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13. Se mi prendi mi perdo

I want to satisfy / the undisclosed desires in your heart
Undisclosed Desires (Muse)

 
È mercoledì, il giorno peggiore della settimana: il giro di boa tra il lunedì e il weekend, che già è faticoso di suo, oggi sembra voler dare il meglio di sé. Fuori ci sono almeno trentasei gradi, e l’orologio segna soltanto le undici. In ufficio al Muve abbiamo acceso l’aria condizionata, ma l’impianto sbuffa e recalcitra, indispettito da un’accensione così prematura.

È vero, è soltanto il primo di giugno, ma il caldo torrido è arrivato in anticipo quest’anno, e sembra che tutto il mondo sia impazzito nel giro di un istante. Leonardo corre in giro come un ossesso, cercando numeri di telefono di improbabili ditte di trasporto: a quanto pare uno dei pezzi per la mostra su Ippolito Caffi, che aprirà tra pochi giorni al Museo Correr, non è ancora stato inviato da Roma, e inspiegabilmente non si riesce più a rintracciare nessuno degli addetti al trasporto.
In ufficio dati intanto sono subissati dalle mail di protesta per la chiusura non prevista delle Gallerie dell’Accademia, e Michela mi ha appena chiamata chiedendomi aiuto.

«Ehi, che succede?» le domando, entrando nel suo ufficio.

«Ti prego, chiudi la porta che se no scoppio» sussurra, stringendosi la testa tra le mani.

Mi affretto a chiudere i battenti dietro di me, poi mi siedo e la guardo. «Allora?» chiedo, preoccupata.

«Allora è un macello. Le Gallerie hanno chiuso per tre ore, stamattina, visto che un imbecille ha cercato di staccare la Tempesta dalla parete, e ora i turisti si lamentano. Ma dico, che problemi hanno?»

«Ehi, adesso calmati. Vedrai che la smetteranno appena sapranno cos’è successo. Ma davvero hanno provato a rubare un Giorgione? Come pensavano di fare?»

«Mah, era soltanto uno squilibrato, ma hanno dovuto controllare tutte le collezioni e far ripartire il sistema d’allarme, quindi c’è voluto tempo!»

«Ok. Ascolta, devi rispondere a tutte quelle mail?»

Michela mi guarda e annuisce, sconsolata.

«Perfetto, giramene la metà che ci penso io ad aiutarti. Oggi non ho niente da fare, e Leonardo è impegnato con Lo Strano Caso del Caffi Scomparso, quindi ho tutto il tempo per dare una mano a te, va bene?»

«Sì! Grazie, sei un angelo. Comunque ho sentito del Caffi, ancora non si trova?»

Scuoto la testa. «No! La parte comica è che ormai lo sa anche la stampa, e in ufficio stanno dando tutti di matto per cercare di insabbiare le notizie.»

«Ah, l'Italìe!» esclama Michela, sfoggiando un accento francese invidiabile che le arriva direttamente dai geni materni.

«Già, sempre qui stiamo» dico, poi sorrido e mi alzo. «Aspetto le mail, cara.»

«Certo. Grazie, Serena, sei fantastica.»

Dopo pranzo torno alla scrivania, per rispondere alle ultime mail di reclamo. Prima però prendo il cellulare, per avvertire Emma che nel pomeriggio prima di rientrare a casa passerò io a fare la spesa. Scorrendo tra le conversazioni per trovare quella giusta mi imbatto nel sorriso di Emir, stampato come un doloroso promemoria sulla sua foto profilo.
Sento una morsa dentata stringermi le viscere, e con mano tremante chiudo lo schermo. Ripenso alle parole di Pietro, ai suoi consigli; poi respiro con calma, riduco il battito del cuore e apro di nuovo il video. Senza che il cervello realizzi i miei movimenti, compongo in fretta il numero di Emir e mi ritrovo improvvisamente a udire i tum tum regolari della linea.

«Serena, sei tu?» risponde una voce maschile che ben conosco.

Incapace di proferire parola, rimango in silenzio.

«Serena, va tutto bene? Ci sei? Avevi bisogno di me?»

