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19. Parentele ritrovate

Canzoni per il capitolo:
• Issues ~ Julia Michaels
• Apologize ~ OneRepublic

L'ora più lunga della mia intera vita. Non avrei mai pensato di arrivare a questo punto, e soprattutto mi ero completamente dimenticato che una volta portata Clary a danza avrei dovuto aspettare tutto il tempo seduto sulla scomodissima sedia della sala d'attesa. Tutti gli occhi delle signore sedute attorno a me erano puntati sul mio viso imbarazzato, ad alcune era addirittura scappato un sogghigno divertito. Odiavo sentirmi a disagio. Mi chiedevo a cosa stessero pensando tutte quelle signore... probabilmente si stavano chiedendo che cosa ci faceva un ragazzo di diciotto anni in un posto del genere. Se qualcuno della mia scuola mi avesse visto, la mia reputazione sarebbe sicuramente calata dalle stelle alle stalle. Immerso in questi pensieri, buttai tutto il mio peso sullo schienale della sedia di plastica. Annoiato, diedi un'occhiata veloce all'ora sul mio cellulare: ancora ventitré minuti e quarantacinque secondi. Quarantaquattro... quarantatré... Sbuffai e cacciai il telefono in tasca. Puntai lo sguardo verso il soffitto e socchiusi gli occhi, esausto.

«Ed...» feci, con un sussurro quasi inaudibile. «Non ne posso più.»

«Dai, non è poi così male...»

Allibito, subito replicai: «Stai scherzando?! La signora accanto a me puzza di cipolla!»

Temendo che mi avesse sentito, le rivolsi subito un'occhiata veloce. La donna mi guardò e fece un sorriso inquietante, che mise in mostra i suoi denti cariati. In tutta risposta, accennai un sorriso imbarazzato e ritornai a discutere con la mia coscienza.

«Lo fai per tua madre e per tua sorella, e questo ti darà dei punti in più riguardo a... quella cosa.»

Capii subito a cosa si stava riferendo, e annoiato annuì, sospirando. Il tempo sarebbe volato, e potevo sempre distrarmi con il cellulare. Ora che mi tornò in mente, lo accesi e ricontrollai i messaggi, così per vedere se c'era qualcosa di nuovo... okay! Era per vedere se Judith mi aveva scritto. Il mio sguardo diventò da speranzoso a deluso: ancora nessun messaggio da parte sua. Però ero ancora sicuro del fatto che mi avrebbe scritto, perché lo avrebbe fatto... no? All'improvviso cominciai a pensare che forse non mi aveva ancora scritto perché aveva perso il biglietto. Magari nel tragitto verso casa un brutto piccione aveva afferrato il foglietto di carta e se l'era portato nel suo nido, oppure, opzione ancora più probabile, nell'istante in cui Judith stava per scrivermi era arrivata una folata di vento che aveva trascinato il biglietto via, e magari anche il suo cellulare era volato in aria insieme al mio numero...

«Certo! Oppure è arrivata una capra di città che si è mangiata il biglietto che Judith teneva in mano...» Si intromise Ed, che aveva ascoltato la mia conversazione interiore.

Le sue parole mi fecero riflettere.

«Mh, non credo...» Sussurrai, mettendomi un dito sulle labbra. «Magari una mucca di città...»

«Ti sto prendendo in giro!» esclamò la mia coscienza, facendomi raddrizzare la schiena.

Poteva sempre essere una possibilità... in ogni caso, sospirai e ritornai ad osservare il soffitto. Il silenzio che si era creato venne subito interrotto quando sentii il mio cellulare vibrare.

«Oh, magari è la volta fortunata...» Disse Ed, annoiato.

Lo ignorai e presi immediatamente il mio cellulare. Controllai i messaggi, e ancora una volta il mio sguardo si rattristì, quando realizzai che Judith non mi aveva ancora scritto. Le mucche di città aveva colpito ancora.

AMANDAMAGAZINE: Ciao Chris, mi chiedevo se avessi il numero di Judith, dato che tra voi due ho visto una specie di intesa ;)

Era Amanda con le sue fastidiose richieste. Quale intesa? Non c'era nessuna intesa! Un attimo, come aveva avuto il mio numero di cellulare? In ogni caso, anche se l'avessi avuto non le avrei mai dato il numero di Judith, avrei scommesso che le avrebbe intasato il cellulare di domande, e non volevo che la povera Judith dovesse subirsi anche i paparazzi. Spazientito, cominciai a scrivere.

NONINTERESSATO: No, mi dispiace...

Lei ci mise poco a rispondere.

