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11. Incontrami

If you go / if you go your way and I go mine / are we so / are we so helpless against the tide

Every Breaking Wave (U2)

La domenica inizia frenetica. Alle otto in punto, dopo essermi fatta una doccia, vestita e truccata per dare al mio aspetto una parvenza di normalità e nascondere che ho fatto le ore piccole assieme a Pietro, sono già alla stazione di Santa Lucia, in attesa del treno in arrivo al binario quindici. Quando finalmente le carrozze si fermano, cigolando e stridendo sulle rotaie, mi guardo attorno confusa, alla ricerca di qualche volto familiare tra le persone che scendono concitate dalle porte.

«Zia Sereee!» urla qualcuno.

Mi giro in direzione della voce, scorgendo un bimbo di cinque anni che mi corre incontro a braccia aperte, gli occhi di un azzurro sconvolgente che brillano per la gioia. Il cuore mi salta nel petto, mentre cammino verso il mio stupendo nipotino.
«Oh, Luca!» grido emozionata, abbracciandolo al volo e alzando da terra il piccolo fagotto umano che mi si è letteralmente lanciato addosso. «Mi sei mancato tantissimo, amore della zia» gli dico poi, mentre lo rimetto in piedi e gli scompiglio la zazzera di capelli rosso fuoco.

«Dai, zia, mi fai male!» esclama lui, mettendo il broncio.

«Luca, smettila subito di lamentarti, altrimenti ti riporto a casa» dice una voce perentoria, e io alzo lo sguardo giusto in tempo per vedere mia sorella Camilla venirmi incontro, tenendo in braccio l’altra figlia e spingendo un passeggino rosa.

«Camilla! Come va sorellona? Da quanto tempo non ci vediamo!» esclamo contenta, mentre la abbraccio con calore. «E tu, Elena, furbacchiotta che non sei altro? Come sei diventata grande in questo mesetto! La zia non ti riconosce più ormai!» continuo, mentre pizzico le guance piene e rosate della mia adorata nipotina.

«Serena, sono così felice di rivederti! A me ed Ettore è dispiaciuto tantissimo non poter partecipare alla laurea, ma sai com’è, quando i bambini stanno male…»

«Camilla!» la interrompo subito. «Smettila di lamentarti. Avete seguito tutto in streaming, dandomi la possibilità di ridere di papà intento a trafficare con un cellulare: lo guardava come se fosse un alieno. Non hai idea di quanto le sue facce buffe abbiano stemperato la mia ansia!» esclamo, ridendo al ricordo.

«Sì, è stato divertente anche per noi, dato che la prima mezz’ora l’abbiamo passata a guardare il viso di papà, tentando di fargli capire a gesti che stava usando la telecamera interna!» dice Camilla, unendosi alle mie risate.

«Ettore come sta?» chiedo poi.

«Oh, tutto bene. Mi sta aspettando in stazione a Mestre. Non vuole dirmi dove mi porterà! Tu sai qualcosa per caso?»

«Assolutamente no! Mi ha solo chiesto di tenere i bambini. Eddai, Cami, è il vostro quinto anniversario, lascia che faccia il romantico! Non sarà mica una tragedia no? Avrà preparato tutto nei minimi dettagli, vedrai!»

«Certo, come no. Con la sua capacità di organizzazione finiremo come minimo per sbagliare strada. Ogni tanto mi chiedo come faccia a gestire un’azienda tutto da solo! Secondo me la sua segretaria deve lavorare il doppio del normale per stargli dietro.»

Scoppio inevitabilmente a ridere davanti a quella perfetta descrizione di mio cognato. Ettore non è di sicuro un uomo responsabile o attento, ma da quando è diventato padre dei miei splendidi nipoti sta cercando di mettere la testa a posto. Per fortuna mia sorella è sempre stata una donna forte e risoluta, e ha trovato in suo marito la perfetta metà della propria anima.

