2
(In foto: Manuel, Pablo, Gioia)
2
L'istituto d'arte è il luogo più asettico che io abbia mai visto. Ampie stanze con arredo bianco, un vero pugno nell'occhio, soprattutto con la luce del sole. A detta dell'insegnante l'ambiente è stato creato con la finalità di presentare agli allievi un'enorme tela sulla quale esprimersi con ritratti, astratti o fotografie.
Quando mi iscrissi, rimasi un attimo sconcertata. Io che della pittura sapevo quel po' che mi bastava per esser riconosciuta come discreta autodidatta, tentennavo su cosa presentare. Volevo quasi rosicchiarmi le mani come un ratto. Per quell'assurdo pilastro grigio, nel vecchio monolocale, fui colta da un lampo di genio, rendendolo grazioso all'occhio altrui. Ma quelle pareti vuote erano una sfida. Ci rimurginai su per mesi, durante i quali cercai suggerimenti nelle strade milanesi, nei suoi monumenti, nei suoi abitanti. Mi limitai a schizzi di vernice, volendo, maldestramente, emulare l'espressionismo astratto. Fu un vero tormento osservare i colleghi fotografi con i loro scatti d'autore, gli scultori mostrare soddisfatti manufatti originali e gli aspiranti pittori i loro quadri. In fondo a destra, accanto la finestra, campeggia ancora il ritratto di Pablo, prima opera del mio amico Manuel. Se ne infatuò verso la fine di Novembre, i loro sguardi si incrociarono e fu scintilla. Io e il mio amico italo-cubano ci conoscevamo da pochissimo tempo, eppure mi bastò quel volto disegnato a carboncino per comprendere che era cotto, folle d'amore. Cupido aveva sganciato la freccia, ma non era a conoscenza del carattere lunatico di Pablo, un gran bell'adone, non c'è che dire, ma prima di tutto innamorato di se stesso. Un narciso di professione.
Ad ogni modo, fu un vaso rotto a indicarmi la retta via. Un regalo che Jessica ebbe dalla madre, una rompicazzi. La trovai affranta sul divano con i cocci tra le mani, le dispiaceva così tanto che fosse andato in frantumi. In effetti le diedi ragione, era davvero grazioso con tutte quelle venature e di ottima fattura. Le proposi la tecnica del kintsugi. Glielo riparai con dell'argento colato, con grande piacere. Colsi anche l'occasione per cimentarmi in qualcosa di mai provato e ad esser sinceri non andò affatto male.
Tenendo conto dunque di quell'episodio, l'indomani tornai all'istituto certa che sarei riuscita nel mio compito. Afferrai una tela bianca e la tinteggiai interamente con un giallo intenso. Dopodiché mi cosparsi i piedi nudi e le mani con della vernice nera (da qui il definitivo legame con Manuel e le sue scarpe sporche) e ci salii su, al fine di imprimere i segmenti finali dei miei arti. Ed ancora sporca di colore, presi il quadro e lo posizionai sul cavalletto, così da far colare il nero quanto più possibile sulle parti chiari.
Così mi sentivo, sporcata in qualche modo dallo scuro. Io, così chiara dentro, percepivo la compressione di quelle macchie grosse che mi avevano condizionata. Quei tre mesi a Minori, non più un'immensa distesa di vita, ma un'esistenza intervallata da buchi profondi come voragini. La tutor rimase soddisfatta, io mi ripromisi di non fare più quella fine. Nessun piede, nessuna mano mi avrebbe più schiacciata. L'ho chiamato "Rivelazioni", con il mio quadro ho chiuso il cerchio della consapevolezza.
Mancano poche settimane alla fine del corso, il che mi provoca tanta tristezza. Tra non breve dovrò presentarmi ad una commissione per ottenere il diploma finale e non ho ancora deciso quale mia produzione dovrò mostrare ai docenti per la votazione. Nell'incertezza mi affretto a concludere il restauro di una sedia in legno, che potrebbe esser un buon oggetto per la prova date le tecniche adoperate per rimetterla in sesto. Gratto con della carta vetrata sullo schienale, togliendo via dell'orribile tinta dorata. Nel compiere l'azione, mi ingegno per il prossimo passaggio: il liquido per la protezione del legname e il nuovo colore da applicare. Mi piacerebbe qualcosa di estroso, che unisca un chiaro stile barocco (non originale, si intende, altrimenti mi avrebbero denunciata!) e avanguardie contemporanee con nuance contrastanti. Perché no, potrebbe essere un'ottima idea. Mi siedo a terra accostando i campioni alla sedia per trovare conferme o meno al mio programma. Vengo destata da una litania, un supplizio, una lagna interminabile. Non mi applico più di tanto nell'individuare quale pazzo oggi creda di reincarnare il tenore Luciano Pavarotti. Quello strano accento latino precede ogni fantasticheria. Manuel, colto da spasmi improvvisi, si contorce, battendo le mani sul petto e sporcando la maglia con il carboncino. Si duole come una vedova che non accetta il lutto. Non piange, non versa neppure una lacrima, è solo un esempio di quanto melodrammatici possano essere gli esseri umani.
