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Premessa: 

ho impiegato un mese a scrivere questo capitolo, non restandone, tuttavia, entusiasta. Avrei voluto scrivere altro. In verità avrei voluto scrivere diversamente, con più intensità, con più dettagli, con più costanza. Ho fatto male i miei conti, non immaginando quanto la vita di tutti i giorni potesse influenzarmi. Avevo ideato un altro epilogo. Perché si, amiche mie, questo è l'ultimo capitolo di questo romanzo. Romanzo che doveva chiudere il cerchio, ma che in realtà lascia spazio ad una terza parte. Inizierò a scriverla tra breve. Spero che vi piaccia e che vi sorprenda. Non mi resta che ringraziarvi per il caloroso affetto, per i commenti, per le emozioni e per la compagnia. Se non fosse per voi, io non sarei qui. 

Grazie di cuore.

Vostra sempre, 

Carla.

Nove mesi dopo

Ogni principio ha una fine. Una fine non sempre scontata, una fine non programmata. Paradossalmente un esito sconvolgente può essere definito tale. Un vero esito. Che senso ha programmare il proprio futuro? Che insegnamento mai si può trarre da ciò che si pianifica a tavolino? 

Gioia ci riflette su, con la sua solita espressione persa in chissà quale luogo o tempo. Ci pensa con intensità, con un fine preciso. Si, quel pensiero è proprio valido e profondo. Racchiude l'essenza di tutte le vite del mondo. Compresa la sua. 

Un iPad bianco acceso e posto su di un cesto di legno, adoperato a tavolino. Un albero gremito di foglie e rami, divenuto poggia schiena. E l'ombra a ristorarla dal caldo mattutino. 

Cuba non è come credeva. La immaginava diversa, folle, caotica, pullulante di turisti pseudo acculturati. Questo ultimo aspetto l'aveva tastato con mano il primo giorno. Italiani, come lei, che del Che sapevano solo che avesse la barba e che avevano l'ardire di definire l'isola un posto vent'anni arretrato. 

Era Agosto quando Manuel le disse che sarebbe volato dai suoi genitori ed era sempre Agosto quando lei gli chiese di portarla con se. Non aveva più senso restare, non dopo ciò che aveva scoperto. E l'idea di  ricominciare nuovamente a pochi metri da Michele le fomentava il nervoso. D'altro canto si era abituata agli spostamenti, una volta era scappata a Milano. Ma questa era diversa. Questa volta voleva evitare di esplodere e distruggere tutto ciò che le si palesava. 

Manuel l'aveva percepita quella rabbia, quel senso di incontinenza verso le mal azioni altrui. L'aveva portata nella terra dello zio, tra cavalli, galline, polli e conigli e le aveva suggerito un bel urlo liberatorio. Gioia andò un pochino oltre, pronunciando amabili parole dirette un po' a casaccio, compreso al cane che non la piantava di abbaiare. Vaffanculo stronzo era il suo must have.

Da allora erano trascorsi nove mesi e una cosa buona l'aveva portata finalmente a termine. O meglio più di una. Lavorava presso un ristorante in centro. Con il flusso di italiani a L'Avana, tornava utile qualcuno che fosse madrelingua, a maggior ragione se di bell'aspetto. Divideva la camera con Manuel nella cascina dei genitori di lui, dalla pelle erosa dal sole. 

Mangiava a sbafo e bene. Era ingrassata di cinque chili e le si erano gonfiate le tette. Ma soprattutto aveva trovato la sua personale terapia. Il modo per liberarsi e somatizzare la sua esistenza. Per digerirla, una volta per tutte. Troppo poco era inveire. Aveva preso l'iPad e aveva iniziato, una notte di settembre, con Manuel che russava e la luce del monitor stampata sul suo volto. Aveva iniziato, senza smettere mai. E le piaceva, perché, finalmente, dava un senso a tutto.

Che fai?- le chiede Manuel, curioso. Un elastico gli regge i folti capelli. Tende verso l'iPad, volendo afferrare il lavoro sul quale è ipnotizzata Gioia.

Lei lo guarda e cela il monitor- sei un pettegolo. Fatti i fatti tuoi.

Si, sono un cubano curioso- congiunge le mani- ti prego, fammi vedere. Sono mesi che ci lavori su e non mi dici niente. Amor mio...

A Gioia le si accende la lampadina. Potrebbe andar bene amor mio. In fondo si parla di amore, un po' particolare, ma sempre amore è. L'amore secondo...

Mi piace "amor mio"- esclama.

Ah, brutta strega, fammi leggere- Manuel non lo ripete due volte. Le strappa l'iPad dalle mani ed inizia a voce alta.

