18. Stop. Vuoto.
Ho viaggiato nel freddo / faccia a faccia con la mia / ombra che si gettava / nel bianco velo del tempo / Istanbul Istanbul
Istanbul (Litfiba)
È giovedì mattina, il giorno della partenza per Istanbul. Una chiamata che non aspettavo mi sveglia alle sei in punto.
«Buongiorno, tesoro» sussurra la voce soave di Emir nella cornetta.
Non potevo desiderare risveglio migliore - mi dico, mentre mi tiro a sedere sul letto strofinandomi gli occhi assonnati. «Buongiorno. Come stai?»
«Bene, tutto bene. A che ora parti oggi?» si informa lui.
«All'una. Che ore sono lì? Le sette?»
«Esatto, sto facendo colazione. Ma tu come stai, prenses?»
È così dolce quando mi chiama così... Ma perché mi sta chiamando così ora? «Bene. Ma che succede?» chiedo, allarmata.
«Cosa?» risponde lui, ma sento che la voce ha cambiato tono, sembra quasi timoroso.
«Che succede? Perché sei così dolce con me?»
«Non posso più dirti prenses, Sen?»
«Non intendo questo. È che... sento che stai cercando di indorarmi qualche pillola.»
«Non ti si può nascondere proprio nulla. Va bene, tanto prima o poi te lo avrei detto: ho incontrato i miei fratelli, ieri sera.»
Oddio. Oddio. Il mio cervello si è appena spento: i suoi fratelli. Quelli che vogliono che mantenga la promessa fatta da suo padre e sposi Alyna. Non so cosa pensare, non so cosa dire. Vorrei che lui continuasse a parlare, che mi spiegasse cos'è successo, ma sento che vuole che sia io a chiederlo. Mi faccio forza, tuttavia alla fine riesco solo a sussurrare un flebile: «E?»
«Non voglio mentirti. Qualsiasi cosa dirò, sappi che non cambia tutto quello che provo per te. Loro... non sono per niente felici della mia decisione di rompere il patto con Alyna. Almeno, questo vale per Hasan, Sila e Bensu. Mentre Massud... vorrei che ci parlassi tu, prima. Ti dirà lui cosa ne pensa quando lo incontrerai.»
Un moto d'ansia mi coglie subito. «Ma come posso affrontare due fratelli e una sorella che non mi considerano, più uno che vuole dirmi chissà che? Non penso di poterlo fare.»
«Loro non hanno preso bene il mio rifiuto, ma hanno acconsentito a vederti se è questo che desidero. Stai tranquilla, comunque. Se ti fa sentire più calma, decideremo quando sarai qui se è il caso di continuare. Va bene?»
Ok, se decidiamo assieme forse ce la posso fare. Insomma, testeró la situazione prima di buttarmi nella fossa dei leoni. Ragionevole, no? «Ok, posso accettarlo.»
«Ci sarò io con te. Ti starò sempre vicino, stella. Credimi, se ti dico che di loro non mi interessa. Voglio soltanto mostrarti Istanbul e passare del tempo con te.»
«Lo so, Emir» rispondo. «È l'unica certezza che ho in questa complicata faccenda.»
«Continua a coltivarla piccola. Ci sarò sempre io a sostenerti, ricordalo. Sono così felice che tu stia ormai per arrivare e che potrò averti qui tra le mie braccia. Ora però ti devo lasciare, sto andando ad Ankara per affari e in treno il cellulare non prende.»
«Ok. A cosa devi lavorare?» chiedo, cercando di cambiare argomento.
«La tua curiosità non cessa mai eh?» dice lui, divertito. «Ci sono dei problemi per l'acquisizione di una piccola casa editrice turca, questioni che devo risolvere con il nostro legale.»
«Burocrazia insomma, che noia.»
«Infatti! Pensa a come sarò felice quando ti rivedrò, piccola» sussurra.
«Almeno quanto me, spero» rispondo. «Un bacio, Emir. A dopo.»
«Un bacio, stella, a stasera.»
Poggio il telefono e mi alzo per andare a fare colazione in cucina. Mi preparo del caffè e una fetta del dolce alle mele, che Sofi ha cotto ieri sera. Gusto in silenzio il mio ultimo pasto a casa, prima di recarmi in aeroporto a mezzogiorno.
