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11. Incontri spiacevoli

Canzoni per il capitolo:
Living ~ Bakermat
Sweet Creature ~ Harry Styles

Non c'era cosa che mi rendeva più felice del buon vecchio sabato. Un giorno in cui potevo rilassarmi e stare tutto il giorno in casa, un giorno in cui non dovevo pensare ai compiti o allo stress, un giorno in cui potevo essere libero di fare tutto quello che volevo.

«Non finché ci sarò io.»

Dimenticavo che il mio caro amico Ed non mi lasciava neanche un secondo di relax, e che al posto del mio piano di restare spaparanzato sul divano tutto il santo giorno, lui aveva "pensato" di andare a fare una corsa nel parco. E con pensare intendo obbligare.

«Non ci vado.» Dissi, quando mi propose l'idea.

Ero in pigiama e sdraiato sul divano. Volevo riposarmi, e non avevo nessuna voglia di muovere un solo muscolo. Ed non poteva obbligarmi, non era mica il mio capo! Abitava nella mia testa, e avrei deciso io cosa fare.

«Ci andrai.»

Sospirai e mi diedi una pigra spinta in avanti, mettendomi seduto.

«Sai, io non mi faccio comandare da una voce insignificante.» Dissi, allungando il busto in avanti per afferrare il mio cellulare.

Lo accesi e diedi un'occhiata alle notifiche.

«Okay... se la metti così mi tocca ricacciarti all'inferno...» fece Ed. «È stato bello» sospirò. «3, 2, 1...»

«No!» esclamai allarmato. «Ci vado! Ci vado!»

Sentii la mia coscienza ridacchiare. Non era affatto giusto, gli bastava mettere la parola "Inferno" e tutto andava come diceva lui. Quanto avrei voluto essere al suo posto... comandare un povero ragazzo e fargli fare tutto quello che volevo.

«Lasciami solo... controllare le notifiche.» Dissi concentrato a maneggiare il mio cellulare.

Ed sospirò e mi lasciò fare. Quando entrai nelle chat notai con stupore che Peter mi aveva scritto una miriade di messaggi; mi domandavo se quel ragazzo avesse una vita sociale. Dimenticavo che avevo perso la mia una volta rotta l'amicizia con i miei amici e con la mia ragazza.

OBOELOVER: Chris.

OBOELOVER: Chriiiiis.

OBOELOVER: Cosa fai?

OBOELOVER: Stai dormendo?

OBOELOVER: Probabilmente stai dormendo.

OBOELOVER: Scrivimi quando sei sveglio.

OBOELOVER: ...

OBOELOVER: Chriiiiiis!

Sospirai. Quel ragazzo era pesante!

«Dovrebbe trovarsi un passatempo.» Commentò Ed, anche lui sconvolto quanto me.

NONINTERESSATO: Cosa vuoi?

Non feci in tempo a sbadigliare dalla stanchezza mattiniera che lui era subito online.

OBOELOVER: Allora sei sveglio!

NONINTERESSATO: Adesso sì. Cosa vuoi?

OBOELOVER: Sai, dopo che mi hai dato quelle regole sulle ragazze ho cominciato a fare pratica...

NONINTERESSATO: Fantastico!

OBOELOVER: ...Con mia nonna.

Rilessi il messaggio più volte, quasi immobile, dovendo ancora realizzare cosa mi aveva appena scritto. Aveva usato i miei preziosi consigli... con sua nonna?

NONINTERESSATO: Davvero?

OBOELOVER: Sì... ma lei mi ha detto che per conquistare una ragazza devo essere semplicemente me stesso.

NONINTERESSATO: Ecco, questo è quello che non devi fare.

«Wow, simpatico.» Si lasciò sfuggire la mia coscienza.

Forse Ed aveva ragione, ero stato un po' troppo pungente. Decisi di correggermi per non spezzare del tutto l'autostima di quel ragazzo.

NONINTERESSATO: Voglio dire che non penso che Amanda vada matta per gli "amanti degli oboe"...

OBOELOVER: Già, probabilmente dovrei cambiare il mio nickname...

NONINTERESSATO: Era quello che intendevo.