China il capo, fresco di barbiere, con i ricci neri sulla fronte e la barba in perfetto ordine. Le sopracciglia curate, ma niente ali di gabbiano. Almeno lui ha buonsenso.
" Venite, adoremus... venite, adoremus".
Sgrano gli occhi, disorientata. Tentennando, mi alzo e a passo di lumaca mi avvicino per capire cosa gli stia succedendo. Porto tutta la mia attenzione su di lui. Mi sembra il solito Manuel, il milanese figlio di cubani, che parla in spagnolo per i suoi tornaconti amorosi. Me ne sto accanto a lui, sconcertata. A stento trattengo un'esplosione di risate. Accanto all'originale ritratto di Pablo, Manuel ha ritenuto saggio raffigurare anche se stesso, vestito da suora.
"Ma che hai combinato, Manuel?"- gli domando confusa.
"Venite adoremus..."
"Ancora?"- aggiungo-"ma non eri ateo, tu?".
"Non più"- è addolorato-" hoy me siento come una monja".
"Ti senti come una suora?"- ripeto le sue parole.
"Si, chiusa in una cella lurida e devota al Signore"- esordisce con voce mesta.
Il prossimo stage a cui mi iscriverò sarà "come soffocare una risata nei momenti meno opportuni". Maldestramente cerco di alienarmi da questa scena esilarante. Gli accarezzo le spalle e mi appoggio a lui-"Manuel, le suore non vivono in celle luride. Sono devote, questo sì, ma conducono una vita piena. Tu piuttosto perché non ti decidi a mollarlo?".
Mi guarda a bruciapelo-"non lo nominare".
"Ecco, appunto, non lo nominare. Intanto soffri come un cane per colpa di Pablo..."
"Ti avevo chiesto di non nominarlo, Gioia"- mi rimprovera, piagnucolando.
Sbuffo-"si, insomma lui, lo spagnolo che sta con te per cavoli suoi"- gli punto l'indice contro-"e non osare dire che non ti sfrutta, perché ne sei consapevole. Ritorna da te solo quando ha bisogno di soldi o quando ha le sue necessità da maschio stronzo".
"Me enamoré, Gioia"- come se non ne fossi già troppo consapevole dell'amore malato tra Manuel e Pablo. Si sono conosciuti durante una festa per la quale il mio amico aveva cucinato le sue specialità cubane. È un ottimo cuoco e il suo ristorante è molto frequentato. Pablo fu sicuramente affascinato dagli occhi tenebrosi e dal cuore debole di Manuel, al punto tale da tampinarlo di telefonate. Ma è un tipo strano Pablo, uno spagnolo amante dei viaggi e della bella vita. E non lo nasconde neppure, nessuno può accusarlo di esser poco onesto. Anzi, è privo di filtri, non so quante volte l'ho sentito dire a Manuel che è qui in Italia per i suoi studi e non per accasarsi. Pablo è tutto sesso e rock'n'roll, Manuel ama la stabilità.
"Fidati, lascialo perdere e trovati qualcun altro che con il tuo accento caliente acchiappi di sicuro"- lo abbraccio e gli indico il muro-" e piantala di raffigurarti in queste vesti, sei orrendo. Ti preferisco con il tuo costume tipico cubano e il sigaro in bocca".
"Siamo due sfigati in amore, Gioia".
"Parla per te"-lo spingo-"io non mi accontento più".
Mi scruta malizioso-"però quel chico del Sud è muy bonito"- si scervella-"come si chiama? Michele..."
Scrollo le mani-"ahhh, Manuel, che rompipalle che sei".
"Quando te lo nomino, ti agiti"- si diverte.
"Infatti"-gli lancio un pennello che afferra a volo-"lasciami perdere altrimenti ti ripeto il nome di Pablo a profusione".
Ci sorridiamo. Un bacio casto vola in aria e Manuel lo trattiene nel palmo della mano. È così semplice confidarsi con lui. Può apparire egocentrico, ma a conti fatti è la persona più gentile conosciuta in questo lungo anno. E tra una chiacchierata ed un'altra gli ho parlato di lui, Michele. Perché gli amori malati, come sostiene Manuel, ti tormentano l'anima, ma quelli profondi e incancellabili ti attanagliano il cuore, non lasciandoti mai sola.
--------------
Fine secondo capitolo.
A presto!
Baci da Carla.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro