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Capitolo 1

Guardavo in faccia quell'omuncolo con il quale avevo trascorso un anno della mia vita e per il quale ora provavo solo tristezza.

«Filippo cosa non ti è chiaro del fatto che non ho più intenzione di ascoltarti, di vederti né tanto meno di parlarti?» dissi quasi stremata. Erano ore che stavamo discutendo e per cosa? Per il nulla! Non stavamo più insieme da mesi ormai ma lui non si rassegnava e spesso mi cercava o trovava il modo di farsi trovare nei luoghi che frequentavo. Un'assurdità!

Gli lessi in volto la delusione, ancora una volta, mi spiaceva, questo era ovvio ma per me andava bene così. Lo lasciai lì, davanti all'entrata del mio liceo alle otto del mattino con una brioche al cioccolato in mano. Peccato per la brioche, pensai!

Entrai di corsa in classe, ero all'ultimo anno di questa tortura e non vedevo l'ora di arrivare alla fine e fare un falò con tutti i libri inutili che negli anni ero stata obbligata a comprare. Sorrisi all'idea del falò con i libri, non con tutti ovviamente!

Trascorsi le mie cinque ore seduta ad ascoltare, più o meno, un professore dopo l'altro, con molto poco entusiasmo e quando finalmente uscii dalla porta principale, salutai le mie amiche che si stavano accordando per quel sabato pomeriggio; io avevo poco da organizzare, mi aspettavano i miei a lavoro.

«Nico tu non vieni giusto?» mi chiese Livia retoricamente, già lo sapeva che non sarei potuta andare. Ci conoscevamo da quando avevamo tre anni e sapeva che non potevo scampare al turno di pomeriggio al bar dai miei.

«No Livia non vengo...» sbuffai, avrei voluto andare con loro ovviamente ma i miei genitori oggi avevano una consegna e avevano bisogno che la ritirassi io. La salutai con un bacio, l'unica alla quale concedevo questo gesto affettuoso alla quale non ero molto portata, le altre con un veloce gesto della mano e mi avviai.

Arrivai in autobus dai miei con qualche minuto di ritardo.

«Nicole il fornitore delle bevande arriva a minuti, vai ad aspettarlo sul retro così velocizziamo i tempi» mi ordinò mia madre, lei ordinava sempre, non chiedeva. Svogliatamente andai sul retro, senza nemmeno salutare mio padre intento a parlare con alcuni clienti circa le partire del campionato che si sarebbero giocate quella stessa sera. Mi appoggiai al muro fuori dal portone in attesa del tizio delle bevande e intanto controllai il cellulare. Avevo un messaggio di Livia e di Emily le quali mi chiedevano se alla sera fossi libera per uscire con loro. Risposi con un "Dove si va?" e poi misi il cellulare in tasca; mi sarebbe andato bene qualsiasi posto, visto che i locali erano sempre gli stessi, così iniziai a riflettere sul fatto che quella sera non avrei avuto l'auto perché l'avrebbe usata mio fratello quando sentii il rumore di vetri rotti e i jeans bagnarsi fino al ginocchio.

«Merda!» esclamai stizzita guardando i pantaloni fradici e i vetri ovunque.

«Cazzo mi dispiace tanto, non ti ho vista!» disse mortificato il fornitore cercando di raccogliere i cocci delle bottiglie. Non mi ero nemmeno accorta che fosse arrivato.

«Ti ho tagliata con i vetri?» chiese non udendo una mia risposta.

«No no, sto bene grazie, lascia pure lì le cassette ancora intatte io devo andare a pulirmi» dissi indispettita indicando il muro del retro del negozio. Me ne andai prima di dargli modo di rispondere; avevo tutti i pantaloni bagnati e nonostante fosse ancora un caldo settembre per la maggior parte delle persone io sentivo già freddo e avvertii i brividi sulla mia pelle. Andai in bagno ad asciugarmi il più possibile e cercai nell'armadietto qualsiasi cosa potesse andar bene per cambiarmi, trovai un pantalone di una tuta nera di mia madre, mi stava visibilmente larga tant'è che li perdevo in vita ma decisi che andavano bene piuttosto che rimanere in quelle condizioni. Prima di avvertire i miei di richiamare il fornitore per farsi rimborsare, tornai sul retro per sistemare le bottiglie ancora intatte e vidi il ragazzo ancora lì, appoggiato al furgoncino. Lo ignorai pensando si stesse organizzando per la consegna successiva.

«Ehi tutto ok?» mi chiese facendo capolino dal portone.

«Si si grazie sto bene, non ti preoccupare» risposi fredda senza guardarlo, stavo cercando la scansia giusta per la birra.