Ci furono qualche secondi di pausa.

MR.MILLER: Ecco fatto.

NONINTERESSATO: Un attimo, ma Miller non è il cognome di Amanda?

MR.MILLER: Può darsi.

Mi misi una mano sulla fronte, e nonostante dovessi piangere mi uscì una risata. Peter era un caso perso.

NONINTERESSATO: Devi cambiarlo.

MR.MILLER: Uff, e va bene.

OBOELOVER: Hai distrutto un sogno.

Ridacchiai e salutai il mio strano amico. Certe volte mi chiedevo se ci fosse un'altra persona uguale a Peter; probabilmente no. Appoggiai il cellulare sul comodino, e credevo ormai di essermela scampata, quando la mia odiosa coscienza mi ricordò del patto che avevamo fatto.

«Adesso muovi le chiappe e vai a vestirti.»

Alzai gli occhi al cielo e con fatica mi alzai dal divano, mugugnando.

«Non capisco come mai ci tieni tanto.» Dissi, mentre a passo lento mi recavo verso la mia camera da letto.

«Beh... ricorda che devi fare azioni positive e aiutare le persone, e non ce la farai mai se resti tutto il giorno rintanato in casa! Non ti ho portato sulla terra per spassartela, ma per lavorare!»

Feci le spallucce e chiusi la porta della mia stanza. Dal cumulo di vestiti che tenevo dentro all'armadio riuscii a ricavare una maglietta ed una felpa decenti. Mia madre mi ripeteva sempre di mettere in ordine, ma per me era tutto perfetto così come stava. E poi... diciamo che non ero mai stato molto ordinato.

«Credevo che aiutare Peter fosse già abbastanza...» Borbottai, togliendomi la maglietta e rimanendo a petto nudo. Improvvisamente mi vennero brividi su tutto il corpo; odiavo quando al mattino dovevo privarmi del soffice calore del mio pigiama.

«Ah ah! Non è niente!» mi derise Ed. «Ci vuole ben altro per convincermi a mandarti in Paradiso.»

Sbuffai e mi misi velocemente la maglietta per evitare il freddo fastidioso del mattino, che stava già correndo su e giù per la mia pelle.

«Un attimo! Ricorda che ho anche fermato un ladro e... oh, dimenticavo, io ho salvato una vita!» esclamai, stupefatto. «E tutto questo in qualche giorno» puntualizzai. «Ti sembra poco?»

«Sì, lì sei stato bravino...» Commentò Ed, mangiandosi un po' le parole.

Avevo capito che Ed non sarebbe mai riuscito a lodarmi più di così, perciò dovetti prendere quello che aveva detto come un gran bell'elogio. Mi infilai una felpa grigia e un paio di pantaloni. Passai davanti allo specchio e mi diedi una leggera passata sui capelli. Non mi era mai importato di pettinarli, mi erano sempre rimasti fedeli. Quando pensai di essere pronto, andai a salutare mia madre e Clary. Perfino loro erano sorprese di vedermi andare a correre, ma cercarono di non mostrarlo tanto.

«È tanto difficile immaginarmi come lo sportivo che sono?!»

***

«Ed...» Bofonchiai con il fiato corto, appoggiandomi goffamente ad una panchina del parco. «Basta, sono esausto.»

La mia pelle al tatto era bollente e macchiata da tante goccioline di sudore che percorrevano la mia fronte, il mio collo fino ad assorbirsi nella felpa, ormai bagnata. Sentivo che l'ossigeno mi mancava e continuavo a fare lunghi respiri nel tentativo di riprendermi. Ero sfinito.

«Chris, corri solo da cinque minuti.»

Mi sedetti sulla panchina e maledissi la mia coscienza. Sentii che i miei muscoli si stavano rilassando. Finalmente.

«Per te è facile dirlo, tu non devi fare alcuno sforzo.» Dissi con un tono acido.

«Di sicuro riuscirei a fare più di cento metri senza cadere a terra tramortito...» borbottò lui. «Mi spieghi come diamine hai fatto a rincorrere quel ladro se hai la resistenza di un lombrico?»

