Il mondo grigio di un futuro apocalittico
Sono a mensa, in fila. Ripenso a quei film apocalittici futuristici in cui il mondo è grigiastro, le persone non sorridono, tutti si mettono sempre in fila per qualcosa: un lavoro, un pasto, una casa, una medicina. Ma siamo poi così lontani da quel tipo di realtà?
Il lavoro: facciamo la fila agli sportelli degli uffici di collocamento, o anche solo per entrare la mattina in ascensore e raggiungere la nostra postazione da amebe da computer. Gli informatici, gli operai del futuro!
Il cibo: facciamo la fila al supermercato, dal panettiere, a mensa.
La casa: facciamo la fila nelle banche per poter chiedere un mutuo per comprare una casa che sarà nostra dopo trent'anni, quando cioè i nostri figli saranno grandi abbastanza da potersi mettere in fila allo sportello di una banca per poter chiedere un mutuo per comprare la loro casa e così via riprendendo il circolo infinito del serpente che si morde la coda.
Le medicine: fila dal medico di famiglia perché hai male da qualche parte, fila in farmacia per comprare la medicina che ti fa stare meglio, e se non stai meglio o addirittura peggiori? Fila! Fila di corsa in ospedale, dove un medico sicuramente competente si prenderà cura di te. Ma non dovresti essere tu a prendere una cura?
Bè, guardandomi attorno, almeno una differenza rispetto a quelle realtà futuristiche la noto: non è tutto grigiastro. Anzi, siamo una moltitudine di colori, età, etnie. Ma soprattutto ridiamo. Parliamo, scherziamo. Rispetto a quelle fantastiche civiltà rattristate dalla post-apocalisse, viviamo ancora.
Forse si tratta solo di un'illusione, forse dovremmo renderci conto che siamo già grigi e non vogliamo vederlo, ma almeno per ora questo ci rende felici, e quindi perché non approfittarne?
E poi lo vedo di nuovo, seduto a un tavolo in uno degli angoli dell'enorme sala, ancora solo, ancora col cappotto addosso, ma almeno si è tolto quello strano cappello. I capelli sono tagliati corti e si vede qualche striscia grigia a partire dalle tempie. Il viso è un po' squadrato e allungato, ma i lineamenti non sono precisamente duri, seri sì, ma non cattivi.
Spicca ancora tra gli altri, anche se ha un vassoio davanti come tutti. Allungo il collo per vedere meglio: un piatto di pasta, una bottiglietta d'acqua e un bicchiere. Se fosse un professore, avrebbe preso anche il secondo, no? E se fosse l'ospite di qualche professore, avrebbe pranzato in sua compagnia. No? E invece è lì da solo, e fa finta di mangiare, o almeno quella è l'impressione che ho, perché sembra così fuori posto in mezzo a noi, che non mi capacito che possa avere il diritto di stare seduto a quel tavolo. Guardo gli altri studenti seduti ai tavoli accanto, scruto quelli in fila con me, ma sembra che nessun altro lo noti. Possibile che quell'uomo sia diventato interessante solo per me?
Alla cassa do alla signora la tessera che mi identifica come vincitrice di borsa di studio, per reddito ovviamente: da quando papà si è ammalato, tanti e tanti anni fa, lui e mamma hanno cercato mille modi per tirare avanti senza il bar, quindi tutto ciò che la burocrazia può fare al caso nostro è ben accetto; perciò quando mi sono iscritta all'università ho fatto domanda per la borsa di studio e, vista la nostra situazione finanziaria e quella di salute di papà, l'ho vinta con copertura totale. La signora scrive la data di oggi all'interno di un quadratino sempre troppo piccolo indipendentemente da chi impugna la penna. Afferro il vassoio a due mani e mi dirigo dal lato opposto della mensa rispetto al tizio, ma voglio comunque tenerlo d'occhio, quindi cerco un posto a un tavolo che mi permetta di non dargli le spalle. È come se mi aspettassi che mi assalisse da dietro all'improvviso, che comunque è una cosa stupida, perché siamo in mezzo a un centinaio di persone e perché sicuramente io sono affascinata dal suo mistero mentre lui non può essere affascinato da nessun mio mistero, semplicemente perché io non sono una ragazza misteriosa. Semplice è una parola troppo riduttiva se riferita a me.
Lo tengo d'occhio, mangia e beve, come una normalissima persona. Ma cosa mi aspettavo? Che divorasse la pasta immergendo la faccia nel piatto? È ovvio che usi le posate, il bicchiere, il tovagliolo. È un normalissimo uomo di mezz'età di cui non so assolutamente niente e con cui mi sono stranamente fissata. Cosa che dovrei smettere di fare immediatamente.
E l'avrei pure fatto, se lui pulendosi le labbra non avesse alzato lo sguardo incrociando di nuovo il mio. Ma è veramente possibile? È possibile che stia guardando proprio me? Tra di noi ci sono almeno una ventina di studenti, tavoli e tavoli di ragazzi, gente in fila coi vassoi, eppure io vedo i suoi occhi puntati nei miei. Non sta distogliendo lo sguardo. Lo sta facendo apposta. Mi vuole mettere in imbarazzo, e forse ci sta riuscendo, perché adesso comincio davvero ad agitarmi.
Forse ha iniziato a guardarmi perché si sentiva osservato, per quella strana sensazione che ci prende quando ci accorgiamo che qualcuno ci guarda. Bè, allora potrei rinfacciargli la stessa colpa: stamattina l'ho notato soprattutto perché mi sono sentita i suoi occhi addosso. Poi è venuto il cappotto, poi è venuto il cappello, poi mi sono accorta della posizione sul muro. Ma prima, all'inizio di tutto, ci sono stati i suoi occhi, su di me.
Cavolo, così non va. Ho abbassato lo sguardo sul mio piatto. È riuscito comunque a farmi sentire in colpa, come se fossi io quella fuori luogo qui. Ma che diavolo vuole? Rialzo la testa di scatto come se stessi per urlarglielo da una parte all'altra della mensa, ma non lo vedo più. Non è più seduto al tavolo, né lo vedo vicino ai carrelli che raccolgono i vassoi usati, né lo scorgo vicino alla porta. Si è dileguato.
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