26. Dichiarazioni a tavola
«Clary, ti dobbiamo parlare.» Iniziai, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo di mogano con fare molto professionale. Se solo avessi avuto i miei occhiali avrei di certo reso molto di più l'idea.
La bambina interruppe la sua scorpacciata di fagiolini per rivolgermi un'espressione confusa. Eravamo tutti e tre a cena, e come aveva detto mia madre, era il momento di dire tutta la verità a Clary. Ero sicuro che all'inizio sarebbe stato difficile rivelarle l'esistenza di ben due cugini, ma che alla fine l'avrebbe accettato.
Lei guardò prima me, poi mia madre. «Io non c'entro nulla, è stata Stacy che ha tirato quel sasso addosso a Timmy!»
La sua esclamazione ci fece entrambi inorridire. C'era qualcosa che dovevamo sapere? Di certo quella bambina non-più-tanto-innocente ci stava nascondendo qualcosa.
«Non parlo di quello...» Dissi, ancora un po' smarrito.
«Clary, c'è qualcosa che devo sapere?» domandò nostra madre, alzando un sopracciglio.
Lei le rivolse uno sguardo visibilmente allarmato; incredibile, si era messa nel sacco con le sue stesse mani.
«Ehm...» subito la bambina sembrò disorientata.
Dovevo ammettere che mi divertiva vederla in difficoltà, ma mi trattenni dal sogghignare e rimasi in silenzio in attesa di una risposta.
«Clary?!» sbottò nostra madre, anche lei esterrefatta.
«Ehm...» Clary sospirò. «Ehm...»
Non sapeva cosa dire. Anche io ero rimasto stupito da quello che aveva detto. Stavo riflettendo su chi diamine fosse Timmy, ma soprattutto sul perché il viso teso della bambina era cominciato a riempirsi di goccioline di sudore. D'un tratto mi accorsi che la sala da pranzo si era inondata di un silenzio imbarazzante. Clary doveva salvarsi la pelle, se non voleva mangiare broccoli per il resto della vita; lei sapeva che le sarebbe toccata quella punizione e forse anche peggio, perciò contava sul trovare una risposta adeguata in fretta.
«CHRIS FUMA!»
Non trovo ancora le parole per descrivere la mia faccia in quel momento, nemmeno una migliaia di psicologi avrebbero potuto capire cosa mi stesse passando per la mente; la mia espressione era un misto di sorpresa e stupore, e la mia bocca sembrò quasi toccare terra. Ero terribilmente colpito e offeso da quello che aveva urlato la mia sorellina di otto anni. Voleva cambiare argomento e aveva scelto proprio me come bersaglio! Se la mia espressione era offesa, quella di mia madre indescrivibile. La donna sulla cinquantina emise un respiro di stupore e mi guardò come se avessi appena rotto il vaso antico che aveva in salotto. I suoi occhi blu erano spalancati, così spalancati che avevo paura che le sarebbero usciti dalle orbite.
«Oh no! Vedo broccoli ovunque!» esclamò Ed, allarmato.
Voltai la testa verso Clary e le rivolsi uno dei miei sguardi più torvi di sempre. Lei emise un'espressione innocente e per non incontrare il mio sguardo pieno di ira nascose la testa sotto la tovaglia.
«COME?!» sbraitò nostra madre solo dopo il breve tempo che ci mise per realizzare.
Evitai la donna rossa di rabbia e mi rivolsi a Clary. «Ti ho portata sulle spalle per tutto il tragitto, avanti e indietro!» esclamai, pieno di delusione. «È così che mi ripaghi?»
Lei fece le spallucce. «Mi spiace. Nulla di personale, gli affari sono affari.»
Rimanemmo in un silenzio scioccante. Dovevo ricordarmi di non fare più patti con Clary; era una bambina sveglia, dimostrava più della sua età attuale.
«Avevo ragione, diventerà una donna di carriera.» Aggiunse Ed.
Spostai lo sguardo da Clary a mia madre, e rabbrividii quando mi parve di vedere del fumo uscire dalle sue orecchie.
«Non è come sembra... se l'è inventato per coprire il fatto che abbia lanciato un sasso in testa ad un bambino di otto anni!» mi giustificai andando subito all'attacco.
Così indicai Clary con un dito, e lei fece una faccia preoccupata. Eravamo entrambi in un mare di guai, e tutto questo non sarebbe successo se Clary mi avesse lasciato parlare all'inizio della cena.
Nostra madre scosse la testa e tornò a guardarmi. «Ora Clarissa non c'entra, piuttosto da quanto va' avanti questa storia del fumo?»
Non sapevo cosa dire; mi chiedevo come mai mia sorella si fosse salvata mentre io ero ancora sommerso dalle prediche di mia madre. Non sapendo quale fosse la risposta adatta, rimasi in silenzio in attesa che la mia coscienza mi aiutasse, dato che a parer mio parlava solo nei momenti sbagliati.
