiedo, civettuola.

«Nel posto più bello del mondo a vedere lo spettacolo più magico della terra. Ci state?»

Sorrido, ben sapendo che lo sarà davvero: i fuochi del Redentore sono una vera istituzione qui a Venezia e non mancano mai di commuovermi, anno dopo anno, con le loro luci brillanti che si riflettono e si immergono nel bacino splendente della laguna. La festa in realtà è domani, la terza domenica di luglio, ma i veri festeggiamenti saranno oggi: dal 1577 i veneziani celebrano la fine della peste del 1575, durata due anni, dopo la quale hanno fatto costruire l'imponente chiesa votiva del Redentore, da cui ancora oggi parte il celebre ponte di barche che la collega per due giorni alla Punta della Dogana, sul Canal Grande.

«Ci stiamo, milord dalla barca bianca» accetto, sorridendo. «Certo che è davvero enorme» continuo poi, abbracciandola con lo sguardo.

«Ma va, ci stiamo solo in otto sopra. È un piccolo gioiellino però» esclama Emir orgoglioso.

«E ha un nome stupendo» mormoro. Mi sono appena accorta che sulla fiancata di poppa è scritto con caratteri eleganti il nome della barca: si chiama Ayfer, come la madre naturale di Emir, e questa constatazione mi riempie di commozione.

«Vero? È un modo per portarla con me quando sono sull'acqua. Baba, papà, diceva sempre che la mamma era nata dal mare, una ninfa stupenda uscita dalla spuma delle onde per raggiungerlo sulla terra» dice Emir, mentre guarda assorto la sua barca.

Gli cingo il bacino in un abbraccio e gli bacio teneramente un bicipite. «Era splendida come te, immagino.»

«Ho una sua foto in casa. Domani te la mostro, ricordatelo. Era davvero stupenda.»
Rimaniamo in silenzio per un po', poi Emir sembra riscuotersi dai suoi pensieri. «Ah, Tareq e sua moglie Irina arriveranno tra poco. Aspettiamo loro, Emanuele e Francesca qui, invece Roberto e Flavio ci raggiungono in bacino.»

Annuisco e sorrido. «Perfetto. Nelle borse termiche c'è tutto quello che abbiamo preparato stamattina» lo informo, indicando le tre sacche che mi stanno di fianco, posate per terra, dove ho infilato tutti i manicaretti che abbiamo cucinato per cenare assieme mentre aspetteremo i fuochi d'artificio.

«Okat, portiamole a bordo così metto il vino in frigo. Dai, su, sali che te la presento» mi invita Emir, sorridendo e spingendomi verso la barca.

Ci salgo con riverenza, un po' impaurita, mentre Aethel mugola e poi ci segue con la coda tra le zampe. Emir mi guida sotto coperta, dove mi mostra la piccola cucina e la cuccetta con il letto matrimoniale. Ovviamente non si astiene dal propormi un rapido scambio di baci e tanto altro, ma io rifiuto ricordandogli con una risata che aspettiamo ospiti. Poi usciamo sul ponte, dove una distesa di divanetti candidi abbraccia ogni lato.
Sfioro con delicatezza i parapetti in legno, accarezzandoli con devozione e mormorando sottovoce piccole preghiere per la madre di Emir: Ayfer vive con il suo spirito dentro questa barca e il minimo che possa fare per lei è ringraziarla per lo splendido regalo che mi ha donato mettendo al mondo suo figlio.

«Emir? Kardeş, sen orada?» urla una voce da fuori bordo.

Sento Emir muoversi in fretta verso il pontile, così mi volto anche io in quella direzione. Un uomo alto e grosso, con capelli e occhi scurissimi, sta scendendo dalla banchina e salendo sulla barca.

«Tareq, geldi! Ne güzel seni tekrar görmek için» esclama Emir, correndo incontro a quello che ho appena riconosciuto - dall'unica parola che ho capito - come Tareq.

Sono così ansiosa di conoscerlo. So che lui è la persona a cui Emir si sente più vicino e, dato che dal giorno dell'attentato non ha più nemmeno nominato la Turchia, spero che incontrando Tareq scoprirò almeno una parte della vita del mio uomo legata a quel paese.
Non mi ha più proposto di andare a conoscere la sua famiglia e io non me la sono sentita di forzarlo, non dopo ciò che è successo. So che non parla con quasi tutti i suoi familiari da quel giorno, fatta eccezione per Massud, il fratello che ha due anni più di lui e che a quanto ho capito è l'unico con cui ha un buon rapporto. So che Alyna e i suoi genitori hanno fatto pressione più volte perché lui si faccia vivo, ma Emir non ha risposto e continua a ripetere a Massud che non tornerà in Turchia e men che meno da Alyna.
E io? No, non temo più alcun confronto con questa donna. Ho capito che Emir non la vuole sposare e credo ciecamente alle sue parole. Per il resto, se vorrà prima o poi andremo a Istanbul, a conoscere il suo paese e la sua gente. Solo quando lui se la sentirà, però. Per ora mi basta averlo con me e sapere che lui non vuole altro che me, il resto non conta.