«Non lo so» risposi io, tra un affanno e un altro. «Forse do del mio meglio solo sotto pressione.»

Rimanemmo entrambi in silenzio per un po', e quella pausa mi diede l'occasione di riacquistare forze. Sapevo di dover fare azioni positive, ma il problema era che non sapevo da dove cominciare. Insomma... in precedenza le situazioni di difficoltà mi erano sempre state servite in un piatto d'argento, ora non sapevo più come fare. Forse dovevo solo aspettare. Sì, restare lì ad aspettare mi sembrava la soluzione migliore. Appoggiai entrambi i gomiti sullo schienale della panchina e mi guardai intorno, leggermente annoiato. Osservavo con aria stanca le persone davanti a me. E osservai. E osservai ancora. Osservai... ma niente, sembravano tutti allegri e felici. Persone che correvano, innamorati che si tenevano per mano, sembrava tutto uscito da un cartone animato. Un po' mi dispiaceva che nessuno avesse bisogno di me, e anche se potevo sembrare egoista, desideravo con tutto il mio cuore che la signora davanti a me inciampasse su un sasso e si rompesse una gamba, pronta per essere soccorsa. Stava cominciando a farsi freddo, e me ne accorsi quando un brivido percorse le mie gambe. Guardai in alto, ed il cielo grigio e le nuvole scure mi fecero capire che presto sarebbe scoppiato un temporale. Capii che dovevo mollare, avrei dovuto scusarmi con Ed, ma proprio non riuscivo a fare azioni positive. Sospirai e mi alzai dalla panchina. A passo lento e con la testa bassa percorsi il sentiero che portava all'uscita del parco. Mi accorsi che ormai le strade erano deserte; probabilmente anche le altre persone si erano accorte del brutto tempo. Mi fermai di scatto, quando le mie orecchie percepirono dei singhiozzi e dei lamenti provenire da un luogo non troppo lontano. Non credevo che esistessero scoiattoli piagnucoloni, così, incuriosito, andai a controllare. I rumori provenivano da una fitta rete di alberi e cespugli, appena dopo il sentiero del parco. Non appena girai l'angolo vidi una scena adorabile: una bambina dalla pelle scura e i capelli ricci legati in due trecce aveva le mani attorno al viso, e piangendo se ne stava tutta rannicchiata sotto un albero. I miei occhi si addolcirono; no, non esistevano scoiattoli piagnucoloni.

«Hey...» dissi, avvicinandomi a lei e inginocchiandomi alla sua altezza. «Che succede?»

La bambina mi rivolse uno sguardo spaventato.

«H-ho perso l-la mia mamma.» Piagnucolò.

Quella bambina mi fece tenerezza, e non poté non attivare il mio lato dolce. Le feci un sorriso di compassione e con un dito le asciugai le lacrime. Solo dopo realizzai che quella era la buona azione che stavo cercando.

«Vieni, la andiamo a cercare insieme.» Dissi, porgendole la mano.

La bambina all'inizio era un po' titubante, poi si arrese e accettò la mia mano. Entrambi ci alzammo in piedi ed uscimmo dal boschetto di alberi. Dovevo aiutare quella povera bambina, se non ce l'avessi fatta mi sarei sentito in colpa per un bel po'. Perciò girammo per tutto il parco in cerca della sua mamma. Avevo provato a chiederle qualche informazione su di lei, ma quello che mi riferì non fu molto chiaro, forse perché la bambina era ancora stravolta; tra un singhiozzo e un altro riuscivo a capire sì e no una parola a frase. Nel bel mezzo della conversazione, una voce con troppo familiare mi gelò il sangue nelle vene.

«Chris! Che sorpresa vederti qui!»

Io e la bambina ci fermammo di scatto. Chiusi gli occhi, sperando che fosse solo un brutto sogno. Non poteva essere lei.

«Cazzo.» Sussurrai, facendo una smorfia d'imbarazzo, e subito dopo pentendomi di aver imprecato davanti ad una undicenne.

Mi voltai insieme alla bambina e vidi Bethany in compagnia di Miles, che con un braccio le cingeva la vita.

«Oh oh.»