«Ehm... non so proprio come aiutarti, Chris.» Disse lui, facendomi sospirare. «È colpa tua! Ti avevo detto di non fumare!»
La cosa non mi aiutava per niente. Non sapevo veramente come sarei potuto uscire da quella situazione spinosa, ma di certo dovevo rispondere in fretta. Avrei potuto mentirle e negare tutto, ma ormai sapevo di dover sempre fare la cosa giusta; in questo caso avrei dovuto dire tutta la verità, prendendomene la responsabilità ed accettando le conseguenze. Cavolo, stavo diventando Ed!
«Ehm... la storia va' avanti da un po'.» Ammisi, tamburellando con le dita sul legno della tavola.
«Da quanto?» domandò mia madre, per essere precisa.
Non sapevo come avrebbe reagito, ma dovevo dirglielo.
«Da...» nervoso mi passai una mano sul retro del collo. «Da quashdo aveshvo doidi ashni.» Borbottai mangiandomi tutte le parole.
«Cosa hai detto?» chiese lei, non avendo capito nulla di quello che avevo pronunciato.
Abbattuto, riappoggiai la mia mano accanto al mio piatto e sospirai. «Da quando avevo dodici anni.»
Perfino Clary sputò l'acqua che aveva messo in bocca. La faccia di mia madre era qualcosa di inspiegabile; avrei voluto fuggire in camera mia e rimanerci per il resto della vita, ma decisi di stare in silenzio e immobile come una statua, mentre la donna davanti a me cercava di ragionare.
«Dodici...» lei mosse la testa e fece una risata sarcastica, poi tornò a guardarmi. «Dodici anni?!»
Sembrava impazzita, in quel momento avevo paura addirittura di emettere anche solo un singolo gesto. Non sapevo a che punto sarebbe scoppiata e come dovevo comportarmi per far sì che tutto ciò non accadesse.
«Eh...» Mormorai di risposta, abbassando lo sguardo.
«In pratica fumi da quando avevo tre anni» affermò Clary, facendo i calcoli. «Vivo con un tossico!»
«Tu stai zitta, bocca larga!» sputai io voltando la testa verso di lei.
Lei trattenne una risata e tornò a mangiare i suoi fagiolini ci tranquillità. Quella piccola peste... quando saremmo rimasti soli avremmo fatto i conti.
«Chris!» riprese nostra madre, battendo una mano sul tavolo. «Lo sai benissimo che il fumo uccide!»
«Finalmente una che ragiona!» Fece Ed.
In effetti era proprio quello che mi aveva detto lui.
«Lo so, ma...» Non mi venivano le parole.
Feci un grande respiro e mi appoggiai allo schienale della sedia, pronto per subirmi la predica. Sapevo di aver torto al cento per cento, perciò non avevo neanche voglia di ribattere.
«Perché?! Perché fumi?!» domandò mia madre, cercando di capire.
«Perch-» Prima che potessi rispondere, tutta la sala si inondò di una suoneria del cellulare, puntualmente la mia suoneria.
Tutte e tre le teste si voltarono verso il cellulare che avevo appoggiato sul tavolino accanto al divano, che si stava agitando come un pazzo.
«Quando si dice essere salvati dalla campanella...» Sospirò Ed. «In questo caso dalla suoneria.»
Mi scappò quasi un sorriso, ritenendomi fortunato e benedicendo chiunque mi avesse chiamato. Di scatto mi alzai dalla sedia, ed il rumore fece voltare mia madre verso di me.
«Il mio cellulare!» esclamai fingendomi sorpreso, e aumentando l'ira nella faccia della donna. «Credo di dover fare qualcosa...»
Così dicendo mi incamminai verso la scatolina di salvezza, non esitando ad afferrarla ed a vedere chi mi stava chiamando: era Peter.
Mia madre mi fulminò con lo sguardo, capendo subito le mie intenzioni. «Non ti azzardare a...» Ma prima che potesse continuare, il mio dito aveva già premuto il pulsante per rispondere.
«Hey Peter!» esclamai portandomi il telefono all'orecchio, sapendo che gli occhi infuriati di mia madre erano su di me.
«Ciao Chris, ti disturbo?» domandò lui garbatamente, sapendo dal tardo orario che probabilmente stavo cenando.
«Non mi disturbi affatto!» risposi, voltando lo sguardo verso quello arrabbiato di mia madre, e rivolgendole un sorrisetto divertito.
«Bene, perché volevo discutere di una cosa con te e non so quanto tempo ci metterò.»
Le sue parole mi fecero spuntare un sorriso spontaneo sulle labbra. «Non sai quanto tempo ci metterai?» ripetei perché mia madre potesse sentire.