Emir e Tareq si abbracciano di slancio, menandosi pacche affettuose sulla schiena, poi si staccano e rimangono a fissarsi per qualche secondo, tenendosi per le spalle. Sono molto simili, sia per colori che per statura, e mi accorgo subito che il legame di cui mi ha parlato Emir è ancora molto forte: sono amici da quando sono venuti al mondo e si considerano realmente fratelli.

«Aethel! Sen köpek yavrusu büyük alıyoruz!» esclama Treq verso Aethel, che mi sta a fianco, poi sposta lo sguardo su di me e sorride, mostrandomi dei denti chiarissimi.
«Tu sei Serena, immagino. È un piacere per me conoscerti» mi dice, con un accento prettamente orientale che mi fa sorridere.
Finalmente riesco a capire qualcuna delle parole che dice!

«Il piacere è mio Tareq» rispondo, avvicinandomi e porgendogli la mano. «Ho sentito molto parlare di te» dico, ed è vero: Emir mi racconta quasi solo di lui e ormai ho capito che è la persona a cui è più legato, la sua famiglia.

Tareq mi prende il polso e invece di stringermi la mano deposita un lieve bacio sul dorso, cogliendomi di sorpresa. Poi alza il capo e sorride di nuovo. Ha degli occhi magnetici, che irradiano sicurezza e sincerità.
«Allora saprai che sono un fanatico delle sarde in sàor.»

Mi sfugge una risata, a cui si aggiunge anche Emir, che nel frattempo mi ha affettuosamente cinto la vita con un braccio.

«Ho sbagliato accento, vero?» mormora Tareq.

Io annuisco, poi dico: «Si dice in saòr, ma tranquillo, anche chi vive qui spesso sbaglia.»

«Allora mi consolo» risponde lui, sorridendo.

«Non le presenti tua moglie?» esclama Emir allora.

«Oh certo» risponde Tareq e il suo sorriso si fa ancora più radioso, per quanto possibile.

Indietreggia di un passo e alza la mano per aiutare la ragazza che sta ancora sul pontile a scendere a bordo. È davvero splendida: alta come lui, magra e tonica, con dei folti capelli biondi e stupendi occhi blu. Deve avere circa la mia età e mi stupisco che si sia già sposata, per di più con un uomo di trentotto anni.

«Piacere, Irina» si presenta lei, porgendomi la mano.

«Io sono Serena» rispondo con un sorriso.
La sua stretta è forte e sicura: questa donna mi sta facendo un'ottima impressione.

«Sono felice di vederti finalmente contento al fianco di una donna, Emir» esclama quindi Irina.

Il mio ragazzo le fa una smorfia tirando fuori la lingua, poi fa cenno a lei e a Tareq di scendere sottocoperta. A questo punto si volta verso di me e mi intrappola tra il suo corpo possente e il parapetto in legno.
«Sei davvero splendida, stella. Ti amo così tanto» sussurra, abbassandosi per baciarmi con foga.

«A cosa devo queste parole?» gli chiedo poi, sorridendo. Ti prego fa che sia una reazione spontanea. Ti prego, fa che non sia tutto dovuto a quel sogno di stanotte!

«Non lo so. Volevo dirtelo e basta, credo.»

Lo abbraccio forte, appoggiandomi al suo petto largo e gli bacio una clavicola. «Anche io ti amo. Immensamente» sussurro, guardandolo negli occhi. Spero che capisca le mie parole, spero che comprenda quanto è importante per me. Stanotte è stata orribile, ma almeno per oggi voglio godermi il mio uomo e i suoi amici con tutta la felicità che la festa del Redentore porta in città. Quindi basta pensieri negativi, Serena.

Emir mi sorride, poi raggiungiamo Tareq e Irina nei divanetti a prua. Aethel si sistema sotto a un groviglio di corde e si addormenta quasi all'istante.

«Volete qualcosa finché aspettiamo Ema e Francesca?» chiede Emir, da perfetto ospite.

In quel momento giunge un grido da poppa: «Ehilà! Emir siamo arrivati!»