L'idea di raggiungere Emir nella sua città natale, che sogno di visitare da tutta la vita, mi fa battere il cuore per l'eccitazione. D'altra parte temo però l'incontro con i suoi fratelli, pur sapendo che solo conoscendomi i suoi parenti potranno cambiare idea su di me e sul matrimonio combinato di Emir. Ho una paura tremenda di dover superare la prova della loro conoscenza, soprattutto dopo quello che mi ha detto lui poco fa: e se mi attaccassero a priori, senza nemmeno lasciarmi presentare? Capisco di essere un imprevisto nel loro programma, giuro che cerco di provare a capire anche le ragioni che li spingono a volere che Emir si sposi con la donna che gli è promessa. Ma se lui desidera sciogliere il legame con Alyna, perché non può farlo? Perché non lasciarlo libero di scegliere, ora che è adulto? Ciò non significa che debba sposare me, quest'eventualità è ancora estremamente lontana. Ma significherebbe almeno poter vivere questa relazione serenamente, senza dover pensare che c'è un matrimonio con Alyna a incombere su di noi.
In un secondo mi ritrovo a immaginare me ed Emir assieme per la vita: io in un candido vestito di pizzo, lui in completo grigio perla, su una spiaggia assolata davanti al mare più blu che io abbia mai visto. Questo pensiero mi spaventa, ma per la prima volta nella vita mi rendo conto di sentirmi davvero al sicuro assieme a lui. Mi rendo conto che potrei davvero starci un giorno su quella spiaggia, a sposare l'uomo migliore che abbia mai conosciuto.
***
Alle dieci sto chiudendo la valigia con difficoltà: ovviamente l'ho riempita delle cose più inutili e già mi pento di non avere sufficiente tempo per risistemarla. Finalmente la zip si sigilla, così posso tornare a respirare. Vado in salotto e mi stendo sul divano, stremata dai preparativi. Mi dedico per qualche minuto a un episodio di House of Cards che ho già visto mille volte, poi giro sul tg. La giornalista sta passando la linea a un'inviata in Turchia e io mi raddrizzo a sedere, curiosa.
La reporter, i capelli biondi che cadono scomposti su una maglia azzurra, sta in piedi di fronte ad un via vai di persone, in mezzo a un fumo denso e calcinoso. «Qui ad Ankara è l'inferno. Poche decine di minuti fa si sono verificate due esplosioni alla stazione dei treni. Due uomini si sono fatti saltare in aria davanti ai civili. I feriti sono centinaia e si teme anche un cospicuo numero di morti» dice la donna, con la faccia corrucciata e le labbra strette.
Il resto delle parole si perde nell'oblio mentre io rimango immobile, la bocca spalancata, il respiro mozzo. Senza staccare gli occhi da quella devastazione raggiungo a tastoni il cellulare sopra il tavolino, compongo il numero di Emir e aspetto in linea. Quando attacca la segreteria spengo la chiamata e riprovo di nuovo, con un'ansia crescente che mi attanaglia le viscere. Alla decima prova andata a vuoto le lacrime mi rigano il volto; con un sussulto disperato inizio a tremare come una foglia. Emir - prego, mentre inghiotto il liquido salato che continua a scendere incessante dai miei occhi - rispondimi, ti scongiuro.
Provo a chiamarlo di nuovo, ma scatta ancora la segreteria: la voce registrata di Emir è sicura e forte, mentre fornisce concisamente le proprie generalità, e io non riesco a capire perché non mi risponda. Non voglio capirlo. Non voglio nemmeno pensarlo. Affranta e sconvolta, mi decido a chiamare Emma: è l'unica cosa sensata che mi sembra di poter fare.
«Pronto?»
«Em-emma. Sono io, S-Se-Serena. Io... oddio, non so... ad Ankara... Emir...»
«Sere, che succede tesoro? Stai calma, dimmi tutto» risponde la mia amica, con tono preoccupato.
«C'è stato un attentato ad Ankara. Emir è lì stamattina e non risponde al telefono» sussurro.
«Oh, tesoro, stai ferma lì e non fare nulla. Continua a chiamarlo, io arrivo subito e contattiamo il consolato. Per favore, non ti muovere. Giuro che arrivo in due minuti. Andrà tutto bene, ok?»
«Ok» rispondo titubante, poi chiudo la chiamata e riprendo a cercare di contattare Emir.
***
Cinque minuti dopo la porta d'entrata si apre ed Emma si affaccia alla soglia, sussurrando: «Serena? Amore, dove sei?»
Con un singhiozzo rispondo «qui», ma lei mi ha già visto e si sta precipitando verso di me, trafelata e sudata per la corsa che di sicuro ha fatto per tornare a casa.