«Ora vai dai, a loro ci penso io. Ci aspetta una giornata splendida, e tu hai di meglio da fare» le dico, spingendola verso il treno che sta per ripartire.

«Sì, hai ragione. Bambini, fate i bravi con la zia. Ci vediamo presto, mi mancherete!» li saluta Camilla, porgendomi il passeggino e le borse con i cambi e il biberon per la piccola.

«Ciao, mamy! Faremo i bravi, promesso!» risponde Luca, sorridendo alla madre che ci saluta con la mano e sale in fretta sulla carrozza.

«Bene, bimbi, siamo pronti? Oggi la zia vi farà vedere una città bellissima!» esclamo, mettendo Elena nel passeggino e facendo salire Luca nella piattaforma fissata dietro. Sorrido, felice di avere davanti una giornata assieme ai miei due fantastici nipoti, e mi avvio verso il Canal Grande.

***

Sei ore dopo completamente esausta. I piccoli mi hanno logorato fisico e mente, entusiasti ai limiti della follia di fronte ai canali, alle barche, ai ponti - su cui ho dovuto, ahimè, trascinare con fatica il passeggino -, ai gabbiani, ai fiori, al ristorante carino in cui li ho portati per pranzo e, ovviamente, alle gondole che passano ovunque lasciandosi dietro sguardi sognanti ed increduli.

Ora sto guardando Luca correre beato in mezzo ai piccioni in Piazza San Marco, strepitando come un ossesso, e intanto tengo in braccio Elena. La piccola osserva il fratello con fare altezzoso, quasi a rimproverarlo in silenzio per quel comportamento poco consono all’eleganza dell’ambiente.

Quando Luca mi si avvicina per darmi un bacio sulla guancia, mi abbasso per riceverlo, ridendo di tutto quell’affetto. Mentre mi rialzo, poso distrattamente lo sguardo su un uomo elegante che siede in un tavolino del Caffè Florian, dando la schiena alla piazza; vicino a lui sta un cane massiccio, sdraiato per terra.

Il mio cuore ha un sussulto: riconoscerei ovunque quelle spalle larghe e ben piazzate, a cui mi sono aggrappata con voracità mentre ricevevo il bacio più bello e indimenticabile della mia vita. Proprio in quel momento l’uomo si alza dalla sedia, lasciando i soldi su un piattino, e si volta verso la piazza.
 
[Emir]
 
Non appena mi alzo dalla sedia e mi volto, diretto a casa, rimango impietrito. La donna che sto guardando, con in braccio una tenera bimba bionda e per mano un maschietto dai folti capelli ambrati, è Serena.

Sbigottito da quella visione e tremendamente triste per la lontananza forzata che ho sopportato in questi giorni, mi avvicino velocemente a lei. Aethel mi segue immediatamente, scodinzolando.
Mi chiedo chi siano quei piccoli bimbi, ma non ho il tempo di proseguire con il ragionamento, perché il mio sguardo è stato catturato da quello di lei. Serena ha i capelli sciolti e indossa dei jeans e una camicia a maniche lunghe con una fantasia floreale; i suoi occhi marroni splendono alla luce del sole, sciogliendosi in un caldo color caramello.

«Serena, che sorpresa. Io… come stai?» le chiedo, stupito di sentirmi così impacciato.

«Zietta, chi è questo signore?» domanda il bambino, tirandola per la manica della camicia.

«Luca, questo è Emir, un mio collega. Emir, ciao. Questi sono Luca ed Elena, i figli della mia sorella maggiore».

Piacevolmente sorpreso, stringo la mano che il piccolo mi sta tendendo, mentre mi fissa titubante con i suoi occhi azzurro cielo. «Molto piacere, Luca.»

«Emir, il tuo nome è parecchio strano. E poi, cosa vuol dire collega? Significa che tu e la zia siete moròsi?» chiede il bimbo curioso.