«Già...» fece Peter, un po' confuso. «Perché ripeti quello che dico?»
La sua chiamata era una manna venuta dal cielo, il giorno dopo gli avrei spiegato tutto e lo avrei sicuramente ringraziato.
«Niente...» Risposi, buttandomi sul divano. «Dimmi tutto, e mettici tutto il tempo che ti pare.»
«Okay...» disse lui, ancora un po' stordito. «Allora, come saprai io ho una cotta per Amanda.»
«Guarda, non lo sapevo.» Ironizzai ridacchiando, ed evitando la situazione che avevo attualmente davanti.
«Ah ah, simpatico» fece lui, annoiato. «Ti stavo dicendo... secondo te quali di questi due cappelli è più da bad boy? Cuffia nera o berretto al contrario?»
Le sue domande mi fecero inorridire, ed ebbi paura solo a fargli quella domanda. «Perché me lo chiedi?»
Lui rimase in silenzio per qualche secondo. «Potrei aver fatto un po' di shopping...»
Sospirai e poggiai la testa sul cuscino, incrociando i miei piedi e guardando il soffitto. Mi piaceva che avesse seguito il miei consigli, ma di certo non poteva usufruirne così senza pensare! Perciò decisi di essere il più diretto possibile, evitando di dargli false speranze.
«Ehm... nessuno dei due.» Risposi sinceramente.
«Oh» fece lui, abbattuto. «Cinquanta dollari buttati.»
A quelle parole mi rimisi seduto di scatto e spalancai gli occhi. «Hai speso cinquanta dollari per due cappelli di poco gusto?!»
«Hey, guarda che sono di marca!» ribatté lui, andando sulla difensiva.
Sospirai e mi ributtai di peso sul divano. Se Peter aveva speso così tanto per due stracci, mi chiedevo quanto avesse speso per comprarsi l'interno guardaroba... d'altronde sapevo per esperienza che i suoi genitori erano in buone condizioni e disposti a tutto per accontentare il loro "passerotto arancione" (è così che lo chiamavano). Quando accidentalmente il mio sguardo puntò mia madre, capii che forse era il momento di salutare il mio amico. Quella donna aveva ancora il suo sguardo su di me, e stava cominciando a farmi paura.
«Riattacchi tu o ci penso io?» scandì, con un tono minaccioso.
Non mi erano mai piaciuti i broccoli, perciò dovetti arrendermi ed affrontare la situazione.
«Peter, ora dovrei andare...» Dissi spaventato, alzandomi lentamente dal divano e non staccando gli occhi dalla belva (e con belva intendo dire mia madre).
«Avevi detto che potevo metterci tutto il tempo che mi pare...» Fece lui, deluso.
Probabilmente non capiva in che situazione mi ero cacciato, ed ero certo che se lo avesse saputo non avrebbe sicuramente protestato. Dallo sguardo infuriato di mia madre capii che sarebbe stata l'ultima volta che parlavo con il mio amico.
«Addio, Peter.»
«Ma-» Il ragazzo non fece in tempo a finire la frase che riattaccai immediatamente e buttai il cellulare sul divano.
L'avevo combinata grossa... ed a giudicare dall'espressione della mia "carissima" madre ero in un mare di guai.
«Siediti» ordinò con un tono fermo. «Subito.»
Io sospirai e con lo sguardo basso tornai al mio posto, a passo molto veloce. Avevo paura che mia madre sarebbe potuta impazzire in qualsiasi momento, e perciò era meglio fare quello che diceva lei senza ribattere.
«Ora spiegami perché hai iniziato a fumare.»
Oh no, odiavo quando mia madre faceva così. Credeva di essere un'eccellente psicologa, ma io e Clary sapevamo per certo che non era altro che una mamma single che stava molto tempo davanti alla televisione. Non doveva cercare di fare quello per cui non aveva neanche un briciolo di esperienza, io e Clary continuavamo a ripeterglielo, ma a quanto pareva senza alcun successo. Tuttavia decisi di non deluderla e di "stare al gioco". Era da un po' che non facevo queste conversazioni con mia madre, e se devo essere sincero ero un po' timido. Abbassai lo sguardo verso il mio piatto di purè; tutto quel parlare mi aveva bloccato lo stomaco.
«Chris» mi risvegliò mia madre. «Perché hai iniziato a fumare?»
Sospirai e decisi di confidarmi, pur sapendo che Clary ci stava ascoltando. «Credo che tu sappia che quando tu e papà avete divorziato ho cominciato a... ad andare su una cattiva strada.»
Lei annuì con un espressione compassionevole in volto; sapeva quello che avevo passato, ed io sapevo che si sentiva triste per me. Per me era molto difficile parlare di quelle cose con lei, ma dovetti continuare.
