20 (1/2). Problemi da affrontare
I'm tense and nervous and I / can't relax / I can't sleep 'cause my bed's on fire / don't touch me I'm a real live wire
Psycho Killer (Talking Heads)
[Serena]
«No! Smettetela di urlare! Vi prego, basta! Basta!».
Un urlo spaventoso mi sveglia e io mi volto di soprassalto: Emir si contorce vicino a me, strepitando come un ossesso. Mi tiro a sedere velocemente, mi avvicino a lui e poso una mano sul suo petto sudato. «Emir, amore mio, sono qui. Va tutto bene» gli sussurro.
Lui continua a muoversi quasi fosse in preda a convulsioni: ha gli occhi chiusi e la bocca spalancata in una smorfia orribile. «Andate via! Via ho detto! Lasciatemi stare!» continua a urlare.
Assalita dal panico lo prendo per le spalle e lo scuoto con forza. A quel punto lui sbarra gli occhi e riprende a respirare, ormai sveglio. Mi afferra un polso, sussurrando sconvolto: «Serena... tesoro, scusami.»
«Emir, non succede nulla, tranquillo» gli rispondo io, accarezzandogli dolcemente i capelli umidi di sudore. Avvicino le labbra alla sua guancia e poso un bacio delicato sulla cicatrice bianca che corre leggera sotto il suo zigomo.
Chissà se questo strazio finirà mai.
Torno a distendermi vicino a lui, che mi stringe forte contro il suo petto. «Prometto che prima o dopo smetterò di svegliarti, piccola» dice, quasi fosse conscio dei miei pensieri. «Mi dispiace tantissimo. Io... grazie per essere venuta qui. Mi stai salvando.»
«Shh, torniamo a dormire. Non è successo nulla di importante. Sono qui perché lo voglio, lo sai. Buonanotte» sussurro.
Quando sento che il suo respiro si è fatto regolare apro gli occhi, terribilmente sveglia, e guardo l'uomo che mi sta abbracciando.
È passato un mese da quel terribile attentato, ma Emir continua ad avere incubi, urlando e piangendo nel sonno. Dopo le prime volte, in cui mi ha presa alla sprovvista e terrorizzata, mi sono abituata - se così si può dire - a questa situazione e ho ormai capito come devo reagire. Inutile dirvi che ogni sera vado a dormire in uno stato di angoscia e timore tremendi: non so quando Emir si sveglierà, cosa avrà sognato, quanto avrà pianto e urlato, né sono in grado di sapere se prima o poi verrà il momento in cui, preso da un attacco di paura, rischierà di fare del male a sé stesso, o a me.
E poi... poi c'è quella cicatrice, piccola ma eccessivamente chiara sulla sua pelle eburnea, che ricorda a entrambi tutto ciò che è successo e il dolore che abbiamo provato. Ora la osservo assorta, pensando al chiodo che l'ha inferta e a tutte le persone che a causa di oggetti simili, sparati a velocità estreme dallo scoppio delle bombe, sono morte. Emir è rimasto illeso, se non per quel sottile segno bianco che gli corre sullo zigomo destro, lasciando l'impronta della sofferenza su quel volto perfetto.
I primi giorni dopo il suo ritorno a Venezia sono passati tranquilli, tra il lavoro e qualche cena assieme. Io ero felice oltre ogni immaginazione, entusiasta del fatto che lui fosse sopravvissuto e dimentica delle incomprensioni che avevamo ormai superato. Emir non parlava dell'attentato, non voleva dirmi cosa fosse realmente successo, cosa avesse visto, non voleva darmi la sua opinione riguardo ai terroristi o a quello che stava facendo il governo turco in merito; e io? Io ero semplicemente così tanto grata al cielo per avermelo restituito in vita, che non osavo avanzare nemmeno una domanda. Lasciavo che lui fingesse che nulla fosse mai successo, lasciavo che la nostra vita continuasse identica a prima.
Solo dopo ho capito di aver sbagliato. Solo ora so di aver commesso l'errore più grande della mia vita, in quei giorni: ho lasciato che l'attentato scivolasse al di fuori delle nostre esistenze, quando invece le aveva completamente sconvolte. Ma non potevo ancora sapere che stavo commettendo uno sbaglio, almeno non allora. Non immaginavo e non avrei mai potuto immaginare che l'attentato di Ankara avrebbe segnato uno spartiacque nelle nostre vite, un momento di svolta e di dolore che ci saremmo trascinati dietro per sempre.
Ma in quel momento pensavo soltanto a essere felice: la seconda domenica di giugno, dieci giorni dopo l'attentato, proposi a Emir di fare una gita a Murano e Burano. Era mattina presto e la sua voce risuonava ancora impastata di sonno quando rifiutò l'idea: «Sono troppo stanco anche solo per muovermi oggi. Mi dispiace, Serena, ci vediamo domani in ufficio.»