«Ancora non risponde, vero, tesoro?» sussurra, sedendosi accanto a me e sfiorandomi delicatamente la guancia con la mano mentre io scuoto la testa, impotente.
«Ok, niente panico, ora chiamo l'ambasciata» continua poi, afferrando il suo cellulare con una mano e stringendo l'altra attorno alla mia.
«Good morning, Sir. I'm calling from Italy... oh sì, grazie, meglio così. Sto cercando Emir Şahin, dovrebbe trovarsi ad Ankara in questo momento. Sì certo, aspetto, la ringrazio».
Emma si volta verso di me e sussurra: «Ora stanno cercando, c'è molto caos e l'ambasciata è piena di civili di varie nazionalità. Stai tranquilla, lo troveranno.»
Rimaniamo entrambe sedute, i volti corrugati, gli sguardi persi, in attesa di notizie. I minuti passano lenti e quando finalmente l'impiegato risponde dice che non ha trovato nessuno con quel nome, ma che registrerà il numero per chiamare in caso di novità.
«Sì, mi chiamo Emma Ricci. Due c, esatto. La ringrazio infinitamente. Aspettiamo che richiami, allora. Si prenda cura di loro signore. Buona fortuna» dice Emma, chiudendo la telefonata.
Mi alzo di scatto, in preda al panico, e corro verso il bagno per vomitare nel lavandino tutta la colazione. Emma mi raggiunge, mi lava il volto sussurrandomi parole di conforto e mi trascina in cucina.
Ho capito che probabilmente non lo rivedrò più. Non rivedrò più Emir, l'uomo che mi ha rubato il cuore e con cui avrei desiderato vivere ancora per anni. Avrei voluto conoscerlo e capirlo meglio. Invece il destino mi ha tolto anche lui. So che devo reagire e rimanere positiva, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare ora è che mi sento morire, letteralmente.
***
Sono rimasta in silenzio per una quantità di tempo tale da farmi presumere che non potrò mai più riprendere l'uso della parola. Continuo a figurarmi l'immagine di Emir, i suoi occhi verdissimi e i suoi capelli scuri, e non mi capacito di come possa scomparire dalla mia vita. Non riesco a concepire la possibilità della sua morte e non mi do pace.
All'una in punto ci raggiungono a casa Sofia e Pietro. Io sono ancora seduta sul divano e quando entrano loro mi si avvicinano con cautela, come se fossi una bestia in gabbia. Di cos'hanno paura? Non ho la forza di parlare, figuratevi se ho quella per arrabbiarmi.
«Ciao, piccola» dice Pietro, sedendosi al mio fianco mentre Sofia si accovaccia davanti a me, sul tappeto.
«Ciao» rispondo io. È il massimo che riesco a fare, l'unica parola che mi è uscita dalla bocca e già mi sento spossata dopo queste quattro lettere.
«Come ti senti?» mi chiede Sofi, accarezzandomi con dolcezza le ginocchia.
Stringo al petto la coperta di pile che mi sono messa addosso, sebbene nell'appartamento ci siano ventotto gradi e fuori le temperature non scendano sotto i trentadue. Ho freddo, un freddo cane, e mille aghi si sono infilati nella mia carne lasciandomi ghiacciata e impaurita. Scuoto la testa per rispondere a Sofi, poi chiudo gli occhi, cercando di scacciare il gelo e il dolore.
Sento che Sofia e Pietro si alzano e vanno in cucina, dove iniziano a borbottare a bassa voce con Emma. Meglio così, mi sento più a mio agio da sola.
Pochi minuti dopo tornano tutti e tre in salotto. Emma mi si piazza di fianco e mi scuote piano con la mano. «Sere, tesoro, vuoi riprovare a chiamare l'ambasciata?» mi chiede dolcemente.
Annuisco, poi afferro il telefono che mi sta porgendo e premo il tasto verde. Non devo aspettare tanto, perché mi rispondono quasi subito.
«Pronto, ambasciata italiana di Ankara. Buongiorno, desidera?» dice velocemente una voce femminile.
«Buongiorno, vorrei sapere se avete informazioni riguardo ad Emir Şahin. Stamattina si trovava ad Ankara per lavoro, ma non riesco più a contattarlo. Lei mi sa dire qualcosa?» chiedo, quasi sussurrando.
«Ora controllo signora, mi dia un minuto.»
«Grazie mille, attendo» rispondo, poi guardo i miei amici che mi attorniano e aspettano con me.
«Eccomi... Allora, non ho notizie riguardo a questo nome. Lei è una parente?»