Presto scendono sul ponte anche i due che aspettavamo: Emanuele è alto e biondo, allampanato, in un paio di bermuda color cachi da cui escono delle gambe pallide e sottili; Francesca invece è piccola come me, riccia e con un bellissimo pancione che le tende il vestito sul davanti.

«Ema, Francesca, finalmente! Ora possiamo partire» annuncia Emir. «Tareq, servi tu da bere?»

Lo prendo per il braccio. «Faccio io, Emir, non ti preoccupare» gli dico, sorridendo.

Lui annuisce e scende in cabina con Tareq, mentre io prendo i calici e verso del prosecco per tutti.

«Non ci hanno presentate, ma immagino che tu sia Serena» esclama Francesca quando le porgo il bicchiere.

«Esatto! Piacere di conoscerti» le rispondo. «Posso essere indiscreta?» aggiungo poi.

Lei sgrana gli occhi, poi annuisce. «Ma certo.»

Lancio un'occhiata al suo pancione. «Di quanti mesi sei?»

Lei scoppia a ridere e si accarezza la pancia con entrambe mani. «Sette. Aspettiamo una bimba!»

«Wow! Avete già un nome?»

«Non ancora, vogliamo vederla prima.»

«Ehi ehi, state parlando di mia figlia in mia assenza?» si intromette Emanuele. «Piacere, sono il responsabile finanziario della RASBI, Emanuele» si presenta, stringendomi la mano.

«Sì, Emir mi ha parlato di te» gli dico.

«Bene, quindi sai già che mio marito è un pazzo» esclama Francesca ridendo.

«Ma dai amore, perché devi sminuirmi sempre? Sono un genio in realtà. Emir te lo avrà detto, Serena. E poi lo scoprirai presto: quando inizierete a fare i budget per Cities lavoreremo per forza assieme!»

Nascondo un sorriso ironico dietro l'orlo del bicchiere ed Emanuele si finge disperato. Emir mi ha parlato delle sue piccole manie riguardo l'ordine e la pulizia e io non riesco a trattenere una risatina. So già che quando entreremo in contatto a lavoro sarà difficile far combaciare la sua mania per la precisione e il mio costante disordine!

Mi allontano sorridendo, lasciando questi due a parlare con Irina. Sveglio Aethel, che mi segue giù dalle scale: raggiungiamo Emir sottocoperta, mentre il mio palato si delizia per il dolce sapore del prosecco millesimato.

«Ehi tesoro, tutto bene?» mi chiede lui appena entro nella plancia. Si è voltato verso di me e mi scruta attento da dietro le lenti degli occhiali da vista.

«Sì certo, sono venuta a vedere se Tareq vuole un aperitivo.»

«Oh, sei un angelo» dice Tareq, poi prende subito il bicchiere che gli sto porgendo. «Quest'uomo è assurdamente fortunato ad averti!» esclama, battendo la mano sulla spalla di Emir.

Lui mi sorride, mentre il verde dei suoi occhi gli illumina il volto. «Assurdamente, lo so.»

Arrossisco subito, emozionata e leggermente imbarazzata dalle sue parole. Sa essere così dolce che spesso mi stupisco del fatto che nessuna donna sia mai riuscita ad accalappiarlo.

«Serena, lasciamo qui quest'uomo di mare e il suo cane, tanto tra poco mette l'ancora, e saliamo di sopra, ti va?» mi propone Tareq.

In effetti ormai abbiamo circumnavigato la Giudecca e stiamo raggiungendo il gruppo di barche che già staziona nel Bacino di San Marco. Sono le sette di sera, ma qui si mangia presto, come dimostrano le decine di persone già sedute nelle tavolate disposte lungo le fondamenta in Giudecca, che stanno cenando in compagnia sotto le luminarie gialle che svolazzano al vento.

Emir mi fa segno di andare, così seguo Tareq di sopra. Lui si ferma in disparte rispetto al gruppo, poi si volta a guardarmi con un'espressione seria.
«Come sta?» chiede con voce bassa.

So già che sta parlando di Emir: è Tareq che lo aspettava fuori dalla stazione di Ankara ed è Tareq che gli ha offerto un letto nella notte dell'attentato. Mentre io cercavo di contattarlo, Tareq si è preso cura di Emir, e io gli sono estremamente grata per tutto ciò che ha fatto.

«Male, Tareq. Alterna alti e bassi, soprattutto di notte: continua ad avere incubi tremendi» mormoro.