«Luca! Non dire cose a caso e non essere scortese per favore!» esclama Serena, scusandosi per lui.

Sorrido, accorgendomi con tristezza che si è sentita a disagio di fronte alle parole del nipote. «Serena, tranquilla non ha detto nulla di sconvolgente.» Poi, rivolgendomi a Luca, dico: «Ho un nome strano perché vengo dalla Turchia, che è un paese distante da qui. Pensa che devi attraversare tutto il mare per raggiungerlo!»

«Fooorte!» esclama il bambino, gli occhioni allargati per lo stupore.

«Collega invece significa che io e la tua zia lavoriamo assieme» continuo.

«Ah, ora ho capito. Beh, Emir, il tuo nome mi piace sai? Zia! Il tuo collegato è simpatico sai?»

«Collega Luca, collega» risponde lei ridacchiando.

Il suono della sua risata mi colpisce dritto nel cuore, ricordandomi i pochi momenti che abbiamo vissuto assieme. Sono incredibilmente legato a questa donna, e la sua distanza mi ferisce nel profondo.

«E quel cagnolone? È tuo?» chiede Luca.

Sorrido davanti ai suoi occhi sgranati. «Sì, si chiama Aethel.»

«Ha un nome ancora più strano del tuo, sai?» dice il bimbo, squadrandomi.

«Sì, è vero» constato, ridacchiando. «Il suo è un nome danese. Era il nome di uno dei grandi re vichinghi che hanno regnato nel paese della Danimarca.»

«Wow, un re! Zia, posso accarezzarlo?»

Serena sorride al nipote, poi gli fa cenno di sì. Luca si avvicina con cautela ad Aethel, posandogli il palmo sul muso. Il mio cane si lascia toccare senza muoversi, scodinzolando leggermente.
«Sei proprio un bel cane, Aethel» sussurra Luca.

«Ora dovremmo andare, Emir. È stato un piacere rivederti» dice a quel punto Serena, prendendo per mano il nipote.

«Dove andate di bello?» chiedo io, mentre un’idea folle mi balena in mente. «Perché, sempre se a vostra zia non dispiace, ci sarebbe un posto fantastico in cui mi piacerebbe accompagnarvi.»

Mentre Serena mi guarda dubbiosa, incerta su cosa rispondere, il piccolo Luca prende in mano la situazione. «Prima devi dirci cosa c’è in questo posto, Emir.»

«Beh» inizio io, «è un museo di storia naturale. Ci siete mai stati?»

Luca scuote la testa e la piccola sorellina lo imita sorridendo, quasi abbia capito quello che stiamo dicendo. Sorrido, intenerito da quei simpatici bambini.
«In questo museo ci sono tanti scheletri di dinosauro, degli animali impagliati e poi anche le ossa di una balena più lunga di questa piazza!» esclamo, guardando Serena.

Il volto di lei si tende in un sorriso e annuisce impercettibilmente, lasciandomi intendere che posso accompagnarli.

«Beh, a me non sembra niente male. Zia, possiamo?» dice Luca, cercando la sua approvazione.

«Ma certo, tesoro, ci andremo tutti assieme» risponde lei, strofinandogli i capelli sulla nuca.

«Zia!» esclama il bimbo indispettito. «Ti ho detto di smetterla. Non mi far vergognare davanti al tuo collegamento».

Io e Serena scoppiamo a ridere assieme, e immediatamente ci fermiamo, guardandoci negli occhi. Il suo sguardo cioccolato mi sembra triste, ma ci leggo anche una nota di dolcezza che mi fa sperare in un possibile riavvicinamento.

La tensione rimane palpabile, così cerco di sdrammatizzare. «Questo bimbo dagli occhi celesti e i capelli fiammanti farà impazzire le bambine quando crescerà. Avvisa tua sorella Serena, avete in casa un piccolo dongiovanni!» le dico sorridendo.