«E nel mio "piccolo gruppo" abbiamo anche cominciato a...»
«A SPACCIARE?» gli occhi di mia madre si spalancarono un'altra volta.
Forse avevo detto troppo. La mia espressione si fece impreparata, e subito cercai di pensare ad una via di fuga. Purtroppo non c'erano voli aperti per Timbuktu, a quell'orario.
«Ehm... io direi più che era una specie di "io ti offro della roba se tu mi offri dei soldini".»
La situazione stava diventando ridicola, e quello che dissi non la migliorò per certo, anzi, credo che l'avesse addirittura peggiorata. La bocca di mia madre si spalancò, mentre Clary si stava inutilmente trattenendo le risate.
«Perciò non fumavi solo sigarette!»
Non avrei mai trovato una parola adatta per descrivermi in quel momento; oh sì, ero un coglione, un vero coglione.
Capendo di essermi cacciato in una situazione disastrosa decisi di tornare all'argomento iniziale della cena: «CLARY, TI DOBBIAMO PARLARE!»
«E adesso non mettere in mezzo Clary!» fece mia madre.
«Ma è lei che mi ha messo in mezzo!»
Non ce la facevo più, dovevo dire a mia sorella tutta la verità. Anche per salvarmi la pelle.
Così mi voltai verso la bambina. «Clary, devi sapere che...»
Non feci in tempo a finire la frase che venni subito interrotto da nostra madre.
«...Che domani nevicherà!» esclamò la donna all'improvviso.
Io assunsi un'espressione confusa, mentre il viso di Clary si illuminò. Per caso mia madre si era dimenticata di quello che dovevamo fare?
«Che bello!» esclamò la bambina, entusiasta.
Io guardai mia madre, confuso. «No, intendevo ch-»
«MR. LASAGNO STA ANDANDO A FUOCO!»
Mia madre mi interruppe un'altra volta, e questa volta lo fece urlando. Ma che le saltava per la mente? Clary fece uno sguardo preoccupato; sapevo benissimo quanto tenesse al suo peluche, e che se gli sarebbe successo qualsiasi cosa lei sarebbe indubbiamente morta.
«Mr. Lasagno, resisti!» gridò, alzandosi dalla sedia e correndo verso la sua camera da letto.
Quando fummo da soli, mia madre tornò con lo sguardo verso di me. Credo che l'avesse fatto apposta...
«Ma sei fuori?! Non puoi dirglielo così!» mi rimproverò, gesticolando.
«Cosa dovrei fare?»
«Non so, magari dirglielo con un po' più di dolcezza...»
«Ma certo, ora ci provo! "Clary, tesoro, lo sai di avere due cugini, vero? Oh, e uno è sordomuto", va meglio così? Non c'è un modo dolce per dirglielo!» esclamai in un tono isterico.
Entrambi sospirammo, esausti. Vidi mia madre appoggiare un gomito sul tavolo e massaggiarsi nervosamente la tempia; credo che avesse già provato tante emozioni diverse, quel giorno. La sala era stata immersa nel silenzio più totale, e fu in quel momento che i miei sensi di colpa cominciarono a farsi avanti.
«Avrei dovuto dirti che fumavo.» Dissi, abbassando lo sguardo.
Lei tolse la mano e mi guardò negli occhi. «Tranquillo, non ne ero certa ma avevo cominciato ad immaginarlo. Solo non credevo che avessi cominciato così presto.»
Ancora silenzio. Odiavo il silenzio.
«...E io non ho fatto niente per impedirtelo» continuò la donna, con un tono triste. «Non ti ho nemmeno chiesto come ti sentivi.»
La guardai con compassione. Se non avessi fatto subito qualcosa, sarebbe scoppiata a piangere. Mi alzai lentamente dalla sedia e mi sedetti di fianco a lei. Appoggiai una mano sulla sua spalla come per trasmetterle sicurezza, ma non ero certo che avesse funzionato. Mia madre mi guardò ed abbozzò un sorriso.
«Ora sarai anche più grande, ma rimarrai sempre il piccolo Chris che il primo giorno di elementari se l'è fatta nei pantaloni.»
Non mi piaceva pensare a quel ricordo, ma detto da lei mi fece solo divertire. Sorrisi e la abbracciai, contento di aver fatto pace. Lei ricambiò amorevolmente l'abbraccio, stringendomi forte.
«Ti voglio bene, mamma.»
«Anche io, tesoro» Disse lei, dandomi qualche pacca sulla spalla. «Ma sei comunque in punizione, e mangerai broccoli per il resto della tua vita.»
Mi staccai dall'abbraccio e feci uno sguardo perplesso. Dopo qualche secondo scoppiammo a ridere entrambi, rallegrando la stanza con le nostre risate.
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