Sentendo la sua voce calda, riprendo il controllo di me, e rispondo: «Sì Emir, sono io. Scusa se ti chiamo ora… Sei in pausa pranzo?» Getto un’occhiata all’orologio: sono solo le due, e forse sta ancora mangiando.

«No, non ti preoccupare. Dimmi, che succede?» mi chiede lui.

«Niente, avevo bisogno di parlarti. Volevo chiederti cosa ne sarà del nostro progetto. Devo considerarmi licenziata, se così si può dire?» dico, prendendo coraggio.

«Serena, la tua domanda non ha nemmeno senso. Vorrei parlare per spiegarti un po’ di cose, ma ora mi aspettano per un meeting. Potresti raggiungermi più tardi a casa mia? Verso le sei? Così abbiamo tutto il tempo per discuterne con calma.»

«No, non importa. Ci incontriamo un altro giorno?» propongo. Poco ma sicuro, non voglio mai più entrare in quella casa.

«Serena, fammi questo piacere. Ti aspetto. A dopo» chiude lui.

Non mi ha lasciato possibilità di replica, così sbuffo innervosita, e mi preparo al nostro prossimo incontro.

***

Alle sei in punto, scortata da Aethel che mi segue come un’ombra, sto scendendo dalla veranda del giardino di Emir. Lui mi ha appena aperto la porta in t-shirt e pantaloni della tuta, abbigliamento che non sono solita vedergli addosso, e ora mi sta mostrando con orgoglio il tosaerba e le cesoie con cui si sta dedicando alla cura del giardino.

«Ti va di aiutarmi?» mi chiede all’improvviso.

Sgrano incredula gli occhi e abbasso lo sguardo verso il vestito blu e le ballerine che indosso oggi. «Non penso di avere l’abbigliamento giusto. E sono qui per parlare, Emir.»

«Ti presto qualcosa di mio. Dai, sarà divertente. Sembri distrutta, ti ci vuole un po’ di svago per tirarti su» mi dice sorridendo.

Mi porta una t-shirt e un paio di pantaloni di cotone, che io indosso di malavoglia, lasciando i miei vestiti su una sedia in salotto. Sono qui per parlare, per chiarire la situazione, e dato che ormai sono in ballo non mi resta che ballare: non me ne andrò finché Emir non mi avrà spiegato cosa faremo da qui in avanti con il progetto. Lo raggiungo velocemente giù in giardino e lui, alzato lo sguardo, scoppia a ridere.
 
[Emir]
 
Serena è avvolta in una maglia che le cade informe attorno al busto; ha incastrato le maniche sotto alle spalline del reggiseno blu per tenerle sollevate sulle spalle e avvolto i pantaloni più e più volte attorno alle caviglie, per non inciampare nei piedi nudi. Il tutto la fa sembrare una versione sgonfiata dell’omino della Michelin ed io non posso trattenermi dal ridere.

Lei sorride a sua volta, incapace di rimanere seria, e dice: «Pensavo mi avresti trovata sexy. Amen, tentativo fallito.»

«Tu sei sempre sexy, credimi» rispondo, tornando serio, poi la invito a prendere le cesoie per spuntare la siepe.

«Non che io sia molto abile con questi affari…» mi avvisa. «Se la siepe viene storta, la colpa non è mia, sia chiaro.»

Ridacchio divertito. «Okay, mi prendo ogni responsabilità! Basta solo che non sbagli la mira e finisci per tagliare me... o peggio, qualcosa di mio» esclamo, mentre faccio partire il motore del tagliaerba.

Ogni suono attorno a me viene coperto dal rumore, ma così posso godermi in pace la visione di Serena, che si esibisce in una signorile alzata di dito medio e poi si accinge a usare le cesoie. Ha tirato fuori la punta della lingua, stringendola tra i denti con fare concentrato. In un secondo il ricordo del suo sapore dolce e fruttato mi riempie la mente e mi solletica le papille gustative: il nostro bacio è impresso con il fuoco dentro di me, e averla così vicina senza poterla sfiorare mi sta logorando.
 