"Se non fosse per te, Marta, nulla avrebbe avuto inizio e nulla fine. Se non fosse per la tua ingenuità, per il tuo modo disincantato di guardare le cose, per quella sana quanto pericolosa spinta che ti induce a credere che tutti siano sinceri e buoni come te, questa storia non sarebbe nero su bianco. Se non fosse per la tua spensieratezza, le bugie di Giuseppe non ci sarebbero state, così come i vani tentativi di Luca di riconquistarti e i consigli spassionati delle tue amiche Anna e Jessica. Se non fosse per te, non ci sarebbe il sorriso di Manuela, l'ironia di Vincenzo e l'estenuante memoria di chi ti osserva dall'alto. Se non fosse per te, Marta, non esisterei io, la voce della tua coscienza, che non sai quante volte ha tentato di dissuaderti, talvolta sbagliando. Perché sai, mia cara, siamo imperfetti, esistiamo per merito di vittorie e fallimenti. Esistiamo poiché esseri umani e in quanto tali ci abbandoniamo alle passioni, al libero arbitrio. Ci abbandoniamo a quella che riteniamo la buona fede altrui."

Manuel la scruta con occhi sognanti, come se avesse compiuto la più grande scoperta della sua vita.

E questo da dove è uscito?

Gioia lo ricambia sgomenta- devo farti un disegnino, Manuel?

No, acida de aceto. Ma "amor mio" non me gusta- mette in broncio.

Mi serve un titolo, prima di inviare il manoscritto alla casa editrice!

Manuel stuzzica il suo ingegno, arrivando ad una conclusione- mica hai scritto che se non fosse per me, col cazzo che stavi a Cuba.

E mentre scandisce quelle parole, gli occhi di lui si incrociano con quelli di lei, avvolti da un legame che difficilmente si riesce a stabilire con un altro essere vivente. Se non fosse per l'alchimia. 

***

Una ragazza, avvolta in uno scialle scuro, scende lungo la scalinata dell'ospedale di Salerno. Passo dopo passo, tenendo stretti i denti. Poggia la mano sul ventre rigonfio e dolorante. Credeva che si sarebbe sgonfiato dopo l'atto. Sperava che che tutto sarebbe sceso con quelle spinte. Che il suo corpo sarebbe tornato come prima dopo il suo ultimo grido. Ma il gonfiore è ancora lì, come il seno pieno e le pillole in borsa. I capelli avvolti in uno chignon e lo sguardo basso. Il viso pallido. Quante cose aveva preso sul serio, quante parole, quante azioni. Quanto cresciuta era in quei mesi e quanto triste ed amara era divenuta la sua vita. Si era diplomata con un anno di anticipo sulle sue coetanee. La madre l'aveva spinta a frequentare la scuola elementare a cinque anni. Era stata una buona idea, poiché non aveva subito alcun trauma. Aveva svolto il suo dovere ed era giunta sino alla fine. Tra i banchi di scuola, annotava sul diario ciò che avrebbe dovuto fare in futuro. Innamorarsi ma non troppo, viaggiare e divertirsi, trovare un lavoro, tenere stretta a se la sua amica del cuore. Ma proprio lei, la sua amica Luana, fu la prima a scomparire, così come l'amore, le mete lontane e il lavoro. Tutto in fumo, esattamente quando le due linee comparvero sul test di gravidanza. 

Michele le fece il classico discorso dell'uomo bastardo. Non l'amava, ma era pronto ad assumersi le sue responsabilità. Lucia piangeva, non voleva quel figlio, ma Michele si. Era innamorata di lui. No del bambino. Perché tutto questo?

Fece un ecografia, Michele l'accompagnò. Sentirono il cuore di quell'esserino battere. Ma lei non lo voleva. Non lo desiderava, ma allo stesso tempo non riusciva a pensare all' aborto. Era fortemente cattolica.

Una ragazza di diciotto anni non dovrebbe mai affrontare realtà come queste. Non dovrebbe mai restare incinta di un uomo che in lei chissà cosa o chi ha visto.

Lucia scende le scale e si addentra nell'auto del padre, coccolata dalla madre. Lei e i suoi genitori. Lei, i suoi genitori, il ventre gonfio, i tre punti di sutura, il seno pieno, le pillole per bloccare il latte che nessuno succhierà e la sua disperazione silenziosa. Il padre mette in moto e si allontana, con la mente offuscata da pensieri e da una domanda "come è stato possibile?".

Nello stesso istante, un'altra auto si ferma dinanzi al nosocomio. Athina ed Antonio si fissano con quel stesso quesito "come è stato possibile?". Antonio si chiede come farà. Come farà il suo migliore amico ad allevarla da solo. Athina non si capacita all'idea che una madre abbia rifiutato una figlia, che non l'abbia riconosciuta.

Da quelle stesse scale scende Michele, con un fagottino tra le braccia muscolose e uno zaino sulle spalle. Stringe al petto la bambina esile, riparandola dal vento. Sale in auto. Colmo di riconoscenza e mestizia, ringrazia i suoi amici. 

Si aggiusta sul sediolino posteriore ed esclama- lei è Stella, mia figlia.






Fine
Se non fosse per te-rivelazioni

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