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Le dita della mano scivolano sulla pelle delicatamente, come se stessero puntellando tasti di un pianoforte che emette suoni udibili a pochi eletti. Una melodia lenta, scandita, dolce, rilassante. Note che si intrufolano nell'apparato uditivo, si insinuano, rimbombando sino al cervello. La pelle si accappona, si rattrappisce, sotto quel tocco celato alle pupille dalle palpebre abbassate. Non ci sono che io, in questo luogo isolato dal mondo, con la mia mano lungo il braccio sinistro. Io, la mia epidermide, la mia tranquillità e la medolia infranta da un segno in rilievo. Riapro gli occhi, li, di fronte lo specchio in bagno. Dell'incidente, questo, è ciò che servo altrui.
Ho impiegato due mesi prima di riuscirmi a specchiare. La presa di coraggio non dovuta ad un accettazione di natura fisica. Si, ho una cicatrice sul braccio. Si, appare come un bracciale al di sopra del polso e si, per quanto il medico si sia impegnato, è decisamente visibile. Ma non è stata la ferita ad avermi squarciata. Non è stata la ferita ad avermi allontanata da ogni oggetto che potesse riflettere la mia persona.
Più e più volte mi sono chiesta come sia stato possibile toccare questo punto di non ritorno. Proprio questo. Io, che di eventi negativi ne ho vissuti, come ho fatto a render mio anche questo. Questo, il più disgraziato di tutti, perché mi ha sputato in faccia l'essenza di chi mi era attorno.
Mi sono rintanata in un labirinto di desolazione, in cunicoli stretti colmi di cattiveria altrui. Ho subito l'ingiustizia dell'aver scovato una via di fuga che in realtà era l'ennesimo fallimento. Ma ne sono uscita, ferita e sola.
Ho denunciato Martina, principalmente per gli atti di violazione della privacy. Per le foto, i biglietti, per quel clima di paura e sospetto che ha infuso a poche settimane dal mio arrivo a Minori. Dell'incidente ho pochi frammenti nella mente. Ho dovuto far clemenza alle telecamere e alle loro registrazioni, soprattutto a pochi giorni dal fatto. Non ero padrona della mia testa, mi scoppiava dal dolore.
Ho trascorso l'intera convalescenza a casa di Athina. Mi ha curata come si fa quando si ama intensamente qualcuno. E il sorriso dolce di Costas ha fatto da farmaco omeopatico. Sarà un brav uomo da grande, ne sono certa. Così piccolo, ha compreso il mio disagio. Talvolta veniva accanto accarezzando la ferita e dandomi un bacino.
So che mio padre è stato qui. Nella documentazione fornitami dai carabinieri, c'era la sua firma. Paolo Autieri, ho riconosciuto nell'immediato la sua firma da medico. Ho chiuso nell'immediato quel fascicolo, non volendo aggiungere altro a quanto già era in atto.
Un raggio di sole illumina la camera da letto. Sono ritornata nel mio monolocale, con una serratura nuova e le infinite scuse dei proprietari per quanto accaduto con Martina.
Agosto si è inoltrato nelle nostre vite da soli due giorni. L'estate rianima la vita dei minoresi.
Il display dello smartphone si illumina. Un messaggio breve ma significativo. Ti aspetto allo chalet. Grazie per aver detto di sì.
Non rispondo. Mi limito a prender il telefono, la borsa, le chiavi. Lo sguardo serio e deciso. È arrivato il momento di chiudere il cerchio.
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