«No, un'amica» rispondo. Non posso dirmi niente di più di questo, purtroppo, ma ora ho altri pensieri più importanti: voglio trovare Emir. Non mi voglio arrendere.
«Ok, in questo caso non potrei comunque darle informazioni signora, mi dispiace.»
«Che significa?» chiedo, allarmata.
«Significa che non posso dirle se si trova nella lista di morti o feriti, dato che lei non è una parente.»
Cala il silenzio, mentre io cerco di riordinare le idee. «È... È morto?»
«No signora, ascolti bene. Capisco che sia sconvolta ma cerchi di ascoltarmi: non ho detto che è morto, ho detto che non le posso dire se figura nelle liste ufficiali di morti, feriti o coinvolti nell'attentato.»
«Va bene. E come posso saperlo?»
«Deve chiamare qualche familiare, signora, avvisandolo affinché contatti l'ambasciata.»
Scuoto la testa. «No, non posso. Non li conosco, Emir è di origini turche e i suoi vivono lì.»
«Signora, mi dispiace, non so come aiutarla» sussurra la donna.
«Senta, lei non mi può dire nulla. Facciamo così, risponda solo sì o no, va bene? La prego, sono disperata.»
«Io non so se...»
«La prego» la interrompo. «Quest'uomo è importantissimo per me e per la mia vita e io non posso aspettare che sia un familiare a richiedere sue notizie, perché nessuno di loro in ogni caso contatterebbe me, poi» dico, con fare conciso e perentorio.
«Va bene, facciamo come dice lei» acconsente allora.
«Bene. Figura tra i morti?» chiedo con un filo di voce.
«No.»
Due lettere sole che mi fanno tornare a respirare. Mi impongo di non gioire troppo, ma è difficile contenere la speranza che mi invade in questo momento. Emir potrebbe tornare da me.
«Dio sia lodato. Tra i feriti?»
«No.»
Altro respiro di sollievo.
«Ma le devo dire che ci sono ancora ventidue persone da identificare, tra morti e feriti. Sia cosciente del fatto che potrebbe essere tra loro» mi avvisa con dolcezza la donna.
Annuisco impercettibilmente e una parte della fiamma di speranza che mi arde dentro si spegne. «Certo, ne sono consapevole. La ringrazio infinitamente.»
«Si figuri, sono qui per questo. Tengo il suo numero per eventuali comunicazioni, se non le dispiace» mi dice.
«Oh sì, certo. Sono Serena Castellan, due l ed n finale di Napoli.»
«Perfetto, registrato.»
«Grazie. Le auguro... In realtà non so cosa augurarle. Anzi, sì: di trovarli tutti, vivi» le dico, commossa dalla situazione e dal pensiero di tutto ciò che stanno facendo per aiutare e rassicurare chi cerca i propri parenti, amici, mariti, mogli, o peggio ancora figli.
Dall'altra parte cala il silenzio per qualche secondo. «Lo spero. Grazie signora, lei è davvero gentile» sussurra la donna, poi chiude la telefonata.
Emma e Sofia cercano per tutta la sera di farmi mangiare, ma concedo loro soltanto di darmi a bere ogni tanto, perché sento la gola secca e faccio fatica a deglutire. Alle dieci mi addormento distrutta tra le braccia di Pietro, che mi culla con dolcezza.
Non sogno nulla, non immagino niente, non vado oltre il buio tenebroso che avvolge me e il mio cuore. Emir potrebbe essere morto e io sono qui, impaurita e sconvolta, incapace di fare alcunché e priva di qualsiasi notizia riguardo a lui. Mi sento svuotata, inerme, un fantasma. È questo che si prova a perdere l'amore della propria vita? Ed è questo che è - o era - Emir per me? L'amore della mia vita?
Mi ritrovo a pregare che non lo fosse, che non lo sia. Perché altrimenti dovrei pensare che, forse, ho perso per sempre la possibilità di essere felice con lui, di avere ciò che desidero più di ogni altra cosa: un'anima gemella, un cuore vicino, qualcuno da amare fino in fondo e senza limiti.
E se Emir è morto io ho perso ogni speranza.
*Autrice*
Buonasera a tutti❤
Ho fatto letteralmente le corse per finire questo capitolo, perché volevo sapere al più presto che ne pensate. È un momento di svolta molto importante per la storia e vorrei davvero conoscere le vostre idee al riguardo, quindi scrivetemi, commentate🙏
Detto questo, spero non mi odierete per quello che ho fatto succedere😱
Kisses😘😘
Elly
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