Dopo un’ora di lavoro abbiamo già finito: tra risate e lanci di erba ci siamo riempiti di foglie e di sporco dai capelli alla punta dei piedi. Sono felice come non succede da tempo e, ciò che mi importa di più, sono riuscito a togliere per un po’ l’ombra di tristezza dallo sguardo di Serena. Quando l’ho vista arrivare, stanca e provata, mi si è stretto il cuore, e non ho resistito all’idea di giocare un po’ con lei, tentando di sollevarla.

«Serena, abbiamo bisogno di una doccia entrambi direi! Ci sono due bagni, andiamo» la esorto, spingendola verso le scale.

Lei si ferma. «No. Emir, non voglio disturbare. Per favore, parliamo del lavoro e poi me ne vado» dice con tono grave.

«No, decido io!» esclamo, afferrandola attorno al bacino e sotto le ginocchia.

La sollevo tra le braccia, stupendomi di quanto sia morbida e piccina, e la porto di peso in bagno, mentre lei si dibatte tra gridolini di rimprovero.
Le porgo un asciugamano pulito, le spiego come aprire l’acqua della vasca ed esco, chiudendo la porta dietro di me e avviandomi verso il secondo bagno.
 
[Serena]
 
Sono proprio un’imbecille. Mi guardo attorno, in cerca del mio vestitino blu. Ok, niente panico. Devo solo tornare in salotto. Solo una stupida come me poteva lasciare i vestiti fuori dal bagno, ma ormai non posso tornare indietro. Con il fiato sospeso e le gambe tremanti, l’asciugamano avvolto attorno al corpo e stretto al petto, apro cautamente la porta del bagno e mi dirigo in punta di piedi verso il salotto. Varcata la soglia, sono costretta a fermarmi.

Emir è lì, seduto a gambe incrociate sulla veranda che dà sul giardino, le ampie spalle e la schiena nude, una tazza di tè fumante nelle mani. Aethel gli siede a fianco, strusciando debolmente la coda contro la sua coscia. Si nota benissimo che il legame tra loro è forte e importante.
Rimango lì, imbambolata, la gola secca, incapace di muovermi.

Imprecando tra me e me, muovo un passo avanti, e ho quasi raggiunto la sedia su cui sono posati i miei vestiti quando Emir si gira. Si alza di scatto, arrossendo leggermente in volto, e si ferma in piedi, il braccio con la tazza levata, la bocca semichiusa. Ci squadriamo per un po’, occhi negli occhi, gli sguardi profondi ma indecisi.
 
[Emir]
 
Serena è di fronte a me, avvolta nell’asciugamano candido che le copre a malapena le cosce, i capelli bagnati e ancora più scuri del solito, raccolti in una coda leggera che lascia cadere una ciocca sulla guancia tinta di rosso rubino.

«Ehi» esclamo, sorpreso.

«Ehi» risponde lei, imbarazzata. Guarda i suoi vestiti sulla sedia, poi di nuovo me. «Avevo dimenticato qui i vestiti» spiega.

Io annuisco, poi appoggio la tazza sul tavolino di fronte a me. Serena mi sta ancora guardando, e ad un tratto si passa la lingua sul labbro inferiore, inspirando e afferrandone poi il bordo con i denti.

Il mio corpo è subito attraversato da una potente corrente elettrica, che mi sospinge senza che possa oppormi verso quella meravigliosa donna in piedi mezza nuda nel mio salotto. Allungo una mano verso di lei, e con mio grande stupore il piccolo palmo di Serena si adagia sul mio, mentre anche lei fa qualche passo avanti.  Il silenzio profondo che ci avvolge rende la scena quasi magica, e io sono sicuro che il mio cuore si possa sentire palpitare a cento metri di distanza. Ci ritroviamo a pochi centimetri uno dall’altra, gli sguardi ancora intrecciati.

È Serena a stupirmi, alzandosi in punta di piedi, alla ricerca di un bacio che io non tardo a concederle. Le nostre labbra si poggiano dolci le une sulle altre; presto però siamo presi dalla voracità, le lingue si scontrano alla ricerca del sapore che hanno già conosciuto e che agognano assaggiare ancora. Lei alza le braccia per gettarle attorno al mio collo, e nel farlo lascia inavvertitamente cadere l’asciugamano. Incapace di aspettare, prima che si accorga di ciò che è successo, la stringo a me, impaziente di sentire il contatto tra le nostre pelli nude. Non appena il suo seno tocca il mio petto, una nuova scossa mi attraversa da cima a fondo, facendomi perdere la ragione.
Con una mano a cingerle il fianco, le afferro la nuca, attirandola ancora più vicina e approfondendo il bacio.
 