AMANDAMAGAZINE: Non importa, grazie lo stesso :)

Sospirai e spensi il cellulare. Era evidente che Judith non mi avrebbe mai scritto. In fondo, dopo tutto quello che le avevo fatto, avrei potuto capire che magari non si fidava ancora pienamente di me. Avrà pensato che fosse tutta una messa in scena per avvicinarmi a lei e poi ferirla. Avrei dovuto rinunciare. Proprio in quell'istante una porta si aprii, e da lì uscirono tutte le bambine del corso di danza. Tra quel mucchietto potei riconoscere Clary, e sollevato mi alzai insieme a tutte le altre mamme, che si diressero verso le proprie bambine. Feci un cenno con la mano a mia sorella, che sorridente si avvicinò a me.

«Devo andare a cambiarmi.» Disse, stando accanto ad una bambina della sua età.

«Va bene, ti aspetto qui.» Mi infilai le mani nelle tasche dei pantaloni.

Le due bambine mi salutarono e corsero verso gli spogliatoi insieme a tutte le altre piccole ballerine. Ero felice nel vedere che lì avesse tante amiche, almeno la sua vita era sempre stata felice nonostante i problemi di famiglia. Rimasi solo nella sala d'attesa, dato che tutte le mamme avevano seguito le bambine nei camerini. Quando mi girai realizzai di non essere del tutto solo, dato che c'era ancora la signora che puzzava di cipolla seduta sulla sua sedia, che mi fissava con uno sguardo inquietante.

«Ehm... salve.» Tentai di approcciarla timidamente.

Lei non mi rispose e continuò a fissarmi sorridente. Quella situazione mi stava spaventando, perciò decisi di allontanarmi da quella figura inquietante.

«Ora devo... andare.» Dissi, facendo qualche passo all'indietro e indicando una stanza scelta a caso, da cui proveniva della musica classica.

La signora non parlò, e non si mosse. Continuava a guardarmi come se fossi uno spiedino in padella. Annuii distrattamente ed entrai velocemente nella stanza, chiudendo la porta subito dopo. Emisi un sospiro di sollievo, ma mi fermai quando notai una ragazza che stava ballando. Fortunatamente non si era accorta della mia presenza, ma ballava così bene che volli restare a guardarla. Senza fare rumore, restai in piedi e mi appoggiai al muro, godendomi lo spettacolo. Sembrava una ragazzina, dai capelli biondi e legati in uno chignon. Mentre ballava sembrava una piuma, la musica si adattava perfettamente ai suoi passi in modo che potesse quasi volare. Mi guardai intorno e vidi un bambino che mi stava fissando appoggiato al muro, con le gambe rannicchiate sulla sua pancia. Lo salutai simpaticamente con la mano, e lui fece lo stesso, anche se un po' confuso. Chissà cosa ci faceva lì... Insieme ritornammo ad osservare la ragazza, che aveva cominciato a fare piroette e capriole mettendoci tutta la passione che aveva in corpo. Non avevo mai visto ballare qualcuno così bene, quella tipa aveva davvero del talento. Ci stava mettendo l'anima. Quando finì di ballare, non potei fare a meno di applaudire, entusiasta da quello che avevo visto. Lei mi guardò immediatamente, e finalmente potei riconoscere il suo viso. Fu come un instante. Ci scrutammo il viso a vicenda, lei strizzò gli occhi per potermi vedere meglio. A nessuno sembrava vero.

«Chris Watson...» Scandì la ragazza, sorpresa di vedermi.

«Grace, da quanto tempo.» Mi avvicinai a lei.

«A quanto pare non abbastanza.» Sbottò acidamente.

Erano passati anni, ma ancora mi ricordavo di lei. D'altronde... come potevo dimenticarmi di mia cugina? Dopo che mio padre era partito con Amber per la California, mia madre era talmente arrabbiata e offesa da perdere ogni tipo di contatto la sorella di quest'ultimo, e successivamente con sua figlia, ovvero mia cugina. L'ultimo ricordo che avevo di lei era stata quel viaggio in montagna; Grace aveva fatto un pupazzo di neve e io gliel'avevo distrutto. Tra noi non scorreva buon sangue, soprattutto perché in quel periodo avevo cominciato ad avere cattive compagnie. Adesso Grace mi sembrava un po' più alta ed evoluta, ma il viso era praticamente uguale a quello di sei anni fa.

«Sei cambiata.» Commentai, sorridendo.

«Invece tu sei sempre lo stesso.» Mi provocò lei, fulminandomi con lo sguardo.

«Io non credo... hai saputo la notizia sul giornale?»

Lei sbuffò. «Ma certo. Hai salvato quella ragazza dal suicidio, ma scommetto che era solo per riempire il tuo strabordante ego.»

Le sue parole riuscirono a ferirmi. Ero davvero stato così cattivo con lei?

Nonostante il suo carattere da dura, decisi di lasciare perdere. «Balli bene» cambiai argomento. «Mi ero dimenticato che facessi danza.»