«Immaginavo. Quanto vorrei che fosse successo a me invece che a lui» sbotta, colpendo il parapetto con una manata. «Quella notte l'abbiamo passata insonne. Era un caldo infernale, così siamo rimasti fuori in giardino. Lui è stato tutto il tempo a fissare il vuoto: non lo avevo mai visto così impaurito e spaventato, nemmeno dopo la morte di suo padre. Sembrava piccolo piccolo, schiacciato dal mondo. Era distrutto, devastato, dilaniato da ciò che aveva vissuto. E quell'orrore era stato causato da qualcuno di noi, da musulmani che dicevano di fare il volere di Allah. Io ed Emir siamo credenti ma non molto praticanti: andiamo poco in moschea, essenzialmente solo per cerimonie importanti. Ma ciò non toglie che crediamo nell'Islam e tutti questi attacchi non fanno che infangare il nome del nostro dio.»

Sono stupita: una confessione così, fatta con il cuore e con l'anima, non sono mai riuscita a sottrarla a Emir, che preferisce soprassedere alle questioni religiose.

«È da quella notte che rimpiango di non essere entrato per aspettarlo: avrei potuto essere lì con lui, avrei potuto aiutarlo e almeno ora potrei condividere i suoi ricordi. Invece no, è rimasto da solo e adesso deve affrontare tutto questo.»

«Sta andando da uno psicologo, il dottor Orsini» gli dico, poggiando una mano sopra la sua, che è stretta al parapetto e ha le nocche sbiancate per la forza della tensione. «Ciò che mi ha detto il dottore è che ci vorranno mesi, forse anni, prima che torni alla normalità, o almeno a quella che sarà la sua nuova normalità. Deve imparare a convivere con i ricordi e con le paure e soprattutto deve accettare di mostrarsi debole davanti a coloro che ama. Per questo è importante che gli stiamo vicino: con la vita che ha avuto...»

«Non gli è facile aprirsi agli altri» continua Tareq, «anche se questi altri sono i suoi amici o la donna che ama. Lo so, lo capisco: lo conosco da sempre.»

Annuisco, poi cala il silenzio. Ho ancora la mano sulla sua e questo piccolo contatto tra noi ha il sapore di un'amara condivisione di consapevolezza: sappiamo che sarà dura, per Emir e per noi, come mai lo è stato prima. Ma da come Tareq mi guarda mentre parlo so con certezza che nessuno dei due mollerà l'osso. Amiamo entrambi Emir e non lo lasceremo mai sprofondare sotto il peso dei suoi timori.

«Serena, quella notte lui continuava a mormorare il tuo nome» dice d'un tratto Tareq. «Così alla fine gli ho chiesto chi fossi e lui mi ha parlato di voi. Ha ripreso a respirare ricordandoti.»

Il mio cuore batte a un ritmo frenetico, mentre ascolto le parole di Tareq.

«Non so cosa tu sappia delle sue passate relazioni, ma duravano al massimo qualche notte. Non è mai stato in grado di fidarsi delle persone e ha sempre trovato le compagne sbagliate. Invece da quando ci sei tu... è cambiato, Serena. È più solare, più aperto, più costante: mi chiama ogni due giorni, mentre prima ci sentivamo saltuariamente e spesso non riuscivo a contattarlo per dei mesi interi. Ha ritrovato la gioia di vivere che aveva perso da bambino e nonostante il dramma dell'attentato rimane comunque un uomo migliore rispetto a quello che era.»

Sorrido di fronte a questo ritratto di Emir, fatto da qualcuno che lo conosce molto meglio di me. Tareq mi sta rincuorando e ringraziando a suo modo, dicendomi che ho cambiato in meglio l'atteggiamento di Emir, anche solo standogli vicino e donandogli la sicurezza del mio amore incondizionato.

«Devo chiederti di stargli vicino: ne ha bisogno

«Emir ha cambiato la mia vita, Tareq. Lo amo più di quanto potessi immaginare e attualmente non posso pensare di vivere senza di lui. Non lo lascerò. Mai

Tareq sorride, rassicurato dalle mie parole, poi scosta la mano dalla mia e mi abbraccia con delicatezza. «Grazie, Serena.»

Dietro di noi sopraggiunge Emir, che con voce squillante annuncia che abbiamo piazzato l'ancora e quindi possiamo iniziare a cenare. Sorrido e mi stacco da Tareq; con una rapida occhiata archiviamo il nostro dialogo, preparandoci a vivere la festa. Aiutata da Francesca e Irina comincio a portare fuori i vassoi di pesce fresco, verdura e frutta, che disponiamo sul tavolo insieme al vino e all'acqua.

[Emir]

Sto osservando Serena e Tareq che si sorridono e mi sento assurdamente geloso. Cosa si saranno detti quei due poco fa? Perché si guardano così?