Le cose non potevano andare peggio. L'ira per loro due non se n'era ancora andata, anzi, ero ancora ribollente di rabbia.

«Ehm... voi che ci fate qui?» domandai, leggermente innervosito dalla loro presenza.

I due si guardarono e sorrisero, e a quel punto mi venne da vomitare.

«Sai... facevamo un po' di cose da fidanzati...» fece Bethany sorridendo.

"Cose da fidanzati". Patetico.

«Ma piuttosto... chi è questa bambina?»

I due occhi nocciola indietreggiarono e si misero dietro di me. Sembrava che la bambina di sentisse protetta.

«Non dirmi che adesso fai anche il babysitter!» ridacchiò Bethany. Solo in quel momento notai che la sua risata sembrava quella di un tacchino.

Per un attimo mi sfiorò l'idea di tirare un pugno in faccia a quel bel faccino, ma cercai di trattenermi per non scandalizzare la bambina.

«Veramente... stavo aiutando questa bambina a ritrovare la sua mamma.»

Sperai che a quel punto provassero un po' di compassione. E invece no.

«Wow» se ne uscii Miles. «La tua vita dev'essere proprio triste!»

I due scoppiarono ancora a ridere, come un paio di idioti. Non volevo restare un minuto di più a vedere quella scena, perciò sospirai e feci dietrofront. Dovevo cercare di contenermi, non dovevo farmi sopraffare dalla rabbia. Altrimenti sapevo già che non ci sarebbe stato più nulla da fare. Così camminai via, una scelta matura e intelligente.

«Sì, va via!» sentii in lontananza. «Noi vogliamo essere lasciati soli!»

Abbassai la testa e sopraffatto dalla tristezza accelerai il passo. D'un tratto cominciò a piovere, e i miei vestiti e quelli della bambina di riempirono di goccioline. Fantastico, ci mancava la pioggia. Il mio umore era giù, e mi sembrava giusto dare un po' di atmosfera alla scena. Ora, mettendo da parte gli scherzi, ero estremamente triste, ma non dovevo mostrare le mie debolezze. Ovviamente tutto quello fu inutile, e le emozioni cominciarono a manifestarsi in breve tempo.

«Stai piangendo?» mi domandò la bambina, guardandomi il viso.

Maledizione.

«Eh?» venni colto alla sprovvista e mi asciugai le lacrime che accidentalmente mi erano scivolate sulle guance. «No, è solo la pioggia.» Mentii.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui cercai di calmarmi per evitare di mettermi in ridicolo davanti ad una bambina di undici anni. Mio padre mi diceva sempre :"Mai mostrare le tue debolezze". Fino a quel momento gli avevo sempre dato retta. Insomma, un bullo non poteva avere un lato tenero, le sue emozioni dovevano rimanere dentro e non essere mai buttate fuori.

«Perché stai piangendo?»

Sospirai e le mie emozioni mi mandarono a quel paese. La bambina non mollava l'osso, perciò decisi di arrendermi e di lasciare scorrere le lacrime. Sembravo una femminuccia, e mi sentivo estremamente in imbarazzo con me stesso. Ma più che altro era un po' come se stessi deludendo mio padre.

Tuttavia decisi di raccontarle la faccenda. È solo una bambina, pensai.

«Vedi... quel ragazzo che hai visto prima era il mio migliore amico, e quella ragazza era la mia fidanzata. Ho fatto la cosa giusta e diciamo che ho rotto la nostra amicizia, e così mi si sono ritorti contro» feci una pausa. «Il mio migliore amico mi ha tradito... e questo mi fa molto male.»

Ci fu un'altra pausa, in cui non sapevo proprio cosa dire. Sentivo le scarpe bagnate emettere un rumore strano e spugnoso ogni volta che toccavo terra. Chiusi gli occhi ed emisi respiri profondi, cercando di placare le mie emozioni.

«Beh... magari adesso ti troverai degli amici migliori.» Disse la bambina, per cercare di farmi stare meglio.

Apprezzai la sua dolcezza, e le rivolsi un sorriso sincero.

«Già» dissi. «Hai ragione.»