«Da quando avevo cinque anni» puntualizzò Grace, posandosi le mani sui fianchi. «Ma a quanto pare eri troppo impegnato a fumare sigarette di nascosto che ad accorgerti di me, quando eravamo in stanza insieme all'hotel in montagna.»

Sembrava che ogni cosa che dicessi fosse un buon motivo per puntarmi il dito contro.

«La ragazza ti sta stendendo...» Commentò Ed, ridacchiando.

«È successo tanto tempo fa...» mi giustificai. «Non avevo mai provato.»

«Sei impossibile, Chris.» Fece lei, scuotendo la testa.

«Mi spieghi cosa ti ho fatto di male?» domandai finalmente, alzando le braccia a metà altezza.

Lei rimase in silenzio ed incrociò le braccia. Notai che il suo sguardo severo stava lottando per non cedere. Si avvicinò a me, tanto da poter incrociare i nostri sguardi. Ero alto una spanna in più di lei, e per guardarla negli occhi dovevo abbassare la testa.

Grace fu diretta. «Te ne sei andato.»

Silenzio. La stanza si era avvolta di silenzio. Nonostante avessi voluto dire qualcosa, non ne trovai il coraggio.

Allora fu la bionda, a continuare. «Ho sempre pensato che tu fossi come un fratello, per me. Essendo figlia unica, avevo solo bisogno di qualcuno che mi proteggesse da tutti, che mi desse consigli sui ragazzi quando avrei cominciato ad uscire con qualcuno, che mi facesse ridere quando ero triste... che ci fosse sempre. All'inizio eravamo amici e ci divertivamo, ma quando tu hai cominciato a frequentare altre persone ti sei praticamente scordato di me. E poi, quando mio zio ha lasciato tua madre... sei scomparso nel nulla, e hai lasciato la piccola Grace da sola, ad affrontare un mondo troppo ingiusto e pieno di delusioni.»

Non sapevo cosa dire. Le sue parole erano state più taglienti dei coltelli. Mi limitai a rimanere in silenzio, mentre gli occhi di Grace si erano fatti lucidi.

«Mi... mi dispiace.» Mormorai, abbassando lo sguardo, pur sapendo che non sarebbe bastato un semplice "scusa" per chiarire tutto.

Lei fece una risata ironica. «Troppo tardi.»

Si allontanò da me, mentre io rimasi immobile. Grace raggiunse il bambino biondo appoggiato al muro e lo prese per la mano, facendolo alzare.

«Andiamo, Larsen.» Disse, trascinandolo verso l'uscita della stanza.

«E lui chi è?» domandai, facendola fermare.

Grace si girò verso di me e fece un'espressione annoiata.

«È tuo cugino.»

«Wow.» Disse Ed.

I miei occhi si spalancarono. Non credevo di avere un cugino, a quanto pare mi ero perso qualcosa nel giro degli anni. A vederlo era abbastanza piccolo e minuto, doveva essere nato dopo che avevo perso le comunicazioni con loro.

«Oh» dissi. «Ciao, piccoletto.» Mi inginocchiai alla sua altezza e sorrisi.

Lui rimase in silenzio a guardarmi. Era un bambino parecchio bizzarro.

«Come stai?» domandai, cercando di sembrare amichevole.

Ancora silenzio.

«Chris...» Intervenne Grace, cercando di portare via suo fratello.

«Il bambino è un po' taciturno...» Commentai, rimettendomi in piedi.

Grace rimase impassibile. Sospirò e roteò gli occhi al cielo.

«Larsen è sordomuto.»

In quel momento qualcosa dentro di me si ribaltò. Ma che sto dicendo? Si capovolse letteralmente!

«Doppio wow.» Fece Ed.

Non credevo ai miei occhi. Ora capivo perché Larsen era così timido e silenzioso... rimasi di pietra, a fissare mia cugina. Grace sbuffò e riprese la mano di suo fratello, incamminandosi verso l'uscita della stanza. Rimasi immobile anche quando la porta si chiuse e rimasi solo in quella stanza silenziosa. Non riuscivo a non sentirmi in colpa per Grace, anche se in fondo non era colpa mia se la nostra famiglia si era separata, e nemmeno se Larsen era nato sordomuto. Ero solo tanto, ma tanto triste per quella povera ragazza. In quel momento Clary entrò nella stanza, risvegliandomi dai miei pensieri.

«Chris? Andiamo?» domandò allegramente.

Mi scossi e camminai verso di lei.

«Sì.»

Feci un piccolo scatto e me la misi sulle spalle, mentre lei cominciò a ridere. Amavo la sua risata, e amavo sentirmi un bravo fratello. Anche se mi ero promesso che presto sarei diventato anche un bravo cugino.

//ANGOLO AUTRICE//
Bene, miei prodi (?)
Come vi sembra Grace? Pensate che abbia ragione a trattare così Chris?
Scrivetemi i vostri pareri.

P.S. Le capre di città conquisteranno il mondo🐏

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