[Serena]
 
Mi stacco, cercando aria, e boccheggiando emetto un sospiro rauco, carico di desiderio. Gli occhi verdi di Emir si sono scuriti e ora mi intrappolano nel loro dolce oblio. Non so cosa sia successo, cosa stia per succedere, ma non ho il tempo di pensarci: la mia mente non risponde, segue solo il desiderio che attraversa il mio corpo.

«Serena» dice Emir, con un sussurro eccitato.

Mi alzo nuovamente in punta di piedi per raggiungere le sue labbra gonfie, desiderando ancora di più, e sento le sue mani afferrarmi saldamente le natiche. Oh, al diavolo – penso, prima di spiccare un salto allacciandogli le gambe attorno al bacino. Emetto un gemito, sentendo la mia pelle a contatto con il rigonfiamento dei suoi pantaloni. Emir mi afferra prontamente e inizia a camminare veloce. Apre varie porte, lasciandole sbattere dietro di sé, continuando a danzare con la lingua e a premersi contro di me.

Giungiamo in camera da letto e lui mi adagia sul copriletto con un sospiro, mentre si toglie in fretta i pantaloni e i boxer. Mi raggiunge subito e si protende sopra me. Tremante per l’eccitazione, lo stringo a me, dimenandomi sotto di lui alla ricerca di sollievo.

Emir afferra il pomello di un cassetto del comò, estrae un pacchettino e lo posa di fianco a me, poi si stacca dalle mie labbra e inizia a percorrere con la lingua il sentiero tra le clavicole. Quando giunge ai capezzoli, turgidi e infiammati per l'attesa, gemo per il piacere improvviso, e gli graffio con le unghie le larghe spalle, che ancora stringo a me.

Emir si stacca dalla mia pelle, ruggisce sommessamente e alza il volto per guardarmi. «Serena, come sei dolce.»

Lo fisso, arrossendo ancora di più per le sue parole. Sposto le mani verso la sua testa, e continuando a guardarlo gli tiro leggermente le ciocche dei capelli, ancora umidi dopo la doccia.
Lui apre la bocca e geme, stringendo gli occhi carichi di desiderio.
 
[Emir]
 
Mi chino di nuovo su di lei, continuando a far danzare la lingua su questi seni perfetti. Mentre mi tira ancora una volta i capelli, dirigendo i miei movimenti, le poso dolcemente una mano sulla pancia, scendendo piano verso il centro del suo piacere.

Serena scatta indietro, sorpresa. «Emir, io non sono sicura… Non penso che dovremmo farlo» dice, con voce tremante.

Alzo lo sguardo per incrociare il suo, poi sussurro: «Cosa?»

«Non sono sicura che sia giusto andare avanti» ripete.

Sospiro, poi mi alzo e mi siedo vicino a lei. «Perché?» chiedo.

Il suo dubbio mi ha spiazzato. Dalla foga che entrambi abbiamo messo fino a poco fa non avevo nemmeno pensato che si sarebbe voluta fermare. Tra noi l’elettricità crepita fortissima, dal momento stesso in cui ci siamo conosciuti, e so che anche lei la sente.

«Insomma, sei il mio capo. E poi tra noi sta andando tutto così in fretta…»

«È un clichè già sperimentato, no? Me lo hai detto tu pochi giorni fa» ridacchio, cercando di stemperare la tensione.

Serena sorride. «Sì, è vero. Però stiamo bruciando tutte le tappe, Emir.»

«Hai paura?» le chiedo.

Lei annuisce. «Ho paura che sia tutto troppo affrettato. Che sbaglieremo, e di grosso, a lasciarci trascinare da tutto questo» spiega, agitando la mano tra me e lei.