Improvvisamente le lacrime smisero di scorrere sulle mie guance. Era incredibile di come quella bambina fosse riuscita a farmi stare meglio. In fondo, avevo fatto bene a confidarmi con lei. All'improvviso la sentii tremare, e osservai i suoi denti sbattere velocemente.

«Hai freddo?» domandai.

Lei annuì, tremante. Tolsi la mia mano dalla sua, per poi togliermi la felpa e metterla alla bambina. Lei sorrise e si abbassò il cappuccio, per coprirsi i capelli dalla pioggia. Mi era rimasta una sottile maglietta a maniche corte, e anche se stavo morendo dal freddo, non mi importava. Il tenero sorriso di quella bambina era riuscito a riscaldarmi più di un bel focolare. Camminammo in silenzio per almeno altri cinque minuti, finché non vedemmo una figura in lontananza che veniva verso di noi. Avvicinandoci, notai che era una donna con in mano un ombrello, e che si guardava intorno con uno sguardo preoccupato. Doveva essere la sua...

«Mamma!» esclamò la bambina, staccandosi dalla mia mano e correndo felice verso la donna.

«Kira!»

Le due abbracciarono sotto la pioggia, e io rimasi a guardarle sorridendo. La madre, suppongo.

«Temevo di averti persa...» Sussurrò la donna, stringendo più forte la bambina.

Quando si staccarono dall'abbraccio, le rivolse uno sguardo severo. «Non allontanarti mai più, mi hai fatto preoccupare!»

La bambina, o meglio Kira, annuì. Ero così felice che si fossero ritrovate... mi sentivo in qualche modo coinvolto nella faccenda.

«È stato lui ad aiutarmi!» esclamò Kira, indicandomi.

La madre mi guardò e mi sorrise.

«Ti ringrazio di cuore» disse, prendendo la mano della bambina. «Come posso ripagarti?»

«Oh, non voglio niente» feci io, sorridendo. «Occuparmi di lei è stato un piacere.»

E lo era davvero, perché in quel periodo in cui ero stato in sua compagnia mi aveva fatto capire tante cose. Le due sorrisero e fecero per andarsene, quando la donna notò cosa stava indossando sua figlia e si fermò.

«Su, Kira. Restituisci la felpa a questo gentile ragazzo.» Ordinò.

«Oh, può tenersela» dissi io. «Sta meglio a lei che a me.» Ammisi, facendo le spallucce.

Una piccola percentuale che aveva influito nella mia scelta era che l'indumento puzzava di sudore, ma questo lei non lo avrebbe scoperto. Non giudicatemi, ho detto che è stata una piccola percentuale. Piccola piccola.

Dopo i vari tentativi della madre di restituirmi la felpa, alla fine si arrese e la lasciò a sua figlia. Le due si girarono e mano nella mano si incamminarono verso casa. Prima che scomparissero del tutto in mezzo alla nebbia, Kira voltò la testa verso di me e mi sorrise. Io ricambiai il sorriso, guardai quegli occhi castani per l'ultima volta, per poi girarmi e riprendere a camminare a testa bassa. Di certo non mi sarei mai dimenticato di quell'incontro.

«Com'è fare azioni positive?» domandò Ed, sbucando improvvisamente dal nulla.

Sorrisi.

«È davvero bellissimo.»

Alzai lo sguardo al cielo, e per la prima volta non mi sembrava così cupo e grigio, ma tranquillo e sereno. Una sensazione che non provavo da tanto tempo.

//ANGOLO AUTRICE//
Hola hola hola, mis amigos.
Let's hablamos della story.
Scusate, sto mischiando tutte le lingue in modo osceno.
COMUNQUE.
Chris sta cambiando, ve ne state accorgendo?
Ah, e so che siete svenute quando ho descritto la scena in cui Chris si toglie la maglietta😏
Okay forse voi no ma io ero tipo "MLMLML NON HA LA MAGLIETTA".
*sospira* è dura quando hai una crush per personaggi che non esistono, ed è ancora più dura se quel personaggio l'hai creato tu😑
Non giudicatemi, ormai sapete che ho qualche rotella fuori posto.
Va beh, facciamo che ci vediamo nel prossimo capitolo.
Ave👋🏻

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