«Oh, non ti preoccupare. Ho conosciuto uomini più affascinanti di lui, che però avevano meno della metà del suo tatto. Lui è bello e gentile, non farà mai del male alle ragazze.»

Quelle parole, pronunciate in tono serio, fanno scemare la mia felicità. Bene, mi considera uno stronzo. Nessun problema: sarà più difficile del previsto, ma la riavvicinerò.
Scuotendo il capo in silenzio, afferro il passeggino e invito tutti a seguirmi.

***

[Serena]
 
In poco tempo giungiamo al Fondaco dei Turchi, il palazzo sul Canal Grande che ospita la collezione del museo.
Emir ha insistito per pagare tutti i biglietti, poi ha preso per mano Luca e mi ha sorriso dolcemente, tagliandomi il cuore in piccoli pezzettini.
Lasciamo Aethel alle cure della ragazza che lavora in biglietteria, io indosso il marsupio per tenere Elena imbragata al petto e seguo i due nelle prime stanze.

Emir continua a stupirmi. Non si è fatto sentire per giorni e io mi ero ormai abituata a non vederlo più. Ora invece l’ho incrociato in piazza e lui si è offerto con entusiasmo di portare me e i due bimbi al museo.
Mentre ci scorta nelle varie stanze, mostrando a Luca tutti i fossili e spiegandogli la storia di ogni oggetto, io sento il cuore allargarsi. Emir mi sta facendo vedere una parte di sé che ancora non conoscevo: il suo lato premuroso e paziente, entusiasta e felice, così lontano dalla pacatezza e dalla compostezza che mostra al lavoro e nelle nostre uscite, mi affascina nel profondo.

Ripenso a ciò che è successo con Pietro ieri sera, al nostro bacio, alle tenere e rilassanti carezze che ci siamo scambiati tornando a casa, tenendoci per mano come due ragazzini innamorati. La sua pacatezza è così distante dallo spirito focoso e ribelle di Emir, e io non capisco il motivo per cui mi sento ancora così attratta dal turco.

Mentre sono immersa nei miei pensieri, Luca corre velocemente verso Emir, con le mani penzolanti sotto il mento, le dita divaricate che si muovono ondulando. «Ti piace la mia barba di testicoli?»

Vedo distintamente Emir sgranare gli occhi e arrossire imbarazzato. «C-cosa? Ba-barba di... cosa?» chiede balbettando.

Mio nipote ripete contrariato: «La mia barba di testicoli, sono un polpo.»

Emir, superato lo shock iniziale, scoppia a ridere e si abbassa, piegandosi sulle ginocchia per raggiungere l’altezza dello sguardo del bambino. «Tentacoli, piccolo Luca. Si chiamano tentacoli.»

«E io che ho detto? Zia Serena, il tuo fidanzato non ci sente, è troppo vecchio! Al posto tuo io lo lascerei!»

Emir si volta verso di me, le lacrime agli occhi per il troppo ridere, e io sento stringermi il cuore.

«Amore della zia, Emir non è il mio fidanzato, è un mio amico di lavoro» mi sento dire, mentre vedo il sorriso spegnersi sul volto di Emir, che distoglie lo sguardo dal mio, si alza e prende per mano Luca.

«Esatto piccino, siamo colleghi, lavoriamo assieme. E ora, chi vuole vedere la stanza del volo?» esclama poi, scatenando la corsa sfrenata del bambino verso la porta attigua.

Io rimango un attimo lì, con Elena al sicuro nell’imbragatura che mi fissa, un’ombra di rimprovero negli occhi. Seguo con lo sguardo la figura alta di Emir che tiene per mano il mio nipotino, poi mi avvio dietro di loro.
 
[Emir]
 
La visita al museo finisce presto e Serena annuncia ai bimbi che è ora di tornare in stazione, dato che la madre sta per tornare a prenderli.

«Zia Sere, Emir e Aethel possono accompagnarci al treno?» chiede Luca.