Dopo aver tentato inutilmente di chiedergli se andasse tutto bene, avevo ingoiato la delusione e atteso la mattina successiva.
Quando Emir non si era presentato al lavoro avevo abbandonato di corsa la scrivania per cercarlo a casa. Aperta la porta d'entrata lo avevo trovato disteso sul divano del salotto, con un braccio poggiato sul tavolino; stringeva tra le dita una bottiglia ormai svuotata di Talisker, il suo whisky preferito, con un rivolo di bava che gli usciva dalla bocca aperta e le palpebre serrate sugli occhi.
Terrorizzata, lo avevo scosso per risvegliarlo, rendendomi presto conto che era soltanto in balia di una sbronza ai limiti del coma etilico. Lo avevo ripulito e spogliato, mettendolo a letto e aspettando che si riavesse.
Al suo risveglio ero esplosa come un uragano, dando sfogo a tutta la rabbia e a tutta la delusione che provavo, chiedendogli una spiegazione sensata per quel comportamento che a me pareva illogico. Come tutta risposta lui, seduto sul letto con le spalle poggiate alla testiera in ferro, era scoppiato a piangere disperato, portandosi le mani al volto per nascondersi. Scioccata da quel cedimento così improvviso lo avevo cullato e rassicurato, finché non si era lasciato andare e mi aveva spiegato che non dormiva più la notte a causa degli incubi che tormentavano il suo sonno. Con voce spezzata dal dolore e dalla pena che provavo per lui gli avevo consigliato di rivolgersi ad uno psicologo, ottenendo come unica risposta un «no!» urlato a squarciagola e l'ordine di andarmene.
Erano passati tre giorni, nei quali non ci eravamo nemmeno rivolti la parola in ufficio: io covavo una tristezza sempre più profonda, sentendomi impotente davanti alle sofferenze dell'uomo che amavo e che rifiutava di lasciarsi aiutare.
Poi un giovedì mattina Emir mi aveva lasciato un biglietto sulla scrivania, dicendomi che non sarebbe venuto al lavoro e che mi aspettava nel pomeriggio all'indirizzo indicato. Mi ero recata sul posto e avevo letto sgomenta la targa di ottone affissa fuori dalla porta: Studio privato. Dott. Orsini, psicologo. Avevo suonato il campanello con l'indice tremante ed ero stata accolta da Emir e dal dottore, alto e brizzolato, con un sorriso; avevo passato un'ora e mezza in quella stanza, assistendo alla devastazione dell'uomo che avevo di fronte, mentre lui riviveva nelle proprie parole gli orrori a cui aveva assistito ad Ankara, scosso da tremiti e da sudori freddi sul lettino nero dell'analista. Il dottor Orsini mi aveva spiegato che era stato lo stesso Emir a chiedere la mia presenza, perché si sentiva più sicuro a esporre quei fatti con me accanto.
Usciti dall'ufficio dello psicologo, Emir mi aveva abbracciata con calore e trasporto, chiedendo perdono per i giorni ansiosi che mi aveva fatto passare e promettendomi di riuscire a sconfiggere i suoi demoni. Io lo avevo baciato, dicendomi soddisfatta del suo coraggio e fiduciosa riguardo alla sua forza e alla sua volontà di andare avanti.
Così erano passate altre due settimane, mentre Emir continuava le sedute da Orsini e sembrava migliorare nella gestione del sonno e dell'emotività.
Poi, all'improvviso, era crollato tutto: un uragano di emozioni e di paura ci aveva colpiti in pieno, trascinando con sé ogni sicurezza, ogni miglioramento che eravamo riusciti a ottenere; ci aveva lasciati lì, spogli e affranti, terrorizzati dall'idea di dover ricominciare tutto daccapo. Il dolore e le atrocità dell'attentato erano piombate di nuovo su Emir, trascinando con sé ogni mia speranza riguardo ad una possibile normalità.
La nostra vita non sarà mai più normale, ma questo l'ho capito soltanto dopo quell'esperienza.
*Autrice*
Ciao ciao ciao ciao!! Come state? Mi mancavate tantissimo😘😘 mi piace sempre tanto condividere pensieri ed emozioni con voi è quando passano giorni dagli aggiornamenti... mi mancate, ecco tutto❤ quindi grazie di esserci!
Ecco, dopo questa confessione a cuore aperto: insomma, Emir e Serena sembrano aver iniziato un nuovo capitolo della loro vita... che ne sarà del loro amore dopo la batosta dell'attentato? 🤔
Precisazione: nel numero del capitolo vedete 1/2, perché nella mia mente è uscito troppo lungo e ho preferito spezzarlo... quindi vi aspetto tra un po' di giorni con il 2/2, che spiegherà meglio tutta la situazione!
Intanto vi mando un enorme abbraccio 😘💜💜 fatemi sapere che ne pensate!
Kisses 😘
Elly
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