Ma insomma, sono la tua ragazza e tuo fratello, Emir! Fidati no?

Dovrei farlo, so di non avere alcun motivo per non fidarmi di entrambi. Sono delle persone eccezionali: Tareq è cresciuto con me e so di poter sempre contare su di lui e sulla sua assoluta fedeltà nei miei confronti, Serena la conosco da poco ma è la persona più rispettosa che abbia mai incontrato... Eppure sono estremamente geloso della mia Sen e del suo amore per me, sono geloso di cio che c'è tra noi, dei nostri baci e delle nostre carezze, della nostra passione e della nostra connessione mentale.
Che poi, come potrei mai pensare che lei non mi ami a sufficienza quando ha lasciato tutto per me? Come potrei non fidarmi della donna che mi è venuta a prendere in aeroporto dopo l'attentato, che mi ha tenuto la mano dallo psicologo, che si è trasferita a casa mia nel giro di due giorni per starmi vicino, che sopporta i miei incubi e tutte le mie paure secondo dopo secondo? Serena è un miracolo e io a volte non mi capacito della fortuna che ho avuto a incontrarla.

Però ho questa sconvolgente paura di perderla, questo terrore che lei mi abbandoni... Orsini dice che è dovuto alla mia infanzia solitaria e soprattutto a ciò che ho vissuto con l'attentato, quando ho temuto di perdere per sempre tutto il mondo che ho conosciuto.
La settimana scorsa mi ha prescritto dei farmaci che secondo lui dovrei iniziare ad assumere per controllare almeno gli incubi. Io non volevo assolutamente sottopormi a questa cura, ma poi lui mi ha messo di fronte alla possibilità che io faccia del male a Sen, durante uno dei miei tremendi sogni notturni: non ho potuto negare a me stesso che potrebbe davvero accadere, un giorno o l'altro, e quindi ho deciso di iniziare ad assumere tranquillanti, almeno per dormire.
Quando sono andato in farmacia per comprarli la commessa mi ha guardato con un'espressione di tale compianto da farmi ribollire di rabbia: come poteva permettersi di giudicare il mio stato d'animo e i miei problemi senza sapere nulla di me o di ciò che mi è successo, leggendo soltanto il nome di un farmaco sulla ricetta medica?
Me ne sono andato senza ringraziare, sbattendo la porta dietro di me con tanta foga da far scricchiolare tutta la struttura di legno.

Anche per questo non ho detto nulla a Serena e spero di riuscire a tenerglielo nascosto anche quando inizierò ad assumere le pasticche - per ora non ne ho ancora avuto il coraggio - : queste medicine sono la prova palese che ciò che mi opprime è una vera e propria malattia, psichica o mentale che sia. Sono malato e non voglio che Sen lo sappia. Ho fatto davvero uno sforzo immane per non urlare contro quella farmacista, che per me era una semplice sconosciuta, perciò come potrei sopportare un'espressione anche soltanto simile sul volto della donna che amo?

Voglio superarla da solo questa malattia, questa depressione, questo disturbo. Voglio provare a Serena e a me stesso che posso farcela, che voglio farcela. Devo accettare la mia condizione e partire da qui. Senza nessuno. Soltanto io contro i miei fantasmi.

«Kardeş? Andiamo, fratello, vieni a mangiare!» esclama ad un tratto Tareq. Mi sta invitando a sedermi vicino a lui sui divanetti di prua.

Io scuoto la testa e sorrido, avvicinandomi. Nel tragitto intercetto Serena: le avvolgo la vita con un braccio e me la trascino dietro, facendola ridere mentre la spingo ad accomodarsi al mio fianco.
Eccomi qui, tra mio fratello e la donna di cui sono follemente innamorato. Devo sforzarmi di essere felice, almeno questa sera, almeno oggi che ho la straordinaria possibilità di stare con le due persone che più mi amano e che più amo al mondo. Al resto penserò domani.

*Autrice*
Ciaoooo!!! Finalmente nuovo capitolo!! È luuuuunghissimo ma avevo tanto da scrivere💜 altro 1/2, perdonatemi!

Allora allora allora, adesso Emir sta nascondendo a Serena che deve iniziare una terapia... lei cosa dirà quando lo scoprirà?😱 si preannunciano tempi duri!

Se vi capitasse di passare a Venezia in luglio mi raccomando, non vi perdete i fuochi del Redentore!! Sono meravigliosi😍😍

Ps: buon Ferragosto in ritardo, spero abbiate passato una bellissima giornata!

Kisses😘

Elly

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro