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Capitolo 5 • Piccolo aiuto

La camera che Angelica aveva nella vecchia casa era un po' piccola, ma vissuta: tutta rosa, recava ancora disegni, cartelloni e scritte che parlavano della sua infanzia, raccontavano l'evoluzione della sua personalità negli anni. L'armadio, ad esempio, era pieno di adesivi colorati, poster più o meno grandi e oggetti dimenticati dietro pile di magliette e jeans.

Ora, osservando la nuova camera vuota e disadorna, Angelica provò un moto di tristezza. Eppure, le piaceva l'idea che fosse isolata dalle altre camere da letto, con una porzione di stanza che si allungava a L e celava un angolino; le piaceva la vetrata a coprire tutta la metà superiore della parete, le piaceva il parquet nuovo come pavimento, le piaceva la prospettiva di scatenare la sua fantasia e creare la camera che desiderava.

Non la voleva più rosa. Voleva sprazzi di colori diversi dappertutto e mobili di legno chiaro, non più bianchi. Voleva un grande letto matrimoniale su cui far finta di studiare al pomeriggio in tutta comodità.

- Perché lei ha la camera più grande? Voglio starci io qui! - si lagnò subito il piccolo Michele.

- La mia camera è sporca e brutta, da là hanno detto che escono i topi. Ho pensato che meriti di meglio, Michi. - fece Angelica, con falsa gentilezza.

Il bambino rabbrividì alla parola "topi" e guardò la sorella con i grandi occhioni grigi spalancati. Aveva preso gli occhi del padre, a differenza di Angelica.

- Con i topi ci dormi tu. - fece, risoluto.

- Correrò questo rischio. Se mi fanno del male, scappa più forte che puoi. - esagerò la sorella.

Le avvertenze furono sufficienti a far schizzare via Michele, che si andò a rifugiare nella sua cameretta dal lato opposto della casa, dove il piccolo aveva già provveduto a schierare tutti i suoi giocattoli.

Angelica si diede quindi da fare con la madre per sistemare almeno le cose principali per la notte: i letti, il pigiama e qualche ricambio, il tavolo e le sedie in cucina. Ai grandi mobili avrebbero pensato nei giorni seguenti con più calma, anche perché la cucina della nonna non dispiaceva a nessuno.

Dalla casa della nonna si erano portati già cibo sufficiente per metà settimana.

Fu così che Angelica si trovò a girare per casa, sentendosi un po' cretina, in cerca degli oggetti che solitamente trovava già sistemati in bagno: riuscì a farsi trovare comunque pronta per le sette e mezza, spinta anche dall'insistenza della madre e irritata dalle lagne del fratellino.

- Prima accompagni me a scuola oggi. - si impuntò quest'ultimo, salendo in macchina.

- Angelica ha lezione prima di te, Michi. - gli fece notare la madre.

Il bambino si imbronciò.

- Michele, cerca di capire: non ha senso portarci dietro Angelica, lasciarla aspettare e farla arrivare in ritardo, se tu inizi mezz'ora dopo di lei. - spiegò la madre.

Per Michele il ragionamento cominciava ad acquistare un senso, ma non c'era verso di farglielo riconoscere ad alta voce. Era ancora piccolo e il suo orgoglio non aveva subito troppe scalfitture.

Angelica era rimasta in silenzio ad ascoltare la sua musica, tentando nel contempo di memorizzare il percorso che stavano facendo.

Cos'è quel mistero che ancora sei
Che porto qui dentro di me

Riccardo.

Un mistero ancora.

Com'era che le canzoni calzavano sempre a pennello inaspettatamente?

Angelica lo vide non appena entrò in classe, seduto in fondo da solo, con quel famoso quadernetto. Salutò Beatrice, che era seduta vicino ad una ragazza che si presentò come Laura e che Angelica ricordò aver notato al suo fianco anche in un'altra lezione, il giorno precedente. Si appuntò mentalmente di indagare su di lei e, magari, di conoscerla meglio.

Scivolò accanto al ragazzo con i capelli ricci color cioccolato e gli occhi verde-azzurro, che ricordava alla perfezione nonostante in quel momento fossero puntati sulla carta. Le ciglia nere e folte solleticavano le guance.

- Buongiorno! - salutò allegramente.

- Oh. Buongiorno. - ricambiò Riccardo, alzando gli occhi con sorpresa.

Avrebbe preferito che lei non fosse stata così bella e solare, se era interessata a Nicola.

I capelli erano raccolti in una coda stretta e fluivano lungo la schiena come il rivolo di un fiume, mentre una semplice camicia a quadri sul rosso mattone lasciava spazio ad una canotta bianca basic piuttosto aderente, infilata dentro un paio di jeans color terra di Siena. Se Riccardo avesse saputo distinguere i vari stili di moda, avrebbe definito l'abbigliamento di Angelica decisamente country, ma nella sua ignoranza di maschio diciassettenne che indossava solo felpe e jeans da una vita si limitò ad apprezzare il décolleté di tutto rispetto della ragazza.