Rimango per un istante a guardarla, cercando le parole. «Anche io sono un po’ spaventato. Non mi è mai capitato niente di simile. È la prima volta che mi sento così preso da qualcuno, e non sono sicuro…»

Serena mi tocca il braccio. «Ti piaccio davvero così tanto?» sussurra, stupita.

«Non faccio che pensare a te tutto il giorno, da quando ti ho vista. Tra noi c’è qualcosa che mi spaventa e mi incuriosisce allo stesso tempo. Mi sento così vivo e completo con te» rispondo, sorridendo.

«Anche io sento le stesse cose» mi dice lei.

Torno a baciarla, con calma e dolcezza, assaporando il gusto delle sue labbra e sentendo che si scioglie nel mio abbraccio. «Non credo che sbaglieremo. Possiamo provarci. Fidati di me» le sussurro in un orecchio.

«Va bene» risponde, sottovoce.

La osservo ancora una volta, immergendomi in quei suoi occhi scuri, impauriti come quelli di un cerbiatto, ma anche focosi e colmi di desiderio, esattamente come quelli di una tigre davanti al suo prossimo pasto. La desidero con tutto me stesso, voglio averla, renderla mia, impedirle di fuggire stringendola nella morsa delle mie braccia. Voglio intrappolare il suo spirito selvaggio, per poi lasciarlo andare e godermi la sua vitalità e la sua ferocia.

«Baciami ancora, Emir» sussurra, alzando il viso verso il mio.

Avvicino lentamente le mie labbra alle sue e poi prendo possesso ancora una volta della sua bocca, leccandola, baciandola, mordendola piano per sentirne tutta la morbidezza. Serena geme, e io mi sposto sopra di lei, infilandomi in mezzo alle sue gambe.

[Serena]

Il contatto con Emir, con la sua pelle ambrata, con le sue labbra rosse, con i suoi occhi verdi ricolmi di bramosia, è quanto di più bello io abbia mai provato nella mia vita. E senza spiegazione, senza motivo, senza fretta, mi lascio avvolgere da questa magia e lo seguo in questa danza veloce e trascinante che ci porta fino al limite.

Emir mj avvolge le labbra in un bacio delicato, poi si alza per buttare la protezione e torna da me. Infila i corpi di entrambi sotto le coperte, e io mi si sento cingere da due braccia forti, mentre mi attira al suo petto con un sospiro soddisfatto. «Grazie» dice.

«E di che?» rispondo, ridacchiando.

Mi alza il viso con una mano e mi posa un tenero bacio sulle labbra. «Di esserti fidata di me. Serena» inizia a dire, prendendo un respiro profondo, «non lascerai il lavoro. Io… voglio provare a vedere come vanno tra noi le cose. Parlerò con Alyna, la mia promessa sposa, e spiegherò tutto ai miei familiari. Ti prego, permettimi di giocare ancora con te, di imparare a conoscerti, di offrirti pranzi, cene e spritz Aperol. Permettimi di capire come si vive con te.»

Lo guardo negli occhi, emozionata. Inebriata dall'atmosfera travolgente che ci avvolge, dalla sensazione delle sue braccia calde che mi cullano, dalla sua voce roca e soddisfatta, dalle emozioni intensissime che mi ha fatto provare, non dubito nemmeno un istante. «Ok  Emir. Proviamoci» sussurro.

*Autrice*

Buongioooorno! Mercoledì per Serena, mercoledì anche per me (odio profondamente questo giorno! Il weekend è ancora trooooppo distante😱)!

Fuori diluvia dall'ora di pranzo, e non c'è meteo migliore per scrivere, almeno per me! La pioggia mi rilassa, e i rombi dei tuoni mi rendono stranamente calma (sono pazza, lo so😂😂)

Detto ciò, premettiamo che non è stato un capitolo semplice da scrivere (non vorrei mai scivolare nel 50 sfumature di turno😮). Nonostante ciò, spero che sia riuscito bene e che vi piaccia!!

Un bacione 😘😘

# Ps: piccolo consiglio lettura! Passate da EmmeInWonderland, il suo libro "L'eco della libertà" è davvero bellissimo e diverso dal solito, e lei ha proprio un grande talento! 🙌💓 #

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