«Ero sovrappensiero e quando ti ho vista per non urtarti ho sterzato con il carrello ma ho rovesciato quasi tutto» spiegò afflitto e a quel punto alzai lo sguardo nella sua direzione e fui colpita nel trovarlo carino nonostante quella divisa facesse davvero ridere; sarebbe stata male a chiunque, tuttavia quel colore metteva in risalto la sua fisicità, evidenziando le spalle larghe e le gambe muscolose.

«Davvero non ti preoccupare, per qualche bottiglia rotta e dei pantaloni bagnati non è la fine del mondo!» gli sorrisi, era davvero dispiaciuto. Nell'avvicinarmi notai le sue bellissime mani che accarezzavano nervosamente la barba folta, avevo sempre avuto una fissazione per le mani degli uomini e Dio mio c'erano veramente delle brutte mani in giro! Le sue, ai miei occhi, sembrarono perfette: curate ma non troppo, grandi il giusto e con delle belle unghie. Si accorse che lo stavo fissando.

«Comunque piacere Ronny» mi allungò la mano e io la strinsi un po' in imbarazzo, ci guardammo per qualche secondo e non so perché ma avvertii il cuore accelerare il suo battito. Facendo finta di nulla ritrassi la mano e lui mi rivolse un sorriso che mi levò il respiro.

«Anche con quei pantaloni non sei niente male» disse malizioso lasciandomi sconvolta. Che sfacciataggine! All'improvviso qualcuno suonò il clacson. «Scusami devo andare, buon lavoro!» si girò dopo avermi di nuovo squadrata e si diresse verso il furgoncino.

Tornai a sistemare le scansie chiedendomi il perché di quel disagio, non ero una che si imbarazzava facilmente, almeno così credevo. Una volta finito il mio lavoro raggiunsi i miei raccontando loro l'episodio appena avvenuto.

«Nico per favore allora chiama tu il fornitore» disse mia madre scocciata per l'accaduto così presi il telefono e il numero appeso alla bacheca e chiamai. Attesi e poi parlai con il capo il quale si scusó più volte e mi chiese chi era il ragazzo che mi aveva consegnato la merce. Presa alla sprovvista mentii.

«Non ricordo il ragazzo, mi scusi, sono corsa a pulirmi subito e il ragazzo ha lasciato il resto ancora integro direttamente dentro il portone del negozio» Ero brava a dire delle cazzate se volevo ma chiesi a me stessa perché lo avessi fatto per il ragazzo delle consegne.

«Va bene la ringrazio, approfondirò io stesso, le porgo ancora le mie scuse! Arrivederci» riattaccò. Immaginai che forse avessi mentito perché non era mia abitudine fare la spia, poteva capitare a chiunque di commettere un errore e non sarei di certo stata io la causa del suo licenziamento.

Finita la mia giornata al bar tornai a casa stanca morta ma quella sera avevo detto alle ragazze che sarei andata con loro così salii velocemente in camera salutando mio fratello che non mi degnò minimamente di uno sguardo da bravo cafone qual era. Mi sdraiai sul letto per qualche minuto pensando che se fossimo andate al Tomorrow avrei dovuto indossare qualcosa di non troppo elegante quando mi squillò il cellulare.

«Ohi!» risposi ridendo tra me e me a Livia per il nomignolo con il quale l'avevo salvata sul cellulare: Livia e la pannocchia al suo fianco. Non era di difficile comprensione.

«Ohi ti passo a prendere io stasera?» mi chiese.

«Si grazie Li, mio fratello userà la macchina e io sarò a piedi!»

«Non c'è problema sai che sono di strada, fatti trovare giù alle venti!» sentenziò.

«Perfetto! A dopo» riattaccai e decisi di fare una doccia per togliermi di dosso l'odore di alcool che ancora sentivo provenire dalle mie calze e dalle gambe. Presi accappatoio e cellulare e mi diressi in bagno. Accesi la stufetta per riscaldare l'ambiente sedendomi nell'attesa come mio solito sulla tazza chiusa del water e subito mi tornò in mente il ragazzo delle consegne: Ronny. Digitai il suo nome sulla banda di ricerca di Facebook e poi di Instagram ma nessuno corrispondeva a lui e la cosa mi parve strana; possibile che non fosse su nessun social networks? Sorrisi pensando che nel 2018 il ragazzo delle consegne fosse davvero l'unico a non esserci. Solita fortuna!

Finita la mia lunga doccia mi vestii con calma tanté che poi dovetti truccarmi velocemente perché Livia stava ormai arrivando.