- Non volevo chiedertelo subito, ma visto che il prof di filosofia ci mette un secolo ad arrivare, ne approfitto. - esordì Angelica.

- Sono tutt'orecchi. - rispose Riccardo, non sapendo se potersi godere la gioia di sentirsi dire parole così dolci al suono o se aspettare e verificare che non si trattasse di una delusione.

Angelica lanciò uno sguardo verso la testa color mogano di Beatrice, poi adocchiò Nicola.

All'ultimo, decise di non esporre del tutto la sua amica prima dell'appuntamento.

- Ho intenzione di organizzare un appuntamento per Nicola questo sabato sera. Mi aiuti a scegliere un posto carino e sorprenderlo? - domandò sottovoce, tutta eccitata all'idea di aiutare la sua nuova amica.

- Nicola e chi? - si informò Riccardo, col morale a terra di colpo.

La ragazza fece un sorriso malizioso.

- Questa è una sorpresa.

- Scusa un attimo, ma come fai a voler organizzare un appuntamento per il mio amico che sei arrivata ieri? - si infuriò Riccardo.

Angelica assottigliò lo sguardo con l'intento di risultare minacciosa, ma riuscì ad essere solo più provocante.

Il riccio provò un fastidio insopprimibile.

Seriamente: cosa diavolo ci trovava nel suo amico? Non che non valesse nulla, ma ci aveva a malapena parlato! Lui nemmeno la guardava!

- Al cuor non si comanda. - citò lei, scambiando un'occhiata complice con Beatrice.

Vaffanculo te, il tuo cuore e i tuoi comandi, pensò Riccardo.

Non che lui avesse più diritto di lei a provare fastidio per come stavano andando le cose, ma non gli conveniva soffermarsi su ciò. Era più comodo sfruttare il fattore tempo per frenare lei anziché per chiedersi come mai lui stesse accelerando.

- Allora, mi aiuterai? - insistette la mora.

E lui avrebbe tanto voluto essere uno di quei ragazzi con la volontà di ferro, che non si lasciavano piegare neanche di fronte ad un paio di occhi scuri e profondi, con le ciglia nerissime allungate all'insù e arcuate ad arte, che imponevano il proprio volere e ottenevano effettivamente ciò che volevano. Avrebbe voluto, ma non poteva cambiare la sua natura da bravo ragazzo buono nell'animo, quindi firmò quella che gli sarebbe parsa in seguito come una condanna a morte.

- D'accordo, ti aiuterò.

A quel punto, entrò in aula il professore e le parole filosofiche che pronunciava catturarono magicamente l'attenzione di quei pochi interessati alla sua materia, mentre gli altri avanzavano inesorabilmente verso la sonnolenza, che permeava l'ambiente come un filtro concreto. Angelica rischiò di addormentarsi sul banco.

Castano cioccolato
riflette l'anima che hai tu
Un colore un po' scontato
diventa speciale se lo hai tu

Ma tieni gli occhi aperti
E non chiudermi il cuore
che se provo del dolore
ho bisogno che mi conforti

La penna di Riccardo tentennò e l'inchiostro rimase sospeso. No, parole troppo semplici, banali e personali. Sapeva che non avrebbe comunque esposto se stesso a nessuno, perché nessuno avrebbe avuto l'opportunità di leggere ciò che scriveva, ma si sentiva troppo esposto perfino nella sua aura di isolamento creativo.

Intercettò lo sguardo di Nicola, seduto vicino ad una delle ragazze, e capì che si era appena svegliato da un lungo sonno mentale e stava cercando di ricordare dove fosse e cosa stesse facendo. Riccardo scosse lievemente la testa, sorridendo appena, per fargli capire che non si era perso niente di importante.

Anche Angelica si destò da quello stato di sonnolenza diffuso e si stiracchiò come una gatta. Riccardo si trovava nuovamente diviso tra l'ammirazione e la frustrazione.

- Mi scrivi il tuo numero qui così ci mettiamo d'accordo? - si sentì chiedere da lei, con una voce ancora legata al mondo dei sogni.

Allungò la mano sul diario aperto che lei gli stava passando e sfiorò le sue dita: morbide così le aveva solo la sua cuginetta di cinque anni, quando non era sporca di colori e terra.

Scrisse le cifre cercando di non sbagliare e annotò il suo nome sopra, deluso dalla propria incapacità di adottare una bella calligrafia. Non gli era mai importato molto di come le lettere imbrattavano le pagine dei suoi quaderni in maniera del tutto caotica e distratta, con il retaggio del corsivo infantile ancora ben evidente, ma in quel momento desiderò poter tracciare lettere ordinate e comprensibili a distanza, come Luca. Solo lui, tra i maschi della classe, riusciva ad imitare la calligrafia curata delle ragazze, nonostante loro arrotondassero le lettere con grazia unica. Forse erano proprio le loro mani a fare la differenza.

- Perfetto. Vedrai, sarà divertente girare insieme! - esultò Angelica, osservando la pagina di diario.

Riccardo non avrebbe definito la prospettiva proprio divertente, ma tacque. Dopotutto, si sarebbe ricreduto.

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