«Tesoro, Emir è stato anche troppo gentile con noi oggi. Lasciamolo tornare a casa, sarà stanco.»

«Assolutamente no. Vi accompagniamo molto volentieri, Luca. Serena, mi permetti di venire a salutare questi dolci bimbi?» dico.

Lei risponde con un cenno di assenso, lasciami addosso un senso di distacco e freddezza che non riconosco nei suoi atteggiamenti.

Quando giungiamo alla stazione, la sorella di Serena ci sta già aspettando, assieme a quello che immagino essere il marito, data la folta chioma rossiccia identica a quella di Luca. Entrambi abbracciano i figli con gioia, mentre io rimango accanto alla loro zia.

«Emir, loro sono mia sorella Camilla e suo marito Ettore. Cami, Etto, lui è Emir, un mio collega di lavoro» ci presenta Serena.

Ci stringiamo cordialmente le mani, poi Luca esclama: «Sai papà, Emir ci ha portati al museo di storia naturale, è stato divertentissimo!».

«Ma che bello!» esclama Ettore. Poi rivolge lo sguardo verso di me. «Lo hai ringraziato, piccolo?»

Luca si volta, scuotendo il capo. Il padre lo spinge verso di me, e il piccolo si avvicina e spicca un balzo verso le mie braccia. Mi vedo costretto a stringerlo a me, mentre rido stupito.

«Grazie mille, Emir. Sei davvero forte. Ti voglio bene» sussurra, dandomi un bacio sulla guancia.

Emozionato, sento che le lacrime mi salgono agli occhi. Le ricaccio in fretta dietro le palpebre, per non farmi vedere dal bambino. La sua dolcezza mi ha commosso nel profondo, facendomi provare un calore che non sentivo da tempo.
«È stato un piacere, Luca. Anche io ti voglio bene, piccolino. Quando vuoi ti aspetto per un’altra gita» rispondo.

Quando lo faccio scendere da un bacio sul muso ad Aethel, poi corre verso i suoi genitori, che sorridono e mi ringraziano con un cenno. Le due sorelle si abbracciano per salutarsi, e noto che Camilla sussurra qualcosa a Serena, facendola annuire lentamente.

Salutati i bambini, mi offro di accompagnare Serena a casa, e lei non oppone resistenza. Giungiamo in silenzio sotto il suo appartamento. Preso dal pensiero dolce delle sue labbra carnose, che ancora ricordo perfettamente dopo il nostro bacio, le sfioro la guancia morbida con il dorso della mano.
«Serena. Vorrei tanto dirti che…» inizio, ma lei scosta il viso e si allontana dalla mia mano.

«Emir, ti prego. Non complicare le cose. La situazione è chiara e io non voglio ritrovarmi coinvolta in eventi spiacevoli. Per favore, lasciami stare.»

«Ti prego, ascoltami un secondo» reagisco io, ma invano.

Serena ha già aperto la porta di casa; mi guarda per un secondo, gli occhi tristi e umidi, una lacrima che cerca di oltrepassare le lunghe ciglia.
«Buonanotte Emir» sussurra, chiudendomi in faccia il battente.

Rimango a fissare impotente la vernice verde che ricopre il legno, poi mi volto, con un peso enorme sul cuore, e torno verso casa. Aethel abbassa il capo, anche lui affranto, e mi segue lentamente, uggiolando piano.

*Autrice*
Ciao ciao ciao ciao!! Ecco un altro capitolo.....e finalmente è tornato Emir! Poveretto, cosa deve fare per farsi perdonare da Serena? Lui desidera davvero chiarire le cose, eppure lei sembra non volerlo ascoltare... che dite, cambierà idea? Fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei davvero molto a sentire qualche commento da parte vostra! Aiutatemi a migliorare! Un bacio :*

Elly

Ps: in copertina il mio adorato Luca😍
 

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