«Oppalà come siamo belle» esclamò lei appena salii in macchina.

«Ah guarda come non mai!» dissi sarcastica, avevo una gonna e una camicetta nera e gli anfibi.

«Ma smettila!» mi sgridò in soccorso della mia poca autostima.

Sapevo di poter piacere ma di certo non mi sentivo alla sua altezza; bionda e formosa, non troppo alta ma sinceramente con un fisico perfetto. Beata lei, io ero più alta ma purtroppo con poche forme da mettere in mostra.

Arrivate al locale raggiungemmo le altre che erano già sedute ai tavolini, la musica era troppo alta e io odiavo dover urlare nelle orecchie alla gente per farmi sentire.

«Questa settimana dato che avremmo poco da studiare pensavo di fare un giro alla mostra che c'è fuori città, qualcuna viene con me?» domandai non avendo voglia di andarci da sola. Sapevo che non sarebbe stata niente di speciale ma i giardini dove si sarebbe svolta mi piacevano davvero molto.

«Va bene farò lo sforzo di accompagnarti!!» disse Camilla alzando gli occhi al cielo, mimai un grazie e le sorrisi.

«Chi viene a prendere con me uno spritz?» domandò Livia.

«Ti accompagno io!» mi alzai con lei al seguito diretta verso il bancone del locale, dovetti spintonare alcune persone per farmi largo e poi vidi Filippo appoggiato al tavolo. Ci risiamo. Chiesi uno spritz per la mia amica e una coca per me al barista che stava impazzendo a servire dieci persone alla volta.

«Nico non mi saluti nemmeno?» mi incalzò Filippo guardandomi male. Avevo tutta l'intenzione di ignorarlo ma mi fu difficile quando lui mi strattonò un braccio per attirare la mia attenzione.

«Filippo ci dai un taglio per favore?!» sbraitò Livia sporgendosi verso di lui.

«Tu non c'entri!» le rispose lui stizzito.

«Filippo basta, vai dai tuoi amici e lasciami stare» non appena pronunciai quelle parole lui mi prese per le spalle e mi girò verso di lui, eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altro e stavo per spintonarlo via quando arrivò Francesco.

«La lasci in pace?» il mio amico e compagno di classe si intromise tra me e lui. Francesco i primi anni del liceo aveva una cotta per me ma poi siamo diventati buoni amici. Gli sorrisi grata.

«Ecco il tuo cavaliere!!» urlò Filippo aprendo platealmente le braccia e colpendo alcune persone di fianco a lui.

«Mai una volta ti risparmi dal dire stronzate è?» lo incalzò Francesco che però non gli diede il tempo di rispondere trascinando me e Livia via dal bancone.

Una volta tornati ai tavolini lo ringraziai, lui si limitò a darmi un bacio sulla guancia e tornò dai suoi amici. La serata fortunatamente proseguì tranquilla e mi ritrovai a raccontare alle mie amiche quello che era accaduto quel pomeriggio al bar e mentre loro risero per la figuraccia di quel povero fornitore io pensai a come quel ragazzo mi avesse suscitato strane sensazioni. Chissà dov'era ora e con questo pensiero tornai a casa persuasa che in qualche modo avrei rivisto quel ragazzo.

****

LUI

«Stavi dicendo?» mi domandò il mio collega una volta risalito sul camioncino.

«Stavo dicendo che la tipa della scorsa notte non è stata niente male, anzi, è stata molto generosa» spiegai ripensando alla rossa con cui avevo trascorso la notte.

«Sei sempre fortunato tu!» disse invidioso.

«Non tutti sanno giocare bene le proprie carte!» dissi con fare strafottente per farlo innervosire.

«Vuoi dire che non mi gioco bene le mie carte? Ma stai zitto pivellino, sono più grande di te e se mi impegno davvero non c'è gioco, fidati!» disse lui convinto.

Risi e in quel momento ripensai alla ragazza del bar, ai suoi occhi che mi fissavano con attenzione e alle sue labbra, così rosse da provocare non casti pensieri. Sperai di rivederla, magari potevamo dare seguito a quell'incontro, anche se avevo provato una strana stretta allo stomaco quando i suoi occhi avevano incrociato i miei, una sensazione nuova, una sensazione di tensione. Decisi di ignorare il tutto e tornare a dire idiozie con il mio collega che si credeva Mr. Grey della situazione ma dal quale era veramente molto lontano.

Spazio autrice:

Ciao a tutti, questo è il primo capitolo del mio primo libro, in realtà del primo libro che pubblico. Spero possa piacervi, accetto ogni vostro commento e consiglio!

Giulia.T

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